IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso 13154/93 proposto da Gianfrancesco Valerio rappresentato e difeso dall'avv. Federico Sorrentino e dal dott. proc. Giuseppe Noccarato, presso i quali domicilia, Roma, Lungotevere delle Navi n. 30; Contro il Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro-tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la quale domicilia, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per l'annullamento del provvedimento di cui al telegramma 15 luglio 1993, n. 81407, n. c. 333 - C/1609 con cui e' stata respinta l'istanza del ricorrente ad essere trattenuto in servizio per un biennio oltre i limiti di eta', ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 507; di tutti gli atti ad esso connessi, preordinati e conseguenti; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'intimata Amministrazione dell'interno; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 13 gennaio 1994 il relatore consigliere Eduardo Pugliese e uditi, altresi' l'avv. Federico Sorrentino per il ricorrente e l'avvocato dello Stato Figliolia per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Il ricorrente, dirigente superiore della Polizia di Stato, impugna il provvedimento specificato in epigrafe con il quale il Ministero dell'interno ha respinto la sua istanza intesa a conseguire il trattenimento in servizio, per ulteriori due anni oltre il normale limite di eta', ai sensi dell'art. 3, lett. b) della legge 23 ottobre l992, n. 421. A sostegno dell'impugnativa il ricorrente deduce il seguente motivo di gravame: violazione dell'art. 16 del d.P.R. n. 503/1992. L'impugnato provvedimento ritiene inapplicabile la disposizione legislativa citata in rubrica al personale delle forze di polizia ad ordinamento civile, sulla base del disegno di legge n. 1364 d'interpretazione autentica presentato dal Ministero al Senato. Ora, premesso che l'art. 16 e' chiarissimo nel riferire a tutti i dipendenti civili dello Stato la facolta' di prolungare di un biennio rispetto ai limiti di eta' la loro permanenza in servizio e che questa interpretazione e' l'unica che sottrarrebbe la predetta disposizione a censure di incostituzionalita' per eccesso di delega, e' evidente che un disegno di legge di interpretazione autentica non puo' di per se' solo costituire, ne' per l'Amministrazione ne' per il giudice argomento per disattendere l'interpretazione letterale, logica, sistematica della norma di legge. Si costituisce in giudizio l'Amministrazione dell'interno, per resistere al ricorso, rilevandone l'infondatezza, sia per la precisa indicazione normativa che per la specialita' della carriera dei funzionari della Polizia di Stato. All'udienza odierna la causa e' discussa con particolare riferimento all'intervenuto art. 4, comma 5, del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, del quale il ricorrente rileva l'incostituzionalita' relativamente a piu' norme della Carta costituzionale. La causa viene quindi trattenuta in decisione. D i r i t t o Il collegio ritiene, preliminarente, di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 5 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, norma di interpretazione autentica dell'art. 5, comma 3, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, relativamente al personale appartenente alle forze di polizia ad ordinamento civile. La questione e' sicuramente rilevante nel giudizio in corso, in quanto, trattandosi appunto di interpretazione autentica, come tale efficace ex tunc ed escludendo la norma stessa l'applicabilita' della fattispecie alle forze di polizia, cio' comporterebbe necessariamente il rigetto in mancanza di una declaratoria di incostituzionalita'. Relativamente alla non manifesta infondatezza della questione, questa e' correlata con le considerazioni che seguono. Innanzitutto, occorre rilevare che la norma di cui all'art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 546/1993, con la quale si e' autenticamente interpretata una norma del d.lgs. n. 503/1992, viola l'art. 76 della Carta costituzionale per eccesso di delega. Si nota, infatti, che la legge n. 421 del 1993 - legge di delega - conteneva alcune separate deleghe al governo per porre in essere atti legislativi - tra cui, per quello che qui interessa, la delega di cui all'art. 2, relativamente alla materia del pubblico impiego, e quella di cui all'art. 3, concernente invece la materia della previdenza, con indicazione di distinte modalita' operative. In particolare, tale ultimo articolo prevedeva - al punto b) del primo comma - fra le altre cose, la "facolta' di permanere in servizio oltre i limiti di eta' per un periodo massimo di un biennio per i dipendenti civili dello Stato". Ora, e' accaduto che, in correlazione della delega di cui all'art. 2 suddetto (pubblico impiego), il governo ha emanato il decreto legislativo n. 29 del 1993, poi modificato con i decreti legislativi nn. 247/1993, 470/1993 e 546/1993, mentre, usufruendo della delega di cui all'art. 3, ha dato luogo al decreto legislativo n. 503/1992 (in materia previdenziale). Appare pacifica la considerazione che la potesta' legislativa, singolarmente attribuita al Governo ai sensi dell'art. 76 della Costituzione, proprio per il suo carattere di eccezionalita', in tanto puo' considerarsi legittima, in quanto si dimostri puntualmente rispettosa della delega da parte del Parlamento per ogni specifico oggetto delegato, non essendo ammissibile, a meno che non si voglia arrivare alla considerazione del superamento del principio della separazione dei poteri costituzionali, che il primo trasferisca a suo piacimento una delega da un oggetto all'altro a seconda delle contingenti necessita' del momento in quanto, in tal modo si arriverebbe ad una sostanziale espropriazione della funzione legislativa, con la violazione della regola per cui ogni delega ha uno solo oggetto predeterminato. Nella specie qui considerata, invece, il governo, nell'utilizzare la delega di cui all'art. 2 della legge n. 421/1992 (in materia di pubblico impiego), ha travalicato l'oggetto della delega stessa, invadendo il campo della delega di cui all'art. 3 (previdenza), con cio' violando patentemente l'art. 76 della Costituzione. E che cio' sia vero, non essendosi trattato di una utilizzazione cumulativa delle due deleghe (del che, peraltro, neanche sarebbe pacifica la costituzionalita'), si evince espressamente proprio dalle premesse dello stesso decreto legislativo n. 546 del 1993, dove e' richiamato, quale scaturigine legislativa, soltanto l'art. 2 della legge n. 421 del 1992 a non anche l'art. 3 della stessa legge di delega. Altro profilo di incostituzionalita' della norma di cui all'art. 4, comma 5, del decreto legislativo n. 546/1993 riguarda, poi, il contrasto con gli art. 3 (per la disparita' di trattamento) e 97 della Costituzione (per la mancanza di imparzialita'). Infatti, la norma di delega afferma testualmente la possibilita' del differimento del collocamento a riposo per tutti "i dipendenti civili dello Stato". Ora, e' noto che la giustapposizione tra i dipendenti pubblici operanti nell'ambito statale, superata da tempo ogni differenza tra impiegati ed operai dello Stato, e' stata sempre quella tra dipendenti civili e dipendenti militari, in cui la differenza di status era correlata alle differenti norme applicabili all'una e all'altra tipologia di impiego pubblico. Una volta, peraltro, che gli appartenenti a quella che ora e' definita "Polizia di Stato" sono stati smilitarizzati passando appunto dall'ordinamento militare a quello civile, risulta evidente che gli stessi appartengono alla categoria dei dipendenti civili, mentre ogni altra differenziazione assume caratteristiche di specialita' operativa, ma non e' idonea a far uscire dallo status di dipendenti civili gli appartenenti alla Polizia di Stato. Da cio' la violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, in quanto la norma discrimina irrazionalmente nell'ambito di una medesima species di dipendenti, una sotto categoria della stessa.