ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 6 della legge
 regionale della Sardegna 17 maggio 1957, n. 20  (Referendum  popolare
 in applicazione degli artt. 32, 43 e 54 dello Statuto speciale per la
 Sardegna),  come  sostituito  dall'art.  2  della  legge regionale 24
 maggio 1984, n. 25 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 17
 maggio 1957, n. 20, concernente: "Referendum popolare in applicazione
 degli articoli 32, 43 e 54 dello Statuto speciale per la  Sardegna"),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  5  febbraio  1997 dal Tribunale
 amministrativo regionale del Lazio, iscritta al n. 901  del  registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  14 aprile 1999 il giudice
 relatore Valerio Onida.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso  di  un  giudizio  promosso  per  l'annullamento  di
 provvedimenti  del  Consiglio  di  presidenza  della Corte dei conti,
 relativi  ad  una   procedura   concorsuale   per   il   conferimento
 dell'incarico  di componente dell'Ufficio regionale per il referendum
 previsto dall'art. 6 della legge regionale della Sardegna  17  maggio
 1957, n. 20 (Referendum popolare in applicazione degli artt. 32, 43 e
 54  dello  Statuto  speciale per la Sardegna), incarico, classificato
 "infungibile per  sede",  riservato  ai  magistrati  della  Corte  in
 servizio  presso  la sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna,
 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza emessa
 il 5 febbraio 1997, pervenuta a questa Corte il 19 dicembre 1997,  ha
 sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
 agli articoli 3, 108 e 116 della Costituzione, del  medesimo  art.  6
 della  legge  regionale  della  Sardegna  17 maggio 1957, n. 20, come
 sostituito dall'art. 2, lettera d della  legge  regionale  24  maggio
 1984,  n.  25 (recte: dell'art. 6, primo comma, lettera d della legge
 regionale 17 maggio 1957, n. 20, come sostituito dall'art.   2  della
 legge regionale 24 maggio 1984, n. 25).
   Il  Tribunale remittente, giudicati manifestamente infondati alcuni
 profili di illegittimita' costituzionale della norma,  sollevati  dal
 ricorrente, ritiene invece non manifestamente infondata la questione,
 per contrasto con gli articoli 108, 116 e 3 della Costituzione, sotto
 il  profilo  dell'incompetenza  della  Regione in ordine alle materie
 attinenti allo status dei magistrati contabili.
   Esso premette che il Consiglio di presidenza della Corte dei conti,
 nel deliberare  i  criteri  per  l'attribuzione  degli  incarichi  ai
 magistrati  su  designazione  della stessa Corte, aveva introdotto la
 distinzione fra  incarichi  fungibili  e  incarichi  infungibili,  ma
 avendo  riguardo, per questi ultimi, solo a particolari requisiti o a
 specifiche professionalita', senza riferimento alla sede di servizio,
 e  aveva  successivamente,  in  via  provvisoria,  classificato  come
 infungibili  "per sede" gli incarichi per la partecipazione ad organi
 collegiali e di controllo di enti pubblici regionali della Sicilia  e
 della  Sardegna. In applicazione di tali criteri era stata avviata la
 procedura per cui e'  giudizio,  prima  che  lo  stesso  organo,  con
 successiva  deliberazione,  provvedendo  all'adeguamento  dei criteri
 alle disposizioni contenute nel d.P.R.  n. 388 del 1995, abolisse  la
 categoria degli incarichi "infungibili per sede".
   Cosi' motivata la rilevanza della questione, il remittente premette
 ancora,  in  via interpretativa, che la norma regionale impugnata non
 puo'  ritenersi  implicitamente  abrogata  dal   combinato   disposto
 dell'art.    10  della  legge n. 117 del 1988 e dell'art. 13, secondo
 comma,  numero  3,  della  legge  n.  186  del  1982,  relativo  alle
 competenze del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, poiche'
 tali   disposizioni   hanno   avuto   bensi'  l'effetto  di  abrogare
 implicitamente la disposizione regionale nella parte in cui prevedeva
 che fosse il  Presidente  della  sezione  regionale  a  designare  il
 magistrato  per  l'incarico;  ma  non  l'effetto  di far venir meno i
 limiti stabiliti, quanto alla attribuzione degli incarichi  medesimi,
 dalle  leggi  che  li  prevedono,  e che rappresentano il presupposto
 dell'esercizio del potere di conferimento degli stessi.
   Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice  a  quo  ricorda
 che  con l'art. 2, comma 1, lettera p della legge 23 ottobre 1992, n.
 241 (recte:  421),  il  Governo  fu  delegato  a  prevedere  che  gli
 incarichi  a dipendenti della pubblica amministrazione possano essere
 conferiti "in casi rigorosamente predeterminati"; che, in  attuazione
 della delega, l'art. 58 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, dopo avere
 sancito  il  divieto per le pubbliche amministrazioni di conferire ai
 dipendenti incarichi non compresi nei compiti e doveri d'ufficio, che
 non siano espressamente previsti o  disciplinati  da  legge  o  altre
 fonti  normative,  o che non siano espressamente autorizzati, rinvia,
 per quanto riguarda specificamente la determinazione degli  incarichi
 consentiti  e  di  quelli  vietati ai magistrati, anche contabili, ad
 appositi regolamenti; che il  d.P.R.  27  luglio  1995,  n.  388,  in
 attuazione  di tale previsione legislativa, ha affermato il principio
 per cui i magistrati della  Corte  dei  conti  non  possono  svolgere
 incarichi  se  non  nei casi espressamente previsti dalle leggi dello
 Stato o dal regolamento medesimo (art.  2, comma 1), ha elencato  tra
 gli  incarichi  consentiti  quelli "previsti da legge dello Stato con
 specifico riferimento a magistrati della Corte dei conti in  genere",
 facendo  comunque  salve  le  disposizioni  dell'art. 2, comma 2, che
 rendono espliciti ed integrano i criteri generali dettati dalla legge
 (art. 3, comma 3, lettera h), e ha stabilito che  i  criteri  fissati
 dal  Consiglio di presidenza ai fini del conferimento degli incarichi
 o   della   relativa   autorizzazione   devono   assicurare   un'equa
 ripartizione  degli  incarichi  "fra  tutti  i  magistrati",  il  che
 escluderebbe discriminazioni o limitazioni di carattere  oggettivo  e
 generalizzato riferibili alla sede.
   Secondo  il  remittente, le fonti primarie e "secondarie delegate",
 alle quali  il  legislatore  ha  riservato  la  determinazione  delle
 ipotesi  di  divieto  degli  incarichi  ai  magistrati contabili, non
 contemplerebbero dunque fra i divieti quelli che, come nella  specie,
 si  risolvono  in una alterazione dello status dei magistrati stessi,
 introducendo come diretta conseguenza una  ingiustificata  disparita'
 di  trattamento.    Ne  conseguirebbe  che la norma impugnata sarebbe
 sospetta di incostituzionalita' "nella parte in cui riserva  solo  ai
 magistrati  della sezione giurisdizionale sarda della Corte dei conti
 la  possibilita'  di  essere  designati  a  far  parte   dell'Ufficio
 regionale  del  referendum,  anziche'  estendere  tale possibilita' a
 tutti i magistrati senza vincoli di sede".
   2. - Non vi e' stata  costituzione  di  parti  ne'  intervento  del
 Presidente della Giunta regionale.
                         Considerato in diritto
   1. - La questione sollevata riguarda l'art. 6 della legge regionale
 della  Sardegna  17  maggio  1957,  n.  20  (Referendum  popolare  in
 applicazione degli artt. 32, 43 e 54 dello Statuto  speciale  per  la
 Sardegna),  come  sostituito  dall'art.  2  della  legge regionale 24
 maggio 1984, n. 25 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 17
 maggio 1957, n. 20, concernente: "Referendum popolare in applicazione
 degli articoli 32, 43 e 54 dello Statuto speciale per la  Sardegna"),
 nella  parte in cui prevede (primo comma, lettera d) la nomina, fra i
 componenti  dell'Ufficio  regionale  del   referendum,   chiamato   a
 verificare  la  legittimita' delle richieste di referendum regionale,
 di "un magistrato della Sezione giurisdizionale sarda della Corte dei
 conti".
   Secondo il Tribunale remittente, tale  disposizione  contrasterebbe
 con  gli  articoli  3,  108  e  116  della  Costituzione  in  quanto,
 prevedendo l'attribuzione di detto incarico ad  un  magistrato  della
 Corte  dei  conti  appartenente  alla  Sezione giurisdizionale per la
 Sardegna, e dunque vietando la sua attribuzione agli altri magistrati
 della stessa Corte dei conti, si  risolverebbe  in  una  "alterazione
 dello  status"  dei magistrati contabili - cosi' incidendo su materia
 sottratta  alla  competenza  della  Regione  -  e  introdurrebbe  una
 ingiustificata  disparita'  di trattamento fra i medesimi magistrati.
 L'illegittimita' costituzionale riguarderebbe dunque la  parte  della
 disposizione  in  cui  si  "riserva  solo ai magistrati della Sezione
 giurisdizionale sarda della Corte dei conti la possibilita' di essere
 designati a far parte dell'Ufficio regionale del referendum, anziche'
 estendere tale possibilita' a tutti i  magistrati  senza  vincoli  di
 sede".
   2. - La questione non e' fondata.
   Questa Corte ha gia' avuto occasione di chiarire, nella sentenza n.
 224   del   1999,   che,  pur  essendo  la  materia  degli  incarichi
 attribuibili ai magistrati compresa nella disciplina dello status dei
 magistrati medesimi, riservata alla legge dello Stato dall'art.  108,
 primo comma, della Costituzione, non incide, invece, sullo status dei
 magistrati,  e  non  eccede  dunque  dalla  competenza regionale, una
 disposizione   di   legge    regionale    che,    nel    disciplinare
 l'organizzazione  di  apparati e di attivita' della Regione stessa, o
 da essa dipendenti, preveda l'utilizzo di  magistrati  per  incarichi
 estranei  ai  loro  compiti  di istituto, conferiti o autorizzati nei
 limiti, sulla base dei presupposti e con le modalita' previste  dalla
 normativa di status.
   Questo  e'  appunto il caso della legge regionale in esame, che non
 interferisce sulla composizione o sui compiti degli uffici giudiziari
 (e percio' non incorre nel medesimo vizio che condusse  a  suo  tempo
 alla   dichiarazione   di  illegittimita'  costituzionale  del  testo
 originario dello stesso art. 6 della legge regionale n. 20 del  1957,
 che  conferiva le funzioni di "ufficio per il referendum popolare" ad
 una sezione della Corte d'appello della Sardegna: sentenza n. 43  del
 1982),   ma  si  limita,  nell'organizzare  l'Ufficio  regionale  del
 referendum, a prevedere che di esso sia chiamato a far parte, fra gli
 altri, con attribuzione  dunque  di  un  incarico  estraneo  ai  suoi
 compiti  di  istituto,  un  magistrato  della sezione giurisdizionale
 sarda della Corte dei conti.
   3.  -  Il  remittente  non mette in discussione la possibilita' che
 siffatto incarico sia attribuito ad un magistrato  contabile,  ma  si
 limita  a  censurare  la  previsione  che  egli sia scelto fra quelli
 appartenenti alla sezione giurisdizionale per la  Sardegna,  anziche'
 fra tutti i magistrati della stessa Corte dei conti.
   Anche  sotto questo profilo, questa Corte, nella citata sentenza n.
 224 del 1999, ha chiarito che, di per se', una  siffatta  limitazione
 territoriale  non  incide  sullo  status dei magistrati (e dunque non
 eccede la competenza regionale), ne' da' luogo ad una  ingiustificata
 disparita' di trattamento fra magistrati della stessa istituzione, ma
 esprime  solo  un  criterio  di scelta della persona da incaricare in
 base alle esigenze proprie  della  Regione,  che  puo'  rispondere  a
 legittime  ragioni,  ad  esempio,  di  agilita'  organizzativa  e  di
 contenimento della spesa, prevedendosi  l'attribuzione  dell'incarico
 ad  un magistrato che gia' operi, nei suoi compiti di istituto, nello
 stesso  ambito  territoriale  ove  dovra'  essere  svolto  l'incarico
 medesimo.
   In  quel  giudizio,  tuttavia,  la limitazione territoriale, per le
 caratteristiche degli incarichi allora  in  esame  (di  presidente  o
 componente  di  organi  di  revisione  di  enti  regionali)  e per il
 contesto  normativo  in  cui  si  collocava,  e'  stata  ritenuta  in
 contrasto   con  le  esigenze  di  salvaguardia  dell'indipendenza  e
 dell'imparzialita'  dei  magistrati  contabili  in   servizio   nella
 Regione,  per  il  rischio  di  un intreccio fra detti incarichi e le
 funzioni istituzionali svolte dalla sezione regionale della Corte dei
 conti; e per questo motivo essa e' stata ritenuta  costituzionalmente
 illegittima.
   Diversa  e' la fattispecie oggetto del presente giudizio. L'Ufficio
 regionale  del  referendum,  previsto  dalla  legge  regionale  della
 Sardegna,  ha  dei compiti ben delimitati, destinati ad essere svolti
 non continuativamente, ma solo in occasione  della  presentazione  di
 richieste di referendum regionali, e consistenti nella verifica della
 legittimita' delle richieste stesse (artt. 5, terzo comma, 6, settimo
 e  ottavo  comma,  e  7  della  legge  regionale n. 20 del 1957, come
 modificati dagli artt.  1, 2 e 3 della  legge  regionale  n.  25  del
 1984). La sua composizione e' mista, e vede la presenza di magistrati
 delle  diverse  magistrature  (tutti  scelti  fra coloro che prestano
 servizio nel territorio regionale)  e  di  funzionari  della  Regione
 (art. 6, primo e secondo comma, della stessa legge). L'unico compenso
 previsto  per  i  componenti  e' un gettone di presenza per le sedute
 (art. 6, quinto comma). Non e' prospettabile  dunque  alcun  pericolo
 per  l'indipendenza  e  l'imparzialita'  dei  magistrati  chiamati  a
 svolgere siffatto incarico:  fermo  restando,  in  via  generale,  il
 compito del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, chiamato a
 conferire  o  ad  autorizzare  gli  incarichi,  di  vegliare  perche'
 l'espletamento degli stessi, "tenuto anche  conto  delle  circostanze
 ambientali",  non  sia  "suscettibile  di  determinare una situazione
 pregiudizievole per l'indipendenza e l'imparzialita' del magistrato",
 o per il prestigio e l'immagine della magistratura contabile (art. 2,
 comma 2, del d.P.R.  27 luglio 1995, n. 388, contenente  "Regolamento
 recante  norme  sugli incarichi dei magistrati della Corte dei conti,
 ai sensi dell'art.  58, comma 3, del decreto legislativo  3  febbraio
 1993, n. 29").
   D'altra parte, siffatto incarico non appare riconducibile ad alcuno
 dei casi di divieto previsti dall'art. 3, comma 6, del d.P.R. n.  388
 del  1995: mentre fra i casi di incarichi espressamente consentiti ai
 magistrati della Corte dei conti,  anche  su  indicazione  nominativa
 dell'amministrazione  richiedente,  figurano,  fra  gli altri, quelli
 "presso  autorita'   amministrative   indipendenti,   ovvero   presso
 soggetti,   enti   e   istituzioni,  che  svolgono  compiti  di  alta
 amministrazione e di garanzia" (art. 3, comma 3, lettera b e comma 4,
 del d.P.R.  n. 388 del 1995).
   La disposizione denunciata si sottrae dunque alle censure mosse dal
 giudice a quo.