Ricorso per la provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente della Giunta provinciale pro-tempore dott. Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale n. 5312 del 18 giugno 1999 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale del 21 giugno 1999 (rep. n. 23372) rogata dal dott. Tommaso Sussarellu in qualita' di ufficiale rogante della provincia stessa (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti dispsosizioni del d.lgs 11 maggio 1999, n. 152, recante "Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 124 del 29 maggio 1999, supplemento ordinario: art. 56, commi 1 e 3; art. 28, comma 2; paragrafo 1.1 dell'allegato 5; tabella 3, 3A e 5 dell'allegato 5, in connessione con l'art. 59, comma 6; Per violazione: dell'art. 8, nn. 5), 6), 14), 16), 17), 18), 19), 21), e 24, dell'art. 9, nn. 9) e 10) dello statuto; dell'art. 14 nonche' dell'art. 16 dello statuto; delle relative norme di attuazione, ed in particolare degli artt. 5 e 8 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, nonche' dell'art. 15, comma 2, del d.P.R. 28 luglio 1987, n. 526, come sost.; della direttiva comunitaria di riferimento 91/271/CEE e dei principi stabiliti dall'art. 17 della legge delega 24 aprile 1998, n. 128; dell'art. 97 della Costituzione e dei principi di buon andamento e di ragionevolezza; per i profili e nei modi di seguito illustrati. Fatto e diritto Con la presente impugnazione sono portate al giudizio di codesta ecc.ma Corte costituzionale alcune dispo-sizioni del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, recante "Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole", in relazione a distinti profili di lesione della autonomia della ricorrente provincia. Precisamente, sono in primo luogo contestate due disposizioni dell'art. 56, in quanto, almeno ad una interpretazione letterale, con tali disposizioni si conferiscono in via diretta alle amministrazioni comunali, anche per la provincia autonoma di Trento, funzioni che invece a norma dello statuto di autonomia competono alla provincia, e che compete semmai alla provincia di assegnare ai comuni, nell'ambito della propria discrezio-nalita' legislativa. Si tratta, come si dira', di una contestazione formulata in via ipotetica, perche' in effetti non e' totalmente esclusa una diversa interpretazione delle disposizioni in questione, che porti a considerarle compatibili con le prerogative della provincia autonoma. Fondamentalmente, dunque, il ricorso qui proposto investe un secondo profilo, non connesso al mero rispetto delle regole statutarie di riparto della competenza tra provincia e comuni, ma collegato invece alla sostanza dell'intervento normativo statale in materia di tutela delle acque: esso infatti investe i valori tabellari che i pubblici depuratori sono tenuti a rispettare in relazione agli inquinanti industriali. In particolare, si tratta della contestazione della legittimita' costituzionale del sistema di depurazione che risulterebbe imposto alla ricorrente provincia dalle regole statuite dal paragrafo 1.1 e dalle tabelle 3, 3A e 5 dell'allegato 5, e dalle connesse disposizioni dell'art. 28, comma 2 e dell'art. 59, comma 6. Nell'atto stesso di formulare tali contestazioni, la ricorrente provincia desidera porre in premessa un doppio ordine di considerazioni. In primo luogo, la provincia desidera premettere che la propria contestazione non riguarda in alcun modo il sistema delle direttive comunitarie che il decreto legislativo statale e' destinato ad attuare. Al contrario, essa ritiene che la propria legislazione, a difesa della quale la provincia propone la presente impugnazione, attui le direttive in questione piu' fedelmente della nuova legislazione statale, che ad avviso della provincia ne tradisce, nella parte in contestazione, la lettera e lo spirito. Ne' si tratta qui, come meglio si dira', di una "piu' severa" normativa statale che per principio generale e' sempre consentito agli Stati membri di introdurre, bensi' di un diverso sistema di depurazione e di relativi requisiti, che contraddice quello proprio della direttiva, al quale corrisponde quello gia' in vigore nella provincia di Trento. In secondo luogo, la ricorrente provincia desidera sottolineare che la propria contestazione non nasce affatto, come potrebbe temersi, e come forse potrebbe riscontrarsi in diverse realta' territoriali, da un difetto di attenzione al problema della qualita' delle acque, ma nasce invece da oltre venti anni di esperienza legislativa ed applicativa, che ha condotto ad un sistema di depurazione efficace ed effettivo, secondo parametri di elevata qualita'. E' proprio tale esperienza che porta a considerare il sistema disposto dalle parti contestate della nuova legislazione statale come solo apparentemente frutto di "severita'", ma in realta' come sistema contraddittorio e totalmente irrealizzabile nelle condizioni date, in quanto sostanzialmente incompatibile con i parametri raggiungibili dai presidi depurativi pubblici nell'ambito delle caratteristiche tecniche di questi secondo quanto statuito dalle direttive comunitarie. Fatte tali premesse, sia consentito in primo luogo illustrare in estrema sintesi talune problematiche tecniche proprie di un sistema di depurazione, senza la cui conoscenza la materia oggetto del presente ricorso risulterebbe poco intelligibile; ed in relazione ad esse sia consentito poi di esaminare la legislazione statale in se' e in relazione alla concreta situazione specifica della provincia di Trento. La premessa fondamentale sta nella constatazione che gli impianti di depurazione pubblici sono concepiti e progettati per trattare e ridurre determinati tipi di inquinanti, che, pur presenti anche negli scarichi industriali, sono propri degli scarichi civili, essenzialmente derivanti dal metabolismo umano e dalle attivita' domestiche. Si tratta, da un punto di vista chimico, di sostanze quali i composti carboniosi, o i composti azotati come ammoniaca e azoto organico, o l'azoto e il fosforo. Gli stessi impianti di depurazione non sono ne' possono essere invece adeguati per assicurare la riduzione di diversi inquinanti, tipici degli scarichi industriali, quali i metalli o altre sostanze pericolose. La riduzione di tali agenti inquinanti richiede strumenti e metodologie specifiche, che non possono essere richieste ad un depuratore "generale". Si noti che se anche si volesse attrezzare il depuratore generale per il trattamento degli inquinanti specifici degli insediamenti industriali e produttivi, il piu' delle volte cio' non sarebbe neppure possibile, a causa del grado di diluizione con cui quegli stessi inquinanti si presentano una volta immessi nel sistema fognario e nel depuratore generale. Cio' significa che la riduzione degli inquinanti industriali nella misura desiderata va ricercata ed ottenuta immediatamente a valle del sistema industriale in questione, in un momento in cui la depurazione e' relativamente agevole, e comunque possibile, sia per il fatto che ogni produzione comporta come residui inquinanti specifici e soltanto quelli - il che consente di costruire sulla base di essi sistemi di depurazione specializzati - sia per il fatto che il tasso di concentrazione di tali inquinanti e' tale che puo' essere svolto in relazione ad essi un trattamento efficace ed economicamente giustificato. In altre parole, la sola cosa possibile per evitare che da un depuratore generale escano inquinanti industriali in misura superiore al consentito e' di riuscire ad evitare a monte la loro immissione nel sistema fognario. Cio' e' assicurato dal sistema della normativa comunitaria, come risulta in particolare dall'art. 11, della direttiva 91/271/CEE, secondo il quale gli scarichi industriali in sistemi fognari e' "preventivamente subordinato a regolamentazioni e/o autorizzazioni specifiche", le quali "devono soddisfare ai requisiti dell'allegato I C": i quali a loro volta sono concepiti come requisiti prestazionali, rivolti tra l'altro al fine - oltre che di proteggere la salute umana - di assicurare che gli stessi impianti di trattamento delle acque reflue e le attrezzature connesse non vengano danneggiate. In altri termini, secondo la normativa comunitaria gli scarichi industriali che confluiscono nelle reti fognarie e in impianti di trattamento delle acque reflue urbane devono essere sottoposti al pretrattamento richiesto, al fine di garantire che gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento non abbiano conseguenze negative sull'ambiente e non incidano sulla conformita' delle acque recipienti alle altre direttive comunitarie. Per gli impianti generali di trattamento delle acque reflue, l'art. 2 della predetta direttiva ed in connessione con esso l'allegato I B e la tabella 1 prescrivono il rispetto di limiti relativi alle sostanze che, come detto in premessa, tali impianti sono in grado di trattare, e solo di essi. Ed anche le altre direttive comunitarie - precedentemente trasposte dalla legislazione statale ed ora conglobate nel d.lgs. n. 152/1999 - si riflettono nei limiti di emissione delle tabelle 3 - 3/A - 5 dell'allegato 5 in esame: limiti che devono essere osservati all'atto dello scarico del refluo industriale, vuoi in fognatura vuoi negli altri corpi recipienti. A tale sistema puntualmente si conforma quello previsto dalla normativa provinciale imponendo e presup-ponendo che lo scarico produttivo debba essere obbligatoriamente pretrattato prima della sua confluenza nella rete fognaria pubblica con riferimento a tutti quegli inquinanti (metalli e non metalli tossici e sostanze pericolose) che non potrebbero giovarsi di alcun trattamento a valle nel depuratore pubblico per le ragioni anzidette (si veda in particolare l'art. 16, comma 1, n. 2, del testo unico delle leggi provinciali in materia di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti, approvato con dpGp 26 gennaio 1987, n. 1, da ultimo modificato dal Capo XV della l.p. 11 settembre 1998, n. 10, ed il riferimento alla tabella G, incluso lo specifico richiamo alla tabella D, recante i limiti propri dei metalli e delle altre sostanze pericolose industriali). Insomma, il principio cardine della normativa comunitaria, ripreso dalla normativa provinciale, e' che i sistemi di depurazione generale sono direttamente tenuti al rispetto di limiti prefissati soltanto in relazione alle sostanze che essi sono vocati a trattare, mentre i limiti relativi alle sostanze specifiche di origine industriale valgono per i relativi scarichi, e soltanto per essi. Una attenta analisi rivela che la nuova legislazione statale, qui contestata, e' ispirata al principio, per certi aspetti opposto, che fa carico anche al sistema di depurazione generale di produrre un risultato che esso non puo' tecnicamente dare, e lo rende responsabile sul piano giuridico di vicende sulle quali esso non e' in grado di influire. Certamente, anche nel sistema statale di cui al d.lgs. n. 152 del 1999 vi sono limiti che valgono anche, e se si vuole in modo particolare, per chi effettua scarichi industriali: come nella parte in cui, posto il principio della generale sottoposizione degli scarichi ad autorizzazione (art. 45, comma 1) e stabilita la particolare procedura per l'autorizzazione agli scarichi industriali (art. 46), esso sanziona penalmente il comportamento - oltre che di colui che "effettua uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze inidicate nelle tabelle 5 e 3A dell'allegato 5 senza osservare le prescrizioni dell'autorizzazione" (art. 58, comma 4) - il comportamento di colui che "nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, ovvero da una immissione occasionale, supera i valori limiti fissati nella tabella 3 dell'allegato 5 in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5", con aggravamento di pena "se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell'allegato 5" (art. 59, comma 5). Senonche', se in questi termini vi e' la responsabilita' penale specifica del responsabile dello scarico industriale, il quadro complessivo appare ispirato all'opposto principio cui si e' sopra accennato, del vincolo degli stessi depuratori generali alle tabelle relative alle sostanze industriali. In effetti, l'art. 28 stabilisce il principio secondo il quale "tutti gli scarichi" (compresi dunque quelli delle fognature, a valle degli impianti di depurazione generale) "devono rispettare i valori limite di emissione previsti nell'allegato 5" (comma 1), valori che "per le sostanze indicate nelle tabelle 1, 2, 5, e 3A dell'allegato 5" non possono essere alterati in senso meno restrittivo dalle regioni. Se dall'art. 28 passiamo a considerare l'allegato 5 nelle sue specifiche disposizioni, riscontriamo che al punto 1.2 dell'allegato 5 (Limiti di estensione degli scarichi), specificamente dedicato alle acque reflue industriali, ci si riferisce soltanto agli scarichi in acque superficiali. Ritroviamo invece gli scarichi di insediamenti industriali al punto 1.1, dedicato alle acque reflue urbane: ove - prescritto nel periodo iniziale del punto il rispetto dei limiti di emissione di cui alle tabelle 1 e 2, cioe' delle tabelle relative alle sostanze che i depuratori generali sono effettivamente in grado di trattare - si specifica nel secondo capoverso che "devono inoltre essere rispettati, nel caso di fognature miste che raccolgono scarichi di insediamenti industriali, i limiti di tabella 3". Insomma, nella normativa derivante dall'insieme delle prescrizioni del d.lgs. n. 152 del 1999 e' il depuratore generale a dovere rispettare non solo i limiti relativi alle sostanze che esso e' idoneo a trattare, ma anche i limiti stabiliti per le sostanze che un depuratore generale non e' per la sua stessa natura e definizione idoneo a trattare. Che tale sia il sistema, e' ulteriormente confermato dalla sanzione penale posta dall'art. 59, comma 6, a termini del quale le stesse sanzioni previste per i responsabili di scarichi industriali dal comma 5, sopra illustrate, si applicano "al gestore di impianti di depurazione che, per dolo o per grave negligenza, nell'effettuazione dello scarico supera i valori limiti previsti dallo stesso comma", cioe' i valori limiti relativi ai metalli e alle altre sostanze pericolose costituenti tipici inquinanti industriali. Si noti che non rileva qui l'attenuazione della responsabilita' prevista alle sole ipotesi di dolo o colpa grave, dato che tale attenuazione non altera il disegno di fondo del sistema. Cio' che rileva, infatti, e' la stessa previsione, all'interno della fattispecie penale, dell'ipotesi del gestore di impianti che mediante gli scarichi prodotti dal depuratore gnerale superi i limiti di emissione previsti per gli scarichi industriali. Tale ipotesi e' una ipotesi che nel sistema della direttiva comunitaria, come anche nel sistema normativo della provincia autonoma di Trento, risulta del tutto impossibile. Non puo' essere infatti che nell'organizzazione del servizio pubblico di tutela delle acque il depuratore gnerale (e ai fini penali il responsabile di esso) sia chiamato ad assicurare cio' che esso, per la sua stessa struttura, non puo' assicurare, non essendo e non potendo essere concepito per la riduzione dei metalli e delle altre sostanze pericolose tipicamente industriali. La contraria previsione contenuta espressamente nell'allegato 5 ed implicita nella fattispecie penale di cui al comma 6 dell'art. 59 e' da un lato irragionevole ed assurda, dall'altro in contraddizione con la normativa comunitaria e con i principi della legge di delega, che imponevano il recepimento di tale normativa. Precisamente, risulta violato l'art. 17 della legge di delega n. 128 del 1998, nella parte in cui essa dispone la proroga del termine stabilito da precedente legge "limitatamente all'attuazione delle direttive" comunitarie in questione, e piu' in generale nella parte in cui i principi della delega posti dalle lettere da a) a d) del comma 2 della stessa disposizione non prevedono affatto l'addossamento ai depuratori generali del rispetto dei limiti di inquinamento specificamente posti dalla normativa europea per gli scarichi industriali. Si noti che il distorto sistema stabilito dal decreto legislativo n. 152 del 1999 non puo' essere giustificto dal disposto della lettera c) del comma 2 dell'art. 17 ora citato, a termini della quale il "rispetto dei limiti di accettabilita' degli scarichi e dei parametri di qualita' dei corpi idrici ricettori definiti dalla normativa europea" va inteso "nel senso che non puo' derogarsi ai limiti previsti con valori meno restrittivi". In altre parole, non viene qui affatto in discussione il principio pacifico gia' in diritto comunitario (e codificato dall'art. 176 Trattato CE) secondo il quale l'attuazione nazionale delle direttive in materia di tutela puo' rendere piu' restrittivi i limiti posti in sede comunitaria, ai fini di una maggiore protezione. La ricorrente provincia infatti non contesta minimamente la possibilita', prevista dall'art. 28, comma 2, che in sede locale vengano stabiliti limiti piu' restrittivi di quelli previsti dalle tabelle allegate al decreto n. 152: in quanto, ovviamente, tali limiti piu' restrittivi vengano imposti ciascuno al suo destinatario logico e naturale, in relazione alle caratteristiche ed alle possibilita' di ciascun sistema di depurazione. Cosi' per gli impianti di depurazione generale potranno essere resi piu' severi i limiti delle tabelle 1 e 2 dell'allegato 5, mentre per i soli scarichi industriali potranno essere resi piu' severi i limiti risultanti dalle tabelle 3, 3A e 5 (in connessione con la tabella 3). Ma la possibilita', prevista dalla legge di delega e resa effettiva dal decreto legislativo nei termini indicati, di rendere piu' severi i limiti posti per le sostanze inquinanti non autorizza affatto il legislatore delegato a stravolgere il sistema di depurazione, ponendo a carico del sistema di depurazione generale limiti che hanno senso soltanto a carico dei sistemi di disinquinamento degli impianti industriali. La realta' e' che, quando nel sistema fognario (e dunque nel depuratore generale che lo serve) si immettono scarichi da insediamenti produttivi, il solo modo di ottenere che dagli scarichi del depuratore generale non fuoriescano inquinanti tipici dei sistemi produttivi in misura superiore al voluto consiste nell'impedire che essi entrino nel sistema fognario. Cio' implica che il rispetto dei limiti non possa che essere imposto a carico del sistema industriale, esigendo che gli inquinanti indesiderati non superino all'atto della immissione i valori tabellari prescritti. Infatti, una volta che, per qualunque ragione, anche semplicemente occasionale, gli inquinanti industriali siano entrati nel sistema fognario non vi e' modo di impedire che essi fuoriescano nella stessa misura in cui vi sono entrati. Cio' implica ancora che cio' che e' richiedibile al sistema pubblico (non in particolare e necessariamente al gestore dell'impianto di depurazione) al fine di evitare che dai depuratori generali escano metalli ed altri inquinanti industriali in misura superiore al consentito e' lo svolgimento di una adeguata attivita' di vigilanza, rivolta ad impedire che detti inquinanti entrino nel sistema fognario, mentre del tutto incongruo e' porre per tali depuratori degli standard in uscita, per il cui rispetto essi non hanno alcuna possibilita' di intervento. Insomma, i limiti debbono restare limiti posti per gli scarichi a monte, e per i relativi impianti specializzati di depurazione, ed il rispetto di tali limiti deve essere assicurato dal sistema della vigilanza relativa a tali impianti e dal connesso sistema sanzionatorio. Pretendere invece di "regolare" l'inquinamento derivante dai metalli e dalle altre sostanze pericolose di origine industriale mediante limiti fissati per i depuratori generali e' del tutto icongruo e tecnicamente impossibile. Se fosse possibile, un simile requisito posto ai depuratori generali ne richiederebbe la conversione in un sistema del tutto diverso, che la ricorrente provincia autonoma di Trento ritiene non sia tecnicamente prospettabile, e che comunque ritiene non possa essere imposto ad essa in attuazione di una normativa comunitaria che si ispira al contrario agli stessi principi ai quali essa si e' ispirata nella propria legislazione. Di qui la lesione dell'autonomia legislativa e amministrativa provinciale lamentata con il presente ricorso. Si noti, ulteriormente, che nella provincia di Trento la complessiva organizzazione dei servizi idrici (di acquedotto, di fognatura e di depurazione) non e' concepita secondo il principio di una gestione unitaria per ambiti omogenei, che faccia capo ad una unica autorita'. Anzi, in attuazione del "complesso quadro normativo che si e' venuto definendo prima in sede statutaria, poi attraverso le norme di attuazione" (secondo quanto affermato da codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 412 del 1994, nel giudizio che ha sancito la non applicazione nella provincia dell'art. 8 della legge n. 36 del 1994), nella legislazione provinciale si verifica esattamente l'opposto: vi e' da un lato una forte centralizzazione del sistema depurativo, dall'altro un forte decentramento gestionale del sistema acquedottistico e fognario. Nell'organizzazione provinciale di questi servizi non si registra (ne' appare ventilata) una coincidenza tra i gestori del sistema di depurazione con i gestori delle reti acquedottistiche e fognarie ne' con le autorita' di vigilanza. Si riscontra invece un modello organizzativo per cosi' dire "misto", in cui attori - autonomi e coordinati - sono la provincia e i comuni o loro forme associative o societa' o aziende e l'agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente. Il funzionamento ottimale del sistema e' garantito da forme di coordinamento interistituzionale fondate su pareri, concerti e assensi nell'esercizio di atti di pianificazione, di autorizzazione e di controllo. In questo quadro, specificamente, il gestore dell'impianto di depurazione non e' titolare ne' delle funzioni autorizzatorie ne' delle funzioni di controllo degli scarichi di reflui industriali in fognatura. L'autorizzazione viene rilasciata dal comune territorialmente interessato, acquisito il parere dell'agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente, che cura il coordinamento con la provincia in funzione della verifica di compatibilita' dello scarico industriale con il sistema depurativo provinciale. I compiti generali di vigilanza competono invece al servizio di protezione ambiente (art. 37, testo unico, art. 2 dPGp, 12 luglio 1993, n. 12) le cui funzioni sono attualmente per questa parte assunte dalla Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente, a termini dell'art. 2 della legge provinciale 11 settembre 1995, n. 11, e sono disciplinati dagli artt. 10 e 11 della stessa legge. In sintesi, il compito del gestore dell'impianto, come definito nell'ambito della ricorrente provincia dall'art. 57, comma 1, del testo unico sopra ricordato, e' (come e' d'altronde logico che sia) quello di "assicurare la piena funzionalita' ed efficacia", a tal fine osservando "le regole di conduzione tecnica dell'impianto" e provvedendo "alla manutenzione ordinaria" ed alla programmazione di quella straordinaria: senza alcun compito di vigilanza circa il rispetto generale della disciplina ambientale, in tutto quanto non attenga alla gestione del depuratore, secondo le caratteristiche proprie di esso. Sia consentito qui per completezza ricordare che - esclusa ogni possibilita' per il gestore del depuratore di incidere mediante l'attivita' del depuratore sugli inquinanti che questo non e' deputato a trattare - l'art. 58 del testo unico vigente nella provincia si preoccupa di prevedere che in tutti i casi (che sulla base dell'esperienza si sono mostrati in qualche misura inevitabili) in cui eventi eccezionali impediscano il normale funzionamento del depuratore (ad esempio, in caso di "abusivo scarico in fognatura di sostanze tossiche o nocive o comunque in concentrazioni eccedenti i limiti di accettabilita'") il gestore dell'impianto provveda "a darne immediato avviso ai sindaci dei comuni interessati" affinche' questi assumano "anche in via breve, i provvedimenti che si rendessero necessari per la tutela dell'igiene ambientale e della salute dei cittadini": ed ugualmente e' previsto quanto gli impianti di depurazione "debbano essere completamente o parzialmente disattivati in funzione del ripristino della loro funzionalita' o per qualsiasi altro giustificato motivo". Se anche dunque fosse possibile fare carico ai sistemi di depurazione dei livelli degli inquinamenti "industriali" in uscita da tali sistemi - il che come detto non e' - resterebbe comunque che il complesso della normativa statale sostanziale del d.lgs. n. 152/1999 e sul piano sanzionatorio penale l'art. 59, n. 6, nell'individuare la responsabilita' del "gestore dell'impianto", comunque implicherebbero ed imporrebbero un'organizzazione della gestione complessiva dei reflui non compatibile con il modello in atto in provincia di Trento, inibendo comunque una qualsiasi altra opzione organizzativa: con evidente lesione di competenze legislative provinciali primarie (quali quelle in materia di acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale, e in materia di organizzazione dei sevizi pubblici di cui all'art. 8, nn. 17 e 19, dello statuto), concorrenti (quali quelle in materia di utilizzazione delle acque pubbliche e di igiene e sanita' e di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti di cui all'at. 9, nn. 9 e 10, dello stauto), nonche' delle funzioni amministrative in genere e delle speciali funzioni in materia di programmazione dell'utilizzo delle acque e di difesa dall'inquinamento previste di cui all'art. 14 dello statuto e dall'art. 5 del d.P.R. n. 381/1974. Come sopra anticipato, oggetto della presente impugnazione sono altresi' due disposizioni dell'art. 56, in quanto, almeno ad una interpretazione letterale, con tali disposizioni si conferiscono in via diretta alle amministrazioni comunali, anche per la provincia autonoma di Trento, funzioni che invece a norma dello statuto di autonomia competono alla provincia, e che compete semmai alla provincia di assegnare ai comuni, nell'ambito della propria discrezionalita' legislativa. Precisamente, si tratta dell'art. 56, comma 1, nella parte in cui tale disposizione, premesso che "all'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede la regione o la provincia autonoma nel cui territorio e' stata commessa la violazione", fa pero' eccezione per le "sanzioni previste dall'art. 54, commi 8 e 9, per le quali e' competente il comune, salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorita'". Ora, se si dovesse ritenere che in via direttamente operativa, o anche solo come principio da recepire nella legislazione provinciale, vi fosse qui un vincolo ad affidare al comune l'irrogazione di specifiche funzioni amministrative (tra l'altro formulate esse stesse direttamente dalla legge statale), non si potrebbe ad avviso della provincia che vedere in cio' una violazione dell'autonomia legislativa ad essa assicurata dallo statuto, non potendosi certo ritenere che ne' la competenza comunale ne' la specifica conformazione delle sanzioni in questione costituiscano principi di riforma in grado di legittimamente vincolare la provincia all'adeguamento. La stessa illegittimita' verrebbe poi a colpire il comma 3 dello stesso articolo, dove si prevede da parte dell'autorita' giudiziaria in deteminate ipotesi "la trasmissione degli atti agli enti indicati al comma 1 ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative". Si e' gia' accennato che la contestazione della legittimita' delle disposizioni ora indicate e' formulata qui in via ipotetica, perche' in effetti non e' totalmente esclusa una diversa interpretazione delle disposizioni in questione, che porti a considerarle compatibili con le prerogative della provincia autonoma. Infatti il vincolo apparentemente derivante per la provincia puo' essere semplicemente l'esito del poco felice accostamento tra una disposizione "naturalmente" destinata ad applicarsi anche per la provincia (quella che individua secondo un criterio di territorialita' la regione o la provincia autonoma competente alla sanzione) ed una diversa disposizione, volta a ripartire la competenza tra regioni e comuni, destinata invece ad applicarsi alle sole regioni a statuto ordinario, o comunque rivolta a dettare una regola generale, operativa per l'insieme delle regioni in mancanza di diversa disposizione, ma non rivolta ad interferire con il caratteristico sistema di relazioni tra legge statale e legge regionale previsto per la ricorrente provincia dallo statuto e dalle norme di attuazione (e tra quelle dell'art. 2 del d.P.R. n. 266 del 1992): sistema che dunque rimarrebbe non toccato. Una ulteriore indicazione nel senso che non sia toccato il sistema istituzionale trentino puo' poi leggersi nella stessa frase che chiude il comma 1, ove si fanno "salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorita'". Benche' tale disposizione sia concepita in termini generali, e non abbia in particolare lo scopo di fare salve le prerogative della ricorrente provincia, tuttavia essa, intesa nel quadro delle regole statutarie e delle norme di attuazione, puo' anch'essa essere intesa come segno di "cedevolezza" della disposizione dell'art. 56, comma 1, rispetto alle diverse disposizioni provinciali. Diversamente, ne risulterebbe violato altresi' l'art. 15, comma 2, del d.P.R. 28 luglio 1987, n. 526 (come sost. dall'art. 2 del d.lgs. 28 luglio 1997, n. 275), nella parte in cui esso affida alle province, nella materia di competenza, l'attribuzione e la disciplina delle funzioni ai comuni.