ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio sull'ammissibilita' del conflitto  di  attribuzione  tra
 poteri  dello  Stato  sollevato  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri nei confronti del Procuratore  della  Repubblica  presso  il
 tribunale  di  Bologna  -  sorto  a seguito della sua richiesta del 3
 maggio  1999 di non doversi procedere nei confronti di funzionari del
 SISDE e di funzionari di polizia - con ricorso depositato il 6 luglio
 1999 ed iscritto al n. 124 del registro ammissibilita' conflitti.
   Udito nella camera di consiglio  del  14  luglio  1999  il  giudice
 relatore Fernanda Contri.
   Ritenuto  che con ricorso del 5 luglio 1999, depositato il 6 luglio
 1999, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha  sollevato,  previa
 la  necessaria  deliberazione  del  Consiglio dei Ministri assunta in
 data 30 giugno 1999, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
 nei confronti del pubblico  ministero,  in  persona  del  Procuratore
 della  Repubblica  presso  il tribunale di Bologna, in relazione alla
 richiesta, dal medesimo presentata in data 3 maggio 1999  al  giudice
 per  le  indagini  preliminari  presso  lo  stesso  tribunale, di non
 doversi  procedere  nei  confronti  di  funzionari  del  SISDE  e  di
 funzionari  di  polizia  che  con  essi  avevano  collaborato, per la
 esistenza di un segreto di Stato ritualmente opposto  dal  Presidente
 del Consiglio dei Ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n.
 801  (Istituzione  e ordinamento dei servizi per le informazioni e la
 sicurezza e disciplina del segreto  di  Stato)  e  "confermato  dalla
 Corte costituzionale con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998";
     che  il  ricorrente,  in  relazione a tale attivita' del pubblico
 ministero, consistente nella richiesta di  archiviazione  al  giudice
 per  le  indagini preliminari per l'esistenza di un segreto di Stato,
 solleva l'odierno conflitto, ritenendo la motivazione della richiesta
 del pubblico ministero contraddittoria e atta a provocare,  da  parte
 del giudice, il provvedimento di fissazione dell'udienza in camera di
 consiglio, ex art. 409, comma 2, cod. proc. pen;
     che  il  ricorrente  lamenta  altresi'  che la detta richiesta e'
 stata corredata di tutta la documentazione, anche segretata, la quale
 accompagnava le precedenti richieste di rinvio a giudizio  e  che  il
 Procuratore   della  Repubblica  invece  di  restituire  i  documenti
 segretati ai legittimi detentori  e  di  avanzare  richiesta  di  non
 doversi  procedere,  ha  in  realta'  nuovamente  violato il segreto,
 attentando  alle  prerogative  del  Presidente  del   Consiglio   dei
 Ministri;
     che,  in  particolare,  secondo  il  Presidente del Consiglio dei
 Ministri, l'iniziativa della Procura di  porre  nella  disponibilita'
 del   giudicante  gli  atti  segretati  non  solo  contrasta  con  le
 statuizioni contenute nelle citate sentenze della Corte nn. 110 e 410
 del 1998,  ma  determina  anche  gli  ulteriori  effetti  di  rendere
 conoscibili  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari, in sede di
 delibazione della menzionata richiesta  di  archiviazione,  emergenze
 documentali   di  cui  il  medesimo  giudice  non  dovrebbe  prendere
 cognizione e di offrire la documentazione  segreta  alla  pubblicita'
 dell'udienza;
     che,  pertanto,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri ha
 proposto nuovo conflitto, deducendo la violazione degli artt.  1,  5,
 52, 87, 94, 95, 102 e 126 della Costituzione, in relazione agli artt.
 12  e  16  della legge 24 ottobre 1977, n. 801, agli artt. 202, 256 e
 362 del codice di procedura penale, e con riferimento  alle  sentenze
 nn.    110  e  410  del  1998  della Corte costituzionale, per sentir
 dichiarare  che  non  spetta  al  pubblico  ministero  corredare  una
 richiesta  di  non doversi procedere per l'esistenza di un segreto di
 Stato  dei  documenti che da quel segreto di Stato sono coperti e che
 non spetta al pubblico ministero  motivare  tale  richiesta  in  modo
 contraddittorio  ed  atto, comunque, a provocare da parte del giudice
 per le indagini preliminari una richiesta di ulteriori indagini o una
 imputazione coatta, con il conseguente annullamento  della  richiesta
 di  non  doversi  procedere  del  3  maggio  1999  e  con l'ordine di
 restituzione dei documenti  coperti  da  segreto  di  Stato  ai  loro
 legittimi detentori.
   Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art.  37,
 terzo  e  quarto  comma,  della  legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte
 costituzionale e' chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine
 all'ammissibilita' del conflitto di attribuzione,  sotto  il  profilo
 della  sussistenza  della "materia di un conflitto la cui risoluzione
 spetti alla sua competenza", restando impregiudicata  ogni  ulteriore
 decisione, anche in punto di ammissibilita';
     che  il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri e' legittimato a
 sollevare il conflitto, in  quanto  organo  competente  a  dichiarare
 definitivamente  la volonta' del potere cui appartiene in ordine alla
 tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non
 solo in base alla legge 24  ottobre  1977,  n.  801,  ma  anche  alla
 stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni
 (sentenze  nn. 410 e 110 del 1998; 86 del 1977; ordinanze nn. 266 del
 1998 e 426 del 1997);
     che anche la  legittimazione  del  Procuratore  della  Repubblica
 presso  il tribunale di Bologna a resistere nel conflitto deve essere
 affermata, in conformita' alla giurisprudenza  di  questa  Corte  che
 riconosce  al pubblico ministero la legittimazione ad essere parte di
 conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto, ai sensi
 dell'art. 112 della Costituzione, e' il titolare diretto ed esclusivo
 dell'attivita' di  indagine  finalizzata  all'esercizio  obbligatorio
 dell'azione  penale  (sentenze  nn. 410 e 110 del 1998; ordinanze nn.
 266 del 1998 e 426 del 1997);
     che, quanto al profilo oggettivo del conflitto, e' lamentata  dal
 ricorrente  la  lesione  di attribuzioni costituzionalmente garantite
 (v. sentenze nn. 410 e 110 del 1998; 86 del 1977; ordinanze  nn.  266
 del 1998 e 426 del 1997);
     che  dal  ricorso  possono ricavarsi "le ragioni del conflitto" e
 "le norme costituzionali che regolano  la  materia",  come  richiesto
 dall'art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
 costituzionale.