ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 61 del codice di procedura penale del 1930 e dell'art. 248 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, promossi con ordinanze emesse il 10 dicembre 1997 ed il 7 gennaio 1998 dal Tribunale di Nola nei procedimenti penali a carico di S.C. ed altri e di N. L. ed altri, iscritte ai nn. 311 e 314 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1998. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 9 giugno 1999 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto che con due ordinanze di analogo tenore il Tribunale di Nola ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 61 del codice di procedura penale del 1930 (r.o. n. 314 del 1998), nonche' di tale norma unitamente all'art. 248 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (r.o. n. 311 del 1998), nella parte in cui non prevedono l'incompatibilita' del giudice del dibattimento che abbia rigettato la richiesta di applicazione della pena concordata tra le parti a partecipare al giudizio; che in entrambe le ordinanze il Tribunale rimettente, premesso che il procedimento prosegue, ex art. 241 disp. trans. cod. proc. pen., con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti, espone di avere respinto la richiesta di applicazione della pena concordata tra le parti avanzata da alcuni imputati ex art. 248 disp. trans. cod. proc. pen. e di procedere pertanto, a norma dell'ultima parte del primo comma di tale disposizione, nelle forme ordinarie; che il rimettente rileva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 186 del 1992, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio del giudice del dibattimento che abbia in precedenza respinto la richiesta di applicazione della pena; che ad avviso del giudice rimettente l'art. 34 cod. proc. pen., cosi' come integrato dalla sopra menzionata sentenza della Corte, non e' pero' applicabile nel caso di specie, in quanto l'art. 245 disp. trans. cod. proc. pen. non lo indica tra quelli che si applicano ai procedimenti che proseguono secondo le norme del vecchio rito; che il rimettente ritiene pertanto di dovere sollevare, nei termini sopra precisati, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 61 cod. proc. pen. del 1930, in collegamento con l'art. 248 disp. trans. cod. proc. pen., rilevando che l'incompatibilita' deriva non dall'aver preso visione di tutti gli atti del procedimento, che alla stregua del codice di procedura penale del 1930 il giudice conosceva ab initio ma da una valutazione degli stessi, volta ad escludere gli estremi di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 152 del codice previgente e poi sfociata in una pronuncia di rigetto della richiesta di patteggiamento per non congruita' della pena; che le norme censurate si porrebbero in contrasto con l'art. 3 Cost., per la disparita' di trattamento tra imputati giudicati rispettivamente con il rito vigente e con quello abrogato, in quanto la specifica ipotesi di incompatibilita' risulta prevista solo a tutela dei primi, nonche' con l'art. 24, secondo comma, Cost., perche' la valutazione delle posizioni degli imputati si risolve in una indiretta anticipazione di giudizio; che nei giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata, non essendo comparabili le discipline dell'incompatibilita' previste dal vecchio e dal nuovo codice di procedura penale, attese le differenze tra l'impianto complessivo dei due codici e tra i principi che rispettivamente li ispirano. Considerato che, stante l'analogo tenore delle due ordinanze, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi; che il rimettente muove dal presupposto interpretativo che nel caso di specie non sia applicabile l'art. 34 cod. proc. pen., cosi' come integrato dalla sentenza di questa Corte n. 186 del 1992, in quanto, da un lato, i procedimenti sottoposti al suo giudizio proseguono, ex art. 241 disp. trans. cod. proc. pen., con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti, tra le quali, appunto, l'art. 61 cod. proc. pen. del 1930, dall'altro, l'art. 34 cod. proc. pen. non e' indicato tra quelli che, alla stregua dell'art. 245 disp. trans. cod. proc. pen., si osservano anche nei procedimenti che proseguono con l'applicazione delle norme del codice del 1930; che tale convinzione si basa sull'erroneo presupposto che l'indicazione, contenuta nell'art. 245 disp. trans. cod. proc. pen., delle norme immediatamente applicabili ai procedimenti che proseguono con il vecchio rito non consenta eventuali estensioni dettate sia da considerazioni generali attinenti ai rapporti logici e sistematici tra i due ordinamenti processuali che si sono succeduti nel tempo, sia dall'esigenza di assicurare la razionale operativita' di alcuni istituti che, non previsti nel precedente ordinamento, sono stati dichiarati immediatamente applicabili anche nei procedimenti che proseguono con l'osservanza delle norme del codice del 1930; che il rimettente omette di considerare che l'art. 248 disp. trans. cod. proc. pen., nel disporre l'applicazione degli artt. 444 e seguenti cod. proc. pen. anche ai procedimenti che proseguono con le norme del rito previgente, non ha inteso limitarsi ad una meccanicistica trasposizione del nuovo istituto nel corpo del sistema processuale del 1930, ma ne ha anticipato la disciplina complessiva, a partire dalle garanzie che ne permettono la corretta e armonica operativita' all'interno del codice di rito ormai abrogato; che il carattere di assoluta novita' dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, che si configura come un vero e proprio procedimento speciale, del tutto autonomo rispetto al rito ordinario, lo rende inconciliabile con l'impianto strutturale del codice di procedura penale del 1930 ed impone quindi l'immediata operativita' di tutte quelle disposizioni del nuovo codice che, pur non essendo espressamente richiamate dall'art. 245 disp. trans. cod. proc. pen., risultano inscindibilmente connesse con l'essenza del nuovo istituto; che, in particolare, tale esigenza deve essere tenuta presente ove sorga un problema di immediata operativita' delle garanzie dettate dal principio di terzieta'-imparzialita' del giudice, quale risulta in concreto delineato dalla disciplina in tema di incompatibilita' dettata dall'art. 34 cod. proc. pen., cosi' come integrato dalla giurisprudenza di questa Corte, con particolare riferimento ai rapporti tra l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti e il giudizio ordinario; che le considerazioni sopra esposte rendono evidente che il giudice rimettente e' incorso in un'erronea interpretazione dell'art. 245 disp. trans. cod. proc. pen., ed ha di conseguenza erroneamente ritenuto che nei procedimenti sottoposti al suo giudizio non fosse immediatamente applicabile l'art. 34 cod. proc. pen; che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.