IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso n. 380 del 1996
 proposto da Cecconi Nadia, Coccioli Aldo, Davoli Vincenzo, De Martini
 M. Luisa, De Petris  Giancarlo  e  Polimeni  Ivana,  rappresentati  e
 difesi   dall'avv.  Sergio  Boldrini,  elettivamente  domiciliati  in
 Ancona, al corso Mazzini n. 170;
   Contro  il  Ministero  delle  finanze,  in  persona  del   Ministro
 pro-tempore,  non  costituito  in  giudizio,  per  l'accertamento del
 diritto dei ricorrenti a vedersi corrisposti gli interessi  legali  e
 la   rivalutazione   monetaria   sulle   somme  tardivamente  erogate
 dall'Amministrazione a seguito del loro  disposto  inquadramento,  ai
 sensi dell'art. 4, ottavo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Vista  la  memoria prodotta dai ricorrenti a sostegno delle proprie
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore, alla pubblica udienza del 27 gennaio 1999, il consigliere
 Galileo Omero Manzi;
   Udito  l'avv.  Franco  Boldrini,  sostituto  processuale  dell'avv.
 Sergio Boldrini, per i ricorrenti;
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con  atto notificato il 2 aprile 1996, depositato l'11 aprile 1996,
 la sig.ra Cecconi Nadia ed altri cinque consorti in  lite,  asserendo
 di  essere  dipendenti del Ministero delle finanze, in servizio nella
 provincia di Ancona,  e  di  essere  stati  inquadrati  in  superiore
 qualifica  dal  1  luglio  1978,  ai sensi dell'art. 4, ottavo comma,
 della legge 11 luglio 1980, n. 312, hanno chiesto l'accertamento  del
 diritto  al  pagamento  degli  interessi legali e della rivalutazione
 monetaria  sulle  maggiori  retribuzioni   tardivamente   corrisposte
 dall'Amministrazione   datrice   di  lavoro,  per  effetto  del  loro
 superiore inquadramento rispetto ai termini previsti dalla legge  per
 il  perfezionamento  del  relativo procedimento di attribuzione della
 nuova qualifica e del superiore livello retributivo.
   L'Amministrazione, benche' ritualmente evocata in causa, non si  e'
 costituita in giudizio.
   Con  memoria  depositata  il  2  dicembre  1998, i ricorrenti hanno
 insistito per l'accoglimento del ricorso.
                             D i r i t t o
   1. - La questione posta con il ricorso e' stata gia' esaminata  sia
 da  questo  tribunale  (v.  sentenze  20  novembre  1997, n. 1172; 15
 gennaio 1999, n. 6, decise nella camera di consiglio del 18  novembre
 1998),  che  dal  Consiglio  di Stato (sez. IV, 27 settembre 1993, n.
 799; 2 maggio 1995, n. 278; sez. VI, 26 maggio  1997,  n.  747),  nel
 senso  che  interessi  e  rivalutazione  monetaria  sugli  emolumenti
 retributivi tardivamente corrisposti ai dipendenti statali, a seguito
 del loro inquadramento ex art. 4, ottavo comma, della  legge  n.  312
 del  1980,  competono  a decorrere dall'8 novembre 1988, allorche' e'
 stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale la  delibera  28  settembre
 1988  della  commissione paritetica di cui all'art. 10 della medesima
 legge, con la quale e' stata determinata  la  corrispondenza  tra  le
 precedenti  qualifiche ed i nuovi profili professionali istituiti con
 la sopravvenuta legge n. 312 del 1980.
   Di  conseguenza,  secondo  le  conclusioni  cui  e'  pervenuta   la
 richiamata  giurisprudenza, ai fini del perfezionamento del complesso
 procedimento  di  inquadramento  dei  dipendenti  dello  Stato,   nel
 contesto  delle  nuove  qualifiche  funzionali individuate in sede di
 riassetto retributivo-funzionale disposto dalla richiamata  legge  n.
 312   del  1980,  le  diverse  Amministrazioni  di  appartenenza  dei
 dipendenti risultavano costituite in mora alla riferita  data  dell'8
 novembre 1988, in quanto, a seguito della pubblicazione della tabella
 di  equiparazione  tra  le  precedenti  qualifiche ed i nuovi profili
 professionali,  non  si  frapponeva  piu'   alcuna   preclusione   od
 impedimento   procedimentale   per   la   formalizzazione  dei  nuovi
 inquadramenti  sulla   base   delle   diverse   mansioni   lavorative
 effettivamente   svolte,   rispetto   alla   qualifica  di  effettiva
 titolarita', ai sensi di quanto previsto dall'art. 3,  ottavo  comma,
 della richiamata legge n. 312 del 1980.
   Cio' comporta che il credito di lavoro del dipendente interessato a
 tale  operazione  di  reinquadramento e' venuto ad esistenza, ai fini
 della decorrenza della  rivalutazione  monetaria  e  degli  interessi
 compensativi,   alla   data   di   pubblicazione   della   richiamata
 deliberazione  della  commissione  paritetica  per   l'inquadramento,
 costituendo   tale   delibera   l'atto  conclusivo  del  procedimento
 amministrativo devoluto dalla legge ai competenti organi,  nel  quale
 si  sono  sostanziate  le  opzioni discrezionali e valutative in base
 alle quali e' stato in concreto possibile il nuovo inquadramento.
   In relazione a quanto precisato,  il  collegio  non  ha  motivo  di
 discostarsi  dall'orientamento  fin  qui  seguito  dal  tribunale  in
 conformita' all'indirizzo della giurisprudenza del Consiglio di Stato
 e, quindi, il ricorso andrebbe accolto, avendo i  ricorrenti  diritto
 al  pagamento  della rivalutazione monetaria e degli interessi legali
 sulle retribuzioni differenziali spettanti per effetto dell'accennato
 inquadramento ex art. 4, ottavo comma della legge n. 312 del  1980  e
 tardivamente   corrisposte   rispetto  alla  richiamata  data  dell'8
 novembre  1988,  a  decorrere  da  tale  termine   fino   al   giorno
 dell'effettivo pagamento delle stesse.
   2.  -  Tuttavia  l'accoglimento  del  ricorso  risulta  attualmente
 precluso dalla sopravvenuta disposizione dell'art. 26, comma 4, della
 legge 23 dicembre 1998, n. 448, recante misure  di  finanza  pubblica
 collegate  alla  legge finanziaria per l'anno 1999 (legge 23 dicembre
 1998, n.  449), il quale ha espressamente  stabilito  che  "le  somme
 corrisposte  al  personale  del  comparto  ministeriale  per  effetto
 dell'inquadramento definitivo nelle qualifiche  funzionali  ai  sensi
 dell'art. 4, ottavo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 ... non
 danno luogo ad interessi ne' a rivalutazione monetaria".
   Cio' comporta, dunque, ai fini che qui interessa, la impossibilita'
 per  il  giudice  adito  di acclarare la sussistenza di un diritto di
 credito espressamente disconosciuto dal legislatore il quale, secondo
 il collegio, con la previsione normativa richiamata non ha dato luogo
 ad alcuna  interpretazione  delle  norme  vigenti,  come  sembrerebbe
 desumersi dalla titolazione dell'art. 26 della legge n. 448 del 1998,
 per  cui  deve  escludersi  qualsiasi  efficacia retroattiva, propria
 delle   norme   di   interpretazione    autentica,    del    disposto
 disconoscimento   del  diritto  alla  rivalutazione  monetaria  dello
 speciale  credito  retributivo  di  cui  si  controverte,  attesa  la
 sostanziale  precettivita'  del divieto di pagamento di interessi, la
 cui operativita' viene a concretizzarsi solo per crediti  non  ancora
 riconosciuti  in  sede  giudiziaria  alla  data del 1 gennaio 1999 di
 efficacia del divieto suddetto.
   Cio' posto, non vi e' dubbio  che  anche  nella  prospettiva  della
 affermata  natura non interpretativa e, quindi, non retroattiva della
 norma suddetta, per quanto riguarda il caso che  occupa,  secondo  il
 collegio,  la innovativa previsione legislativa si rivela comunque di
 ostacolo  alla  valorizzazione  del  richiamato  orientamento   della
 giurisprudenza   amministrativa,  favorevole  al  riconoscimento  del
 diritto alla rivalutazione monetaria delle retribuzioni differenziali
 tardivamente corrisposte ai ricorrenti, ai sensi dell'art. 4,  ottavo
 comma,  della  legge  n. 312 del 1980, poiche' e' indubitabile che la
 nuova norma che disconosce  tale  pretesa  patrimoniale  trovi  piena
 applicazione nei giudizi pendenti non ancora definiti con sentenza.
   3.  -  In  relazione  a  tale  circostanza,  in  forza  dei  poteri
 riconosciuti dall'art. 134 della Costituzione  e  dall'art.  1  della
 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dall'art. 23 della legge
 11 marzo 1953, n.  87, il collegio ravvisa la necessita' di sollevare
 d'ufficio  eccezione di incostituzionalita' del citato art. 26, comma
 4 della legge  23  dicembre  1998,  n.  48,  attesa  la  riconosciuta
 rilevanza    e    non    manifesta    infondatezza   dei   dubbi   di
 incostituzionalita' dalla medesima ingenerati in rapporto ai principi
 affermati  dagli  artt.  3,  24,  36,  97, 102, 103 e 113 della Corte
 costituzionale.
   Le sollevate questioni di possibile contrasto  costituzionale  sono
 sicuramente  rilevanti  per la decisione della causa, se si considera
 l'evidente nesso di strumentalita' esistente tra la norma  sospettata
 di  incostituzionalita'  e la risoluzione del giudizio de quo, per la
 cui decisione  si  impone  necessariamente  l'applicazione  di  detta
 disposizione  normativa,  la  cui  chiara  enunciazione dispositiva e
 precettiva non consente  al  collegio  di  privilegiare  una  diversa
 soluzione interpretativa favorevole ai ricorrenti diretta a fugare il
 sospetto   di   contrasto   con   le   accennate  norme  della  Corte
 costituzionale.
   Parimenti,  la  questione  appare  non  manifestamente   infondata,
 considerato    che    il    solo   profilarsi   di   un   dubbio   di
 incostituzionalita' impone al giudice, ex art. 23 della legge  n.  87
 del 1953, di provocare l'intervento della Corte.
   3.A.  - In particolare, secondo il collegio, la prevista esclusione
 operata dall'art. 26, comma 4, della legge  n.  448  del  1998  della
 corresponsione  degli interessi e della rivalutazione monetaria sulle
 somme dovute e tardivamente  corrisposte  a  seguito  del  definitivo
 inquadramento ai sensi dell'art. 4, ottavo comma, della legge n.  312
 del  1980,  si  pone in primo luogo in contrasto con gli artt. 3 e 36
 della Costituzione, poiche' in tal modo  si  sottopongono  i  crediti
 considerati, in conseguenza dell'inadempimento dei rispettivi debiti,
 ad  un  trattamento risarcitorio deteriore rispetto a quello previsto
 per ogni altro  credito  di  qualsiasi  genere  ed  anche  da  lavoro
 dipendente, senza la sussistenza di peculiarita' differenziatrici.
   Non solo, ma la stessa norma, con l'esclusione del previsto ristoro
 dell'inadempimento   dei   crediti  retributivi  suddetti,  viene  ad
 ingenerare una ingiusta discriminazione tra i dipendenti statali  che
 vantano  crediti  identici nei confronti dell'Amministrazione, alcuni
 dei quali hanno visto riconosciuto il diritto alla  percezione  della
 rivalutazione  monetaria  e  degli  interessi  legali  per effetto di
 pronunce giudiziarie e magari hanno anche  ottenuto  la  liquidazione
 delle relative spettanze, mentre altri, nonostante si siano parimenti
 attivati  in  sede  giudiziaria per ottenere il soddisfacimento delle
 loro pretese  patrimoniali,  si  sono  tuttavia  visti  ingiustamente
 pregiudicare  le  proprie aspettative per effetto dell'intervento del
 legislatore sospettato di incostituzionalita', il quale, in tal modo,
 si ritiene abbia violato il principio di uguaglianza di cui  all'art.
 3   della   Costituzione,  attesa  la  omogeneita'  delle  situazioni
 giuridiche per le  quali  la  legge  in  questione  ha  previsto  una
 regolamentazione differenziata.
   3.B.  - Secondo il collegio, la norma di cui si controverte si pone
 sotto altro profilo ugualmente  in  contrasto  con  l'art.  36  della
 Costituzione,  poiche'  viene  a  vulnerare  il  diritto  alla giusta
 retribuzione, mediante la sostanziale preclusione della  operativita'
 dei sistemi di garanzia della realita' della retribuzione stessa, dal
 momento   che,   senza  il  riconoscimento  della  rivalutazione,  si
 determina un ingiustificato depauperamento  del  contenuto  economico
 dello stesso trattamento retributivo, a fronte del ritardo con cui il
 medesimo viene materialmente corrisposto.
   3.C.  - Vi e' da rilevare inoltre che il sospetto di illegittimita'
 dell'art. 26, comma 4 della legge n. 448 del 1998  si  estende  anche
 alla violazione degli artt. 24, 102, 103 e 113 della Costituzione, in
 quanto,   di   fatto,   con   l'accennato  innovativo  intervento  di
 disconoscimento  del   diritto   alla   rivalutazione   dei   crediti
 retributivi, in contrasto con l'orientamento della giurisprudenza, il
 legislatore  ha  di  fatto  vanificato  il  diritto costituzionale di
 tutela  giurisdizionale  riconosciuto  dall'art.   24   della   Carta
 fondamentale,  attesa  la  evidente  applicabilita' della nuova norma
 anche in giudizi tuttora pendenti, quale e' quello di cui  e'  causa,
 promosso   proprio  per  il  riconoscimento  del  suddetto  beneficio
 economico   a   titolo   di   sanzione   patrimoniale   del   ritardo
 nell'adempimento dell'obbligazione retributiva principale.
   La  lesione  della suddetta posizione soggettiva costituzionalmente
 garantita, si e' accompagnata con una illegittima interferenza  nella
 sfera   di   attribuzione  del  potere  giurisdizionale  riconosciuto
 dall'art.  102 della Costituzione e, piu' in particolare, dagli artt.
 103 e 113, per quanto riguarda le prerogative di tutela riservate  al
 giudice  amministrativo  nei confronti degli atti e dei comportamenti
 della pubblica amministrazione.
   Infatti, se e' vero che i precetti richiamati non  vietano  che  il
 legislatore  ordinario  possa  variamente  disciplinare il diritto di
 difesa quale espressione della tutela giurisdizionale, in funzione di
 superiori  interessi  di  giustizia,   subordinandone   eventualmente
 l'esercizio  all'esperimento  di una procedura ammnistrativa cio' non
 toglie tuttavia che sussistono limiti ad una simile discrezionalita',
 fra  cui  il  principale  e'  rappresentato  dalla   condizione   che
 l'esercizio  del diritto di difesa sia garantito in modo effettivo ed
 adeguato alle circostanze.
   Donde, in riferimento a tale principio, ritiene il collegio che  il
 limite  anzidetto  risulti  ampiamente superato allorquando, come nel
 caso   di   specie,   il   legislatore   intervenga   successivamente
 all'esercizio  dell'azione giudiziaria con disposizioni preclusive ed
 innovative  preordinate,  in  sostanza,  a   vanificare   la   tutela
 giurisdizionale.
   Peraltro,  lo stesso insegnamento della Corte costituzionale e' nel
 senso che violano l'art. 24  della  Costituzione  quelle  norme  che,
 intervenendo  nel  corso  di un giudizio, recano una nuova disciplina
 sostanziale di segno opposto alle  richieste  degli  attori  di  quel
 processo ed alle interpretazioni giurisprudenziali ad essi favorevoli
 (cfr.:  Corte  costituzionale,  sentenza  10  aprile 1987, n. 123, in
 riferimento all'art. 10, primo comma, della legge 6 agosto  1984,  n.
 425).
   3.D.  -  Ad  avviso del collegio, la norma in questione presenta un
 ulteriore profilo di  illegittimita'  costituzionale,  in  quanto  il
 sopravvenuto    disconoscimento    legislativo   del   diritto   alla
 rivalutazione del credito  retributivo  vantato  dai  ricorrenti  nei
 confronti  dell'Amministrazione  statale,  si pone in contrasto anche
 con il principio di  buon  andamento  e  di  imparzialita'  affermato
 dall'art.  97  della  Costituzione,  a  cui  deve  essere  improntata
 l'azione dal momento che in tal modo si introduce una  ingiustificata
 deroga a favore dello Stato al principio fondamentale di liquidazione
 dei debiti liquidi ed esigibili.
   4.  - In conclusione, poiche' in relazione a quanto precisato tutte
 le delineate questioni di incostituzionalita' dell'art 26,  comma  4,
 della   legge   n.   448   del   1998  sono  rilevanti,  nonche'  non
 manifestamente infondate, va disposta la trasmissione degli atti alla
 Corte   costituzionale   per   la   pronuncia   sulla    legittimita'
 costituzionale  della suindicata norma, rimanendo sospeso il presente
 giudizio, ai sensi dell'art.  23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.