IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE
 Nella  causa  n.  2478/97 r.g. promossa da Duel S.r.l. con gli avv.ti
 Maria Grazia Di Tondo e Remo Rusconi,  attrice;
   Contro T.N.T.  Express  Worldwide  S.p.a.,  con  gli  avv.ti  Carlo
 Cigolini e Michele Tamburini, convenuta;
   Ha pronunciato la seguente ordinanza:
                               F a t t o
   Con  memoria  autorizzata  del  29 maggio 1998, l'attrice formulava
 istanza ex art. 186-quater c.p.c.,  questo  giudice,  con  ordinanza,
 rigettava  le  istanze  istruttorie  proposte  dalle  parti in quanto
 inammissibili ed irrilevanti,  accoglieva  l'eccezione  di  decadenza
 sollevata  dalla  convenuta  e,  per  l'effetto, respingeva l'istanza
 formulata  dall'attrice  condannandola  al  pagamento   delle   spese
 processuali.
   Le  parti  precisavano  le  conclusioni  ed il giudice, disposto lo
 scambio delle sole comparse conclusionali, all'udienza di discussione
 ex art. 190-bis, capoverso, c.p.c., ne riservava la decisione.
   Proposta da questo giudice istanza di astensione al Presidente  del
 tribunale per "gravi ragioni di convenienza" (art. 51, cpv., c.p.c.),
 la medesima veniva rigettata.
                  Diritto e rilevanza della questione
   Questo  giudice  solleva  d'ufficio  la  questione  di legittimita'
 costituzionale dell'art. 51, n. 4, c.p.c., nella  parte  in  cui  non
 prevede  l'obbligo di astensione del giudice che abbia con ordinanza,
 deciso sull'istanza  ex  art.  186-quater  c.p.c.  e,  nella  specie,
 l'abbia rigettata per intervenuta decadenza dell'istante dal diritto,
 condannando  quest'ultimo  al  pagamento, in favore dell'altra parte,
 delle spese processuali.
   Ritiene,  infatti,  il  giudicante  di  non  poter  procedere  alla
 pronuncia  della  sentenza  -  in  funzione  di giudice unico ex art.
 190-bis  c.p.c.    -  indipendentemente  dalla  deliberazione   della
 questione  di  legittimita'  costituzionale  della  norma  enunciata,
 derivando dalla stessa l'obbligatorieta' o meno per questo giudice di
 astenersi dal giudizio.
   Infatti, nella fattispecie concreta, il g.i. ha respinto  l'istanza
 ex  art. 186-quater c.p.c. formulata dall'attrice, condannandola alla
 refusione delle spese processuali.
    Consegue che, ove ne  ricorra  l'obbligo,  questo  giudice  ha  il
 dovere  di  astenersi  facendone  espressa  dichiarazione  e  dandone
 immediata notizia al capo dell'ufficio competente (art. 78, comma  2,
 disp.  art.).
   Qualora,  invece,  non  ricorra tale obbligo, deve proseguire nella
 fase decisoria della causa pronunciandosi con  sentenza,  atteso  che
 questa  non  e'  stata  rinunciata ed il processo non si e', ad oggi,
 estinto.
                      Non manifesta infondatezza
   La questione di legittimita' costituzionale della  norma  in  esame
 deve   essere   valutata   come   non  manifestamente  infondata  con
 riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
              Contrasto con l'art. 24 della Costituzione
   1.  -  L'art.  51,  n.  4  c.p.c., prevede l'obbligo del giudice di
 astenersi se ha avuto conoscenza  della  causa  in  altro  grado  del
 processo.
   La    norma    enunciata    "e'    funzionale   al   principio   di
 imparzialita'-terzieta' della  giurisdizione,  che  ha  pieno  valore
 costituzionale  con  riferimento  a  qualunque  tipo  di processo, in
 relazione  specifica  al  quale,  peraltro,  puo'  e   deve   trovare
 attuazione  (Corte costituzionale sent. 27 ottobre-7 novembre 1997, n
 326).
   Tale principio risponde all'esigenza di proteggere il giudizio  del
 merito  della causa dal pregiudizio effettivo o anche solo potenziale
 derivante  da  valutazioni  emesse  in  occasione  di   provvedimenti
 adottati in un momento precedente.
   Il  pericolo  della  compromissione  dell'imparzialita' del giudice
 sussiste in concreto ove questi,  "sia  costretto,  nel  decidere,  a
 ripercorrere  l'identico  itinerario  logico precedentemente seguito"
 (Corte costituzionale, sent. 14-24 luglio 1998, n. 341).
   Cio' si verifica, in particolare, quando preesistono valutazioni di
 contenuto che cadono sulla stessa res udicanda ossia quando vi sia la
 duplicazione  di  giudizi,  non  meramente  formali,  della  medesima
 natura,  presso  lo  stesso  giudice  (Corte costituzionale, sent. 24
 aprile 1996, n. 131).
   In questo caso  sussiste,  infatti,  il  rischio  di  un  effettivo
 condizionamento  del  giudice  in  quanto  "l'ambito della precedente
 cognizione  e  quello  della  successiva  sono  il  medesimo"  (Corte
 costituzionale n. 326/1997, citata).
   2.  -  Ritiene  questo  giudice  che,  alla  stregua  dei  principi
 enunciati, non  sia  manifestamente  infondato  il  dubbio  circa  la
 costituzionalita'  dell'art. 51, n. 4), c.p.c. nella parte in cui non
 prevede l'obbligo del giudice che abbia  provveduto  sull'istanza  ex
 art.  186-quater  c.p.c.  -  accogliendola  o respingendola all'esito
 dell'esame  del  merito  della  controversia  -  di  astenersi  dalla
 decisione della causa.
   L'ordinanza successiva all'istruzione e', infatti, un provvedimento
 a  cognizione  piena  -  dal  contenuto    decisorio  ed  esecutivo -
 potenzialmente idoneo ad acquistare l'efficacia di sentenza.
   In particolare, la  decisione  in  ordine  all'istanza  e'  assunta
 quando  il  contraddittorio  si e' sviluppato pienamente; inoltre, il
 giudice ha l'obbligo di valutare l'istruzione  eventualmente  svolta,
 tutti i documenti e le eccezioni sollevate dalle parti.
   L'art. 186-quater, comma 3, c.p.c. stabilisce, poi, che l'ordinanza
 "e revocabile con la sentenza che definisce il giudizio"; quindi, ove
 -  come  nel  caso  di  specie  -  il  processo  non si estingua e la
 pronuncia della sentenza non sia rinunciata, il giudice e' tenuto  ad
 esaminare  nuovamente gli atti delle parti ed il materiale probatorio
 in base al quale ha emesso l'ordinanza.
   Cio' comporta la duplicazione di un giudizio contenutistico,  della
 stessa natura, da parte del medesimo giudice.
   Diversamente,   infatti,   da  quanto  avviene  con  riferimento  a
 provvedimento cautelare (che - rispetto alla decisione di merito - si
 fonda su diversi presupposti ed e' adottato all'esito  dell'esame  di
 diverso   materiale   probatorio),  l'ordinanza  e'  funzionale  alla
 soluzione anticipata - rispetto alla sentenza -  della  controversia,
 quindi  la  valutazione  del  giudice  e'  operata sulla medesima res
 judicanda.
   Appare, quindi logico presumere  che  possa  esservi  una  naturale
 tendenza  a  mantenere,  in  sede  di  redazione  della  sentenza, il
 giudizio gia' espresso in altro momento decisionale  -  a  cognizione
 piena del medesimo procedimento.
   Cio'  determinerebbe  la  compromissione  -  che  non si giustifica
 nemmeno in ragione della particolare funzione  anticipatrice  assolta
 dai  provvedimento  in  esame  - del principio dell'imparzialita' del
 giudice, con pregiudizio del diritto inviolabile alla difesa in  ogni
 stato e grado del processo.
   Ne'  puo'  ritenersi  che l'eventuale successiva precisazione delle
 conclusioni ed il deposito  di  comparse  conclusionali,  espressione
 dell'impulso    paritario    delle   parti,   possano   efficacemente
 condizionare la conclusione del giudizio ed influire  sul  meccanismo
 psicologico  che  presiede  alla  formazione  del  convincimento  del
 giudice.
   A parere di questo giudice, nel caso in esame, ricorrono, pertanto,
 tutte le condizioni necessarie per dover ritenere un'incompatibilita'
 endoprocessuale tale da rendere doverosa l'astensione.
   3. - L'art. 51, capoverso,  c.p.c.  prevede  invero  l'obbligo  dal
 giudice  di  richiedere  al  capo  dell'ufficio  l'autorizzazione  ad
 astenersi  in  ogni  caso  in  cui   "esistano   gravi   ragioni   di
 convenienza".
   Tale rimedio, peraltro, se ben si attaglia a tutti i casi in cui la
 sovrapposizione  di  giudizi e' meramente eventuale, non puo' trovare
 applicazione quando cio' avvenga, come nella fattispecie in esame, in
 via generale.
   4.  -  Questo  giudice,  infine,  e'  consapevole  che  l'eventuale
 accoglimento  della  questione di costituzionalita' in esame potrebbe
 comportare notevoli difficolta'  nella  organizzazione  degli  uffici
 giudiziari:    un  giudice  decidera' sull'istanza ex art. 186-quater
 c.p.c.; un diverso giudice redigera' la sentenza (salve le  residuali
 ipotesi in cui l'ordinanza acquisti efficacia di sentenza).
   Il    legislatore,    nell'esercizio    della   sua   insindacabile
 discrezionalita', con il d.-l. 21 giugno 1995, n. 238 (convertito con
 legge 20 dicembre 1995, n. 534), tra le varie ipotesi  normative,  ha
 optato  per  un'ordinanza che solo eccezionalmente acquista efficacia
 di sentenza.
   E' appena  il  caso  di  ricordare  che  il  C.S.M.  -  nel  parere
 deliberato nella seduta del 23 novembre 1995, in relazione al disegno
 di legge di conversione (tra l'altro) del d.-l. 21 giugno 1995 n. 238
 -  aveva  auspicato  l'adozione  di  una diversa ordinanza: "esaurita
 l'istruzione, su istanza di parte, il g.i. definisce il giudizio  con
 ordinanza avente efficacia di sentenza".
   Tuttavia  il giudice e soggetto soltanto alla legge ed ha l'obbligo
 di applicarla fino a che ritenga che non sia manifestamente infondato
 il dubbio del suo contrasto con una norma della Costituzione.