ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 14 del d.-l. 25 maggio 1996, n. 285 (Misure urgenti per il rilancio economico e occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata), promosso con ordinanza emessa il 4 luglio 1996 dal pretore di Avellino nel procedimento penale a carico di A.R., iscritta al n. 333 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1998. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 7 luglio 1999 il giudice relatore Piero Alberto Capotosti. Ritenuto che il pretore di Avellino, con ordinanza del 4 luglio 1996, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 14, del d. l. 25 maggio 1996, n. 285 (Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata), per contrasto con gli articoli 3, 25 e 77 della Costituzione; che secondo il rimettente la disposizione impugnata, stabilendo che "per le opere pubbliche dei comuni, delle province e delle comunita' montane, la deliberazione, con la quale il progetto viene approvato o l'opera autorizzata, ha i medesimi effetti della concessione edilizia", violerebbe l'art. 3 della Costituzione, poiche' determinerebbe "una irragionevole disparita' di trattamento rispetto alla realizzazione di opere private" e comporterebbe "una irragionevole equiparazione tra le deliberazioni che approvano il progetto o autorizzano l'opera e il provvedimento concessorio", demandando altresi' ad un soggetto diverso dal sindaco il controllo della conformita' dell'opera alla strumentazione urbanistica; che la norma si porrebbe anche in contrasto con l'articolo 25 della Costituzione, in quanto, essendo contenuta in un d.-l. reiterato, incidente "in materia penale", "viola (...) il principio della riserva di legge, di fatto sottraendo al Parlamento la sua esclusiva competenza a legiferare in materia penale", nonche' con l'art. 77, perche' la reiterazione del decreto "determina una inevitabile sfumatura dei requisiti di necessita' e di urgenza", e sottrae al Parlamento la possibilita' di regolare con legge i rapporti sorti sulla base dei decreti non convertiti; che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata in quanto, a suo avviso, il d.-l. contenente la disposizione impugnata e' decaduto per mancata conversione nel termine, e la disposizione stessa, dopo essere stata riprodotta nel d.-l. 24 settembre 1996, n. 495, anch'esso decaduto, non e' stata "riprodotta in successivi testi legislativi", non "e' piu' presente nel nostro ordinamento, ne' ha avuto un qualche effetto per il passato". Considerato che l'ordinanza di rimessione non indica quali siano i termini della fattispecie concreta oggetto del giudizio principale, ed in particolare omette di specificare gli essenziali elementi di fatto ed il reato per il quale si procede; che la mancata indicazione dei sopra indicati elementi della fattispecie nonche' l'omessa esplicitazione delle ragioni della rilevanza della questione di costituzionalita' rendono impossibile per questa Corte ogni valutazione inerente al predetto profilo preliminare; che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.