Ricorso della regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore, on. Roberto Formigoni, autorizzato con delibere di Giunta regionale n. 44491 del 30 luglio 1999 e n. 44696 del 5 agosto 1999, rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto, dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana, 6; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, recante "Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419", in toto e in parte qua, relativamente ad alcuni articoli, pubblicato nel Supplemento Ordinario n. 132/L alla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 165, del 16 luglio 1999. F a t t o In attuazione della delega contenuta nella legge 30 novembre 1998, n. 419, recante "Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l'adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502", pubblicata in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 286 del 7 dicembre 1998, in data 19 giugno 1999, il Presidente della Repubblica ha emanato il d.lgs. n. 229/1999. Il decreto, rappresentando un forte elemento di discontinuita' rispetto alle riforme introdotte dal d.lgs. n. 502/1992, pone evidenti ostacoli alla riforma sanitaria in corso nella regione Lombardia (in attuazione del d.lgs. n. 502 del 1992 e delle sue successive modifiche), i cui primi esiti sono stati accolti in modo favorevole dai cittadini e che sta dando i primi riscontri positivi, sia sotto il profilo della qualita' e dell'efficacia delle cure, sia dal punto di vista di risanamento dei bilanci: sotto questo profilo non puo' non essere sottolineato come la continua produzione normativa nazionale in tema di servizio sanitario renda l'attivita' regionale di attuazione legislativa e programmatoria dei principi nazionali simile ad una fatica di Sisifo. Tra gli effetti indotti dal decreto vi sara' quello di un ulteriore ingiustificato aggravio di spesa: basti qui ricordare gli oneri derivanti dalla soppressione dei rapporti di lavoro a tempo definito o quelli conseguenti alle previsioni restrittive sui fondi integrativi, che negano la possibilita' di ricorrere a strutture autorizzate. Il Servizio bilancio del Senato, in una nota sullo schema di decreto delegato, segnalava l'esistenza di numerose disposizioni tali da recare aggravio di spesa nel settore sanitario a seguito della riforma1). L'impostazione statalista e centralista del d.lgs. n. 229 ridimensiona drasticamente le competenze attribuite alle regioni in materia sanitaria dagli artt. 117 e 118 della Costituzione. Basterebbe il semplice dato quantitativo delle 81 pagine di Gazzetta Ufficiale a rendere evidente come si sia voluto definire nell'estremo dettaglio moltissimi luoghi e settori di evidente competenza regionale: cio' e' avvenuto in palese spregio della volonta' parlamentare, giacche' e' difficile pensare che con il principio contenuto nell'art. 2, comma 1, lett. b), della legge n. 419 del 1998, relativo al completamento del "processo di regionalizzazione ... del Servizio sanitario nazionale" si volesse dar mandato al Governo di sommergere i legislatori e le amministrazioni regionali di 80 pagine fitte di Gazzetta Ufficiale, piene di norme di dettaglio. Il decreto ripropone, inoltre, un Servizio sanitario incentrato quasi esclusivamente sulle aziende U.S.L., sulla identificazione tra il soggetto garante della salute dei propri cittadini ed acquirente delle prestazioni ed il soggetto erogatore/produttore delle stesse. Viene, infatti, negata, attraverso una interpretazione illegittima ed infondata della legge delega, la possibilita' delle regioni di istituire aziende ospedaliere di rilevo regionale: sono, infatti, contemplate dal decreto solo ed esclusivamente le aziende ospedaliere di rilievo interregionale o nazionale, la cui costituzione viene assoggettata alla decisione del Consiglio dei Ministri. Il divieto di costituire aziende ospedaliere di rilievo regionale comporta il venir meno della separazione tra il soggetto acquirente (la A.S.L.) ed il soggetto produttore (le A.O.) delle prestazioni sanitarie e, fatto ben piu' grave, impedisce una reale competizione "regolata" (pur richiesta dalla legge delega: cfr. art. 2, comma 1, lett. c) tra tutti i soggetti erogatori, pubblici e privati, foriera di sicuri benefici per il cittadino, nonche' presupposto per il concreto esercizio del principio di libera scelta della struttura erogatrice. L'impostazione del decreto tende, inoltre, a vanificare la parita' tra pubblico e privato. In particolare, la nuova disciplina introdotta in materia di accreditamento, nel subordinare l'esito positivo della relativa procedura alla previsione di un fabbisogno regionale delle prestazioni e alla capacita' produttiva massima delle singole strutture, di fatto, non puo' non condurre al riconoscimento di uno spazio maggiore e piu' garantito delle strutture pubbliche, relegando quelle private ad un ruolo meramente sussidiario e residuale. Anche sotto questo profilo, viene posta nel nulla la volonta' parlamentare, giacche' l'art. 2, comma 1, lett. c) della delega chiede al Governo di "regolare e distribuire i compiti tra i soggetti pubblici interessati e i soggetti privati". Infine non si puo' non rilevare l'effetto devastante di una fuga generalizzata dalle strutture pubbliche dei migliori professionisti, fuga che le norme sull'incompatibilita' e sull'esclusivita' del rapporto di lavoro sono suscettibili di produrre. 1) La nota e' pubblicata in ASI - Agenzia sanitaria italiana del 20 maggio 1999, n. 20. Il decreto legislativo appare percorso da una profonda (e assai pericolosa) volonta' di disattendere le indicazioni parlamentari: sia sotto il profilo, come si vedra' nel prosieguo dell'atto, dell'eccesso o violazione della delega (e cio' nonostante le stigmatizzazioni in tal senso effettuate dalle competenti Commissioni parlamentari in sede di parere sullo schema di decreto delegato), sia sotto il profilo, politicamente rilevante, del mancato esercizio della delega in alcuni significativi settori (v., in particolare, la mancata attuazione della delega di cui all'art. 2, comma 1, lett. i), relativa all'attribuzione - pur richiesta dalle regioni - dei "compiti e le funzioni tecnico-scientifici e di coordinamento tecnico all'Istituto superiore di sanita', all'agenzia per i servizi sanitari regionali e all'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro": si conferma comunque la confusa gestione, da parte della legge delega, dell'"oggetto" e dei "principi", di cui all'art. 76 Cost., su cui v. infra sub par. 16). Il d.lgs. n. 229 del 1999 ha operato novellando il d.lgs. n. 502 del 1992, nel cui testo sono stati inseriti nuovi articoli e commi, ovvero abrogati commi o parti di essi; nella maggior parte dei casi, gli artt. 1, 2, 3, 4, 5, del d.lgs. n. 229 hanno modificato i corrispondenti artt. 1, 2, 3, 4, 5, n, del d.lgs. n. 502: nel prosieguo del ricorso si fara' riferimento, nell'epigrafe del motivo e nella descrizione iniziale della censura, all'articolo del d.lgs. n. 229, mentre all'interno dei paragrafi i riferimenti, salva diversa indicazione, saranno effettuati al testo del d.lgs. n. 502, cosi' come novellato dal d.lgs. n. 229. Ferme rimanendo le censure gia' mosse avverso la legge delega con il ricorso notificato in data 5 gennaio 1999 e che devono intendersi qui richiamate e confermate per la parte in cui si riverberano sul testo delegato (v. infra sub parr. 16, 17 e 18), il d.lgs. n. 229/1999 invade le competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni in materia sanitaria e risulta pertanto gravemente illegittimo per i seguenti motivi; D i r i t t o 1. - Violazione degli artt. 76 e 73 della Costituzione, in relazione all'art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419, per mancato rispetto dei termini per l'emanazione e pubblicazione previsti dalla legge delega. All'art. 1, comma 1, la legge n. 419/1998, stabilisce che "il Governo e' delegato ad emanare, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi recanti disposizioni modificative e integrative del d.lgs. 30 novembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, sulla base dei principi e dei criteri direttivi previsti dall'art. 2". Affinche' i termini previsti dall'art. 1, comma 1, della legge n. 419/1998 fossero da ritenersi rispettati, il Governo avrebbe dovuto esercitare i poteri delegati entro il 22 giugno 1999. Tuttavia, se e' vero che il d.lgs. n. 229/1999 e' stato emanato dal Presidente della Repubblica in data 19 giugno 1999, e' anche vero che esso solo in data 8 luglio 1999 veniva trasmesso al Ministro di grazia e giustizia, il quale vi apponeva il visto in data 12 luglio 1999. Quanto poi alla data della pubblicazione, il decreto risulta ufficialmente pubblicato in data 16 luglio 1999: la Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 165 del 16 luglio 1999 riportava, infatti, avviso della pubblicazione del d.lgs. n. 229/1999 nel Supplemento ordinario, n. 132/L. Il Supplemento ordinario n. 132/L e' stato materialmente distribuito solo in data 24 luglio 1999. Il ritardo nella pubblicazione (e nella concreta distribuzione) del d.lgs. n. 229/1999 costituisce una violazione delle disposizioni dettate dagli artt. 73 e 76 della Costituzione. L'art. 76 della Costituzione stabilisce, infatti, che "l'esercizio della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non con la determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti". A sua volta, l'art. 73 Cost., al terzo comma, stabilisce che: "le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione". L'espressione "leggi" di cui al terzo comma dell'art. 73 della Costituzione deve, infatti, intendersi riferita anche agli atti aventi forza di legge, quali appunto i decreti delegati. La ricorrente ben conosce la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte secondo cui i termini per l'esercizio dei poteri delegati devono intendersi rispettati, e che quindi non sussiste violazione degli artt. 73 e 76 della Costituzione, nelle ipotesi in cui i decreti delegati vengano "emanati" nel termine previsto dalla legge di delega, non essendo necessario che entro tale termine essi vengano anche "pubblicati" (cfr. per tutte la sent. n. 184 del 10 dicembre 1981). A questa interpretazione della Corte costituzionale avrebbe dovuto corrispondere un atteggiamento responsabile dell'Amministrazione, la quale avrebbe dovuto limitare al massimo i tempi necessari per la pubblicazione successiva all'emanazione. E invece si e' assistito e si assiste anche in questa situazione ad un fenomeno di grave degenerazione e lassismo per quanto attiene a(i tempi de)lla pubblicazione dei decreti delegati (la medesima situazione qui lamentata si ebbe, ad esempio, per il d.lgs. n. 112 del 1998, che, emanato in data 31 marzo 1998, e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 aprile 1998). Il caso in questione e' esemplare: emanato il 19 giugno 1999 dal Presidente della Repubblica, il decreto e' stato trattenuto negli uffici del Ministero della sanita' fino all'8 luglio; ha ricevuto il visto del Ministro di grazia e giustizia il 12; ne e' stata comunicata la pubblicazione il 16 luglio. A cio' si aggiunga, a testimonianza del grave ritardo verificatosi, che la Gazzetta Ufficiale recante il testo e' stata disponibile solo il 24 luglio a Roma e il 26 luglio nel resto del Paese: che in questa situazione temporale, stante i lunghissimi tempi di pubblicazione e distribuzione dell'atto, si sviluppino polemiche politiche circa la modifica in itinere (per cosi' dire!) del testo, pur dopo l'emanazione da parte del Presidente della Repubblica, e' evenienza inevitabile. Ora, mentre il ritardo nella distribuzione assume in questa sede il rilievo di un mero fatto, pur se foriero di gravi conseguenze giuridiche (giacche' la vacatio legis si e', in tal modo, ridotta a pochissimi giorni e ne subiscono un vulnus anche i gia' ristretti - e senza sospensione feriale - termini per l'impugnazione regionale!), il ritardo nella pubblicazione ben puo' essere sanzionato in sede di legittimita' costituzionale, precisando che anche la pubblicazione deve intervenire nel termine previsto dalle leggi di delega. 2. - Violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione all'art. 1, comma 3, della legge 30 novembre 1998, n. 419, al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 e al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni da parte di numerose disposizioni del decreto. 2.1. - L'art. 1, comma 3, della legge delega stabilisce che sugli schemi di decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo acquisisce il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, che esprime il richiesto parere entro trenta giorni dalla ricezione degli schemi stessi. Va, in primo luogo, premesso che la regione Lombardia tiene ferme le censure mosse a tale disposizione sub par. 2 del ricorso promosso di fronte alla Corte costituzionale in data 5 gennaio 1998 per l'impugnazione della legge delega, qui riprodotte sub par. 17, attinenti all'acquisizione da parte del Governo del parere della Conferenza unificata, anziche' esclusivamente di quello della conferenza Stato-regioni. In ogni caso, pur ammesso che la previsione dell'art. 1, comma 3, della legge n. 419/1998 debba considerarsi legittima, e che pertanto spetti alla Conferenza unificata esprimere parere sullo schema del d.lgs. n. 229/1999, anche tale disposizione non e' stata rispettata dal Governo nella formazione finale del decreto. Con riferimento ad alcune disposizioni, infatti, il parere della Conferenza unificata non e' stato acquisito dal Governo, essendo stato presentato un testo che non le conteneva; rispetto ad altre, invece, sebbene il Presidente del Consiglio dei Ministri, in sede di Conferenza unificata, avesse assicurato che avrebbe recepito gli emendamenti proposti in quella sede dalle regioni, di fatto, nella formulazione finale del decreto, si e' dovuto constatare che il Governo non ha tenuto conto delle osservazioni regionali. 2.2. - Appartengono al primo gruppo (disposizioni su cui non e' stato acquisito il parere della Conferenza unificata): a) l'art. 3, nella parte in cui introduce l'art. 3-bis, comma 15, del d.lgs. n. 502/1992, dove si stabilisce che: "in sede di prima applicazione, le regioni possono disporre la proroga dei contratti con i direttori generali in carica all'atto dell'entrata in vigore del presente decreto per un periodo massimo di dodici mesi"; b) l'art. 4, comma 2, nella parte in cui aggiunge il comma 1-ter all'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992, ultimo periodo, in cui si stabilisce che: "In ogni caso, non si procede alla costituzione o alla conferma in azienda ospedaliera qualora questa costituisca il solo presidio ospedaliero pubblico presente nell'azienda unita' sanitaria locale"; c) l'art. 4, comma 2, nella parte in cui introduce il comma 1-octies all'art. 4 del d.lgs. n. 502, in cui si stabilisce che: "Ai progetti elaborati dalle regioni e finanziati ai sensi dell'art. 1, comma 34-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, hanno titolo a partecipare anche gli enti e gli istituti di cui al comma 12"; d) l'art. 5, comma 1, nella parte in cui introduce l'art. 5-bis del d.lgs. n. 502, comma 3, in cui si stabilisce che: "In caso di mancata attivazione del programma oggetto dell'accordo entro i termini previsti dal medesimo programma, la copertura finanziaria assicurata dal Ministero della sanita' viene riprogrammata e riassegnata, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, in favore di altre regioni o enti pubblici interessati al programma di investimenti, tenuto conto della capacita' di spesa e di immediato utilizzo delle risorse da parte dei medesimi"; e) l'art. 7, comma 1, nella parte in cui introduce l'art. 7-quater del d.lgs. n. 502, comma 2, in cui si stabilisce che: "Le regioni disciplinano l'articolazione delle aree dipartimentali di sanita' pubblica, della tutela della salute negli ambienti di lavoro e della sanita' pubblica veterinaria, prevedendo strutture organizzative specificatamente dedicate a: igiene e sanita' pubblica; igiene degli alimenti e della nutrizione; prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro; sanita' animale; igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione; conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati; igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche". Tutte le disposizioni indicate non erano presenti nel testo sottoposto alla Conferenza unificata. 2.3. - Appartengono al secondo gruppo (disposizioni rispetto alle quali non ci si e' adeguati alle richieste regionali, nonostante le assicurazioni rese in Conferenza unificata) le disposizioni di cui agli art. 1, comma 14; 4; 8-quinquies, comma 2 del d.lgs. n. 229, nonche' l'art. 8-sexies, commi 3 e 4 dello schema di decreto (che corrispondono ai commi 4 e 5 del d.lgs. n. 229), l'art. 10, nella parte in cui modifica l'art. 9-bis del d.lgs. n. 502 e l'art. 16, nella parte in cui introduce l'art. 19-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992. Con riferimento a tali disposizioni, nei successivi paragrafi, verranno dettagliatamente indicati gli emendamenti proposti dalla conferenza dei Presidenti delle regioni nel parere rilasciato in data 6 maggio 1999, al cui accoglimento era subordinato il parere positivo della Conferenza, accettati dal Governo stesso in sede di Conferenza e, infine, sorprendentemente, non accolti dal Governo nella formulazione definitiva del decreto. 2.4. - Tale comportamento tenuto dal Governo non puo' che comportare l'illegittimita' costituzionale sia delle disposizioni non sottoposte al parere della conferenza, sia di quelle confermate anche a seguito degli emendamenti proposti dalle regioni. Se e' vero, infatti, che nella seduta del 6 maggio 1999, la Conferenza unificata ha espresso parere favorevole sullo schema di decreto approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri in data 14 aprile 1999, e' anche vero che, nella medesima sede, la conferenza dei Presidenti delle regioni aveva subordinato l'espressione del proprio parere favorevole al recepimento da parte del Governo delle richieste formulate nel documento del 6 maggio 1999, (allegato al verbale della Conferenza unificata del 6 maggio 1999), e che il Ministro della sanita' si era dichiarato disponibile ad accoglierle. A conferma della situazione verificatasi si riportano alcuni stralci del verbale della seduta del 6 maggio 1999 della Conferenza unificata, nel quale, in particolare, si legge: "visto lo schema del decreto legislativo in oggetto, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 14 aprile 1999 e trasmesso il successivo 16 aprile dal Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri alle Segreterie della conferenza Stato-regioni e della conferenza Stato-citta' e autonomie locali; Considerato che in sede tecnica, il 5 maggio 1999, i rappresentanti delle regioni, hanno consegnato un documento di osservazioni relative ad eventuali emendamenti allo schema di decreto, precisando che alcune di esse erano da considerarsi essenziali e condizionanti il parere da esprimere; che i rappresentanti dell'ANCI, pur esprimendo una valutazione complessivamente positiva sullo schema di decreto, hanno consegnato un documento, ancora in fase di elaborazione, di osservazioni allo stesso; che il rappresentante dell'UNCEM, che ha consegnato un documento, e il rappresentante dell'UPI si sono associati sostanzialmente ai rilievi sollevati dal rappresentante dell'ANCI, rivendicando, rispettivamente, spazi per le province soprattutto in materia di pianificazione territoriale, attraverso la partecipazione dei Presidenti delle province alla conferenza dei sindaci e una maggiore attenzione per la situazione della montagna, evidenziando il ruolo svolto dalle comunita' montane, in particolare nel settore dei servizi sociali ed assistenziali; Considerato che, nel corso dell'odierna seduta di questa conferenza, i Presidenti delle regioni hanno consegnato un documento, che si allega, di osservazioni e proposte di modifica allo schema di decreto in esame, alcune delle quali ritenute essenziali per l'espressione di un parere positivo, avanzando quindi una riserva da sciogliere al termine del dibattito e sulla scorta delle risposte di merito da parte del Governo; Considerato che, nel corso dell'odierna seduta di questa conferenza, il Ministro della sanita' si e' dichiarato disponibile ad esaminare le richieste avanzate se coerenti con i principi della legge delega e che, sulla scorta dell'esame compiuto in corso di seduta delle stesse, ha dichiarato di accoglierle, ritenendo soltanto quella avanzata dal Presidente della regione Lombardia non coerente con i criteri direttivi recati dalla legge n. 419 del 1998; Considerato che le regioni, valutate positivamente le assicurazioni del Ministro della sanita', hanno sciolto in senso positivo la riserva posta all'inizio della seduta, augurandosi che quanto concordato venga mantenuto in sede di approvazione definitiva del provvedimento in esame; che lo stesso avviso e' stato espresso dall'ANCI, UPI e UNICEM; Considerato che il Presidente del Consiglio dei Ministri, nell'affermare la rilevanza dello schema di decreto in esame, ha dichiarato la volonta' del Governo di mantenere gli impegni assunti per il rafforzamento del sistema sanitario e ha chiesto la partecipazione attiva del sistema delle autonomie nei successivi incontri con le organizzazioni sindacali previsti dalla legge delega". A ribadire la posizione regionale, il Presidente della conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome Vannino Chiti inviava al Presidente del Consiglio dei Ministri, in data 17 giugno 1999, una nota dal seguente tenore: "nella fase finale di approvazione del decreto legislativo previsto dagli artt. 1 e 2 della legge 30 novembre 1998, n. 419, per il riordino del Servizio sanitario nazionale, ritengo doveroso rappresentarLe nuovamente la posizione della conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome, attesa la speciale rilevanza che le questioni sanitarie acquistano sempre di piu' per i governi regionali; Devo preliminarmente ribadire che le regioni e le province autonome chiedono, per poter confermare il parere favorevole espresso, alla Sua presenza, in sede di Conferenza unificata il 6 maggio u.s., che siano integralmente recepite nel testo finale le osservazioni definite essenziali nel documento che contiene tale parere, che ad ogni buon conto si riporta in allegato 1; Rispetto al testo che ci risulta essere all'esame del Consiglio dei Ministri, le regioni e le province autonome chiedono, in particolare, che sia meglio precisato che la ''coerenza'' degli schemi o progetti di piani sanitari regionali rispetto al PSN sia verificata rispetto agli ''indirizzi generali'' dello stesso art. 1, comma 12; Analoga richiesta di precisazione si chiede venga fatta a proposito delle sperimentazioni gestionali (art. 10) le quali si ritiene debbano essere autorizzate dalle regioni sulla base di indirizzi e criteri della conferenza Stato-regioni, della quale andrebbe enfatizzata la funzione di coordinamento, verifica ed eventuale intervento correttivo; Anche per quanto riguarda alcune attivita' centrali, si chiede un piu' forte recepimento di quanto gia' richiesto dalle regioni, con particolare riferimento ai compiti dell'Agenzia nazionale per l'accreditamento (art. 19-bis), che vanno effettivamente demandati all'Agenzia per i servizi sanitari, la quale si avvale di un organismo tecnico-scientifico dedicato, ed ai compiti e funzioni dell'I.S.S., dell'l.S.P.E.S.L. e della stessa A.S.S.R. (art. 19-sexies, ex 19-quater); Relativamente alle osservazioni definite rilevanti nello stesso documento di parere sopra richiamato, ritengo di dover ancora una volta, richiamare l'esigenza posta dalle regioni e province autonome di introdurre maggiore flessibilita', rispetto all'attuale testo (addirittura peggiorativo), a proposito della costituzione o conferma delle Aziende ospedaliere, rilanciando anche una ipotesi gia' a suo tempo avanzata di Aziende di rilievo regionale che le regioni e province autonome dovrebbero poter costituire o confermare in base a criteri analoghi a quelle di rilievo nazionale, tranne il criterio relativo alla mobilita' interregionale e introducendo comunque un tetto massimo di posti letto aziendalizzati (apparirebbe congruo il 30%) in ogni regione, salvo deroga concedibile dalla conferenza Stato-regioni; Per quanto attiene ad una serie di disposizioni normative, presenti nel testo attuale ma mai sottoposte al parere delle regioni e province autonome se ne chiede la soppressione e l'eventuale rinvio ad altro provvedimento, salvo quanto eventualmente recuperabile in un rapido confronto con il Coordinamento interregionale dell'area sanitaria, con particolare riferimento a quelle gia' segnalato al Ministro della sanita' (che, per snellezza, vengono ricapitolate a parte in apposito allegato 2). (Omissis)". Ma anche questa autorevole presa di posizione istituzionale e' stata tenuta dal Governo in assoluto non cale. 2.5. - Le disposizioni indicate al par. 2 e al par. 3 risultano, pertanto, poste in violazione degli art. 117 e 118 della Costituzione e, in quanto tali, violano anche il principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni. Va, infatti, sottolineato, in primo luogo, come la mancata consultazione delle regioni o la mancata conformazione alle osservazioni dalle stesse presentate ai fini della disciplina di materie, quale quelle dell'assistenza sanitaria e ospedaliera, che gli artt. 117 e 118 della Costituzione attribuiscono alla competenze legislativa e amministrativa regionali, ridonda inevitabilmente in violazione degli stessi artt. 117 e 118 della Costituzione. D'altra parte, sussiste nel caso di specie anche la violazione da parte del Governo del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni: di fatto il Governo, omettendo, rispetto ad alcune disposizioni del decreto, di acquisire il parere delle regioni e non tenendo conto, rispetto ad altre, degli emendamenti proposti dalle regioni, concretamente rispettato le norme di comportamento che dovrebbero regolare, in attuazione del principio di leale collaborazione, i rapporti tra lo Stato e le regioni. Nella vicenda sottoposta alla valutazione di codesta ecc.ma Corte, la violazione del principio di leale collaborazione appare ancora piu' odiosa, giacche' il parere positivo e' stato ottenuto grazie ad una dichiarazione, resa in conferenza, dal Ministro, alla quale non e' poi stato dato seguito: il rango costituzionale dei soggetti coinvolti spingeva a ritenere che una dichiarazione di un Ministro, resa in conferenza Stato-regioni-autonomie, avrebbe trovato sicura attuazione. Non vi e' certo bisogno di ricordare che quello della leale collaborazione tra Stato e regioni e' un principio costantemente affermato nella giurisprudenza costituzionale, il cui presupposto e' stato rinvenuto da codesta ecc.ma Corte nella coesistenza, l'interferenza, la reciproca indissolubile connessione di poteri statali e regionali, riconosciuti ed esercitati a diverso titolo e con differenti finalita', ma vertenti su ambiti e aree oggettivamente sovrapposte o coincidenti ovvero preordinati al raggiungimento di compiti comuni, e il cui "fondamento diretto" e' stato rinvenuto nell'art. 5 della Costituzione (cfr., in particolare, sent. n. 19 del 1997). Una sintesi della interpretazione, fornita da codesta ecc.ma Corte in ordine a tale principio, si trova nella recente sentenza n. 242 del 1997, nella quale si afferma che il principio di leale cooperazione "deve governare i rapporti fra lo Stato e le regioni nelle materie e in relazione alle attivita' in cui le rispettive competenze concorrano o s'intersechino, imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi regola, espressione del principio costituzionale fondamentale per cui la Repubblica nella salvaguardia della sua unita', ''riconosce e promuove le autonomie locali'', alle cui esigenze ''adegua i principi e i metodi della sua legislazione'' (art. 5 Cost.) va al di la' del mero riparto costituzionale delle competenze per materia ed opera dunque su tutto l'arco delle relazioni istituzionali fra Stato-regioni, senza che a tal proposito assuma rilievo diretto la distinzione fra competenze esclusive, ripartite o integrative, o fra competenze amministrative proprie e delegate". 2.6. - Le disposizioni indicate, per il modo con cui si e' giunti alla loro formulazione, si pongono, inoltre, in contrasto con la giurisprudenza costituzionale in materia di intese e di pareri con gli organismi rappresentativi delle regioni e degli enti locali. In particolare, recentemente codesta ecc.ma Corte, chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4, d.lgs. 281/1997 - che prevede, per le ipotesi di urgenza, la possibilita' di non ricorrere all'intesa con la conferenza Stato-regioni, ha specificato che l'omissione della partecipazione previa in caso d'urgenza, cosi' come posta dalla norma impugnata, deve ritenersi "non illegittima" soltanto se "la previsione del parere o dell'intesa, pur giustificata dagli interessi costituzionali in gioco, discende da una scelta del legislatore statale non direttamente imposta da norme costituzionali o comunque sovraordinate ... Nei casi, invece, in cui il parere della conferenza o l'intesa con la medesima si configuri, in concreto, come espressione di un vincolo costituzionale discendente dalla particolarita' dell'oggetto, o di obblighi comunque non derogabili dal legislatore ordinario, non potrebbe lasciarsi alla determinazione del Governo, nemmeno in nome di ragioni di urgenza, la scelta fra la sottoposizione dell'atto alla conferenza in via preventiva, ai fini del parere o dell'intesa, e sottoposizione ad essa, in via successiva dell'atto adottato senza previo parere o previa intesa". La statuizione della Corte, sebbene intervenuta in ordine ad una fattispecie diversa da quella in questione - derogabilita' del parere/intesa con la conferenza Stato-regioni per motivi di urgenza -, puo' tuttavia ritenersi ad essa applicabile. Nel caso di specie, infatti, la "particolarita' dell'oggetto" - materia espressamente attribuita dall'art. 117 della Costituzione alla competenza delle regioni - imponeva, senza possibilita' di deroghe, che il parere delle regioni, nel caso di specie della conferenza Stato-regioni - quale organismo facente parte, ai sensi dell'art. 8, comma 1, del d.lgs. 281/1997, con la conferenza Stato-citta', della Conferenza unificata - fosse acquisito obbligatoriamente, su tutte le disposizioni e nel rispetto delle volonta' e delle dichiarazioni rese in conferenza. 3. - Violazione degli artt. 117, 118 e 3 della Costituzione, anche in relazione al d.lgs. n. 112/1998, al d.lgs. n. 281/1997, alla giurisprudenza costituzionale in materia di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, nonche' dell'art. 76 Cost., in relazione all'art. 2, comma 1, lett. b) e lett. h) della legge n. 419 del 1998, da parte dell'art. 1, recante "modificazioni all'art. 1 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". L'art. 1 del d.lgs. n. 229/1999 sostituisce l'art. 1 del d.lgs. n. 502/1992. 3.1. - Nell'introdurre il comma 10 del nuovo art. 1, l'art. 1 del d.lgs. n. 502/1992, indica, alle lettere da a) ad i), i contenuti del Piano sanitario nazionale. Alle lett. b) ed h) del comma 10, si prevede, rispettivamente che il Piano sanitario nazionale indichi i "livelli essenziali di assistenza sanitaria da assicurare per il triennio di validita' del Piano" e le "linee guida e i percorsi diagnostico terapeutici allo scopo di favorire, all'interno di ciascuna struttura sanitaria, lo sviluppo di modalita' sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica e assistenziale e di assicurare l'applicazione dei livelli essenziali di assistenza". Tali disposizioni disciplinano con estremo dettaglio materie di sicura competenza regionale violando, conseguentemente, gli artt. 117 e 118 della Costituzione, anche in relazione a quanto stabilito dalla giurisprudenza costituzionale in materia (cfr. per tutte la sentenza n. 355/1995). La lett. h) del comma 10, oltre a contenere una previsione (come dire?) presuntuosa (come puo' mai un Piano di livello nazionale indicare i "percorsi diagnostico-terapeutici" applicabili o comunque validi "all'interno di ciascuna struttura sanitaria"?), viola gravemente la lett. h) del comma 1 dell'art. 2 della legge delega, che, piu' saggiamente, aveva dato mandato al Governo di "definire linee guida al fine di individuare le modalita' di controllo e verifica, da attuare secondo il principio di sussidiareta' istituzionale e sulla base anche di appositi indicatori, dell'appropriatezza delle prescrizioni e delle prestazioni di prevenzione, di diagnosi, di cura e di riabilitazione...". 3.2. - Nell'introdurre il comma 14 del nuovo art. 1 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 1 del d.lgs. n. 229 prevede l'obbligo per le regioni di trasmettere al Ministro della sanita' gli schemi dei piani sanitari regionali allo scopo di acquisire il parere dello stesso per quanto attiene alla coerenza dei medesimi con gli indirizzi del Piano sanitario nazionale. Tale disposizione, imponendo alle regioni di adeguare i loro piani sanitari agli indirizzi fissati dal Piano unitario nazionale e prevedendo, per di piu', che la conformita' dei suddetti piani al Piano sanitario nazionale venga verificata dal Ministro della sanita', risulta fortemente invasiva delle competenze costituzionalmente riconosciute in materia alle regioni e recentemente confermate dal d.lgs. n. 112/1998 che, all'art. 115, comma 2, lett. a) ha trasferito alle regioni le funzioni e i compiti relativi "all'approvazione dei piani e dei programmi di settore non aventi rilievo e applicazione nazionale". Tale disposizione, inoltre, disattende il parere espresso dalla conferenza dei Presidenti in data 6 maggio 1999. Tra le osservazioni relative ad emendamenti da apportare ritenuti essenziali vi era infatti la seguente: "Le regioni ritengono che il parere del Governo sul Piano sanitario regionale non debba estendersi oltre la valutazione della corrispondenza generale dei contenuti dei piani sanitari regionali ai principi ed agli indirizzi del P.S.N.". Vanno, inoltre, mosse rispetto a tale disposizione le censure gia' rivolte al par. 2 a tutte quelle disposizioni del decreto nella cui formulazione non si e' tenuto conto delle osservazioni regionali. 3.3. - Al comma 17 dell'art. 1 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 1 del d.lgs. n. 229 stabilisce che "trascorso un anno dall'entrata in vigore del Piano sanitario nazionale senza che la regione abbia adottato il piano sanitario regionale, alla regione stessa non e' consentito l'accreditamento di nuove strutture". Tale disposizione va censurata sotto molteplici profili. In primo luogo risulta lesiva delle competenze riconosciute alle regioni in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera dagli artt. 117 e 118 della Costituzione e confermate dalla giurisprudenza costituzionale in materia di accreditamento. A tal proposito, codesta ecc.ma Corte, pronunciandosi in ordine alla legittimita' costituzionale dell'accreditamento transitorio disposto dalla legge n. 724/1994, con sentenza n. 416/1995, aveva statuito che: "premesso che l'accreditamento delle strutture sanitarie consiste nel riconoscimento, ad opera delle regioni del possesso, in capo ad organismi sanitari di cura, di specifici requisiti - c.d. ''standard'' di qualificazione - e si risolve nell'iscrizione in un elenco al quale gli utenti delle prestazioni sanitarie possono attingere l'art. 6, comma 6, legge 23 dicembre 1994, n. 724, che prevede un diritto di accreditamento - automatico per il biennio 1995-1996 - delle strutture in possesso dei requisiti di cui all'art. 8, comma 4, d.-l. 30 dicembre 1992, n. 502, come stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento governativo emanato d'intesa con la conferenza permanente Stato-regioni non contrasta con gli artt. 117, 118 e 119 Cost.; tale sistema non altera, infatti gli equillbri attualmente esistenti nel settore, ne' incide, scavalcandoli sui poteri amministrativi regionali in quanto il diritto e' pur sempre subordinato all'accettazione del nuovo meccanismo della remunerazione delle prestazioni su base di tariffe ed all'espletamento dei poteri di autotutela e di verifica regionale sul rispetto della predetta condizione e sul permanere dei requisiti salva inoltre la facolta' delle regioni di aumentare, con nuovi accertamenti il numero degli accreditamenti in atto". D'altra parte lo stesso d.lgs. n. 112/1998 appare rispettoso delle competenze regionali in materia di accreditamento: l'art. 115, comma 1, lett. g), ha, infatti, riservato allo Stato esclusivamente "la definizione di un modello di accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private". In secondo luogo viola l'art. 3 della Costituzione, creando ingiustificate situazioni di disparita' di trattamento tra le diverse regioni in ordine all'accreditamento delle strutture sanitarie. In terzo luogo si pone in palese contrasto con gli obiettivi fissati dal decreto stesso all'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 8-ter, commi 3 e 4. Tale disposizione, infatti, nel subordinare i progetti per la realizzazione di strutture sanitarie alla verifica di compatibilita' da parte delle regioni, stabilisce che tale verifica deve essere effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale "anche al fine di meglio garantire l'accessibilita' ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture". Evidente e' poi ancora una volta la violazione del criterio direttivo (art. 2, comma 1, lett. b), della legge delega) di "completare la regionalizzazione ... del Servizio sanitario nazionale". Dunque, da un lato, decreto impone, nel processo di autorizzazione alla realizzazione di nuove strutture sanitarie, il perseguimento di obiettivi chiaramente condivisibili e concretamente perseguiti dalla regione Lombardia, quali quello di migliorare l'accessibilita' ai servizi e quello di valorizzare le aree di prioritario insediamento di nuove strutture; dall'altro, con l'intento di penalizzare le regioni che non abbiano adottato i piani sanitari regionali, impedisce l'accreditamento di nuove strutture, non solo contravvenendo agli obiettivi prefissatisi ma, per di piu', penalizzando, di fatto, i cittadini a tutela degli interessi dei quali aveva, in definitiva, imposto il perseguimento di quegli obiettivi. 3.4. - L'art. 1, comma 18, del d.lgs. n. 502, cosi' come altri luoghi del nuovo decreto (v. ad esempio il nuovo art. 9-bis, sulle sperimentazioni gestionali) introduce una discriminatoria differenziazione a favore degli enti privati non profit. Nel rispetto profondo che la regione Lombardia ha nei confronti di tali soggetti, non puo' non essere notato che questa posizione di privilegio appare ingiustificata: il principio che deve ispirare l'intervento programmatorio in materia sanitaria e' la parita' di posizioni, nel contribuire al raggiungimento degli obiettivi del Servizio sanitario, tra operatori pubblici, operatori privati e operatori non profit, non essendo accettabili differenziazioni - che assumerebbero un aspetto discriminatorio - basate non gia' sull'oggetto della prestazione, bensi' sulla natura del soggetto che la svolge. 4. - Violazione degli artt. 5, 76, 117 e 118 della Costituzione, in relazione all'art. 2, comma 1, lett. b, della legge n. 419 del 1998 e agli artt. 115 e 5 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, da parte dell'art. 2, recante "Modificazioni all'art. 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". 4.1. - L'art. 2, nell'introdurre dopo il comma 2 dell'art. 2 del d.lgs. n. 502/1992 ulteriori commi, detta una serie di disposizioni in ordine ai Piani sanitari regionali. In particolare, al comma 2-ter, l'art. 2 stabilisce che il Piano sanitario regionale e' sottoposto alla conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale, ed e' approvato previo esame delle osservazioni eventualmente formulate dalla conferenza. Tale disposizione prevede, inoltre, che la conferenza partecipa alla verifica della realizzazione del Piano attuativo locale da parte delle Aziende ospedaliere e dei piani attuativi locali. Il comma 2-quinquies prevede, inoltre, che "la legge regionale disciplina il rapporto tra programmazione regionale e programmazione attuativa locale, definendo in particolare la procedura di proposta, adozione e approvazione del piano attuativo locale e le modalita' di partecipazione ad esse degli enti locali interessati. Nelle aree metropolitane il piano attuativo metropolitano e' elaborato dall'organismo di cui al comma 2-quater, ove costituito". Tali disposizioni eccedono, in maniera evidente, la delega contenuta nell'art. 2, comma 17 lett. aa) della legge n. 419/1998. L'art. 2, comma 1, lett. aa, della legge n. 419/1998, delega infatti, il Governo a "ridefinire il ruolo del Piano sanitario nazionale, nel quale sono individuati gli obiettivi di salute, i livelli uniformi ed essenziali di assistenza e le prestazioni efficaci ed appropriate da garantire a tutti i cittadini a carico del Fondo sanitario nazionale; demandare ad appositi organismi scientifici del Servizio sanitario nazionale l'individuazione dei criteri di valutazione qualitativa e quantitativa delle prestazioni sanitarie, disciplinando la partecipazione a tali organismi delle societa' scientifiche accreditate, anche prevedendo sistemi di certificazione della qualita'". Nel dettare la disciplina relativa alla programmazione sanitaria regionale e alle forme di coordinamento di questa con quella regionale, le norme indicate eccedono i limiti della delega posti dall'art. 2, comma 1, lett. aa) della legge n. 419/1998, ed interferiscono indebitamente sul le competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni, ponendosi in aperta violazione con gli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione. Nulla si dispone, infatti, nella legge delega in ordine ad un ripensamento e ad una riorganizzazione dei piani sanitari regionali; nulla ancora si dice in ordine alle modalita' di approvazione del piano regionale; nulla infine si prevede in ordine alla strutturazione della pianificazione sanitaria infraregionale. E' peraltro giurisprudenza consolidata quella secondo cui nelle materie regionali le forme di coinvolgimento degli enti locali e le forme di pianificazione infraregionale sono di spettanza della potesta' legislativa regionale (v. da ultimo sent. n. 408 del 1998). Cosi', anche a voler concedere che i commi 2-ter e 2-quinquies non esorbitino dalla delega, rimane comunque incontestabile la violazione dell'autonomia regionale nella parte in cui si pretende di disegnare procedure e strumenti per la pianificazione sanitaria regionale e infraregionale. D'altra parte lo stesso d.lgs. n. 112/1998, recante "Conferimento di funzioni e Compiti amministrativi dallo Stato alle regioni e agli enti locali in attuazione del Capo I della legge n. 59/1997", all'art. 115, comma 2, lett. a) ha conferito alle regioni le funzioni concernenti "l'approvazione dei piani e dei programmi di settore non aventi rilievo e applicazione nazionale", riservando allo Stato, al comma 1, lett. a), l'adozione del Piano sanitario nazionale d'intesa con la conferenza unificata. 4.2. - L'art. 2, nella parte in cui aggiunge il comma 2-octies all'art. 2 del d.lgs. n. 502/1992, stabilisce che "salvo quanto diversamente disposto, quando la regione non adotta i provvedimenti previsti dai commi 2-bis e 2-quinquies, il Ministro della sanita', sentite la regione interessata e l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, fissa un congruo termine per provvedere; decorso tale termine, il Ministro della sanita', sentito il parere della medesima Agenzia e previa consultazione della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, propone al Consiglio dei Ministri l'intervento sostitutivo, anche sotto forma di nomina di un Commissario ad acta. L'intervento adottato dal Governo non preclude l'esercizio delle funzioni regionali per le quali si e' provveduto in via sostitutiva ed e' efficace fino a quando i competenti organi regionali abbiano provveduto". Tale disposizione non rispetta le norme procedurali - espressione di principi consolidati nella giurisprudenza della Corte costituzionale - dettate dal d.lgs. n. 112/1998 in materia di poteri sostitutivi statali nei confronti delle regioni, violando conseguentemente gli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione. A tal proposito il d.lgs. n. 112/1998, che ha conferito alle regioni, ad eccezione di quelle riservate allo Stato dall'art. 115, comma 1, le funzioni e i compiti amministrativi in materia di "salute umana" all'art. 5, commi 1 e 2, nel disciplinare l'esercizio dei poteri sostitutivi statali nei confronti delle regioni, prevede che "con riferimento alle funzioni e ai compiti spettanti alle regioni e agli enti locali, in caso di accertata inattivita' che comporti inadempimenti agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea o pericolo di grave pregiudizio agli interessi nazionali, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia, assegna all'ente inadempiente un congruo termine per provvedere. Decorso inutilmente tale termine, sentito il soggetto inadempiente, nomina un Commissario che provvede in via sostitutiva". Dal confronto delle due norme risulta evidente che l'art. 2 del d.lgs. n. 229, nella parte in cui aggiunge il comma 2-octies all'art. 2 del d.lgs. n. 502/1992, nel prevedere che sia il Ministero della sanita' a fissare un termine affinche' la regione provveda ai sensi dei commi 2-bis e 2-quinquies, non rispetta l'art. 5 del d.lgs. n. 112/1998 che, al contrario, attribuisce tale potere al Presidente del Consiglio dei Ministri. La giurisprudenza della Corte costituzionale e' comunque consolidata nel senso che i poteri sostitutivi devono essere esercitati da un'autorita' di Governo (v. sent. n. 386 del 1991). D'altra parte, un vizio non dissimile era stato censurato gia' dalla sentenza n. 335 del 1993, che aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 6, del d.lgs. n. 502, nella parte in cui attribuiva il potere sostitutivo al Ministro della sanita': in quel caso, il vizio fatto valere era l'eccesso di delega, giacche' la legge delega stessa attribuiva potere sostitutivo e diffida al Consiglio dei Ministri; in questo caso, nulla dicendo la delega in proposito, non possono non rimanere fermi i principi consolidati della giurisprudenza della Corte, cosi' come recepiti dal d.lgs. n. 112, secondo cui l'intervento sostitutivo e' di spettanza del Consiglio dei Ministri. La diffida e' evidentemente strumentale all'esercizio del - potere sostitutivo e non puo' non soggiacere alla stesse regole procedimentali e sostanziali dell'intervento sostitutivo: per queste ragioni, l'attribuzione del potere di diffida al Ministro della sanita' appare in palese violazione dei consolidati principi in materia. 4.3. - Devono, inoltre, ritenersi insussistenti nel caso di specie le condizioni alla presenza delle quali l'art. 5 del d.lgs. n. 112/1998 subordina l'esercizio dei poteri sostitutivi statali: va assolutamente escluso, infatti, che dalla mancata attuazione da parte delle regioni delle disposizioni di cui ai commi 2-bis e 2-quinquies possano derivare forme di inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza alla Unione europea o pericolo di grave pregiudizio agli interessi nazionali. A tal proposito il comma 2-bis prevede la costituzione, da parte delle regioni della conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale, individuandone quali componenti il sindaco del comune, nel caso in cui l'ambito territoriale dell'ASL coincida con quello del comune; il presidente della conferenza dei sindaci, ovvero il sindaco o i presidenti di circoscrizione, nei casi in cui l'ambito territoriale dell'ASL sia, rispettivamente, superiore o inferiore al territorio del comune, nonche' rappresentanti regionali delle autonomie locali. Il successivo comma 2-quinquies attribuisce, rispettivamente, alle regioni il compito di disciplinare il rapporto tra programmazione regionale e programmazione attuativa locale, nonche' quello di definire la procedura di proposta, adozione e approvazione del piano attuativo locale e le modalita' di partecipazione ad esse degli enti locali interessati, e ad un apposito organismo, da costituire ai sensi del comma 2-quater, l'elaborazione del piano attuativo metropolitano. Si tratta di procedure e strumenti che attengono, per definizione, all'interesse regionale e infraregionale, e, come tali, non possono coinvolgere l'appartenenza all'Unione europea, ne' mettere in pericolo gli interessi nazionali (cfr. sentenza n. 126 del 1996). 4.4. - La disposizione dell'art. 2, nella parte in cui aggiunge il comma 2-octies all'art. 2 del d.lgs. n. 502/1992, risulta, inoltre, lesiva dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta alle regioni, nella parte in cui chiama l'Agenzia per servizi sanitari regionali ad esprimere parere al Ministro della sanita' in ordine all'inerzia o al ritardo delle regioni nell'attuazione delle disposizioni di cui ai commi 2-bis, 2-quinquies. A tal proposito va sottolineato che l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, secondo quanto stabilito dall'art. 5 del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266, con il quale essa e' stata istituita, e' nata come struttura di supporto delle attivita' regionali in materia sanitaria. Tale natura dell'Agenzia e' stata ribadita anche dal d.m. 22 febbraio 1994, n. 233, con il quale, in attuazione di' quanto stabilito dall'art. 5 del d.lgs. n. 266/1993, ne sono stati meglio specificati compiti e attribuzioni, e dal d.lgs. 31 marzo 1995, n. 115, recante "Completamento del riordino dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, a norma degli artt. 1 e 3, comma 1, lett. c) della legge n. 59/1997". In piena contraddizione con lo scopo per cui e' stata istituita, essa ora viene chiamata dalla norma impugnata ad esprimere parere in ordine all'adozione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri dei poteri sostitutivi previsti per l'ipotesi di inerzia delle regioni. Dunque, pur continuando a fornire supporto all'attivita' delle regioni, essa viene contemporaneamente deputata a svolgere funzioni di controllo delle attivita' regionali, essendo investita della valutazione, ai fini dell'applicazione dei poteri sostitutivi nei confronti delle regioni di quella stessa attivita' cui fornisce supporto. A tal proposito codesta ecc.ma Corte, pronunciandosi in ordine alla legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1 del d.lgs. n. 266/1993, ha escluso che le attribuzioni riconosciute da tale norma all'Agenzia per i servizi sanitari regionali siano tali da configurare forme di controllo lesive dell'autonomia regionale e cio' in quanto esse "anche quando presentano un contenuto di valutazione dell'attivita' regionale, non comportano - a differenza di quanto accade nell'attivita' di controllo in senso tecnico - un riesame di tali attivita' in vista dell'adozione di specifiche misure destinate ad incidere (anche con effetti paralizzanti) nella sfera del soggetto controllato, quanto a raccogliere elementi informativi e di comparazione in grado di orientare lo Stato (e, in particolare, il Ministero della sanita') ai fini della determinazione delle scelte di politica sanitaria nazionale funzionali al miglioramento della qualita' dell'assistenza" (sent. n. 128/1994). Nel caso di specie, invece, la valutazione dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali ha tutte le caratteristiche di un controllo in senso tecnico, in quanto evidentemente finalizzato all'adozione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri dei poteri sostitutivi destinati ad incidere nella sfera del soggetto controllato. 5. - Violazione degli artt. 117, 118, 76 e 97 della Costituzione, da parte dell'art. 3 recante "Modificazioni all'art. 3 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502" L'art. 3 sostituisce il comma 1 dell'art. 3 d.lgs. n. 502/1992, abroga alcuni commi di tale articolo e aggiunge ad esso gli artt. da 3-bis a 3-octies. 5.1. - Al comma 2, l'art. 3 prevede abrogazioni di periodi all'interno di singoli commi, con possibili rischi di incomprensione del testo effettivamente in vigore (cfr. in particolare le abrogazioni concernenti il comma 6 dell'art. 3 d.lgs. n. 502/1992). 5.2. - Nella parte in cui introduce l'art. 3-bis, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 3 stabilisce che "i provvedimenti di nomina dei direttori generali delle unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere sono adottati esclusivamente con riferimento ai requisiti di cui al comma 3". Il successivo comma 3 richiede il possesso dei i seguenti requisiti: a) diploma di laurea; b) esperienza almeno quinquennale di direzione tecnica o amministrativa in enti aziende, strutture pubbliche o private, in posizione dirigenziale con autonomia gestionale e diretta responsabilita' delle risorse umane, tecniche o finanziarie, svolta nei dieci anni precedenti la pubblicazione dell'avviso. L'art. 3, nella parte in cui aggiunge l'articolo 3-bis commi 1 e 3, all'art. 3 del d.lgs. n. 502/1992, risulta lesivo delle competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, in quanto sembra non lasciare alcuno spazio alle regioni per l'individuazione di ulteriori requisiti per la nomina dei direttori generali. La stessa legge n. 419/1998 aveva gia' aggiunto all'art. 3, comma 6, del d.lgs. n. 502/1992 la seguente disposizione: "i provvedimenti di nomina dei direttori generali delle aziende unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere sono adottati esclusivamente con riferimento ai requisiti di cui all'art. 1 del d.lgs. 27 agosto 1994, n. 512, convertito dalla legge 17 ottobre 1994, n. 590, senza necessita' di valutazioni comparative". A dire il vero, l'accento nella modifica introdotta dalla legge n. 419 sembrava essere posto sull'inciso "senza necessita' di valutazioni comparative", con cui venivano recepite le indicazioni della giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia (che aveva corretto la giurisprudenza di alcuni t.a.r.). A seguito degli interventi modificativi, rispettivamente della legge 419/1998 e del d.lgs. n. 229, il nuovo art. 3 del d.lgs. n. 502, al comma 6 rinvia ai requisiti disciplinati dal d.-l. n. 512/1994 e, all'art. 3-bis, indica quelli introdotti dal d.lgs. n. 229. Pur nel carattere sostanzialmente analogo, dovrebbero ritenersi prevalenti i requisiti posti dal nuovo art. 3-bis. Il punto dolente e', tuttavia, quello dello spazio regionale nella individuazione e determinazione dei requisiti. Se con il termine "esclusivamente" si volesse indicare che le regioni non possono porre ulteriori requisiti per la nomina dei direttori (naturalmente, deve trattarsi di requisiti razionali rispetto allo scopo), si sarebbe di fronte ad una totale estromissione delle regioni, che appare idonea a falsare gravemente la collocazione dei direttori generali, impedendo alla regione una seria programmazione sanitaria. Tale previsione risulta, pertanto, idonea a ledere, oltre le competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni in materia sanitaria dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, anche il principio di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall'art. 97 Cost. 5.3. - L'art. 3, inoltre, aggiunge all'art. 3 del d.lgs. n. 502/1992 l'art. 3-ter. Ai primi tre commi dei nuovo art. 3-ter del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 3 istituisce il collegio sindacale, disciplinandone funzioni, durata in carica e composizione. Al comma 4 del l'art. 3-ter, l'art. 3 stabilisce che "i riferimenti contenuti nella normativa vigente al collegio dei revisori delle aziende unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere si intendono applicabili al collegio sindacale di cui al presente articolo". Con tali disposizioni, sostanzialmente, l'art. 3 sostituisce il collegio dei revisori, organo delle ASL, con il collegio sindacale eccedendo in maniera evidente i limiti posti dalla legge delega. L'art. 2, comma 1, lett. ii), della legge n. 419/1998, delega, infatti, il Governo esclusivamente a "precisare i criteri distintivi e gli elementi caratterizzanti per l'individuazione delle aziende unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, con particolare riguardo alle caratteristiche organizzative minime delle stesse e al rilievo nazionale o interregionale delle aziende ospedaliere". Ebbene "precisare" i criteri distintivi e gli elementi caratterizzanti delle ASL e delle AO non equivale a "stravolgere" completamente quelli preesistenti. Il tenore della disposizione di cui all'art. 2, comma.1, lett. ii) esclude in maniera evidente una delega alla sostituzione degli organi delle ASL. L'art. 3, nella parte in cui introduce l'art. 3-ter del d.lgs. n. 502/1992 si pone in contrasto, pertanto, con l'art. 76 della Costituzione, violando contestualmente le competenze organizzative riconosciute alle regioni in materia sanitaria. A tal proposito, con una recente sentenza, codesta ecc.ma Corte ha affermato che: "la potesta' di emanare norme per l'organizzazione, la gestione e il funzionamento delle U.S.L. e dei loro servizi, come anche il generale potere di vigilanza sulle stesse strutture, rientrano nella materia dell'"assistenza sanitaria e ospedaliera" di competenza regionale ex art. 117 Cost." (sentenza n. 156/1996). Anche l'individuazione dei criteri per la scelta dei componenti del collegio sindacale denota la mancanza di garanzie di oggettivita' in ordine alla designazione dei membri di provenienza statale. Il comma 3 stabilisce, infatti, che i componenti del collegio sindacale sono scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero di grazia e giustizia, "ovvero tra funzionari del Ministero del tesoro, bilancio e programmazione economica che abbiano esercitato per almeno tre anni le funzioni di revisori dei conti o di componenti dei collegi sindacali". Alle stesse censure si espone l'art. 17, recante "Norme transitorie", al comma 1, dove si stabilisce che "I collegi sindacali di cui all'art. 3-ter del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, introdotto dall'art 3, comma 3, del presente decreto, sono costituiti entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, che modifica il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni". 5.4. - L'art. 3, nella parte in cui aggiunge all'art. 3 del d.lgs. n. 502/1992 gli artt. 3-quater, 3-quinquies, e 3-sexies, detta disposizioni dettagliate in ordine ai distretti, disciplinandone funzioni, risorse ed organi. Tale disciplina dei distretti eccede ampiamente la delega di cui all'art. 2, comma 1, lett. bb) della legge n. 419/1998. Va a tal proposito premesso che la regione Lombardia conferma le censure di incostituzionalita' mosse, con ricorso notificato in data 5 gennaio 1999, alla disposizione dell'art. 2, comma 1, lett. bb) della legge n. 419/1998, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, comunque richiamate infra sub par. 18. Tuttavia, ammesso che tale disposizione della legge di delega fosse da ritenersi legittima, deve rilevarsi che il Governo nel dettare la disciplina contenuta nell'art. 3, nella parte in cui aggiunge all'art. 3 del d.lgs. n. 502/1992, gli artt. 3-quater, 3-quinquies e 3-sexies, non ha rispettato nemmeno i limiti posti da tale disposizione. L'art. 2, comma 1, lett. bb), delega infatti al Governo il compito "di individuare tempi e modalita' per l'attivazione dei distretti, per l'attribuzione agli stessi delle risorse, per l'integrazione nell'organizzazione distrettuale dei medici di medicina generale e dei pediatra di libera scelta". In violazione di tale disposizione l'art. 3, detta una disciplina estremamente dettagliata in ordine ai distretti, al punto di prevederne la popolazione minima, gli strumenti operativi e gli organismi di direzione. Nella parte in aggiunge all'art. 3 del d.lgs. n. 502/1992, gli artt. 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, l'art. 3 risulta pertanto viziato di illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 76 della Costituzione. Tale disposizione, inoltre, nel dettare una disciplina eccessivamente dettagliata dei distretti, finisce per violare le competenze riconosciute alle regioni in materia sanitaria dagli artt. 117 e 118 della Costituzione e confermate dalla stessa giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte. Alle regioni, infatti, spetta il potere non solo stabilire i tempi e le modalita' di attivazione dei distretti, ma anche, e, soprattutto quello di individuarne la popolazione minima, gli strumenti operativi e gli organismi di direzione. Il testo della disposizione impugnata risulta, pertanto, in palese, eclatante contrasto con il principio di autonomia regionale. Il legislatore statale potra' prevedere strutture di base diverse; potra' sbizzarrirsi a cambiare nome o altro; ma non puo' certo sostituirsi alla regione nel dettare la disciplina organizzativa dei distretti. Si aggiunga che la regione Lombardia, in attuazione del d.lgs. n. 502/1992, ha provveduto non solo a disciplinare, con la l.r. n. 31/1997, l'organizzazione delle Aziende sanitarie e l'articolazione delle stesse in distretti, presidi, dipartimenti, servizi, unita' operative ed uffici, ma anche ad attivare le strutture organizzative in essa contemplate. Codesta ecc.ma Corte ha piu' volte ribadito il principio in base al quale le disposizioni dirette a porre principi concernenti l'organizzazione delle unita' sanitarie locali vanno considerate come norme fondamentali di riforma economico sociale (sentenze nn. 274 e 107/1988). Ma, nell'ambito di questo orientamento, ha precisato che neppure una riforma economico-sociale puo' integralmente estromettere le regioni dalle materie di loro competenza (sentenza n. 219/1984) e che le eventuali disposizioni di dettaglio che accompagnino le predette norme fondamentali sono tali da vincolare l'esercizio delle competenze regionali soltanto ove siano legate con i principi della riforma da un rapporto di coessenzialita' e di necessaria integrazione (sentenza n. 99/1987). Nella sentenza n. 355/1993, inoltre, questa ecc.ma Corte chiamata a decidere la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 (Organizzazione delle Unita' sanitarie locali) del d.lgs. n. 502/1992, sollevata da una regione sul presupposto che tale disposizione fosse da ritenersi lesiva della potesta' organizzativa regionale, in quanto contenente norme di estremo dettaglio, ha individuato diverse categorie di norme di dettaglio, distinguendo "quelle organicamente legate ai principi affermati al fine di definirne piu' precisamente il contenuto" e quelle che "stabiliscono requisiti minimi, rispondenti ad un interesse nazionale, che le regioni debbono rispettare" da quelle che "sono poste dal legislatore statale al fine di soddisfare l'esigenza di una piu' sollecita operativita' delle norme organizzative". E, nell'affermare la legittimita' costituzionale di tutti e tre gruppi di norme, con riferimento al terzo gruppo, ha stabilito che "tali norme, a causa della ratio che le ispira, hanno un carattere dispositivo verso le regioni, nel senso che queste ultime nell'esercizio delle loro competenze possono derogare ad esse, fermo restando il vincolo della congruita' delle disposizioni regionali rispetto al principio sotteso alle disposizioni di dettaglio adottate in via dispositiva dallo Stato". Con riferimento al caso di specie, va escluso che le norme dettate dall'art. 3 del d.lgs. n. 229 e inserite nelle disposizioni degli artt. 3-quater, 3-quinquies e 3-sexies, possano rientrare in alcuna delle categorie individuate nella sentenza n. 355/1993. Se, infatti, e' piu' che evidente l'impossibilita' di far rientrare tali norme nei primi due gruppi individuati da tale sentenza, appare molto improbabile che esse possano ritenersi ricomprese nel terzo gruppo. Tali norme, infatti, piu' che "sollecitare l'operativita' delle norme organizzative", sostituiscono le norme organizzative gia' dettate dalla regione. A tal proposito, con la sentenza n. 156/1996 codesta ecc.ma Corte ha precisato che "la struttura organizzativa, intesa come articolazione degli uffici e dei compiti delle citate unita' sanitarie, deve ritenersi ricompresa tra quelle competenze che fanno capo alla regione (sentenza n. 174/1991), come anche il generale potere di vigilanza sulle stesse strutture". 6. - Violazione degli artt. 76, 117 e 118, 3 e 97 della Costituzione, del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 e del principio costituzionale di leale collaborazione tra Stato e regioni, da parte dell'art. 4, recante "Modifica dell'art. 4 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". 6.1. - L'art. 4, al comma 3, del d.lgs. n. 229 abroga il comma 4 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992. Il comma 4 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992 prevedeva la facolta' delle regioni di "costituire in azienda i presidi ospedalieri in cui insiste la prevalenza del percorso formativo del triennio clinico della facolta' di medicina e chirurgia, i presidi ospedalieri che operano in strutture di pertinenza dell'universita', nonche' gli ospedali destinati a centro di riferimento della rete di servizi di emergenza, dotati del dipartimento di emergenza come individuato ai sensi dell'art. 9 del d.P.R. 27 marzo 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 31 marzo 1992 e successive modificazioni e integrazioni, e che siano, di norma, anche dotati di elisoccorso". L'abrogazione di tale disposizione sembrerebbe comportare il venir meno della possibilita' da parte delle regioni di costituire Aziende ospedaliere di rilievo regionale, il tenore delle altre disposizioni dell'art. 4 del d.lgs. n. 229, che dettano essenzialmente la disciplina delle Aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale, comporterebbe secondo una interpretazione filogovernativa, l'intenzione del legislatore delegato di vietare la costituzione di Aziende ospedaliere regionali. Tale divieto, posto dal Governo, non trova peraltro alcun fondamento nelle indicazioni fornite dal Parlamento nella legge delega. L'art. 2, comma 1, lett. ii), della legge n. 419/1998, delega, infatti, il Governo esclusivamente a "precisare i criteri distintivi e gli elementi caratterizzanti per l'individuazione delle aziende unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, con particolare riguardo alle caratteristiche organizzative minime delle stesse e a rilievo nazionale o interregionale delle aziende ospedaliere". Ora, se si tiene a mente che l'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992 disciplinava l'istituzione delle Aziende ospedaliere sulla base della individuazione degli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, fissandone i requisiti, e prevedeva altresi' la costituzione in aziende da parte delle regioni di alcuni presidi ospedalieri, appare evidente che l'interpretazione che il legislatore delegato ha dato della delega e' del tutto fuorviante (oltre ad essere, come si vedra' piu' avanti, totalmente infondata nel merito e lesiva dell'autonomia regionale). E, infatti, il legislatore delegato, con riferimento alle aziende ospedaliere deve: precisarne i criteri distintivi e gli elementi caratterizzanti; individuare le caratteristiche organizzative minime; individuare infine, i casi e le tipologie in cui si ha rilievo nazionale o interregionale delle aziende ospedaliere. L'interpretazione letterale permette (anzi, impone) di ritenere che l'individuazione delle "caratteristiche organizzative minime" si riferisca anche alle aziende ospedaliere, cosicche' esistono presidi ospedalieri che hanno "caratteristiche organizzative minime", tali da permetterne l'istituzione in azienda ospedaliera, diversi da quelli che possono, con procedura particolare, essere riconosciuti come aziende di rilievo nazionale o interregionale. Il testo della legge delega permette (anzi, impone), dunque, di ritenere che tra le aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale e quelle non aventi le caratteristiche organizzative minime (fissate a livello centrale) vi sia uno spazio che ben puo' (continuare ad) essere disciplinato dalle regioni, nella loro autonomia. Nulla autorizza ad interpretare la legge delega come fonte di un divieto di istituzione di aziende ospedaliere regionali; nulla permette di dedurre una riduzione dei poteri regionali; in ogni caso, trattandosi di una facolta' regionale, ricadente in materia tipicamente regionale quale quella della sanita', un siffatto divieto avrebbe dovuto essere posto esplicitamente. Un evidente sintomo della forzatura compiuta dal Governo e' dato dal fatto che il decreto ha dovuto provvedere ad abrogare esplicitamente il comma 4 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502: se l'esclusione delle aziende ospedaliere regionali fosse discesa direttamente dalla legge di delega, l'abrogazione del comma 4 da parte del testo governativo non sarebbe stata necessaria. Ne' valga dire che la previsione abrogatrice serve a rendere piu' chiara la voluntas legis: il legislatore delegato non puo' effettuare operazioni abrogatrici che non siano gia' ricomprese nella delega; e, come si e' visto, nulla autorizza ad interpretare la legge n. 419 del 1998 siccome fonte di un divieto di istituire aziende ospedaliere regionali. Non diversamente ha argomentato la sentenza n. 355 del 1993, dichiarando l'incostituzionalita' dell'art 4, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, nella parte in cui prevedeva la costituzione in aziende ospedaliere di ospedali diversi da quelli previsti dalla legge delega. Il principio, in quello, come in questo caso, e' quello dell'interpretazione stretta della legge delega: se, in quel caso, la ratio era quella della creazione di "un sistema chiuso per gli ospedali di rilievo nazionale"; in questo caso, non esiste nella legge delega una ratio tendente a limitare i poteri regionali. L'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 229/1999, risulta, pertanto viziato di eccesso di delega e, come tale, si pone in aperta violazione dell'art. 76 della Costituzione. Non puo' peraltro non essere rimarcata l'irragionevolezza ed incongruenza di una disposizione che vorrebbe vietare (tornando indietro da una precedente esperienza positiva, senza minimamente dar conto del perche' di questo re'virement!) ad una regione come la Lombardia, con piu' di nove milioni di abitanti, la possibilita' di decidere autonomamente quando si ha azienda ospedaliera di rilievo regionale. 6.2. - Il comma 2 dell'art. 4, nell'introdurre dopo il comma 1 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992, il comma 1-bis, definisce il procedimento di costituzione o di conferma dei presidi ospedalieri in Aziende ospedaliere (esclusivamente di natura interregionale o nazionale stabilendo che "nell'ambito della riorganizzazione della rete dei servizi conseguente al riordino del sistema delle aziende previsto dal presente decreto, le regioni possono proporre la costituzione o la conferma in aziende ospedaliere dei presidi ospedalieri in possesso dei seguenti requisiti". Al comma 1-quater, il d.lgs. n. 229 prosegue dettando la disciplina relativa alla costituzione e alla conferma delle Aziende ospedaliere. Tale disposizione impone, rispettivamente, alle regioni, il compito di trasmettere, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto, al Ministro della sanita' le proprie indicazioni ai fini dell'individuazione degli ospedali di rilievo nazionale o interregionale da costituire in azienda ospedaliera avuto riguardo ai requisiti di cui al comma 1-bis; e al Ministro della sanita', di formulare - sulla base delle indicazioni pervenute dalle regioni, previa verifica dei requisiti e, in mancanza, sulla base di proprie valutazioni - le proprie proposte al Consiglio dei Ministri. Sempre ai sensi del comma 1-quater, il Consiglio dei Ministri individua gli ospedali da costituire in azienda ospedaliera, attivita' alla quale provvederanno le regioni entro i successivi sessanta giorni. I requisiti necessari ai fini della costituzione o della conferma dei presidi in Azienda ospedaliera - di natura esclusivamente nazionale o interregionale - sono individuati dal comma 2 dell'art. 4, nella parte in cui introduce il comma 1-bis, alle lettere da a) ad h). In particolare, alla lett. f), l'art. 4, prevede, quale requisito necessario ai fini della costituzione o della conferma dei presidi in Azienda ospedaliera, lo svolgimento da parte del presidio di "attivita' di ricovero in degenza ordinaria, nel corso dell'ultimo triennio, per pazienti residenti in regioni diverse, superiore di almeno il dieci per cento al valore regionale, salvo che per le aziende ubicate in Sicilia e in Sardegna". Alla successiva lett. g), si richiede la sussistenza di un "indice di complessita' della casistica dei pazienti trattati in ricovero ordinario, nel corso dell'ultimo triennio, superiore ad almeno il venti per cento del valore medio regionale". Tali disposizioni risultano fortemente lesive delle competenze regionali in materia di assistenza ospedaliera, in quanto non tengono conto della specificita' della natura e dei caratteri delle aziende ospedaliere lombarde. L'applicazione concreta alle aziende sanitarie lombarde dei requisiti di cui alla lett. f) - attivita' di ricovero ordinario, nel corso dell'ultimo triennio, per pazienti residenti in regioni diverse, superiore ad almeno il 10% rispetto al valore medio regionale e g) - indice di complessita' della casistica trattata in ricovero ordinario, nel corso dell'ultimo triennio, superiore ad almeno il 20% del valore medio regionale - e', infatti, suscettibile di dar luogo ad una evidente disparita' di trattamento rispetto alle aziende sanitarie di molte altre regioni d'Italia. Infatti, la media regionale della Lombarda, che storicamente registra un elevato indice di attrazione verso le proprie strutture dei residenti di altre regioni, risulta di gran lunga superiore a quella delle altre regioni e cio' sia per motivi di oggettiva disponibilita' delle prestazioni ed esclusivita' delle procedure, sia per motivi legati a condizioni socio-familiari. A seguito dell'applicazione dei requisiti di cui alle lett. f) e g) si rischia, pertanto, di creare, in alcune regioni, aziende ospedaliere regolarmente costituite con casistica ed indice di attrazione di gran lunga inferiore rispetto ai presidi lombardi che, a causa della situazione regionale, non potranno essere costituiti in aziende pur avendo un indice di attrazione e complessita' della casistica significativo. Anche all'interno della stessa regione potranno verificarsi, a seguito di tali disposizioni, situazioni paradossali: basti pensare ad alcuni presidi ospedalieri di confine rispetto a quelli situati nella cintura milanese. Inoltre, per la realta' della regione Lombardia, dove i soggetti erogatori sono stati, per la quasi totalita', inglobati nelle Aziende ospedaliere, la rilevazione della media risulta non attendibile proprio in ragione della circostanza che tutta l'attivita' specialistica risulta concentrata nelle aziende ospedaliere. La circostanza che la regione Lombardia disponga di numerose strutture ad elevata complessita', dunque, anziche' costituire un elemento di vantaggio rispetto alle altre regioni, si traduce in un ostacolo alla costituzione di tali strutture in aziende ospedaliere o al mantenimento del relativo carattere da parte di quelle gia' costituite. L'art. 4, comma 2, nella parte in cui introduce, dopo il comma 1, il comma 1-bis, lett. f) e g), all'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992 risulta, pertanto, fortemente lesivo delle competenze regionali in materia di assistenza ospedaliera di cui agli artt. 117 e 118 Costituzione: il decreto, infatti, oltre ad imporre alle regioni il divieto di costituire aziende ospedaliere di rilievo regionale (cfr. art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 229/1999), dettando requisiti quali quelli di cui alle lett. f) e g), impedisce concretamente alla regione Lombardia di confermare le aziende ospedaliere o di costituirne nuove di rilievo nazionale o interregionale. Tali disposizioni, inoltre, richiedendo, come requisito necessario per la costituzione o la conferma in aziende ospedaliera, il superamento di una percentuale prefissata rispetto alla media regionale, sono suscettibili di creare disparita' di trattamento tra le regioni, negando la possibilita' di confermare o di costituire aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale a quelle regioni, come la Lombardia, nelle quali la media regionale non risulta paragonabile, perche' di gran lunga superiore, alla media presente in altre regioni. 6.3. - Una volta indicati i requisiti necessari ai fini della costituzione dei presidi ospedalieri in azienda ospedaliera o della conferma delle Aziende ospedaliere gia' costituite (i requisiti previsti dal d.lgs. n. 229 devono essere presenti anche per le Aziende ospedaliere gia' costituite, le quali, secondo determinate modalita' sono sottoposte a conferma), l'art. 4, nella parte in cui introduce il comma 1-ter dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992, stabilisce che "in ogni caso non si procede alla costituzione o alla conferma in azienda ospedaliera qualora questa costituisca il solo presidio ospedaliero pubblico presente nell'azienda unita' sanitaria locale". Si tratta di una disposizione dal significato poco chiaro, della quale potrebbe pero' essere possibile una interpretazione, quasi ad personam, rivolta cioe' contro la regione Lombardia, dalle conseguenze gravissime per la pianificazione sanitaria lombarda. Affianco ad una interpretazione valida solo pro futuro secondo cui, nel caso di un unico presidio ospedaliero esistente nell'ambito territoriale della ASL, esso non potra' essere costituito in Azienda ospedaliera anche qualora ricorrano tutti gli altri presupposti, si potrebbe, malevolmente, tentare di sostenere una interpretazione che stravolga anche le situazioni preesistenti. Sposando una tesi antiregionale, si potrebbe cosi' ritenere che, anche nel caso di aziende gia' costituite, se nell'ambito territoriale di un ASL non esistono altri presidi ospedalieri oltre quelli costituiti in azienda ospedaliera, tale azienda ospedaliera non potra' essere confermata (ovvero, a tale sorte di decapitazione andra' incontro l'ultima delle aziende ospedaliere esistenti nel territorio di una ASL altrimenti priva di presidi). Se mai dovesse essere cosi' interpretata, la disposizione appare fortemente penalizzante nei confronti della regione Lombardia, che, in linea con l'orientamento che sta prevalendo nelle organizzazioni sanitarie dei paesi appartenenti all'Unione europea, ha avviato una riforma del sistema sanitario regionale basata sulla separazione tra produttore e acquirente, ossia tra l'Azienda ospedaliera che produce prestazioni specialistiche e l'ASL che le acquista e le controlla. E, invero, di nuovo del tutto fuori delega, si colpirebbero situazioni pregresse gia' costruite e consolidate, mettendo nel nulla l'attivita' che la regione Lombardia ha del tutto legittimamente svolto, alla luce della legislazione sin ad oggi vigente, che non poneva limiti alla possibilita' di costituire aziende ospedaliere, scorporandole dalle ASL. Nel commentare l'art. 4 del d.lgs. n. 502, si sottolineava (Lamberti-Maggi-Rossetti, Il riordino del servizio sanitario nazionale, Milano, Pirola, 1994, p. 36) che "la norma, di cui all'art. 4 del decreto legislativo, intende corrispondere all'osservazione critica per la quale la legge di riforma avrebbe affossato l'ospedale nella USL, privando dell'autonomia necessaria la gestione di una struttura di per se' cosi' complessa". Nel d.lgs. n. 502, la logica di fondo era dunque quella dell'autonomizzazione dei presidi ospedalieri, dotati di un sufficiente rilievo organizzativo, dalle ASL, e cio' al fine di attribuire maggiore autonomia gestionale; e cio' e' talmente vero che, dichiarato illegittimo per eccesso di delega il precedente comma 4, si provvedeva, con il d.lgs. n. 517 del 1993, all'introduzione del comma vigente fino alla illegittima abrogazione operata dal decreto n. 229. Oggi, non solo si vuole invertire - sbagliando, come si vedra'! - la tendenza, ma soprattutto si vuole addirittura mettere nel nulla le attivita' legittimamente svolte sino ad oggi, ponendo illegittime condizioni capestro alla conferma delle aziende ospedaliere esistenti, obliterando il vecchio, consolidato principio del rispetto delle situazioni acquisite! 6.4. - L'art. 4 del d.lgs. n. 229/1999 viola, inoltre, gli artt. 117 e 118 della Costituzione in relazione al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, e alla giurisprudenza costituzionale in ordine al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, in quanto, nella sua formulazione, il Governo non ha preso in considerazione il parere espresso dalle regioni in data 6 maggio 1999. Al par. 2, tra le "Osservazioni relative ad emendamenti da apportare ritenuti rilevanti", del parere espresso in tale data dalla conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome con riguardo all'art. 4 dello schema di decreto, infatti, si legge: "va salvaguardata la facolta' delle regioni di confermare o meno le aziende ospedaliere gia' costituite o, in subordine, il raccordo di tali esperienze con le sperimentazioni gestionali di cui all'art. 9-bis del d.lgs. n. 502/1992 e 517/1993 come modificato dall'art. 10 dello schema di decreto in esame". Ne' puo' dirsi che la facolta' delle regioni di confermare o meno le aziende ospedaliere gia' costituite possa ritenersi salvaguardata dalla disposizione dell'art. 4, comma 2, nella parte in cui aggiunge al comma 1 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992, il comma 1-sexies, in base al quale "i presidi attualmente costituiti in aziende ospedaliere, con esclusione dei presidi di cui al comma 6, per i quali viene richiesta la conferma e che non soddisfano i requisiti di cui al comma 1-bis, possono essere confermati per un periodo massimo di tre anni dall'entrata in vigore del presente decreto, che modifica il d.lgs. 30 novembre 1992, n. 502, sulla base di un progetto di adeguamento presentato dalla regione, con la procedura di cui al comma 1-quater. Alla scadenza del termine previsto nel provvedimento di conferma, ove permanga la carenza dei requisiti, le regioni e il ministero della sanita' attivano la procedura di cui al comma 1-quinquies (revoca dell'azienda), ove i requisiti sussistano, si procede ai sensi del comma 1-quater". La conferma per un periodo di tre anni delle aziende ospedaliere gia' costituite, che non posseggono i requisiti di cui al comma 1-ter, infatti, soddisfa solo per un periodo di tempo limitato (tre anni) la richiesta avanzata dalle regioni per il tramite della conferenza dei Presidenti in data 6 maggio 1999: al termine dei tre anni, infatti, le aziende confermate transitoriamente dovranno adeguarsi ai requisiti richiesti dal decreto per le aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale, in caso contrario tali aziende saranno revocate secondo la procedura individuata dal comma 1-quinquies. Vanno, pertanto, mosse all'art. 4 le censure gia' rivolte al par. 2 in generale rispetto a tutte quelle disposizioni del d.lgs. n. 229/1999, nella cui formulazione definitiva non si e' tenuto conto delle osservazioni regionali. 6.5. - Le disposizioni dell'art. 4 rendono piu' difficile e macchinosa l'istituzione di aziende ospedaliere, vietano le aziende ospedaliere regionali, impongono la presenza, nell'ambito della ASL, di almeno un presidio ospedaliero: in tal modo, limitano fortemente e, di fatto, impediscono la separazione, a livello regionale, tra il soggetto erogatore delle prestazioni sanitarie (ASL) e il soggetto produttore delle stesse. Cosi' operando, esse sono gravemente lesive dell'autonomia regionale ex artt. 117 e 118 Cost.: la regione Lombardia, infatti, in attuazione di quanto stabilito dal d.lgs. n. 502/1992, ha avviato la riforma del sistema sanitario regionale basandosi proprio sulla separazione tra produttore e acquirente; violano, altresi', il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, sancito dall'art. 97 della Costituzione, precludendo, di fatto, gli effetti benefici in termini di incremento della produttivita', innovazione e qualita' derivanti dalla suddetta separazione; limitano il principio della libera scelta da parte del cittadino utente della struttura erogatrice delle prestazioni sanitarie, giacche' la ASL, possedendo propri presidi ospedalieri, non potra' che favorirli nella stesura degli accordi contrattuali previsti dal decreto. Invero, tra le idee forti alle quali si ispirano i progetti di riforma sanitaria dei paesi dell'Oecd, come risulta da una sintesi delle stesse redatta dall'Oecd2), vi e' proprio quella dello "sviluppo della contrattazione tra acquirenti e produttori di prestazioni sanitarie": indubbiamente non in linea con tale principio appare la riduzione della possibilita' di istituzione di aziende ospedaliere autonome e la conseguente configurazione di una ASL erogatore e produttore delle prestazioni sanitarie (dovendo essere necessariamente presente, nell'ambito della ASL, almeno un presidio ospedaliero). Lo stesso parere del Senato della Repubblica sullo schema di decreto legislativo aveva sottolineato che "occorre inoltre evitare che le pur condivisibili esigenze di razionalizzazione del sistema sia ospedaliero che della medicina territoriale ambulatoriale siano perseguite con criteri tali da ridurre la possibilita' di concorrenza virtuosa tra soggetti erogatori di prestazioni sanitarie" (parere della Commissione igiene e sanita' del Senato del 26 maggio 1999)3). E, ancora, in un articolo apparso nell'"Economist" del 19 marzo 1999, che riporta un intervento di Josef Figueras, Regional Adviser dell'organizzazione Mondiale della Sanita' (WHO), dal titolo "Chi decide e chi paga nel sistema sanitario europeo: verso un bilanciamento tra Stato e mercato", si sottolinea che la separazione delle funzioni di produzione e di acquisto dei servizi in sistemi sanitari con modello S.S.N. sembra poter dare risultati in termini di incremento della produttivita', innovazione e qualita'". A favore della separazione tra ASL e AO si e' recentemente espressa anche l'Autorita' garante per la concorrenza ed il mercato. Nella comunicazione del 26 giugno 1998, prot. 22579, infatti, l'Autorita' garante, nel rispondere a numerose segnalazioni da parte di case di cura, laboratori di diagnostica, studi medici, singoli assistiti, che lamentavano la violazione da parte delle regioni, nell'attuazione della riforma sanitaria introdotta dal d.lgs. n. 502/1992, dei principi ispiratori della riforma e delle regole della libera concorrenza, indicava tra i possibili rimedi normativi ed attuativi ai profili distorsivi della concorrenza, la separazione strutturale tra la figura della ASL, nella sua qualita' di soggetto erogatore delle prestazioni sanitarie, e la figura della ASL, nella sua qualita' di soggetto acquirente-pagatore delle medesime prestazioni. L'Autorita' motivava l'utilita' del rimedio suggerito osservando che "l'attuazione del principio di libera scelta del paziente, in coerenza con il rispetto delle regole di funzionamento del mercato, richiede che si operi la separazione tra soggetto erogatore e soggetto pagatore, al fine di introdurre elementi di reale indipendenza nei rapporti che intercorrono tra chi fornisce e chi rimborsa le prestazioni sanitarie". Secondo l'Autorita' garante "tale rapporto consentirebbe di attuare un meccanismo, in virtu' del quale le prestazioni sanitarie vengono erogate dalle strutture, pubbliche o private, in grado di offrirle garantendo il migliore rapporto tra costo della prestazione e qualita' della stessa". 7. - Violazione degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione, nonche' dei principi fissati dall'art. 13 della legge 15 maggio 1997, n. 127 da parte dell'art. 5, nella parte in cui sostituisce l'art. 5 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502. L'art. 5, nella prima parte, sostituisce l'art. 5 del d.lgs. n. 502/1992, dettando disposizioni in ordine a patrimonio e contabilita' della ASL e AO. A conferma di un atteggiamento complessivo poco rispettoso della volonta' espressa in sede parlamentare, anche la disciplina dettata dall'art. 5 non pare trovare un sicuro fondamento nell'art. 2, comma 1, lett. ii), della legge n. 419/1998. Tale disposizione, infatti, delega il Governo esclusivamente a "precisare i criteri distintivi e gli elementi caratterizzanti per l'individuazione delle aziende unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, con particolare riguardo alle caratteristiche organizzative minime delle stesse e a rilievo nazionale o interregionale delle aziende ospedaliere". L'art. 5 detta, invece, in materia di patrimonio e contabilita' delle ASL e delle AO, una disciplina estremamente dettagliata, superando, in tal modo, il limite delle "caratteristiche organizzative minime", posto dalla legge delega, violando profondamente le competenze costituzionalmente riconosciute in materia alle regioni dagli artt. 117 e 118 della Costituzione. La disposizione in esame risulta pertanto costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione. 2) Oecd 1996, Health care Reform in Light of Changing Funding Incentives and Production Potterns, Parigi, Workings Papers, 18. 3) V. anche la nota del Servizio Bilancio del Senato, pubblicata in ASI n. 20 del 20 maggio 1999, in cui si ricorda che "come si sostiene nella letteratura economica sull'argomento e come suggerito dall'evidenza empirica a parita' di altre condizioni, un'azienda ospedaliera autonoma, in media, appare suscettibile di realizzare piu' elevati livelli di efficienza rispetto ad un presidio ospedaliero...". Inoltre, l'art. 5, nella parte in cui stabilisce che "gli atti di trasferimento a terzi di diritti reali su immobili sono assoggettati a previa autorizzazione della regione", viola uno dei principi fondamentali dell'attivita' amministrativa, fissati dalla legge 15 maggio 1997, n. 127, recante "Misure urgenti per lo snellimento dell'attivita' amministrativa e dei procedimenti di decisione e controllo". L'art. 13 della legge n. 127/1997, infatti, al primo comma, abroga le disposizioni che prescrivono autorizzazioni per l'acquisto e l'alienazione di immobili o per l'accettazione di donazioni, eredita' e legati da parte di persone giuridiche, associazioni e fondazioni. Tale disposizione, inoltre, contraddice in maniera evidente il principio di aziendalizzazione fissato dall'art. 2, comma 1, lettera b), della legge delega. 8. - Violazione dell'art. 119 della Costituzione, in relazione alla legge n. 67/1988, da parte dell'art. 5, nella parte in cui introduce, dopo l'art. 5, l'art. 5-bis, primo comma, del d.lgs. n. 502/1992. L'art. 5, aggiunge, all'art. 5 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 5-bis, recante "Ristrutturazione edilizia ed ammodernamento tecnologico". Al comma 1 dell'art. 5-bis, il d.lgs. n. 229 stabilisce che "nell'ambito dei programmi regionali per la realizzazione degli interventi previsti dall'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, il Ministero della sanita' puo' stipulare, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e nei limiti delle disponibilita' finanziarie, iscritte nel bilancio dello Stato, accordi di programma con le regioni e con gli altri soggetti pubblici interessati aventi ad oggetto la relativa copertura finanziaria nell'arco pluriennale degli interventi, l'accelerazione di procedure e la realizzazione di opere, con particolare riguardo alla qualificazione e alla messa a norma delle strutture". La disciplina sugli accordi di programma dettata da tale disposizione risulta penalizzante per la regione Lombardia nella parte in cui si circoscrive la stipulazione di accordi di programma con le regioni "nei limiti delle disponibilita' finanziarie iscritte nel bilancio dello Stato". Vengono stabilite, in tal modo, condizioni peggiorative rispetto a quelle definite nell'Accordo di Programmi quadro per l'edilizia sanitaria, stipulato, in data 3 marzo 1999, dalla regione Lombardia i Ministri della sanita', del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sulla base dell'intesa istituzionale di programma tra il Governo e la regione Lombardia, approvata con deliberazione del CIPE del 19 febbraio 1999. Tale Accordo, stipulato, in attuazione dell'art. 20 della legge n. 67/1988, ai fini della realizzazione di una parte degli interventi previsti dalla seconda fase del programma pluriennale degli investimenti per l'edilizia sanitaria e le R.S.A., all'art. 3, che disciplina la copertura finanziaria, stabilisce, infatti, che "tenuto conto che l'intesa (istituzionale di programma) prevede un impegno programmatico nel triennio, per la prima parte del programma, pari a una somma di L. 1.180,651 miliardi, qualora le previsioni di accesso allo stanziamento di competenza siano comunque maggiori delle possibilita' di incremento del capitolo, la regione potra' accendere mutui con oneri di ammortamento a carico delle somme stanziate nel bilancio dello Stato, a concorrenza della quota regionale, o rinviare la spesa all'anno successivo". 9. - Violazione dell'art. 76 della Costituzione da parte dell'art. 7, nella parte in cui aggiunge, dopo l'art. 7 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 7-quinquies, comma 3. L'art. 7, nella parte in cui introduce, dopo l'art. 7 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 7-quinquies recante "Coordinamento con le agenzie regionali per l'ambiente", prevede la stipulazione da parte del Ministro della sanita' d'intesa con conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, di un accordo quadro per il coordinamento e l'integrazione degli interventi per la tutela della salute e dell'ambiente, nel quale dovranno essere individuati i settori di azione congiunta ed i relativi programmi operativi. Al comma 2, l'art. 7-quinquies affida alle regioni il compito di individuare le modalita' e i livelli di integrazione fra politiche sanitarie e politiche ambientali, prevedendo la stipulazione di appositi accordi di programma e convenzioni tra le ASL e le AO e le Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente. Al comma terzo, tale disposizione prevede che: "le regioni e le unita' sanitarie locali, per le attivita' di laboratorio gia' svolte dai presidi multizonali di prevenzione come compito di istituto, in base a norme vigenti, nei confronti delle unita' sanitarie locali, si avvalgono delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente". La disposizione del terzo comma, imponendo alle regioni un'opzione specifica, risulta viziata da eccesso di delega. L'art. 2, comma 1, lett. rr), della legge n. 419/1998, infatti, assegnava al Governo esclusivamente il compito di "definire le modalita' di coordinamento tra i dipartimenti di prevenzione e le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente". 10. - Violazione degli artt. 76, 117 e 118, nonche' degli artt. 3 e 41 della Costituzione; ancora violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, in relazione al d.lgs. n. 281/1997 ed al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, da parte dell'art. 8, recante "Modificazioni all'art. 8 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". 10.1. - L'art. 8 del decreto, nell'introdurre l'art. 8-bis, comma terzo, del d.lgs. n. 502/1992, subordina la realizzazione delle strutture sanitarie e l'esercizio delle attivita' sanitarie all'autorizzazione di cui all'art. 8-ter. L'art. 8-ter, a sua volta, dopo aver disciplinato, nei commi 1 e 3, l'autorizzazione alla realizzazione delle strutture sanitarie, ai commi 2, 4 e 5, disciplina l'autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private. In particolare, al comma 4 dell'art. 8-ter si stabilisce che "l'esercizio delle attivita' sanitarie e socio-sanitarie da parte di strutture pubbliche e private presuppone il possesso dei requisiti minimi, strutturali, tecnologici e organizzativi stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento ai sensi dell'art. 8 della legge n. 59/1997, sulla base di principi e criteri direttivi previsti dall'art. 8, comma 4, del presente decreto. In sede di modificazione del medesimo atto di indirizzo e coordinamento si individuano gli studi odontoiatrici, e di altre professioni sanitarie di cui al comma 2 nonche' i relativi requisiti minimi. Al successivo comma 5, il decreto attribuisce alle regioni il compito di definire, entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore, modalita' e termini per la richiesta e l'eventuale rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio delle attivita' sanitarie, nonche' quello di individuare "gli ambiti territoriali in cui si riscontrano carenze di strutture o di capacita' produttiva, definendo idonee procedure per selezionare i nuovi soggetti eventualmente interessati". Nel dettare le disposizioni relative al rilascio dell'autorizzazione per l'esercizio delle attivita' sanitarie, l'art. 8 del decreto legislativo eccede in maniera evidente la delega: l'art. 2, comma 1, lett. dd), della legge n. 419/1998 ha, infatti, circoscritto l'ambito dei poteri delegati alla definizione, "fermi restando i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi di cui all'art. 8, comma 4, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni", delle "modalita' e dei criteri per il rilascio dell'autorizzazione a realizzare strutture sanitarie". E' assente, dunque, ogni delega relativa alla possibilita' di subordinare ad autorizzazioni ammistrative l'esercizio dell'attivita' sanitaria. 10.2. - Va a tal proposito ricordato che l'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 502/1992 stabiliva che "ferma restando la competenza delle regioni in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private, a norma dell'art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, con atto di indirizzo e coordinamento, emanato d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, sentito il Consiglio superiore di sanita', sono definiti i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l'esercizio delle attivita' sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private e la periodicita' dei controlli sulla permanenza dei requisiti stessi". Lo stesso comma 4 fissava al 31 dicembre 1993 il termine entro il quale tale atto avrebbe dovuto essere emanato, individuando alle successive lettere da a) ad h), i criteri e principi direttivi cui tale atto avrebbe dovuto ispirarsi. In attuazione di tale disposizione, con d.P.R. 14 gennaio 1997, recante "Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attivita' sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private" il Governo ha gia' provveduto in tal senso. Sia il d.lgs. n. 502, sia l'atto di indirizzo del 14 gennaio 1997, richiamati e "tenuti fermi" dalla nuova delega, fanno esclusivo riferimento a requisiti minimi per l'esercizio dell'attivita' sanitaria, affidando alle regioni le modalita' per il controllo dell'esistenza dei requisiti. Dunque, i requisiti per l'esercizio delle attivita' sanitarie sono stati gia' fissati con il d.P.R 14 gennaio 1997; il rinvio effettuato dalla legge n. 419/1998 all'art. 8, comma 4 - che a sua volta rinvia ad un atto di indirizzo e coordinamento per la definizione dei requisiti per il rilascio delle autorizzazioni all'esercizio delle attivita' sanitarie - deve pertanto intendersi riferito a tale atto. Per preciso disposto della legge delega, dunque, il d.P.R. 14 gennaio 1997, in quanto atto che si fonda sull'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 502, e' l'atto cui fare riferimento in ordine alla individuazione dei requisiti per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie. La legge delega, con assoluta chiarezza, prevede che rimangano fermi i requisiti gia' presenti nell'ordinamento per l'esercizio delle attivita' sanitarie e delega il Governo esclusivamente a definire i criteri e modalita' per la realizzazione delle strutture sanitarie. Non pare possano nutrirsi dubbi circa il diverso ambito logico e concettuale di "realizzazione" ed "esercizio", tale per cui la delega a fare l'una cosa non puo' riguardare anche l'altra. Le disposizioni indicate vengono cosi' a sovrapporsi ingiustificatamente non solo alla disciplina posta dal d.P.R. 14 gennaio 1997, che aveva gia' provveduto a definire i requisiti minimi per l'autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie, ma anche alla disciplina gia' legittimamente dettata dalla regione Lombardia in materia di autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie. Tali norme generano, dunque, due ordini di problemi di costituzionalita': da un lato, eccedono la delega contenuta all'art. 2, comma 1, lett. dd), della legge n. 419/1998, che ha circoscritto l'esercizio dei poteri delegati alla definizione dei criteri per il rilascio dell'autorizzazione alla "realizzazione" delle strutture sanitarie e fa salvi quelli gia' stabiliti in ordine all'"esercizio" delle stesse ai sensi dell'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 502/1992; dall'altro, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost., vengono a ledere l'autonomia regionale in materia e, in particolare, pongono nel nulla quanto dalle regioni gia' disposto in forza delle disposizioni precedenti, in ordine alla riorganizzazione del settore sanitario. L'art. 8, nella parte in cui aggiunge dopo l'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 8-bis, comma 3, e l'art. 8-ter, commi 4 e 5, risulta, pertanto, costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione. 10.3. - L'art. 8 eccede la delega contenuta nell'art. 2, comma 1, lett. dd), della legge n. 419/1998, violando ulteriormente l'art. 76 della Costituzione, anche nella parte in cui introduce il secondo e il quarto comma dell'art. 8-ter. Il comma 2 prevede, infatti, la necessita' di autorizzazione per l'esercizio di attivita' sanitarie anche per "gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessita' o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, individuati ai sensi del comma 4, nonche' per le strutture esclusivamente dedicate ad attivita' diagnostiche, svolte anche a favore di soggetti terzi". Il comma 4, a sua volta, stabilisce che "In sede di modificazione del medesimo atto di indirizzo e coordinamento si individuano gli studi odontoiatrici, e di altre professioni sanitarie di cui al comma 2, nonche' i relativi requisiti minimi". A tal proposito l'art. 2, comma 1, lett. dd), della legge n. 419/1998 delega il Governo a definire modalita' e criteri per il rilascio dell'autorizzazione alla "realizzazione", e non anche all'"esercizio", delle "strutture sanitarie", e non anche degli "studi professionali". Non e' rinvenibile, inoltre, ne' nell'art. 2, comma 1, lett. dd), ne' in altre disposizioni della legge n. 419/1998, una delega che attribuisca al Governo il compito di classificare gli studi medici in diverse tipologie, a seconda dell'attivita' esercitata, assoggettandone altresi' l'esercizio ad autorizzazione. 10.4. - Sempre in ordine alla realizzazione delle strutture sanitarie, al comma 3 dell'art. 8-ter, l'art. 8 del d.lgs. n. 229, stabilisce l'obbligo per i comuni di acquisire, nell'esercizio delle loro competenze in materia di autorizzazioni e concessioni di cui alla legge n. 493/1993, la verifica di compatibilita' del progetto da parte della regione, individuando contestualmente i criteri in base ai quali le regioni dovranno procedere a tale verifica. Stabilisce, infatti, il secondo periodo del comma 3 che "tale verifica regionale e' effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l'accessibilita' ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture". I suindicati criteri cui la regione dovra' tener conto a fini della verifica della compatibilita' dei progetti appaiono, con evidenza, dettati in violazione degli artt. 41 e 3 della Costituzione, oltre che degli artt. 117 e 118, impingendo illegittimamente in competenze regionali: l'applicazione concreta degli stessi, infatti, e' suscettibile di penalizzare l'iniziativa economica privata, nonche' di creare forti disparita' di trattamento, ad esempio, tra i soggetti operanti in zone diverse. D'altra parte, i due criteri del "fabbisogno complessivo" e della "localizzazione territoriale delle strutture" appaiono tra loro contraddittori: per fare un esempio, la realizzazione di una struttura sanitaria in una zona ad alta cancentrazione di strutture della medesima specie potrebbe rivelarsi contemporaneamente non conforme al primo criterio e conforme al secondo. La norma risulta, per tali motivi, penalizzante per le regioni, esponendole al rischio di possibili ricorsi da parte dei soggetti che vedessero le proprie richieste respinte a seguito delle suddette verifiche. 10.5. - L'art. 8, inoltre, nell'introdurre l'art. 8-quater, recante "Accreditamento istituzionale", ai commi terzo e quarto, eccede la delega di cui all'art. 2, comma 1, lett. gg), della legge n. 419. A tal proposito il comma 3 stabilisce che, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore del decreto, con atto di indirizzo e coordinamento da emanarsi ai sensi dell'art. 8 della legge n. 59/1997, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, il Consiglio superiore della sanita' e, limitatamente all'accreditamento dei professionisti, la Federazione nazionale dei medici chirurghi e odontoiatri, sono definiti i criteri generali uniformi: a) per la definizione dei requisiti ulteriori per l'esercizio delle attivita' sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale da parte delle strutture sanitarie e dei professionisti, nonche' la verifica periodica di tali attivita'; b) per la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno e alla funzionalita' della programmazione regionale, inclusa la determinazione dei limiti entro i quali sia possibile accreditare quantita' di prestazioni in eccesso rispetto al fabbisogno programmato, in modo da assicurare un'efficace competizione tra le strutture accreditate; c) per le procedure ed i termini per l'accreditamento delle strutture che ne facciano richiesta, ivi compresa la possibilita' di un riesame dell'istanza, in caso di esito negativo e di prescrizioni contestate dal soggetto richiedente nonche' a verifica periodica dei requisiti ulteriori e le procedure da adottarsi in caso di verifica negativa. Il successivo comma 4, definisce, alle lettere da a) a q), i criteri e principi direttivi cui l'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3 dovra' ispirarsi. Dal canto suo, l'art. 2, comma 1, lett. gg), della legge n. 419/1998 delega il Governo a "definire un modello di accreditamento rispondente agli indirizzi del Piano sanitario nazionale, in applicazione dei criteri posti dall'art. 2 del d.P.R. 14 gennaio 1997, pubblicato nel Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 1997 ...". A tal proposito il Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000, approvato con d.P.R. 23 luglio 1998, nel disciplinare l'accreditamento delle strutture sanitarie, stabilisce chiaramente che "il compito di definire i criteri per l'accreditamento e di conferire lo stato di struttura sanitaria accreditata compete alle singole regioni e province autonome". Le disposizioni dei commi 3 e 4 dell'art. 8-quater del d.lgs. n. 502/1992, come introdotte dall'art. 8 del d.lgs. n. 229, eccedono, pertanto, la delega nella parte in cui non si conformano, secondo quanto stabilito art. 2, comma 1, lett. gg) della legge n. 419/1998 al Piano sanitario nazionale 1998/2000. In coerenza con il riconoscimento della competenza regionale in ordine alla definizione dei criteri per l'accreditamento delle strutture sanitarie, con le sentenze nn. 2897, 2898 e 2899 del 9 ottobre 1998, il t.a.r. Lazio, sez. 1-bis, ha disposto l'annullamento del "d.P.R. 14 gennaio 1997 nelle parti relative all'introduzione, relativi criteri, di requisiti ''ulteriori'' per l'accreditamento di strutture pubbliche e private in possesso dei requisiti minimi per l'autorizzazione", sostenendo in motivazione che "Il decreto impugnato, mentre ha legittimamente disposto in ordine alla definizione dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l'esercizio delle attivita' sanitarie, in attuazione dell'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 502/1992, ha invece travalicato dalle attribuzioni che lo stesso decreto legislativo conferiva all'atto di indirizzo e coordinamento, nelle disposizioni contenute nel medesimo d.P.R., che introducono, dettando i relativi criteri generali, requisiti per l'accreditamento di strutture erogatrici di prestazioni delle attivita' sanitarie". In sostanza, secondo il t.a.r. Lazio, non puo' ritenersi che l'art. 8, comma 4 del d.lgs. n. 502/1992 (non abrogato dal d.lgs. n. 229), abbia attribuito al Governo il potere di fissare i criteri generali per l'accreditamento cui le regioni avrebbero dovuto attenersi nella determinazione dei suddetti requisiti ulteriori. Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa, l'annullamento giurisdizionale di un atto generale - quale risulta, senza dubbio, il d.P.R. 14 gennaio 1997 - ha efficacia erga omnes ed ex tunc (cfr. C.d.S., sez. VI, 9 gennaio 1997, n. 20, C.d.S., sez. VI, 7 febbraio 1978, n. 212, C.d.S., sez. VI, 21 agosto 1993, n. 586): dunque, la parte del d.P.R. 14 gennaio 1997 che definisce i criteri generali cui le regioni devono ispirarsi ai fini dell'accreditamento deve ritenersi caducata; ne' valga sostenere che la legge delega ha "legificato" il d.P.R., congelandolo nella sua esistenza, al di la' e al di sopra dei suoi vizi di legittimita': una simile costruzione e' stata gia' in altri casi respinta dalla Corte costituzionale (v. per tutte sentenze nn. 385 e 386 del 1985 e 151 e 153 del 1986, relativamente alla presunta "legificazione" dei decreti di vincolo assunti sulla base del d.m. "Galasso"). Pertanto, visto anche il rinvio alla coerenza con il Piano sanitario nazionale, il rinvio posto dalla legge delega ai "criteri posti dall'art. 2 del d.P.R. 14 gennaio 1997", deve intendersi circoscritto alle disposizioni di tale articolo che attribuiscono alla competenza delle regioni la definizione dei requisiti ulteriori e delle modalita' per l'accreditamento delle strutture sanitarie, con esclusione di quelle norme che attribuiscono allo Stato di definire i criteri generali per l'accreditamento. L'art. 8, dunque, nell'introdurre l'art. 8-quater, commi 3 e 4 del d.lgs. n. 502/1992, eccede la delega di cui all'art. 2, comma 1, lett. gg), della legge n. 419/1998, anche nella parte in cui tale norma impone che la definizione di un modello di accreditamento deve avvenire "In applicazione dei criteri posti dall'art. 2 del d.P.R. 14 gennaio 1997", violando contemporaneamente le competenze costituzionalmente e legislativamente riconosciute in materia alle regioni. Tale disposizione risulta pertanto viziata in relazione agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione. 10.6. - La mancata rispondenza del modello di accreditamento introdotto dal d.lgs. n. 229 rispetto agli indirizzi del Piano sanitario nazionale 1998-2000 si riscontra anche nella parte in cui l'art. 8 introduce l'art. 8-quater del d.lgs. n. 502, comma 4, lett. a), laddove si stabilisce, tra i criteri e principi direttivi cui deve attenersi l'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, quello di "garantire l'eguaglianza tra tutte le strutture relativamente ai requisiti ulteriori richiesti per il rilascio dell'accreditamento e per la sua verifica periodica". Poiche' le condizioni per ottenere l'accreditamento sono definite su tre livelli - rispondenza ai requisiti ulteriori, funzionalita' rispetto agli indirizzi della programmazione regionale, verifica positiva dell'attivita' svolta e dei risultati raggiunti e solo i primi vengono qualificati come "requisiti", e' evidente che anche in questo caso il principio di parita' tra i soggetti risulta completamente disatteso: lo stesso decreto, nel prevedere al comma 4, lett. a) dell'art. 8-quater che l'eguaglianza tra le strutture deve essere garantita esclusivamente rispetto "ai requisiti ulteriori", conferma che non sussiste una piena eguaglianza tra le diverse strutture sanitarie ai fini dell'accreditamento. In tal modo l'art. 8, nella parte in cui aggiunge dopo l'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 8-quater, comma 4, lett. a), non rispecchia gli indirizzi del Piano sanitario nazionale 1998-2000, nel quale si stabilisce espressamente che: "l'accreditamento si applica, allo stesso titolo, alle strutture sanitarie pubbliche e private". Il giudizio di funzionalita' rispetto alla programmazione nazionale e regionale introduce un pesante elemento di discrezionalita' nel rilascio dell'accreditamento istituzionale che, come tale, non si configura piu' quale oggettivo processo di selezione di soggetti in possesso di requisiti ulteriori, intesi come livello qualitativo richiesto per l'erogazione di prestazioni sanitarie per conto del S.S.N.. La discrezionalita' che, secondo una lettura non avvalorata dalla sentenza n. 416/1995 della Corte costituzionale, il d.lgs. n. 502/1992 all'art. 8, comma 4, prevede al momento della stipula degli appositi rapporti tra ASL e soggetti accreditati, viene addirittura prevista al momento del riconoscimento dello status di soggetto accreditato. In tal modo si viene ad esercitare preventivamente una selezione dei soggetti che possono accedere alla stipula degli accordi di cui all'art. 8-quinquies. Tale previsione, letta congiuntamente al comma 1 dell'art. 8-bis, laddove si prevede che i livelli uniformi di assistenza siano garantiti da presidi direttamente gestiti dalle ASL, Aziende ospedaliere e IRCCS e solo in forma residuale (cfr. "... nonche' di soggetti accreditati ai sensi dell'art. 8-quater ...") da altri soggetti accreditati, introduce una evidente disparita' tra soggetti pubblici e privati, relegando questi ultimi ad un ruolo integrativo, contrariamente alla previsione normativa della legge n. 724/1994. Anche tale disposizione, dunque, ponendosi in contraddizione con l'art. 8, comma 1, lett. gg), della legge n. 419/1998, viola l'art. 76 della Costituzione. 10.7. - L'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992, disciplina gli Accordi contrattuali. Al comma 1, l'art. 8-quinquies, tale disposizione assegna alle regioni il compito di definire, nel termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto l'ambito di applicazione degli accordi contrattuali, nonche' quello di individuare i soggetti interessati agli stessi, identificando, nelle successive lettere da a) a d), gli aspetti che dovranno essere disciplinati dalle regioni. Il comma 2 dell'art. 8-quinquies stabilisce che le regioni e le Unita' sanitarie locali definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, definendo, alle successive lettere da a) ad e), il contenuto di tali accordi/contratti. Tali disposizioni non trovano alcun fondamento nella legge delega: non si rinviene, infatti, nessuna che attribuisca al Governo il compito di dettare la disciplina degli accordi contrattuali. L'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992 viola, pertanto, l'art. 76 della Costituzione, imponendo alle regioni, in assenza di delega, attivita' interferenti con le competenze ad esse riconosciute dagli artt. 117 e 118 della Costituzione in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera. 10.8. - L'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 8-sexies del d.lgs. n. 502/1992, detta norme in materia di remunerazione. La disciplina dettata da tale disposizione rivela contraddizioni evidenti fra le dichiarazioni di principio contenute nel decreto con le quali vengono solo apparentemente salvaguardate e garantite le competenze regionali in materia, e le competenze che, nonostante i continui richiami alle intese con la conferenza Stato, regioni e province autonome, di fatto, vengono attribuite al Ministero della sanita'. Tale contraddizione risulta evidente dal confronto dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992, lasciato intatto dal d.lgs. n. 229 dove si stabilisce espressamente che "spettano alle regioni e alle province autonome, nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi nazionali, le funzioni legislative amministrative in materia di assistenza sanitaria ospedaliera" e la traduzione di tale previsione nell'art. 8-sexies citato. Esprime in maniera chiara tale contraddizione il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 8-sexies. Mentre il comma 2 attribuisce alle regioni il compito di definire le funzioni assistenziali, il successivo comma 3 attribuisce al Ministro della sanita' il potere di determinare, con proprio decreto, i criteri per la definizione delle funzioni assistenziali e per la determinazione della loro remunerazione massima, tracciando in dettaglio il percorso metodologico che dovra' essere seguito dal Ministro. Stabilisce, infatti, il comma 3, che, la definizione dei suddetti criteri generali da parte del Ministro della sanita' dovra' avvenire sulla base di "standard organizzativi e di costi unitari predefiniti per fattori produttivi, tenendo conto, quando appropriato, del volume dell'attivita' svolta". Anche tale ultimo periodo del comma 3 esprime la citata contraddizione: se si fosse tenuto realmente conto delle funzioni regionali salvaguardate in via generale, infatti, il decreto avrebbe dovuto far riferimento quantomeno a standard organizzativi "minimali"; in relazione ai "costi unitari predefiniti per fattori produttivi", sarebbe stato necessario fare riferimento a coefficienti correttivi che tengano conto delle differenze regionali; con riguardo a "volume di attivita'" il decreto non avrebbe dovuto subordinare la considerazione dello stesso alla valutazione di appropriatezza da parte del Ministro della sanita'. Vengono in tal modo violate le competenze costituzionalmente riconosciute in materia dalle regioni: tali disposizioni, infatti, interferiscono in particolare modo sulla potesta' organizzativa riconosciuta costantemente alle regioni dalla stessa giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte. Ancora, al comma 5 dell'art. 8-sexies aggiunto all'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 8 stabilisce che con decreto del Ministro della sanita', sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, d'intesa con la conferenza Stato-regioni ai sensi dell'art. 120, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 112/1998, verranno stabiliti "i criteri generali in base ai quali le regioni adottano il proprio sistema tariffario, articolando tali tariffe per classi di strutture secondo le loro caratteristiche organizzative e di attivita', verificati in sede di accreditamento delle strutture stesse". La previsione della differenziazione delle tariffe fra le diverse tipologie di strutture sanitarie sulla base di criteri organizzativi e di attivita' e la relativa attribuzione del potere di differenziare le tariffe a Ministro della sanita' ledono in maniera evidente le competenze costituzionalmente riconosciute in materia alle regioni. A cio' si aggiunga, che anche nella formulazione dell'art. 8, il Governo non ha tenuto conto del parere espresso in data 6 maggio 1999 dalla conferenza dei Presidenti delle regioni. A pagina 4 del suindicato parere, allegato al verbale della conferenza unificata tenutasi nella stessa data, tra le osservazioni relative ad emendamenti da apportare ritenuti essenziali, con riferimento ai commi 2 e 3 dell'art. 8-sexies, si legge: "i criteri generali per la definizione delle funzioni assistenziali e della loro remunerazione spettano al livello centrale d'intesa con la conferenza Stato-regioni. La effettiva specifica individuazione delle funzioni assistenziali e la loro remunerazione, poiche' indissolubilmente connesse alla definizione di aspetti organizzativi e programmatici di esclusiva competenza regionale, vanno mantenute in capo alle regioni. Solo per finalita' connesse alla compensazione della mobilita' interregionale e valutazione di congruita' del FSN, puo' essere prevista anche in sede nazionale una classificazione ed una remunerazione di riferimento con particolare riferimento alle fattispecie di cui alle lettere d), e), f) e g)". Con riguardo alle disposizioni contenute nei commi 4 e 5 dell'art. 8-sexies del d.lgs. n. 229, che nello schema di decreto erano riportate ai commi 3 e 4 dell'art. 8-sexies si legge: "La modulazione delle tariffe va mantenuta in capo alle regioni perche' espressione di politiche tariffarie che ogni governo regionale deve poter esprimere in coerenza con la propria programmazione. A livello nazionale, va prevista una disciplina relativa a tariffari massimi, eventualmente utilizzabili anche per finalita' connesse alla compensazione della mobilita' regionale del PSN". Vanno, pertanto, mosse all'art. 8 del d.lgs. n. 229, nella parte in cui aggiunge all'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992 l'art. 8-sexies, commi da 2 a 5, le stesse censure mosse al par. 2 a tutte quelle disposizioni del decreto nella cui formulazione finale non si e' tenuto conto del parere espresso dalle regioni in sede di conferenza unificata. 10.9. - L'art. 8, nell'introdurre dopo l'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 8-septies detta alcune disposizioni in materia di prestazioni erogate in forma indiretta. Stabilisce, infatti, tale disposizione che "i rimborsi relativi alle prestazioni erogate in forma indiretta sono definiti dalle regioni e dalle province autonome in misura non superiore al cinquanta per cento delle corrispondenti tariffe regionali determinate ai sensi dell'art. 8-sexies. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, che modifica d.lgs. del 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, e' abolita l'assistenza in forma indiretta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e in regime di degenza. Resta ferma la normativa vigente in materia di assistenza sanitaria all'estero". Non si rinviene nella legge delega alcuna disposizione che autorizzi il Governo a disciplinare le prestazioni indirette. A cio' si aggiunga che neppure il d.lgs. n. 502/1992, cui il decreto impugnato e' delegato ad apportare modifiche, disciplina l'assistenza indiretta. L'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 8-septies viola pertanto l'art. 76 della Costituzione. 11. - Violazione degli artt. 3 e 119 Cost., nonche' dell'art. 76 Cost., in relazione all'art. 2, comma 1, lett. cc) della legge n. 419 del 1998, da parte dell'art. 9 recante "Modificazioni all'art. 9 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". L'art. 9, nel sostituire l'art. 9 del d.lgs. n. 502/1992, detta disposizioni in ordine a fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale. Nella parte in cui introduce il comma 4 dell'art. 9 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 9 stabilisce che: "L'ambito di applicazione dei fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale e' rappresentato da: a) prestazioni aggiuntive, non comprese nei livelli essenziali ed uniformi di assistenza e con questi comunque integrate, erogate da professionisti e da strutture accreditati; b) prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale comprese nei livelli uniformi ed essenziali di assistenza, per la sola quota posta a carico dell'assistito, inclusi gli oneri per l'accesso alle prestazioni erogate in regime di libera professione intramuraria e per la fruizione dei servizi alberghieri su richiesta dell'assistito di cui all'art. 1, comma 15, della legge 23 dicembre 1996, n. 662; c) prestazioni socio-sanitarie erogate in strutture accreditate residenziali e semiresidenziali o in forma domiciliare, per la quota posta a carico dell'assistito". Dalla lettura di tale disposizione si evince chiaramente come essa limiti l'ambito di applicazione dei fondi integrativi alle prestazioni erogate dai professionisti e dalle strutture accreditati, escludendo le strutture autorizzate, con il risultato di creare, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, ingiustificate disparita' di trattamento tra i soggetti autorizzati e quelli accreditati. La ratio (illegittima!) della disposizione pare quella di drenare fondi per il SSN, distogliendoli dai soggetti autorizzati: in realta', oltre alla illegittima penalizzazione di questi ultimi, la disposizione e' palesemente irragionevole perche' aumenta la pressione sulle strutture del Servizio sanitario, invece di utilizzare le risorse aggiuntive per creare circuiti laterali a quello del SSN, in grado di alleggerire la pressione sulle strutture del SSN. In ogni caso, al di la' della irragionevolezza della disposizione, la stessa legge delega non autorizza il Governo ad un siffatto intervento, giacche' gli impone solamente di riordinare le forme integrative di assistenza sanitaria. Ne' argomento a favore dell'esclusione dei soggetti autorizzati si puo' trarre dalla formulazione secondo cui le forme integrative "si riferiscono a prestazioni aggiuntive, eccedenti i livelli uniformi ed essenziali di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale, con questi comunque integrate ...", e, infatti, a di la' del fatto che anche i soggetti autorizzati sono integrati nella pianificaziona sanitaria, se questa viene intesa in senso non dirigistico, il termine "integrate" si riferisce non ai soggetti, ne' ai livelli uniformi di assistenza, bensi' alle prestazioni aggiuntive, le quali possono essere "integrate" con i livelli uniformi ed essenziali di assistenza anche se rese da soggetti autorizzati. 12. - Violazione degli artt. 76, nonche' degli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione al d.lgs. n. 281/1997 e alla giurisprudenza costituzionale sul principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni da parte dell'art. 10, recante "Modifica dell'art. 9-bis del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". 12.1. - L'art. 10 del d.lgs. modifica l'art. 9-bis del d.lgs. n. 502/1992, in materia di sperimentazioni gestionali, stabilendo, al primo comma del nuovo art. 9-bis che "la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano autorizza programmi di sperimentazione aventi ad oggetto nuovi modelli gestionali, che prevedono forme di collaborazione tra strutture del Servizio sanitario nazionale e soggetti privati, anche attraverso la costituzione di societa' miste a capitale pubblico e privato". Ai sensi del comma 2 del nuovo art. 9-bis, la regione ha esclusivamente il potere di proporre il programma di sperimentazione, incombendo su di essa l'obbligo di motivare "le ragioni di convenienza economica del progetto gestionale, di miglioramento della qualita' dell'assistenza e di coerenza con le previsioni del Piano sanitario regionale", nonche' di evidenziarne "gli elementi di garanzia" sulla base dei criteri specificamente individuati nelle lettere da a) a d). Il comma 3, inoltre, attribuisce alla conferenza Stato-regioni funzioni di controllo, per il tramite dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, dei risultati annualmente conseguiti sia sul piano economico che su quello della qualita' dei servizi "ivi comprese le forme di collaborazione in atto soggetti privati per la gestione di compiti diretti di tutela della salute". Sempre ai sensi del comma 3 "al termine del primo triennio di sperimentazione, sulla base dei risultati conseguiti, il Governo e le regioni adottano i provvedimenti conseguenti". L'ultimo comma fa divieto alle ASL di costituire societa' di capitali aventi per oggetto sociale lo svolgimento di compiti diretti di tutela della salute al di fuori dei programmi di sperimentazione individuati nei commi precedenti. Nessuna norma della legge n. 419/1998 delega il Governo il compito di dettare una nuova disciplina delle sperimentazioni gestionali. Anche l'art. 10 del d.lgs. n. 229, nel sostituire l'art. 9-bis del d.lgs. n. 502/1992, viola pertanto l'art. 76 della Costituzione. 12.2. - Su tale disposizione la conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome aveva, inoltre, proposto emendamenti ritenuti essenziali. Era stata, infatti, proposta la seguente modifica: "la conferenza Stato-regioni definisce i criteri e le regioni autorizzano. La stessa conferenza vigila sull'andamento delle sperimentazioni indicando eventuali modifiche, integrazioni o anche necessita' di interruzioni. Va in ogni caso previsto che la partecipazione dei privati puo' coprire fino al 49% e che la esclusione del subappalto deve riguardare solo le attivita' di diretta assistenza". Vanno, pertanto, richiamate le censure di incostituzionalita' mosse a tale disposizione supra sub par. 2. 12.3. - L'art. 9-bis del d.lgs. n. 502/1992 cosi' definiva le sperimentazioni gestionali: "Le sperimentazioni gestionali previste dall'art. 4, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 sono attuate attraverso convenzioni con organismi pubblici e privati per lo svolgimento in forma integrata sia di opere che di servizi, motivando le ragioni di convenienza, di miglioramento della qualita' dell'assistenza e gli elementi di garanzia che supportano le convenzioni medesime. A tal fine la regione puo' dar vita a societa' miste a capitale pubblico e privato". Il comma 2 dell'art. 9-bis stabiliva, inoltre, che: "in sede di prima attuazione, la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano individua nove aziende unita' sanita' locali e/o ospedaliere, equamente ripartite nelle circoscrizioni del Nord, Centro e Sud Italia, in cui effettuare le predette sperimentazioni". La previsione da parte del d.lgs. n. 229 di un'autorizzazione centrale della conferenza Stato-regioni, per l'adozione in sede regionale di modelli sperimentali (pubblico-privato) allo stato attuale risulta del tutto ingiustificata, prolungando immotivatamente la "fase di prima attuazione" prevista dal d.lgs. n. 502/1992 e non tiene, inoltre, conto del contesto normativo generale che prevede gia' nella legge n. 142/1990 la possibilita' per gli enti locali di costituire aziende miste. Tale disposizione, infatti, vincola in maniera considerevole le possibili esperienze di collaborazione tra pubblico e privato, individuando percorsi molto rigidi nel definire l'iter procedurale e autorizzativo dei progetti. 13. - Violazione degli artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione da parte dell'art. 13, recante "Modificazioni all'art. 15 del d.lgs. 20 dicembre 1992, n. 502". L'art. 13 sostituisce l'art. 15 del d.lgs. n. 502/1992 e aggiunge a tale disposizione gli articoli da 15-bis a 15-undecies. L'intera materia e' stata sottoposta a forti critiche da parte del mondo medico, per svariati profili, alcuni dei quali di grave rilievo costituzionale (basti pensare alla violazione del tradizionale principio della salvezza dei diritti quesiti). La materia viene qui affrontata per la sola parte di interesse (giuridicamente rilevante) regionale, in quanto le scelte compiute dal governo centrale si riverberano sui profili di organizzazione sanitaria dell'ente regionale. 13.1. - Nel sostituire l'art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 13 stabilisce che "Fermo restando il principio dell'invarianza della spesa, la dirigenza sanitaria e' collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, ed in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilita' professionali e gestionali. In sede di contrattazione collettiva nazionale sono previste, in conformita' ai principi e alle dirigenziali nonche' per l'assegnazione, valutazione e verifica degli incarichi dirigenziali e per l'attribuzione del relativo trattamento economico accessorio correlato alle funzioni attribuite ed alle connesse responsabilita' del risultato". A tal proposito, l'art. 2, comma 1, lett. q), della legge n. 419 aveva affidato al Governo il compito di "prevedere le modalita' per pervenire per aree, funzioni ed obiettivi, a regime, all'esclusivita' del rapporto di lavoro, quale scelta individuale per il solo personale della dirigenza sanitaria in ruolo al 31 dicembre 1998 da incentivare anche con il trattamento economico aggiuntivo di cui all'art. 1, comma 12, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, secondo le modalita' applicative definite in sede di contrattazione collettiva nazionale di lavoro". Dal confronto delle due disposizioni risulta evidente come l'art. 13, nella parte in cui sostituisce l'art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992 eccede la delega contenuta all'art. 2, comma 1, lett. q), della legge n. 419/1998, violando, pertanto l'art. 76 della Costituzione. Si potrebbe, a tal proposito, eccepire che il livello unico dirigenziale e' stato introdotto dal d.lgs. n. 29/1993, entrato in vigore successivamente al d.lgs. n. 502/1992. Tuttavia, anche se si aderisce alla tesi in base alla quale il d.lgs. n. 29/1993 costituisce una legge di principi, e che, in quanto tale, le disposizioni in esso contenute devono ritenersi applicabili a tutta la dirigenza, compresa la dirigenza medica, non si spiega, in primo, luogo perche' il Governo, eccedendo la delega, abbia sentito la necessita' di confermare la disciplina gia' dettata dal d.lgs. n. 29 e, in secondo luogo, per quale motivo il Governo abbia disciplinato, con il d.lgs. n. 229, anche materie, quali l'orario di lavoro, la formazione, la mobilita' del personale, che il d.lgs. n. 29/1993 ha riservato espressamente alla contrattazione collettiva, come si desume dal combinato disposto degli artt. 2 e 45 del d.lgs. n. 29/1993. La soppressione dei due livelli di dirigenza medica ha comportato, inoltre, il venir meno della prerogativa regionale di nominare un componente della Commissione selezionatrice per l'accesso al secondo livello secondo quanto stabilito nel testo dell'art. 15 del d.lgs. n. 502/1992, prima delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 229. Fuori delega pare altresi' la soppressione dei rapporti di lavoro a tempo definito per la dirigenza sanitaria (nel testo del nuovo art. 15-bis, comma 3). Infatti, concettualmente, l'esclusivita' del rapporto di lavoro della dirigenza sanitaria, prevista come principio dall'art. 2, comma 1, lett. q) della delega, e' cosa diversa dal rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo definito: l'esclusivita' implica l'impossibilita' di svolgere lavori per soggetti concorrenti con il SSN; il carattere a tempo definito del rapporto permette di avere altre attivita' (secondo la recente normativa, un dipendente pubblico puo' scegliere la collocazione a tempo definito per svolgere una attivita' diversa e non confliggente con quella principale). La soppressione dei rapporti a tempo definito e' fonte di aumento di spesa e comporta comunque gravi problemi organizzativi alle regioni. 13.2. - L'art. 13, nella parte in cui aggiunge dopo l'art. 15 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 15-sexies, detta disposizioni in ordine all'attivita' libero professionale extramuraria, stabilendo che: "il rapporto di lavoro dei dirigenti sanitari in servizio al 31 dicembre 1998 i quali, ai sensi dell'art. 1, comma 10 della legge n. 662/1996, abbiano comunicato al direttore generale l'opzione per l'esercizio dell'attivita' libero professionale extramuraria e che non intendano revocare detta opzione, comporta la totale disponibilita' nell'ambito dell'impegno di servizio, per la realizzazione dei risultati programmati e lo svolgimento delle attivita' professionali di competenza. Le Aziende stabiliscono i volumi e le tipologie delle attivita' e delle prestazioni che i singoli dirigenti sono tenuti ad assicurare, nonche' le sedi operative in cui le stesse devono essere effettuate". Anche tale disciplina deve ritenersi viziata per eccesso di delega: l'art. 2, comma 1, lett. q), della legge n. 419/1998 ha, infatti, delegato il Governo esclusivamente a "prevedere le modalita' per prevenire, all'esclusivita' del rapporto di lavoro" e non certo a disciplinare l'attivita' libero professionale extramuraria. Anche tale disposizione viola, pertanto, l'art. 76 della Costituzione, nonche' gli artt. 117 e 118 della Costituzione nella parte in cui, nell'attribuire alle Aziende il potere di individuare "volumi e le tipologie delle attivita' e delle prestazioni che i singoli dirigenti sono tenuti ad assicurare, nonche' le sedi operative in cui le stesse devono essere effettuate", non prevede alcuna forma di coinvolgimento delle regioni. 13.3. - L'art. 13, risulta, inoltre, viziato di eccesso di delega nella parte in cui aggiunge all'art. 15 del d.lgs. n. 502/1992 l'art. 15-quater, comma 4. L'art. l5-quater infatti, dopo aver stabilito, al comma 3, che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, tutti i dirigenti in servizio alla data del 31 dicembre 1998, sono tenuti a comunicare al direttore generale l'opzione in ordine al rapporto esclusivo, al successivo comma 4 prevede che: "il dirigente sanitario con rapporto di lavoro esclusivo non puo' chiedere il passaggio al rapporto di lavoro non esclusivo". Mentre, al comma 2, stabilisce che: "Salvo quanto previsto al comma 1, i dirigenti in servizio alla data del 31 dicembre 1998, che hanno optato per l'esercizio dell'attivita' libero professionale extramuraria passano, a domanda, al rapporto di lavoro esclusivo". Dunque, una volta che il dirigente abbia optato per il rapporto esclusivo, non puo' piu' chiedere il passaggio a quello non esclusivo, mentre e' possibile il contrario. A tal proposito va ricordato che la delega aveva incaricato il Governo di "prevedere le modalita' per prevenire... all'esclusivita' del rapporto di lavoro, quale scelta individuale per il solo personale della dirigenza sanitaria in ruolo al 31 dicembre 1998". L'art. 13, nella parte in cui introduce l'art. 15-quater, comma 4, del d.lgs. n. 502/1992, viola pertanto l'art. 76 della Costituzione. 13.4. - L'art. 15-quinquies, comma 5, come introdotto dall'art. 13 del d.lgs. n. 229, prevede che "gli incarichi di direzione di struttura, semplice o complessa, implicano il rapporto di lavoro esclusivo" cosi' vietando che possano essere attribuiti incarichi di direzione ai dirigenti sanitari che scelgono l'attivita' extramuraria. La possibilita' di ricondurre questa sanzione alla citata lett. q) della delega appare assai dubbia; sicuri appaiono alcuni profili di incostituzionalita', pur se qui non rilevanti, del trattamento deteriore fatto a chi sceglie l'attivita' extramuraria dall'art. 72 della legge n. 448 del 1998, e confermato dal comma 10 del medesimo art. 15-quinquies; altrettanto sicura, e di sicuro interesse regionale, appare la violazione dell'art. 97 Cost., laddove, con un ukase che non ammette repliche e che richiede immediata applicazione, si impone alle regioni ed alle ASL di rinunziare all'esperienza di tutti i dirigenti sanitari che non vorranno optare per il rapporto esclusivo (ai quali si continua a dimidiare il trattamento economico e a negare la possibilita' di verifica sui risultati). 14. - Violazione degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione, anche in relazione al d.lgs. 28 gennaio 1997 e alla giurisprudenza costituzionale in materia di leale collaborazione tra Stato e regioni, da parte dell'art. 16, recante "Commissione nazionale per l'accreditamento e la qualita' dei servizi sanitari". L'art. 16 aggiunge all'art. 19 del d.lgs. n. 502/1992 gli art. da 19-bis a 19-quinquies. 14.1. - Nella parte in cui introduce l'art. 19-bis, comma 1, all'art. 19 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 16 istituisce, presso l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, la Commissione nazionale per l'accreditamento e la qualita' dei servizi sanitari, composta da "dieci esperti di riconosciuta competenza a livello nazionale in materia di organizzazione e programmazione dei servizi, economia, edilizia e sicurezza nel settore della sanita'", stabilendo che con successivo regolamento, da adottarsi ai sensi dell'art. 17, comma 1, della legge n. 400/1988, dovranno esserne definiti modalita' di organizzazione e funzionamento. A tale Commissione l'art. 16 attribuisce le seguenti funzioni: a) definisce i requisiti in base ai quali le regioni individuano i soggetti abilitati alla verifica del possesso dei requisiti per l'accreditamento delle strutture pubbliche e private di cui all'art. 8-quater, comma 5; b) valuta l'attuazione del modello di accreditamento per le strutture pubbliche e per le strutture private; c) esamina i risultati dell'attivita' di monitoraggio condotta, ai sensi del comma 3, dalle regioni in ordine allo stato di attuazione delle procedure di accreditamento. L'istituzione, la disciplina, e le funzioni della Commissione nazionale per l'accreditamento e la qualita' dei servizi sanitari non rientrano nell'oggetto della delega di cui all'art. 2, comma 1, lett. gg), della legge n. 419/1998, che attribuisce al Governo esclusivamente il compito "definire un modello di accreditamento rispondente agli indirizzi del piano sanitario nazionale, in applicazione dei criteri posti dall'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997, pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 1997 ...". Se, infatti, il Governo e' stato delegato a definire un modello di accreditamento non risulta che esso sia stato anche incaricato di costituire un apposito organismo deputato a definire i criteri in base ai quali le regioni individuano i soggetti abilitati alla verifica del possesso dei requisiti per l'accreditamento delle strutture pubbliche e private di cui all'art. 8-quater, comma 5, a valutare la realizzazione concreta di tale modello nonche' ad esaminare i risultati dell'attivita' di monitoraggio svolta dalle regioni sullo stato di attuazione delle procedure di accreditamento. Tanto piu' che la norma in questione non esprime il criterio in base al quale tale valutazione dovra' avvenire, lasciando piena discrezionalita' alle decisioni alla Commissione. La disposizione in oggetto risulta, pertanto, non solo posta in violazione dell'art. 76 della Costituzione, ma anche lesiva delle competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni in materia di assistenza sanitaria e confermate dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte in materia di accreditamento (cfr. sentenza n. 416/1995). Non si prevede, infatti, alcuna forma di coinvolgimento delle regioni nell'attivita' della Commissione. Ne' si prevede che facciano parte della Commissione rappresentanti delle regioni. 14.2. - In ordine a tale disposizione, inoltre, si era espressa la conferenza Stato-regioni nel parere rilasciato in data 6 maggio 1999. Tra le osservazioni relative ad emendamenti ritenuti essenziali si legge "Art. 19-bis: i compiti della Commissione nazionale per l'accreditamento e la qualita' dei servizi vanno demandati all'Agenzia per i servizi sanitari regionali, garantendo la partecipazione delle societa' scientifiche accreditate, e andranno svolti in coerenza con gli obiettivi indicati nel P.S.N.". Vanno pertanto mosse anche nei confronti di tale disposizione le censure gia' rivolte in generale supra sub par. 2, a tutte quelle disposizioni del decreto nella cui formulazione non si e' tenuto conto delle osservazioni regionali. L'art. 19-ter viola, pertanto, gli artt. 117 e 118 della Costituzione anche in relazione al d.lgs. n. 281/1997 e alla giurisprudenza costituzionale in materia di leale collaborazione tra Stato e regioni. 15. - Violazione dell'art. 119 della Costituzione da parte dell'art. 16 del d.lgs. n. 229 del 1991 e dell'art. 1, comma 4, della legge n. 419 del 1998. Costituisce principio generalissimo della finanza regionale, in specie in materia sanitaria, quello secondo cui lo Stato "non puo' addossare al bilancio regionale oneri relativi alla spesa sanitaria che derivano da decisioni non imputabili alle regioni stesse" (Corte cost., sentenze nn. 452 del 1989; 416 del 1995). Ora, nonostante le assicurazioni rese in sede politica, e' accertato (anche dal Servizio Bilancio del Senato, nella nota citata) che il decreto avra' effetti finanziari oggi non controllabili. La stessa legge delega (art. 1, comma 4) prevede che "l'esercizio della delega ... non comporta complessivamente oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato e degli enti di cui agli artt. 25 e 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468 e successive modificazioni". Il decreto legislativo, cosi', non contiene alcuna garanzia che le maggiori spese provocate dalla sua attuazione non ricadano - per scelte organizzative impostate ed effettuate a livello centrale - sul sistema regionale. Non e' sufficiente all'uopo l'art. 1 del d.lgs. n. 229, nella parte in cui introduce un nuovo art. 1, comma 3 nel d.lgs. n. 502, ai sensi del quale "l'individuazione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza assicurati dal servizio sanitario nazionale, per il periodo di validita' del piano sanitario nazionale, e' effettuata contestualmente all'individuazione delle risorse finanziarie destinate al servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilita' finanziarie definite per l'intero sistema di finanza pubblica nel documento di programmazione economico-finanziaria. Le prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza sono garantite dal servizio sanitario nazionale a titolo gratuito o con partecipazione alle spese, nelle forme e nelle modalita' previste dalla legislazione vigente" ed ancora meno e' sufficiente l'art. 16, nella parte in cui introduce un art. 19-quinquies nel d.lgs. n. 502 (che prevede una relazione sugli effetti finanziari del Ministro della sanita') e un art. 19-ter, che prevede generiche misure di sostegno, ma non certo la copertura dei disavanzi sul bilancio regionale provocati dai contraccolpi delle scelte politico-organizzative prese a livello centrale. Il Presidente della conferenza dei Presidenti delle regioni e province autonome, nella citata nota del 17 giugno 1999, sottolineava questi problemi: "Richiamo, da ultimo, l'esigenza che l'approvazione del decreto legislativo avvenga in un quadro coerente anche relativamente agli aspetti economico finanziari e che - oltre ad un miglioramento della formulazione della norma inserita nell'art. 19-quinquies (finalizzata a garantire che nella Relazione ivi prevista si tenga conto delle valutazioni delle regioni sull'effettiva incidenza economica dell'applicazione del decreto) - siano da subito adottati i provvedimenti e le misure utili per recepire il lavoro svolto dall'apposito tavolo di confronto da Lei insediato su tali aspetti. In particolare si chiede che, anche attraverso una tempestiva assunzione al tavolo politico di quanto elaborato in sede tecnica, venga da subito posto mano alla manovra necessaria per trasferire alle regioni le risorse sulle quali vi e gia' accordo, nella consapevolezza che la corretta quantificazione dell'effettivo fabbisogno finanziario e' necessaria non solo per ''sanare'' gli anni pregressi ma per fare del 2000 l'''anno zero'' della sanita'". 16. - L'illegittimita' derivata dalla illegittimita' costituzionale della legge delega n. 419 del 1998 per violazione dell'art. 76, sotto il profilo della generica individuazione dell'oggetto, nonche' della confusa gestione di "oggetto" e "principi" della delega. Vengono qui (sub parr. 16, 17 e 18) tuzioristicamente riprodotte le censure gia' avanzate dalla regione Lombardia avverso la legge delega n. 419 del 1998, in quanto dalla illegittimita' di questa consegue l'illegittimita' derivata del decreto delegato. Il d.lgs. n. 229 e' illegittimo per illegittimita' derivata dalla illegittimita' della legge n. 419 del 1998, per violazione dell'art 76, sotto il profilo della generica individuazione dell'oggetto della delega e della confusa gestione di "oggetto" e "principi". L'art. 1, comma 1, della legge n. 419 del 1998 attribuisce al Governo l'incarico di emanare uno o piu' decreti legislativi contenenti disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. n. 502/1992 "sulla base dei principi e dei criteri direttivi previsti dall'art. 2". Se si tiene a mente l'insegnamento tradizionale secondo cui la delega legislativa non puo' riguardare generiche materie o generici settori, bensi' deve fare riferimento ad oggetti definiti e precisi, leggendo le disposizioni contenute nell'art. 2 si evince chiaramente come la maggioranza di esse, anziche' dettare principi e criteri direttivi, talvolta individuino, talaltra precisino l'oggetto della delega. In sostanza, la legge n. 419/1998 definisce come "oggetto" della delega una genericissima "modifica" ed "integrazione" del d.lgs. n. 502/1992, per poi prevedere e qualificare come criteri e principi di tale oggetto le singole previsioni delle lettere da a) a qq) dell'art. 2; ma queste, a ben vedere, non fanno che esplicare l'oggetto della delega, preannunciato dall'art. 1, e solo raramente individuano criteri e principi. Ne' pochi criteri e principi indicati in alcune delle lettere dell'art. 2, comma 1, possono ritenersi estensibili alle altre lettere dello stesso comma, essendo stati dettati in relazione allo specifico settore disciplinato dalla singola lettera. Esempi piu' eclatanti della confusione cui e' incorso il legislatore delegante sono costituiti dal disposto delle lettere c), i), m), n), r), s), u), z), aa), bb), dd), ff), gg), ii), pp) e qq) dell'art. 2, comma 1. Cosa altro e' se non un "oggetto" della delega il "regolare la collaborazione tra i soggetti pubblici interessati" (lett. c)); ovvero "attribuire...i compiti e le funzioni tecnico scientifici e di coordinamento tecnico all'istituto superiore di sanita', all'agenzia per i servizi sanitari regionali e all'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro" (lett. i))? E si potrebbe continuare: il "ridefinire il ruolo del piano sanitario nazionale" (lett. aa)) e' solo un possibile oggetto della delega al quale mancano principi e criteri direttivi. Che, nella maggior parte dei casi, le lettere del comma 1 dell'art. 2, contengono "oggetti" senza "principi e criteri" e' infine dimostrato da quei rari casi in cui l'individuazione dell'oggetto e' accompagnata da qualche indicazione o direttiva d'intervento. Cosi', ad esempio, nel punto cc), si attribuisce la delega al riordino delle forme integrative di assistenza sanitaria "precisando che esse si riferiscono a prestazioni aggiuntive, eccedenti i livelli uniformi ed essenziali di assistenza definiti dal piano sanitario nazionale, con questi comunque integrate, ammettendo altresi' la facolta' per le regioni, le province autonome e gli enti locali e per i loro consorzi di partecipare alla gestione delle stesse forme integrative di assistenza". Le norme indicate si pongono, pertanto, in chiaro contrasto con quanto previsto dall'art. 76 della Costituzione, richiedendo tale disposizione tra i requisiti della legge di delega "la determinazione dei principi e dei criteri direttivi". A tal proposito, codesta ecc.ma Corte ha piu' volte affermato che la legge di delega deve contenere, oltre ai limiti di durata e alla definizione dell'oggetto, anche l'indicazione dei principi e criteri direttivi e che "all'uopo il precetto costituzionale e' da ritenersi soddisfatto allorche' sono date al legislatore delegato delle direttive vincolanti ragionevolmente limitatrici della sua discrezionalita' e delle indicazioni che riguardino il contenuto della disciplina delegata, mentre allo stesso legislatore delegato e' demandata la realizzazione, secondo modalita' tecniche prestabilite, delle esigenze, delle finalita' e degli interessi considerati dal legislatore delegante" (sent. 158/1985). E' pur vero che, in alcuni casi, codesta ecc.ma Corte ha riconosciuto che "la limitatezza delle finalita' da raggiungere giustifica adeguatamente la mancata indicazione di principi e criteri specifici" (sent. 299/1993). Non sembra, tuttavia, che tale situazione ricorra nel caso di specie, e cio' in quanto se dalla lettura dell'art. 1, comma 1, l'oggetto della delega sembra essere circoscritto alla modifica e alla integrazione di alcune disposizioni del d.lgs. n. 502/1992, esso, in realta', si snoda nelle numerosissime norme contenute nelle lettere del comma 1, dell'art. 2, che, a loro volta, intervengono su quasi tutti i settori gia' disciplinati dal d.lgs. n. 502/1992. L'oggetto della delega contenuta nella legge n. 419/1998, dunque, non e' affatto limitato, bensi' e' molto ampio: la mancata indicazione dei principi non puo', pertanto, ritenersi giustificata neppure alla luce di quanto statuito dalla giurisprudenza costituzionale. Ne' si puo' ritenere che nel caso di specie la determinazione dei principi e dei criteri direttivi sia avvenuta per relationem con riferimento al d.lgs. n. 502/1992. Questa ecc.ma Corte ha, infatti, affermato che "la determinazione dei principi e dei criteri direttivi di cui all'art. 76 della Costituzione ben puo' avvenire per relationem, con riferimento ad altri atti normativi, purche' sufficientemente specifici" (sent. 157/1985). Nel testo degli artt. 1 e 2 non e', invece, rinvenibile alcuna norma che disponga il rinvio ai principi desumibili dal d.lgs. n. 502/1992. Sebbene, infatti, alcune delle lettere contenute nel comma 2 dell'art. 1, contengano disposizioni di completamento della disciplina introdotta dal d.lgs. n. 502/1992, e, come tali, potrebbero ritenersi ispirate ai principi desumibili da tale decreto legislativo, la maggioranza di esse detta disposizioni di modifica spesso contrastanti con tali principi. Negli artt. 1 e 2, e', dunque, ravvisabile una sostanziale carenza o, quantomeno insufficienza dei principi e criteri direttivi richiesti dall'art. 76 Cost., quali requisiti necessari della legge di delega. Incongrua, incoerente e in contrasto con l'art. 76 della Costituzione e' poi la struttura di tutte le disposizioni di delega. La formula secondo cui oggetto della delega sono "disposizioni modificative e integrative del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502" e' contraddetta dal lunghissimo elenco dell'art. 2. Sembra quasi che non si sia voluto definire la delega come delega alla riorganizzazione del sistema sanitario e si sia invece voluto simulare il reale intento del legislatore sotto la formula anodina e riduttiva dell'art. 1, comma 1. In realta', delegare il Governo ad emanare "disposizioni integrative e modificative" di un altro atto dovrebbe sottintendere la volonta' di muoversi all'interno della logica e dei principi di quell'atto. Cio', d'altra parte, sembrerebbe confermato dal comma 2 dell'art. 1 secondo cui "L'esercizio della delega di cui al comma 1 deve avvenire nel rispetto delle competenze trasferite alle regioni con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59". Tutto cio' e' invece contraddetto, come si vedra' anche in dettaglio piu' avanti, dai singoli punti dell'art. 2, che si pongono talvolta in netta contraddizione con le scelte del d.lgs. n. 502/1992, confermate, peraltro, dal d.lgs. n. 112/1998. 17. - L'illegittimita' derivata dalla illegittimita' dell'art. 1, commi 2 e 3, della legge n. 419 del 1998 per violazione dell'art. 117 della Costituzione in relazione al Titolo V del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, e al principio di leale collaborazione tra Stato e regioni. Il d.lgs. e' illegittimo per illegittimita' derivata della legge delega, nella parte in cui essa prevede il parere della conferenza-unificata, di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 281/1997, e non gia' della conferenza Stato-regioni. Si ribadiscono anche in questa sede i motivi di ricorso avverso la legge delega. Il d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, nel disciplinare le funzioni della conferenza Stato-regioni, all'art. 2, comma 3, stabilisce espressamente che la conferenza Stato-regioni e' obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegno di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni. Nella sentenza n. 408/1998, la Corte cosi' commenta tale disposizione "L'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 stabilisce che essa (la conferenza Stato-regioni) e' obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni, generalizzando la partecipazione consultiva obbligatoria sull'attivita' e sull'iniziativa normativa del Governo nelle materie regionali". Quanto alle competenze della conferenza unificata l'art. 9, comma 2 del d.lgs. n. 281/1997 stabilisce che essa "e' comunque competente in tutti i casi in cui regioni, comuni e comunita' montane ovvero la conferenza Stato-regioni e la conferenza Stato-citta' debbano esprimersi sul medesimo oggetto". L'art. 2, inoltre, alla lett. a), nello specificare le competenze della conferenza unificata, stabilisce che essa esprime parere sul disegno di legge finanziaria e sui disegni di legge collegati; sul disegno di programmazione economica e finanziaria; sugli schemi di decreto legislativo adottati in base all'art. 1 della legge n. 59/1997. Anche alla luce di quanto stabilito dall'art. 2 del d.lgs. n. 281/1997, dunque, la competenza della conferenza unificata ad esprimere parere in ordine agli schemi di decreto legislativo contemplati dall'art. 1 della legge n. 419/1998 deve ritenersi esclusa. Ne', d'altra parte, e' possibile ritenere una competenza della conferenza unificata in materia sulla base di quanto previsto dalla prima parte del comma 2 dell'art. 9, del d.lgs. n. 281/1997, dove si stabilisce che la conferenza unificata e' competente quando la conferenza Stato-regioni e la conferenza Stato-citta' "debbano esprimersi sul medesimo oggetto". Dalla lettura del comma 5 dell'art. 9, che disciplina le funzioni della conferenza Stato-citta' non e' possibile desumere competenze della stessa in materia di assistenza sanitaria: tale norma, infatti, riconduce le competenze della conferenza Stato-citta' essenzialmente alla sfera degli interessi che fanno capo alle autonomie locali. D'altra parte, se e' vero che questa ecc.ma Corte, nel pronunciarsi in ordine alla questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla regione Puglia in ordine alla unificazione della conferenza Stato-regioni con la conferenza Stato-citta', attuata con il d.lgs. n. 281/1997, ha riconosciuto che la previsione della conferenza unificata costituisce "una scelta discrezionale del legislatore non in contrasto con la Costituzione", e' anche vero che questa ecc.ma Corte ha ritenuto la legittimita' costituzionale della conferenza unificata "quale strumento di raccordo fra Governo e autonomie, allorche' siano in discussione argomenti di interesse comune vuoi delle regioni vuoi degli enti locali" (sent. n. 408/1998). E la materia dell'assistenza sanitaria in quanto rientrante nella competenza delle regioni, non sembra possa ritenersi, se non in maniera molto limitata, e comunque generica, di interesse comune delle regioni e degli enti locali. 18. - L'illegittimita' derivata dalla illegittimita' della legge delega n. 419 del 1998 sotto tutti i profili gia' evidenziati nel ricorso avverso la legge n. 419 del 1998. Oltre a due motivi di cui sub parr. 16 e 17, relativi all'illegittimita' derivata del d.lgs. n. 229, per illegittimita' della delega, sotto i due profili generali ivi evidenziati, si intendono in ogni caso richiamati e riprodotti tutti gli altri motivi di ricorso avverso la legge delega n. 419, gia' avanzati dalla regione Lombardia nel ricorso notificato in data 5 gennaio 1999, per la parte e nella misura in cui le disposizioni impugnate hanno trovato attuazione in disposizioni del decreto delegato. Cio' vale per la lamentata violazione del principio di parita' tra soggetti pubblici e soggetti privati (motivo 4); per l'ingerenza comunale nei procedimenti decisionali in materia sanitaria (motivo 5); per la mancata o ridotta partecipazione regionale al processo di formazione del Piano sanitario nazionale (motivo 6); per l'eccesso di dettaglio in materia di attivazione dei distretti (motivo 7); per la delega alla definizione dell'accreditamento (motivo 8); per l'ingerenza nella definizione delle ASL e delle Aziende ospedaliere (motivo 9); per la disciplina della remunerazione (motivi 10 e 11); per il ruolo dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali (motivo 12).