Ricorso della regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore, prof. Salvatore Distaso, autorizzato con delibera di Giunta regionale n. 1081 del 3 agosto 1999, rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto, dal prof. avv. Aldo Loiodice e dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana, 6; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, recante "Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419", in toto e in parte qua, relativamente ad alcuni articoli, pubblicato nel Supplemento ordinario n. 132/L alla Gazzetta Ufficiale serie generale, n. 165 del 16 luglio 1999. F a t t o In attuazione della delega contenuta nella legge 30 novembre 1998, n. 419, recante "Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale e per l'adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Modifiche al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale serie generale, n. 286 del 7 dicembre 1998, in data 19 giugno 1999, il Presidente della Repubblica ha emanato il d.lgs. n. 229/1999. Il decreto, rappresentando un forte elemento di discontinuita' rispetto alle riforme introdotte dal d.lgs. n. 502/1992, pone evidenti ostacoli alla programmazione sanitaria regionale. Tra gli effetti indotti dal decreto vi sara' quello di un ulteriore ingiustificato aggravio di spesa: basti qui ricordare gli oneri derivanti dalla soppressione dei rapporti di lavoro a tempo definito o quelli conseguenti alle previsioni restrittive sui fondi integrativi, che negano la possibilita' di ricorrere a strutture autorizzate. Il Servizio Bilancio del Senato, in una nota sullo schema di decreto delegato, segnalava l'esistenza di numerose disposizioni tali da recare aggravio di spesa nel settore sanitario a seguito della riforma 1). L'impostazione statalista e centralista del d.lgs. 229 ridimensiona drasticamente le competenze attribuite alle regioni in materia sanitaria dagli articoli 117 e 118 della Costituzione. Basterebbe il semplice dato quantitativo delle 81 pagine di Gazzetta Ufficiale a rendere evidente come si sia voluto definire nell'estremo dettaglio moltissimi luoghi e settori di evidente competenza regionale: cio' e' avvenuto in palese spregio della volonta' parlamentare, giacche' e' difficile pensare che con il principio contenuto nell'art. 2, comma 1, lett. b, della legge n. 419 del 1998, relativo al completamento del "processo di regionalizzazione ... del Servizio Sanitario Nazionale" si volesse dar mandato al Governo di sommergere i legislatori e le amministrazioni regionali di 80 pagine fitte di Gazzetta Ufficiale, piene di norme di dettaglio. 1) La nota e' pubblicata in ASI - Agenzia sanitaria italiana del 20 maggio 1999, n. 20. L'impostazione del decreto tende, inoltre, a vanificare la parita' tra pubblico e privato. In particolare, la nuova disciplina introdotta in materia di accreditamento, nel subordinare l'esito positivo della relativa procedura alla previsione di un fabbisogno regionale delle prestazioni e alla capacita' produttiva massima delle singole strutture, di fatto, non puo' non condurre al riconoscimento di uno spazio maggiore e piu' garantito delle strutture pubbliche, relegando quelle private ad un ruolo meramente sussidiario e residuale. Anche sotto questo profilo, viene posta nel nulla la volonta' parlamentare, giacche' l'art. 2, comma 1, lett. c) della delega chiede al Governo di "regolare e distribuire i compiti tra i soggetti pubblici interessati e i soggetti privati". Infine non si puo' non rilevare l'effetto devastante di una fuga generalizzata dalle strutture pubbliche dei migliori professionisti, fuga che le norme sull'incompatibilita' e sull'esclusivita' del rapporto di lavoro sono suscettibili di produrre. Il d.lgs. n. 229 del 1999 ha operato novellando il d.lgs. n. 502 del 1992, nel cui testo sono stati inseriti nuovi artt. e commi, ovvero abrogati commi o parti di essi; nella maggior parte dei casi, gli artt. 1, 2, 3, 4, 5, del d.lgs. n. 229 hanno modificato i corrispondenti artt. 1, 2, 3, 4, 5, del d.lgs. n. 502: nel prosieguo del ricorso si fara' riferimento, nell'epigrafe del motivo e nella descrizione iniziale della censura, del d.lgs. n. 229, mentre all'interno dei paragrafi i riferimenti, salva diversa indicazione, saranno effettuati al testo del d.lgs. n. 502, cosi' come novellato dal d.lgs. n. 229. Il d.lgs. 229/1999 invade le competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni in materia sanitaria e risulta pertanto gravemente illegittimo per i seguenti motivi: D i r i t t o 1. - Violazione degli artt. 76 e 73 della Costituzione, in relazione all'art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419, per mancato rispetto dei termini per l'emanazione e pubblicazione previsti dalla legge delega. All'art. 1, comma 1, la legge n. 419/98, stabilisce che "il Governo e' delegato ad emanare, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi recanti disposizioni modificative e integrative del d.lgs. 30 novembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, sulla base dei principi e dei criteri direttivi previsti dall'art. 2". Affinche' i termini previsti dall'art. 1, comma 1, della legge n. 419/98 fossero da ritenersi rispettati, il Governo avrebbe dovuto esercitare i poteri delegati entro il 22 giugno 1999. Tuttavia, se e' vero che il d.lgs. n. 229/99 e' stato emanato dal Presidente della Repubblica in data 19 giugno 1999, e' anche vero che esso solo in data 8 luglio 1999 veniva trasmesso al Ministro di grazia e giustizia, il quale vi apponeva il visto in data 12 luglio 1999. Quanto poi alla data della pubblicazione, il decreto risulta ufficialmente pubblicato in data 16 luglio 1999: la Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 165 del 16 luglio 1999 riportava, infatti, avviso della pubblicazione del d.lgs. n. 229/99 nel supplemento ordinario, n. 132/L. Il supplemento ordinario n. 132/L e' stato materialmente distribuito solo in data 24 luglio 1999. Il ritardo nella pubblicazione (e nella concreta distribuzione) del d.lgs. n. 229/99 costituisce una violazione delle disposizioni dettate dagli artt. 73 e 76 della Costituzione. L'art. 76 Cost. stabilisce, infatti, che "l'esercizio della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non con la determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti". A sua volta, l'art. 73 Cost., al terzo comma, stabilisce che: "le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione". L'espressione "leggi" di cui al comma terzo dell'art. 73 Cost. deve, infatti, intendersi riferita anche agli atti aventi forza di legge, quali appunto i decreti delegati. La ricorrente ben conosce la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte secondo cui i termini per l'esercizio dei poteri delegati devono intendersi rispettati, e che quindi non sussiste violazione degli artt. 73 e 76 della Costituzione, nelle ipotesi in cui i decreti delegati vengano "emanati" nel termine previsto dalla legge di delega, non essendo necessario che entro tale termine essi vengano anche "pubblicati" (cfr. per tutte la sent. n. 184 del 10 dicembre 1981). A questa interpretazione della Corte costituzionale avrebbe dovuto corrispondere un atteggiamento responsabile dell'amministrazione, la quale avrebbe dovuto limitare al massimo i tempi necessari per la pubblicazione successiva all'emanazione. E invece si e' assistito e si assiste anche in questa situazione ad un fenomeno di grave degenerazione e lassismo per quanto attiene a(i tempi de)lla pubblicazione dei decreti delegati (la medesima situazione qui lamentata si ebbe, ad esempio, per il d.lgs. n. 112 del 1998, che, emanato in data 31 marzo 1998, e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 aprile 1998). Il caso in questione e' esemplare: emanato il 19 giugno 1999 dal Presidente della Repubblica, il decreto e' stato trattenuto negli uffici del Ministero della sanita' fino all'8 luglio; ha ricevuto il visto del Ministro di grazia e giustizia il 12; ne e' stata comunicata la pubblicazione il 16 luglio. A cio' si aggiunga, a testimonianza del grave ritardo verificatosi, che la Gazzetta Ufficiale recante il testo e' stata disponibile solo il 24 luglio a Roma e il 26 luglio nel resto del paese: che in questa situazione temporale, stante i lunghissimi tempi di pubblicazione e distribuzione dell'atto, si sviluppino polemiche politiche circa la modifica in itinere (per cosi' dire!) del testo, pur dopo l'emanazione da parte del Presidente della Repubblica, e' evenienza inevitabile. Ora, mentre il ritardo nella distribuzione assume in questa sede il rilievo di un mero fatto, pur se foriero di gravi conseguenze giuridiche (giacche' la vacatio legis si e', in tal modo, ridotta a pochissimi giorni e ne subiscono un vulnus anche i gia' ristretti - e senza sospensione feriale - termini per l'impugnazione regionale!), il ritardo nella pubblicazione ben puo' essere sanzionato in sede di legittimita' costituzionale, precisando che anche la pubblicazione deve intervenire nel termine previsto dalle leggi di delega. 2. - Violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione all'art. 1, comma 3, della legge 30 novembre 1998, n. 419, al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 e al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni da parte di numerose disposizioni del decreto. 2.1. - L'art. 1, comma 3, della legge delega stabilisce che sugli schemi di decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo acquisisce il parere della Conferenza Unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, che esprime il richiesto parere entro trenta giorni dalla ricezione degli schemi stessi. Tale disposizione non e' stata rispettata dal Governo nella formazione finale del decreto. Con riferimento ad alcune disposizioni, infatti, il parere della Conferenza Unificata non e' stato acquisito dal Governo, essendo stato presentato un testo che non le conteneva; rispetto ad altre, invece, sebbene il Presidente del Consiglio dei Ministri, in sede di Conferenza Unificata, avesse assicurato che avrebbe recepito gli emendamenti proposti in quella sede dalle regioni, di fatto, nella formulazione finale del decreto, si e' dovuto constatare che il Governo non ha tenuto conto delle osservazioni regionali. 2.2. - Appartengono al primo gruppo (disposizioni su cui non e' stato acquisito il parere della Conferenza Unificata): a) l'art. 3, nella parte in cui introduce l'art. 3-bis, comma 15, del d.lgs. n. 502/92, dove si stabilisce che: "in sede di prima applicazione, le regioni possono disporre la proroga dei contratti con i direttori generali in carica all'atto dell'entrata in vigore del presente decreto per un periodo massimo di dodici mesi"; b) l'art. 4, comma 2 nella parte in cui aggiunge il comma 1-ter all'art. 4 del d.lgs. n. 502/92, ultimo periodo, in cui si stabilisce che: "In ogni caso, non si procede alla costituzione o alla conferma in azienda ospedaliera qualora questa costituisca il solo presidio ospedaliero pubblico presente nell'azienda unita' sanitaria locale"; c) l'art. 4, comma 2, nella parte in cui introduce il comma 1-octies all'art. 4 del d.lgs. n. 502, in cui si stabilisce che: "Ai progetti elaborati dalle regioni e finanziati ai sensi dell'art. 1, comma 34-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, hanno titolo a partecipare anche gli enti e gli istituti di cui al comma 12"; d) l'art. 5, comma 1, nella parte in cui introduce l'art. 5-bis del d.lgs. n. 502, comma 3, in cui si stabilisce che: "In caso di mancata attivazione del programma oggetto dell'accordo entro i termini previsti dal medesimo programma, la copertura finanziaria assicurata dal Ministero della sanita' viene riprogrammata e riassegnata, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, in favore di altre regioni o enti pubblici interessati al programma di investimenti, tenuto conto della capacita' di spesa e di immediato utilizzo delle risorse da parte dei medesimi"; e) l'art. 7, comma 1, nella parte in cui introduce l'art. 7-quater del d.lgs. n. 502, comma 2, in cui si stabilisce che: "Le regioni disciplinano l'articolazione delle aree dipartimentali di sanita' pubblica, della tutela della salute negli ambienti di lavoro e della sanita' pubblica veterinaria, prevedendo strutture organizzative specificatamente dedicate a: igiene e sanita' pubblica; igiene degli alimenti e della nutrizione; prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro; sanita' animale; igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione; conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati; igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche". Tutte le disposizioni indicate non erano presenti nel testo sottoposto alla Conferenza Unificata. 2.3. - Appartengono al secondo gruppo (disposizioni rispetto alle quali non ci si e' adeguati alle richieste regionali, nonostante le assicurazioni rese in Conferenza Unificata) le disposizioni di cui agli artt. 1, comma 14; 4; 8-quinquies, comma 2 del d.lgs. n. 229, nonche' l'art. 8-sexies commi 3 e 4 dello schema di decreto (che corrispondono ai commi 4 e 5 del d.lgs. n. 229). Con riferimento a tali disposizioni, nei successivi paragrafi, verranno dettagliatamente indicati gli emendamenti proposti dalla Conferenza dei Presidenti delle regioni nel parere rilasciato in data 6 maggio 1999, al cui accoglimento era subordinato il parere positivo della Conferenza, accettati dal Governo stesso in sede di Conferenza e, infine, sorprendentemente, non accolti dal Governo nella formulazione definitiva del decreto. 2.4. - Tale comportamento tenuto dal Governo non puo' che comportare l'illegittimita' costituzionale sia delle disposizioni non sottoposte al parere della Conferenza, sia di quelle confermate anche a seguito degli emendamenti proposti dalle regioni. Se e' vero, infatti, che nella seduta del 6 maggio 1999, la Conferenza Unificata ha espresso parere favorevole sullo schema di decreto approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri in data 14 aprile 1999, e' anche vero che, nella medesima sede, la Conferenza dei Presidenti delle regioni aveva subordinato l'espressione del proprio parere favorevole al recepimento da parte del Governo delle richieste formulate nel documento del 6 maggio 1999, (allegato al verbale della Conferenza Unificata del 6/5/99), e che il Ministro della Sanita' si era dichiarato disponibile ad accoglierle. A conferma della situazione verificatasi si riportano alcuni stralci del verbale della seduta del 6 maggio 1999 della Conferenza Unificata, nel quale, in particolare, si legge: "Visto lo schema del decreto legislativo in oggetto, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 14 aprile 1999 e trasmesso il successivo 16 aprile dal Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del consiglio dei Ministri alle Segreterie della conferenza stato-regioni e della conferenza Stato-citta' e autonomie locali; Considerato che in sede tecnica, il 5 maggio 1999, i rappresentanti delle regioni, hanno consegnato un documento di osservazioni relative ad eventuali emendamenti allo schema di decreto, precisando che alcune di esse erano da considerarsi essenziali e condizionanti il parere da esprimere; che i rappresentanti dell'ANCI, pur esprimendo una valutazione complessivamente positiva sullo schema di decreto, hanno consegnato un documento, ancora in fase di elaborazione, di osservazioni allo stesso; che il rappresentante dell'UNCEM, che ha consegnato un documento, e il rappresentante dell'UPI si sono associati sostanzialmente ai rilievi sollevati dal rappresentante dell'ANCI, rivendicando, rispettivamente, spazi per le province soprattutto in materia di pianificazione territoriale, attraverso la partecipazione dei presidenti delle province alla Conferenza dei sindaci e una maggiore attenzione per la situazione della montagna, evidenziando il ruolo svolto dalle comunita' montane, in particolare nel settore dei servizi sociali ed assistenziali; Considerato che, nel corso dell'odierna seduta di questa Conferenza, i Presidenti delle regioni hanno consegnato un documento, che si allega, di osservazioni e proposte di modifica allo schema di decreto in esame, alcune delle quali ritenute essenziali per l'espressione di un parere positivo, avanzando quindi una riserva da sciogliere al termine del dibattito e sulla scorta delle risposte di merito da parte del Governo; Considerato che, nel corso dell'odierna seduta di questa Conferenza, il Ministro della sanita' si e' dichiarato disponibile ad esaminare le richieste avanzate se coerenti con i principi della legge delega e che, sulla scorta dell'esame compiuto in corso di seduta delle stesse, ha dichiarato di accoglierle, ritenendo soltanto quella avanzata dal Presidente della regione Lombardia non coerente con i criteri direttivi recati dalla legge n. 419 del 1998; Considerato che le regioni, valutate positivamente le assicurazioni del Ministro della sanita', hanno sciolto in senso positivo la riserva posta all'inizio della seduta, augurandosi che quanto concordato venga mantenuto in sede di approvazione definitiva del provvedimento in esame; che lo stesso avviso e' stato espresso dall'ANCl, UPI e UNICEM; Considerato che il Presidente del Consiglio dei Ministri, nell'affermare la rilevanza dello schema di decreto in esame, ha dichiarato la volonta' del Governo di mantenere gli impegni assunti per il rafforzamento del sistema sanitario e ha chiesto la partecipazione attiva del sistema delle autonomie nei successivi incontri con le organizzazioni sindacali previsti dalla legge delega". A ribadire la posizione regionale, il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome Vannino Chiti inviava al Presidente del Consiglio dei Ministri, in data 17 giugno 1999, una nota dal seguente tenore: "Nella fase finale di approvazione del decreto legislativo previsto dagli artt. 1 e 2 della legge 30 novembre 1998 n. 419, per il riordino del Servizio sanitario nazionale, ritengo doveroso rappresentarLe nuovamente la posizione della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, attesa la speciale rilevanza che le questioni sanitarie acquistano sempre di piu' per i governi regionali. Devo preliminarmente ribadire che le regioni e le province autonome chiedono, per poter confermare il parere favorevole espresso, alla Sua presenza, in sede di Conferenza Unificata il 6 maggio u.s., che siano integralmente recepite nel testo finale le osservazioni definite essenziali nel documento che contiene tale parere, che ad ogni buon conto si riporta in allegato 1. Rispetto al testo che ci risulta essere all'esame del Consiglio dei Ministri, le regioni e le province autonome chiedono, in particolare, che sia meglio precisato che la "coerenza" degli schemi o progetti di piani sanitari regionali rispetto al PSN sia verificata rispetto agli "indirizzi generali" dello stesso art. 1, comma 12. Analoga richiesta di precisazione si chiede venga fatta a proposito delle sperimentazioni gestionali (art. 10) le quali si ritiene debbano essere autorizzate dalle Regioni sulla base di indirizzi e criteri della Conferenza Stato-regioni, della quale andrebbe enfatizzata la funzione di coordinamento, verifica ed eventuale intervento correttivo. Anche per quanto riguarda alcune attivita' centrali, si chiede un piu' forte recepimento di quanto gia' richiesto dalle regioni, con particolare riferimento ai compiti dell'Agenzia nazionale per l'Accreditamento, (art. 19-bis,) che vanno effettivamente demandati all'Agenzia per i Servizi Sanitari, la quale si avvale di un organismo tecnico-scientifico dedicato, ed ai compiti e funzioni dell'I.S.S., dell'I.S.P.E.S.L. e della stessa A.S.S.R. (Art. 19-sexies, ex 19-quater). Relativamente alle osservazioni definite rilevanti nello stesso documento di parere sopra richiamato, ritengo di dover ancora una volta, richiamare l'esigenza posta dalle regioni e province autonome di introdurre maggiore flessibilita', rispetto all'attuale testo (addirittura peggiorativo), a proposito della costituzione o conferma delle Aziende ospedaliere, rilanciando anche una ipotesi gia' a suo tempo avanzata di Aziende di rilievo regionale che le regioni e province autonome dovrebbero poter costituire o confermare in base a criteri analoghi a quelle di rilievo nazionale, tranne il criterio relativo alla mobilita' interregionale e introducendo comunque un tetto massimo di posti letto aziendalizzati (apparirebbe congruo il 30%) in ogni regione, salvo deroga concedibile dalla Conferenza Stato-regioni. Per quanto attiene ad una serie di disposizioni normative, presenti nel testo attuale ma mai sottoposte al parere delle regioni e province autonome se ne chiede la soppressione e l'eventuale rinvio ad altro provvedimento, salvo quanto eventualmente recuperabile in un rapido confronto con il Coordinamento interregionale dell'area sanitaria, con particolare riferimento a quelle gia' segnalato al Ministro della Sanita' (che, per snellezza, vengono ricapitolate a parte in apposito allegato 2). (Omissis)". Ma anche questa autorevole presa di posizione istituzionale e' stata tenuta dal Governo in assoluto non cale. 2.5. - Le disposizioni indicate al par. 2 e al par. 3 risultano, pertanto, poste in violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione e, in quanto tali, violano anche il principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni. Va, infatti, sottolineato, in primo luogo, come la mancata consultazione delle regioni o la mancata conformazione alle osservazioni dalle stesse presentate ai fini della disciplina di materie, quale quelle dell'assistenza sanitaria e ospedaliera che gli artt. 117 e 118 della Costituzione attribuiscono alla competenze legislativa e amministrativa regionali, ridonda inevitabilmente in violazione degli stessi artt. 117 e 118 Cost. D'altra parte, sussiste nel caso di specie anche la violazione da parte del Governo del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni: di fatto il Governo, omettendo, rispetto ad alcune disposizioni del decreto, di acquisire il parere delle regioni e non tenendo conto, rispetto ad altre, degli emendamenti proposti dalle regioni, non ha concretamente rispettato le norme di comportamento che dovrebbero regolare, in attuazione del principio di leale collaborazione, i rapporti tra lo Stato e le regioni. Nella vicenda sottoposta alla valutazione di codesta ecc.ma Corte, la violazione del principio di leale collaborazione appare ancora piu' odiosa, giacche' il parere positivo e' stato ottenuto grazie ad una dichiarazione, resa in Conferenza, dal Ministro, alla quale non e' poi stato dato seguito: il rango costituzionale dei soggetti coinvolti spingeva a ritenere che una dichiarazione di un Ministro, resa in Conferenza Stato-regioni-autonomie, avrebbe trovato sicura attuazione. Non vi e' certo bisogno di ricordare che quello della leale collaborazione tra Stato e regioni e' un principio costantemente affermato nella giurisprudenza costituzionale, il cui presupposto e' stato rinvenuto da codesta ecc.ma Corte nella coesistenza, l'interferenza, la reciproca indissolubile connessione di poteri statali e regionali, riconosciuti ed esercitati a diverso titolo e con differenti finalita', ma vertenti su ambiti e aree oggettivamente sovrapposte o coincidenti ovvero preordinati al raggiungimento di compiti comuni, e il cui "fondamento diretto" e' stato rinvenuto nell'articolo 5 Cost. (cfr., in particolare, sent. n. 19 del 1997). Una sintesi della interpretazione, fornita da codesta ecc.ma Corte in ordine a tale principio, si trova nella recente sentenza n. 242 del 1997, nella quale si afferma che il principio di leale cooperazione "deve governare i rapporti fra lo Stato e le regioni nelle materie e in relazione alle attivita' in cui le rispettive competenze concorrano o s'intersechino, imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi ... Tale regola, espressione del principio costituzionale fondamentale per cui la Repubblica, nella salvaguardia della sua unita', "riconosce e promuove le autonomie locali", alle cui esigenze "adegua i principi e i metodi della sua legislazione" (art. 5 Cost.) va al di la' del mero riparto costituzionale delle competenze per materia ed opera dunque su tutto l'arco delle relazioni istituzionali fra Stato e regioni, senza che a tal proposito assuma rilievo diretto la distinzione fra competenze esclusive, ripartite o integrative, o fra competenze amministrative proprie e delegate". 2.6. - Le disposizioni indicate, per il modo con cui si e' giunti alla loro formulazione, si pongono, inoltre, in contrasto con la giurisprudenza costituzionale in materia di intese e di pareri con gli organismi rappresentativi delle Regioni e degli enti locali. In particolare, recentemente, codesta ecc.ma Corte, chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimita' costituzionale dell'articolo 3, comma 4, del d.lgs. n. 281/97 - che prevede, per le ipotesi di urgenza, la possibilita' di non ricorrere all'intesa con la Conferenza Stato-regioni - ha specificato che l'omissione della partecipazione previa in caso d'urgenza, cosi' come posta dalla norma impugnata, deve ritenersi "non illegittima" soltanto se "la previsione del parere o dell'intesa, pur giustificata dagli interessi costituzionali in gioco, discende da una scelta del legislatore statale non direttamente imposta da norme costituzionali o comunque sovraordinate (...). Nei casi, invece, in cui il parere della conferenza o l'intesa con la medesima si configuri, in concreto, come espressione di un vincolo costituzionale discendente dalla particolarita' dell'oggetto, o di obblighi comunque non derogabili dal legislatore ordinario, non potrebbe lasciarsi alla determinazione del Governo, nemmeno in nome di ragioni di urgenza, la scelta fra la sottoposizione dell'atto alla conferenza in via preventiva, ai fini del parere o dell'intesa, e sottoposizione ad essa, in via successiva dell'atto adottato senza previo parere o previa intesa". La statuizione della Corte, sebbene intervenuta in ordine ad una fattispecie diversa da quella in questione - derogabilita' del parere/intesa con la Conferenza Stato-regioni per motivi di urgenza -, puo' tuttavia ritenersi ad essa applicabile. Nel caso di specie, infatti, la "particolarita' dell'oggetto" - materia espressamente attribuita dall'art. 117 Cost. alla competenza delle regioni - imponeva, senza possibilita' di deroghe, che il parere delle regioni, nel caso di specie della Conferenza Stato-regioni - quale organismo facente parte, ai sensi dell'art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 281/97, con la Conferenza Stato-citta', della Conferenza Unificata - fosse acquisito obbligatoriamente, su tutte le disposizioni e nel rispetto delle volonta' e delle dichiarazioni rese in Conferenza. 3. - Violazione degli artt. 117, 118 e 3 della Costituzione, anche in relazione al d.lgs. n. 112/98, al d.lgs. n. 281/97, alla giurisprudenza costituzionale in materia di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, nonche' dell'art. 76 Cost., in relazione all'art. 2, comma 1, lett. b) e lett. h) della legge n. 419 del 1998, da parte dell'art. 1, recante "Modificazioni all'art. 1 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". L'art. 1 del d.lgs. n. 229/99 sostituisce l'art. 1 del d.lgs. n. 502/92. 3.1. - Nell'introdurre il comma 10 del nuovo art. 1, l'art. 1 del d.lgs n. 502/92, indica, alle lettere da a) ad i), i contenuti del Piano sanitario nazionale. Alle lett. b) ed h) del comma 10, si prevede, rispettivamente che il Piano sanitario nazionale indichi i "livelli essenziali di assistenza sanitaria da assicurare per il triennio di validita' del Piano" e le "linee guida e i percorsi diagnostico terapeutici allo scopo di favorire, all'interno di ciascuna struttura sanitaria, lo sviluppo di modalita' sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica e assistenziale e di assicurare l'applicazione dei livelli essenziali di assistenza". Tali disposizioni disciplinano con estremo dettaglio materie di sicura competenza regionale violando, conseguentemente, gli artt. 117 e 118 della Costituzione, anche in relazione a quanto stabilito dalla giurisprudenza costituzionale in materia (cfr. per tutte la sentenza n. 355/95). La lett. h) del comma 10, oltre a contenere una previsione (come dire?) presuntuosa (come puo' mai un Piano di livello nazionale indicare "percorsi diagnostico-terapeutici" applicabili o comunque validi "all'interno di ciascuna struttura sanitaria"?), viola gravemente la lett. h) del comma 1 dell'art. 2 della legge delega, che, piu' saggiamente, aveva dato mandato al Governo di "definire linee guida al fine di individuare le modalita' di controllo e verifica, da attuare secondo il principio di sussidiareta' istituzionale e sulla base anche di appositi indicatori, dell'appropriatezza delle prescrizioni e delle prestazioni di prevenzione, di diagnosi, di cura e di riabilitazione...". 3.2. - Nell'introdurre il comma 14 del nuovo articolo 1 del d.lgs. n. 502/92, l'art. 1 del d.lgs. n. 229 prevede l'obbligo per le regioni di trasmettere al Ministro della sanita' gli schemi dei piani sanitari regionali allo scopo di acquisire il parere dello stesso per quanto attiene alla coerenza dei medesimi con gli indirizzi del Piano sanitario nazionale. Tale disposizione, imponendo alle regioni di adeguare i loro piani sanitari agli indirizzi fissati dal Piano sanitario nazionale e prevedendo, per di piu', che la conformita' dei suddetti piani al Piano sanitario nazionale venga verificata dal Ministro della sanita', risulta fortemente invasiva delle competenze costituzionalmente riconosciute in materia alle regioni e recentemente confermate dal d.lgs. n. 112/98 che, all'art. 115, comma 2, lett. a), ha trasferito alle regioni le funzioni e i compiti relativi "all'approvazione dei piani e dei programmi di settore non aventi rilievo e applicazione nazionale". Tale disposizione, inoltre, disattende il parere espresso dalla Conferenza dei Presidenti in data 6 maggio 1999. Tra le osservazioni relative ad emendamenti da apportare ritenuti essenziali vi era infatti la seguente: "Le regioni ritengono che il parere del Governo sul Piano sanitario regionale non debba estendersi oltre la valutazione della corrispondenza generale dei contenuti dei piani sanitari regionali ai principi ed agli indirizzi del P.S.N.". Vanno, inoltre, mosse rispetto a tale disposizione le censure gia' rivolte al par. 2 a tutte quelle disposizioni del decreto nella cui formulazione non si e' tenuto conto delle osservazioni regionali. 3.3. - Al comma 17 dell'art. 1 del d.lgs. n. 502/92, l'art. 1 del d.lgs. n. 229 stabilisce che "trascorso un anno dall'entrata in vigore del Piano sanitario nazionale senza che la regione abbia adottato il piano sanitario regionale, alla regione stessa non e' consentito l'accreditamento di nuove strutture". Tale disposizione va censurata sotto molteplici profili. In primo luogo risulta lesiva delle competenze riconosciute alle regioni in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera dagli articoli 117 e 118 della Costituzione e confermate dalla giurisprudenza costituzionale in materia di accreditamento. A tal proposito, codesta ecc.ma Corte, pronunciandosi in ordine alla legittimita' costituzionale dell'accreditamento transitorio disposto dalla legge n. 724/94, con sentenza n. 416/95, aveva statuito che "Premesso che l'accreditamento delle strutture sanitarie consiste nel riconoscimento, ad opera delle regioni, del possesso, in capo ad organismi sanitari di cura, di specifici requisiti - c.d. "standard" di qualificazione - e si risolve nell'iscrizione in un elenco al quale gli utenti delle prestazioni sanitarie possono attingere, l'art. 6, comma 6, legge 23 dicembre 1994 n. 724, che prevede un diritto di accreditamento - automatico per il biennio 1995-1996 - delle strutture in possesso dei requisiti di cui all'art. 8 comma 4 d.-l. 30 dicembre 1992 n. 502, come stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento governativo emanato d'intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, non contrasta con gli artt. 117, 118 e 119 cost.; tale sistema non altera, infatti, gli equilibri attualmente esistenti nel settore, ne' incide, scavalcandoli, sui poteri amministrativi regionali, in quanto il diritto e' pur sempre subordinato all'accettazione del nuovo meccanismo della remunerazione delle prestazioni su base di tariffe ed all'espletamento dei poteri di autotutela e di verifica regionale sul rispetto della predetta condizione e sul permanere dei requisiti, salva inoltre la facolta' delle regioni di aumentare, con nuovi accertamenti, il numero degli accreditamenti in atto". D'altra parte lo stesso d.lgs. n. 112/98 appare rispettoso delle competenze regionali in materia di accreditamento: l'art. 115, comma 1, lett. g), ha, infatti, riservato allo Stato esclusivamente "la definizione di un modello di accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private". In secondo luogo viola l'art. 3 della Costituzione, creando ingiustificate situazioni di disparita' di trattamento tra le diverse regioni in ordine all'accreditamento delle strutture sanitarie. In terzo luogo si pone in palese contrasto con gli obiettivi fissati dal decreto stesso all'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 8-ter, commi 3 e 4. Tale disposizione, infatti, nel subordinare i progetti per la realizzazione di strutture sanitarie alla verifica di compatibilita' da parte delle Regioni, stabilisce che tale verifica deve essere effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, "anche al fine di meglio garantire l'accessibilita' ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture". Evidente e' poi ancora una volta la violazione del criterio direttivo (art. 2, comma 1, lett. b), della legge delega) di "completare la regionalizzazione ... del Servizio sanitario nazionale". 4. - Violazione degli articoli 5, 76, 117 e 118 della Costituzione, in relazione all'art. 2, comma 1, lett. b, della legge n. 419 del 1998 e agli artt. 115 e 5 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, da parte dell'art. 2, recante "Modificazioni all'articolo 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". 4.1. - L'art. 2, nell'introdurre dopo il comma 2 dell'art. 2 del d.lgs. n. 502/92 ulteriori commi, detta una serie di disposizioni in ordine ai Piani sanitari regionali. In particolare, al comma 2-ter, l'art. 2 stabilisce che il Piano sanitario regionale e' sottoposto alla Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e sociosanitaria regionale, ed e' approvato previo esame delle osservazioni eventualmente formulate dalla Conferenza. Tale disposizione prevede, inoltre, che la Conferenza partecipa alla verifica della realizzazione del Piano attuativo locale da parte delle Aziende ospedaliere e dei piani attuativi locali. Il comma 2-quinquies prevede, inoltre, che "la legge regionale disciplina il rapporto tra programmazione regionale e programmazione attuativa locale, definendo in particolare la procedura di proposta, adozione e approvazione del piano attuativo locale e le modalita' di partecipazione ad esse degli enti locali interessati. Nelle aree metropolitane il piano attuativo metropolitano e' elaborato dall'organismo di cui al comma 2-quater, ove costituito". Tali disposizioni eccedono, in maniera evidente, la delega contenuta nell'art. 2, comma 1, lett. aa), della legge n. 419/98. L'art. 2, comma 1, lett. aa), della legge n. 419/98, delega, infatti, il Governo a "ridefinire il ruolo del Piano sanitario nazionale, nel quale sono individuati gli obiettivi di salute, i livelli uniformi ed essenziali di assistenza e le prestazioni efficaci ed appropriate da garantire a tutti i cittadini a carico del Fondo sanitario nazionale; demandare ad appositi organismi scientifici del Servizio sanitario nazionale l'individuazione dei criteri di valutazione qualitativa e quantitativa delle prestazioni sanitarie, disciplinando la partecipazione a tali organismi delle societa' scientifiche accreditate, anche prevedendo sistemi di certificazione della qualita'". Nel dettare la disciplina relativa alla programmazione sanitaria regionale e alle forme di coordinamento di questa con quella regionale, le norme indicate eccedono i limiti della delega posti dall'art. 2, comma 1, lett. aa), della legge n. 419/98, ed interferiscono indebitamente sulle competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni, ponendosi in aperta violazione con gli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione. Nulla si dispone, infatti, nella legge delega in ordine ad un ripensamento e ad una riorganizzazione dei piani sanitari regionali; nulla ancora si dice in ordine alle modalita' di approvazione del piano regionale; nulla infine si prevede in ordine alla strutturazione della pianificazione sanitaria infraregionale. E' peraltro giurisprudenza consolidata quella secondo cui nelle materie regionali le forme di coinvolgimento degli enti locali e le forme di pianificazione infraregionale sono di spettanza della potesta' legislativa regionale (v. da ultimo sent. n. 408 del 1998). Cosi', anche a voler concedere che i commi 2-ter e 2-quinquies non esorbitino dalla delega, rimane comunque incontestabile la violazione dell'autonomia regionale nella parte in cui si pretende di disegnare procedure e strumenti per la pianificazione sanitaria regionale e infraregionale. D'altra parte lo stesso d.lgs. n. 112/98, recante "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle regioni e agli enti locali in attuazione del Capo I della legge n. 59/97, all'art. 115, comma 2, lett. a), ha conferito alle regioni le funzioni concernenti "l'approvazione dei piani e dei programmi di settore non aventi rilievo e applicazione nazionale", riservando allo Stato, al comma 1, lett. a), l'adozione del Piano sanitario nazionale d'intesa con la Conferenza unificata. 4.2. - L'art. 2, nella parte in cui aggiunge il comma 2-octies all'art. 2 del d.lgs. n. 502/92, stabilisce che "salvo quanto diversamente disposto, quando la regione non adotta i provvedimenti previsti dai commi 2-bis e 2-quinques, il Ministro della sanita', sentite la regione interessata e l'agenzia per i servizi sanitari regionali, fissa un congruo termine per provvedere; decorso tale termine, il Ministro della sanita', sentito il parere della medesima agenzia e previa consultazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, propone al Consiglio dei Ministri l'intervento sostitutivo, anche sotto forma di nomina di un Commissario ad acta. L'intervento adottato dal Governo non preclude l'esercizio delle funzioni regionali per le quali si e' provveduto in via sostitutiva ed e' efficace fino a quando i competenti organi regionali abbiano provveduto". Tale disposizione non rispetta le norme procedurali - espressione di principi consolidati nella giurisprudenza della Corte costituzionale - dettate dal d.lgs. n. 112/98 in materia di poteri sostitutivi statali nei confronti delle regioni, violando conseguentemente gli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione. A tal proposito il d.lgs. n. 112/98, che ha conferito alle regioni, ad eccezione di quelle riservate allo Stato dall'articolo 115, comma 1, le funzioni e i compiti amministrativi in materia di "salute umana", all'art. 5, commi 1 e 2, nel disciplinare l'esercizio dei poteri sostitutivi statali nei confronti delle regioni, prevede che "con riferimento alle funzioni e ai compiti spettanti alle regioni e agli enti locali, in caso di accertata inattivita' che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea o pericolo di grave pregiudizio agli interessi nazionali, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia, assegna all'ente inadempiente un congruo termine per provvedere. Decorso inutilmente tale termine, sentito il soggetto inadempiente, nomina un Commissario che provvede in via sostitutiva". Dal confronto delle due norme risulta evidente che l'art. 2 del d.lgs. n. 229, nella parte in cui aggiunge il comma 2-octies all'art. 2 del d.lgs. n. 502/92, nel prevedere che sia il Ministero della Sanita' a fissare un termine affinche' la regione provveda ai sensi dei commi 2-bis e 2-quinquies, non rispetta l'art. 5 del d.lgs. n. 112/98 che, al contrario, attribuisce tale potere al Presidente del Consiglio dei Ministri. La giurisprudenza della Corte costituzionale e' comunque consolidata nel senso che i poteri sostitutivi devono essere esercitati da un'autorita' di Governo (v. sent. n. 386 del 1991). D'altra parte, un vizio non dissimile era stato censurato gia' dalla sentenza n. 335 del 1993, che aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 6, del d.lgs. n. 502, nella parte in cui attribuiva il potere sostitutivo al Ministro della Sanita': in quel caso, il vizio fatto valere era l'eccesso di delega, giacche' la legge delega stessa attribuiva potere sostitutivo e diffida al Consiglio dei Ministri; in questo caso, nulla dicendo la delega in proposito, non possono non rimanere fermi i principi consolidati della giurisprudenza della Corte, cosi' come recepiti dal d.lgs. n. 112, secondo cui l'intervento sostitutivo e' di spettanza del Consiglio dei Ministri. La diffida e' evidentemente strumentale all'esercizio del potere sostitutivo e non puo' non soggiacere alle stesse regole procedimentali e sostanziali dell'intervento sostitutivo: per queste ragioni, l'attribuzione del potere di diffida al Ministro della Sanita' appare in palese violazione dei consolidati principi in materia. 4.3. - Devono, inoltre, ritenersi insussistenti nel caso di specie le condizioni alla presenza delle quali l'art. 5 del d.lgs. n. 112/98 subordina l'esercizio dei poteri sostitutivi statali: va assolutamente escluso, infatti, che dalla mancata attuazione da parte delle regioni delle disposizioni di cui ai commi 2-bis e 2-quinquies possano derivare forme di inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza alla Unione europea o pericolo di grave pregiudizio agli interessi nazionali. A tal proposito il comma 2-bis prevede la costituzione, da parte delle regioni, della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e sociosanitaria regionale, individuandone quali componenti il sindaco del comune, nel caso in cui l'ambito territoriale dell'ASL coincida con quello del comune; il presidente della Conferenza dei sindaci, ovvero il sindaco o i presidenti di circoscrizione, nei casi in cui l'ambito territoriale dell'ASL sia, rispettivamente, superiore o inferiore al territorio del Comune, nonche' rappresentanti regionali delle autonomie locali. Il successivo comma 2-quinquies attribuisce, rispettivamente, alle regioni il compito di disciplinare il rapporto tra programmazione regionale e programmazione attuativa locale, nonche' quello di definire la procedura di proposta, adozione e approvazione del piano attuativo locale e le modalita' di partecipazione ad esse degli enti locali interessati, e ad un apposito organismo, da costituire ai sensi del comma 2-quater, l'elaborazione del piano attuativo metropolitano. Si tratta di procedure e strumenti che attengono, per definizione, all'interesse regionale e infraregionale, e, come tali, non possono coinvolgere l'appartenenza all'Unione Europea, ne' mettere in pericolo gli interessi nazionali (cfr. sentenza n. 126 del 1996). 5. - Violazione degli artt. 5, 117 e 118 e 97 della Costituzione in relazione all'art. 5 d.lgs. n. 112/98 da parte dell'art. 3, recante "Modificazioni all'art. 3 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". L'art. 3 modifica l'art. 3 del d.lgs. n. 502/92 e aggiunge ad esso gli articoli da 3-bis a 3-sexies. 5.1 - All'art. 3-bis, l'art. 3 del d.lgs. n. 229 detta disposizioni in ordine ai direttori generali amministrativi e sanitari. Al comma 2 dell'art. 3-bis si stabilisce che "la nomina del direttore generale deve essere effettuata nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data di vacanza dell'ufficio. Scaduto tale termine si applica l'art. 2, comma 2-octies. Anche in questo caso il decreto sanziona l'inerzia regionale con la previsione dei poteri sostitutivi statali, stabilendo, per l'ipotesi in cui la regione non provveda alla nomina dei direttori generali nel termine di sessanta giorni dalla vacanza dell'ufficio, l'applicazione della procedura delineata dall'art. 2, nella parte in cui aggiunge il comma 2-octies all'art. 2 del d.lgs. n. 502/92. Vanno, pertanto, mosse alla disposizione in oggetto le censure rivolte supra sub par. 4.2. e 4.3. alla disposizione dell'art. 2 del d.lgs. n. 229/99 nella parte in cui aggiunge il comma 2-octies all'art. 2 del d.lgs. n. 502/92. L'art. 3, nella parte in cui aggiunge all'art. 3-bis, comma 2, all'art. 3 del d.lgs. n. 502/92 viola, pertanto gli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione in relazione al d.lgs. n. 112/98. Anche nel caso di specie, infatti, il decreto non rispetta le norme procedurali fissate dall'art. 5 del d.lgs. n. 112/98. Inoltre, la mancata nomina del direttore generale nel termine individuato da tale disposizione, non risulta, anche nel caso in questione, idonea a generare il pericolo di un grave pregiudizio agli interessi nazionali, o l'inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea. A cio' si aggiunga che l'attribuzione ad un commissario ad acta dei poteri di nomina dei direttori generali falsa gravemente la collocazione di questi ultimi, impedendo alla regione una seria programmazione sanitaria. Ne' si rinvengono nell'art. 3 meccanismi attraverso i quali la regione possa manifestare la propria valutazione rispetto alla nomina effettuata dal Commissario ad acta. Sarebbe stato opportuno, a tal proposito, prevedere quantomeno un termine ragionevole, trascorso il quale, in mancanza di una revoca espressa, si potesse dimostrare il silenzio assenso della regione. Tale previsione risulta, pertanto, idonea a ledere, oltre le competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni in materia sanitaria, anche il principio di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall'art. 97 Cost.. 6. - Violazione degli artt. 76, 117 e 118, 3 e 97 della Costituzione, del d.lgs. n. 269/93 e del d.lgs. n. 112/98 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 e del principio costituzionale di leale collaborazione tra Stato e regioni, da parte dell'art. 4, recante "Modifica dell'art. 4 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". 6.1. - Nel sostituire l'art. 4 del d.lgs. n. 502/92, l'art. 4, al comma 1 primo periodo, stabilisce che "per specifiche esigenze assistenziali, di ricerca scientifica nonche' di didattica del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto dei criteri e modalita' di cui ai commi 1-bis e seguenti, possono essere costituiti o confermati in aziende, disciplinate dall'art. 3, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, con le particolarita' procedurali ed organizzative previste dalle disposizioni attuative dell'art. 11, comma 1, lett. b) della legge n. 59/97. Sempre al comma 1 si stabilisce che "Sino all'emanazione delle disposizioni attuative sugli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, ad essi si applicano le disposizioni del presente decreto relative alla dirigenza sanitaria, ai dipartimenti, alla direzione sanitaria ed amministrativa aziendale e al collegio di direzione". Tale disposizione, nel prevedere che la conferma o la costituzione di tali istituti in azienda ospedaliera debba avvenire nel rispetto delle disposizioni di cui ai commi 1-bis e seguenti dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/92, cosi' come modificato dal d.lgs. n. 229/99, nonche' uniformando, seppure temporaneamente, la disciplina dettata dal decreto in ordine alla dirigenza sanitaria, ai dipartimenti, alla direzione sanitaria ed amministrativa aziendale e al collegio di direzione viola le competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera, cosi' come attuate dalla legislazione statale in materia di Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. A tal proposito il d.lgs. 30 giugno 1993, n. 269, recante "Riordinamento degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell'art. 1, comma 1, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 42", all'art. 2, ha individuato le competenze statali in ordine agli istituti di ricovero e cura di carattere scientifico, stabilendo al primo comma, che al Ministero della sanita' compete: a) il riconoscimento del carattere scientifico degli istituti e la relativa revoca; b) la definizione dei criteri generali per la redazione degli statuti e dei regolamenti degli istituti; c) l'attivita' di controllo e vigilanza. Al comma 2, l'art. 2 ha, inoltre, stabilito che "I provvedimenti di cui alla lettera a) del comma 1, sono emanati sentiti il Ministro del tesoro, il Ministro dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome". Tale ultima disposizione e' stata, tra l'altro dichiarata costituzionalmente illegittima da codesta ecc.ma Corte nella parte in cui non prevede che per il riconoscimento del carattere scientifico degli istituti e la relativa revoca e' sentita la regione interessata (cfr. sentenza 19-25 luglio 1994, n. 338). Il comma 3 di tale disposizione ha, inoltre, affidato ad un regolamento da emanarsi con decreto del Presidente della Repubblica, il compito di disciplinare: a) i criteri generali per il riconoscimento degli Istituti e la definizione delle strutture e attrezzature destinate all'attivita' di ricerca biomedica, organizzativa e gestionale dei servizi sanitari, nonche' dell'attivita' di ricerca ed assistenza svolta, necessarie per il riconoscimento; b) le procedure per il riconoscimento e la revoca del carattere scientifico degli istituti; c) le norme transitorie per la revisione dei riconoscimenti gia' concessi; d) gli atti degli Istituti sottoposti al controllo e il relativo procedimento; e) i criteri generali per l'adeguamento degli statuti e dei regolamenti da parte degli Istituti; f) l'istituzione e la disciplina in ciascun istituto di comitati per la valutazione etica della attivita' di ricerca e di sperimentazione clinica; g) le convenzioni fra istituti per realizzare programmi comuni nel settore della ricerca biomedica, nella organizzazione e gestione dei servizi sanitari, nella sperimentazione di interesse generale e nella formazione continua professionale; h) le procedure per lo svolgimento di ricerche finalizzate e a pagamento; i) i criteri per la valutazione dei costi e dei rendimenti e per l'utilizzazione delle risorse, allo scopo di ridurre l'onere a carico dei bilanci pubblici; l) l'attivita' del direttore scientifico che assume la responsabilita' complessiva delle attivita' di ricerca anche per quanto attiene alla gestione delle risorse ad essa destinate nel quadro della programmazione dell'istituto. L'art. 3 ha individuato i seguenti organi degli istituti: 1) il consiglio di amministrazione; 2) il direttore generale; 3) il collegio dei revisori; 4) il comitato tecnico scientifico. Al comma 2 dell'art. 3 il d.lgs. n. 269 ha stabilito che con successivo decreto del Presidente della Repubblica avrebbero dovuto essere disciplinate "modalita' di nomina, composizione, durata, attribuzioni e funzionamento degli organi" nonche' "le modalita' di nomina del direttore scientifico e le relative attribuzioni". Anche tale disposizione e' stata dichiarata costituzionalmente illegittima da codesta ecc.ma Corte nella parte in cui non prevede che del consiglio di amministrazione e del collegio dei revisori degli istituti di ricovero e cura con personalita' giuridica di diritto pubblico fanno parte, rispettivamente, due rappresentanti ed un rappresentante della regione. Il comma 3 dell'art. 3 ha disposto il rinvio alle disposizioni del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per gli organi di cui al comma 1, numeri 2) e 3). I successivi articoli 4, 5 e 6 del d.lgs. 269 hanno dettato norme specifiche per gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico in ordine al personale, al patrimonio, alla contabilita', all'attivita' di ricerca e ai relativi finanziamenti. Recentemente il d.lgs. n. 112/98, all'art. 121, comma 2, ha stabilito che: "Ferme restando le competenze regionali aventi ad oggetto l'attivita' assistenziale degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e le attivita' degli Istituti zooprofilattici sperimentali, sono conservati allo Stato il riconoscimento, il finanziamento, la vigilanza ed il controllo, in particolare sull'attivita' di ricerca corrente finalizzata, degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e privati e degli Istituti zooprofilattici sperimentali". Dunque, in ordine agli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico rimangono ferme in capo alle regioni le competenze gia' riconosciute dal d.lgs. n. 269/1993, nonche' quelle in materia di assistenza ospedaliera confermate dal d.lgs. n. 112/98. L'art. 4, comma 1, nella parte in cui dispone in ordine agli istituti di ricovero e cura di carattere scientifico risulta, pertanto, costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione in relazione al d.lgs. n. 269/93 e al d.lgs. n. 112/98. 6.2. - L'art. 4, al comma 3, del d.lgs. n. 229 abroga il comma 4 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/92. Il comma 4 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/92 prevedeva la facolta' delle regioni di "costituire in azienda i presidi ospedalieri in cui insiste la prevalenza del percorso formativo del triennio clinico della facolta' di medicina e chirurgia, i presidi ospedalieri che operano in strutture di pertinenza dell'universita', nonche' gli ospedali destinati a centro di riferimento della rete di servizi di emergenza, dotati del dipartimento di emergenza come individuata ai sensi dell'art. 9 del d.P.R. 27 marzo 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 31 marzo 1992 e successive modificazioni e integrazioni, e che siano, di norma, anche dotati di elisoccorso". L'abrogazione di tale disposizione sembrerebbe comportare il venir meno della possibilita' da parte delle regioni di costituire Aziende ospedaliere di rilievo regionale. Il tenore delle altre disposizioni dell'art. 4 del d.lgs. n. 229, che dettano essenzialmente la disciplina delle Aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale, comporterebbe secondo una interpretazione filogovernativa l'intenzione del legislatore delegato di vietare la costituzione di Aziende ospedaliere regionali. Tale divieto, posto dal Governo, non trova peraltro alcun fondamento nelle indicazioni fornite dal Parlamento nella legge delega. L'art. 2, comma 1, lett. ii), della legge n. 419/98, delega, infatti, il Governo esclusivamente a "precisare i criteri distintivi e gli elementi caratterizzanti per l'individuazione delle aziende unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, con particolare riguardo alle caratteristiche organizzative minime delle stesse e al rilievo nazionale o interregionale delle aziende ospedaliere". Ora, se si tiene a mente che l'art. 4 del d.lgs. n. 502/92 disciplinava l'istituzione delle Aziende Ospedaliere sulla base della individuazione degli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, fissandone i requisiti, e prevedeva altresi' la costituzione in aziende da parte delle regioni di alcuni presidi ospedalieri, appare evidente che l'interpretazione che il legislatore delegato ha dato della delega e' del tutto fuorviante (oltre ad essere, come si vedra' piu' avanti, totalmente infondata nel merito e lesiva dell'autonomia regionale). E, infatti, il legislatore delegato, con riferimento alle aziende ospedaliere, deve: precisarne i criteri distintivi e gli elementi caratterizzanti; individuare le caratteristiche organizzative minime; individuare, infine, i casi e le tipologie in cui si ha rilievo nazionale o interregionale delle aziende ospedaliere. L'interpretazione letterale permette (anzi, impone) di ritenere che l'individuazione delle "caratteristiche organizzative minime" si riferisca anche alle aziende ospedaliere, cosicche' esistono presidi ospedalieri che hanno "caratteristiche organizzative minime", tali da permetterne l'istituzione in azienda ospedaliera, diversi da quelli che possono, con procedura particolare, essere riconosciuti come aziende di rilievo nazionale o interregionale. Il testo della legge delega permette (anzi, impone), dunque, di ritenere che tra le aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale e quelle non aventi le caratteristiche organizzative minime (fissate a livello centrale) vi sia uno spazio che ben puo' (continuare ad) essere disciplinato dalle regioni, nella loro autonomia. Nulla autorizza ad interpretare la legge delega come fonte di un divieto di istituzione di aziende ospedaliere regionali; nulla permette di dedurre una riduzione dei poteri regionali; in ogni caso, trattandosi di una facolta' regionale, ricadente in materia tipicamente regionale quale quella della sanita', un siffatto divieto avrebbe dovuto essere posto esplicitamente. Un evidente sintomo della forzatura compiuta dal Governo e' dato dal fatto che il decreto ha dovuto provvedere ad abrogare esplicitamente il comma 4 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502: se l'esclusione delle aziende ospedaliere regionali fosse discesa direttamente dalla legge di delega, l'abrogazione del comma 4 da parte del testo governativo non sarebbe stata necessaria. Ne' valga dire che la previsione abrogatrice serve a rendere piu' chiara la voluntas legis: il legislatore delegato non puo' effettuare operazioni abrogatrici che non siano gia' ricomprese nella delega; e, come si e' visto, nulla autorizza ad interpretare la legge n. 419 del 1998 siccome fonte di un divieto di istituire aziende ospedaliere regionali. Non diversamente ha argomentato la sentenza n. 355 del 1993, dichiarando l'incostituzionalita' dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, nella parte in cui prevedeva la costituzione in aziende ospedaliere di ospedali diversi da quelli previsti dalla legge delega. Il principio, in quello, come in questo caso, e' quello dell'interpretazione stretta della legge delega: se, in quel caso, la ratio era quella della creazione di "un sistema chiuso per gli ospedali di rilievo nazionale"; in questo caso, non esiste nella legge delega una ratio tendente a limitare i poteri regionali. L'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 229/99, risulta, pertanto viziato di eccesso di delega e, come tale, si pone in aperta violazione dell'art. 76 della Costituzione. 6.3. - L'art. 4 del d.lgs. n. 229/99 viola, inoltre, gli artt. 117 e 118 della Costituzione in relazione al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, e alla giurisprudenza costituzionale in ordine al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, in quanto, nella sua formulazione, il Governo non ha preso in considerazione il parere espresso dalle regioni in data 6 maggio 1999. Al par. 2, tra le "Osservazioni relative ad emendamenti da apportare ritenuti rilevanti", del parere espresso in tale data dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome con riguardo all'art. 4 dello schema di decreto, infatti, si legge: "va salvaguardata la facolta' delle regioni di confermare o meno le aziende ospedaliere gia' costituite o, in subordine, il raccordo di tali esperienze con le sperimentazioni gestionali di cui all'art. 9-bis del d.lgs. n. 502/92 e 517/93 come modificato dall'art. 10 dello schema di decreto in esame". Ne' puo' dirsi che la facolta' delle regioni di confermare o meno le aziende ospedaliere gia' costituite possa ritenersi salvaguardata dalla disposizione dell'art. 4, comma 2, nella parte in cui aggiunge al comma 1 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/92, il comma 1-sexies, in base al quale "i presidi attualmente costituiti in aziende ospedaliere, con esclusione dei presidi di cui al comma 6, per i quali viene richiesta la conferma e che non soddisfano i requisiti di cui al comma 1-bis, possono essere confermati per un periodo massimo di tre anni dall'entrata in vigore del presente decreto, che modifica il d.lgs. 30 novembre 1992, n. 502, sulla base di un progetto di adeguamento presentato dalla regione, con la procedura di cui al comma 1-quater. Alla scadenza del termine previsto nel provvedimento di conferma, ove permanga la carenza dei requisiti, le regioni e il ministero della sanita' attivano la procedura di cui al comma 1-quinquies (revoca dell'azienda), ove i requisiti sussistano, si procede ai sensi del comma 1-quater". La conferma per un periodo di tre anni delle aziende ospedaliere gia' costituite, che non posseggono i requisiti di cui al comma 1-ter, infatti, soddisfa solo per un periodo di tempo limitato (tre anni) la richiesta avanzata dalle regioni per il tramite della Conferenza dei Presidenti in data 6 maggio 1999: al termine dei tre anni, infatti, le aziende confermate transitoriamente dovranno adeguarsi ai requisiti richiesti dal decreto per le aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale, in caso contrario tali aziende saranno revocate secondo la procedura individuata dal comma 1-quinques. Vanno, pertanto, mosse all'art. 4 le censure gia' rivolte al par. 2 in generale rispetto a tutte quelle disposizioni del d.lgs. n. 229/99, nella cui formulazione definitiva non si e' tenuto conto delle osservazioni regionali. 6.4. - Le disposizioni dell'art. 4 rendono piu' difficile e macchinosa l'istituzione di aziende ospedaliere, vietano le aziende ospedaliere regionali, impongono la presenza, nell'ambito della ASL, di almeno un presidio ospedaliero: in tal modo, limitano fortemente e, di fatto, impediscono la separazione, a livello regionale, tra il soggetto erogatore delle prestazioni sanitarie (ASL) e il soggetto produttore delle stesse. Cosi' operando, esse sono gravemente lesive dell'autonomia regionale ex artt. 117 e 118 Cost.; violano, altresi', il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, sancito dall'articolo 97 della Costituzione, precludendo, di fatto, gli effetti benefici in termini di incremento della produttivita', innovazione e qualita' derivanti dalla suddetta separazione; limitano il principio della libera scelta da parte del cittadino utente della struttura erogatrice delle prestazioni sanitarie, giacche' la ASL, possedendo propri presidi ospedalieri, non potra' che favorirli nella stesura degli accordi contrattuali previsti dal decreto. Invero, tra le idee forti alle quali si ispirano i progetti di riforma sanitaria dei paesi dell'Oecd, come risulta da una sintesi delle stesse redatta dall'Oecd 2) vi e' proprio quella dello "sviluppo della contrattazione tra acquirenti e produttori di prestazioni sanitarie": indubbiamente non in linea con tale principio appare la riduzione della possibilita' di istituzione di aziende ospedaliere autonome e la conseguente configurazione di una ASL erogatore e produttore delle prestazioni sanitarie (dovendo essere necessariamente presente, nell'ambito della ASL, almeno un presidio ospedaliero). 2) Oecd 1996, Health care Reform in Light of Changing Funding Incentives and Production Potterns, Parigi, Workings Papers, 18. Lo stesso parere del Senato della Repubblica sullo schema di decreto legislativo aveva sottolineato che "occorre inoltre evitare che le pur condivisibili esigenze di razionalizzazione del sistema sia ospedaliero che della medicina territoriale ambulatoriale siano perseguite con criteri tali da ridurre la possibilita' di concorrenza virtuosa tra soggetti erogatori di prestazioni sanitarie" (parere della Commissione igiene e sanita' del Senato del 26 maggio 1999) 3). E' ancora, in un articolo apparso nell'"Economist" del 19 marzo 1999, che riporta un intervento di Josef Figueras, Regional Adviser dell'Organizzazione Mondiale della Sanita' (WHO), dal titolo "Chi decide e chi paga nel sistema sanitario europeo: verso un bilanciamento tra Stato e mercato", si sottolinea che "la separazione delle funzioni di produzione e di acquisto dei servizi in sistemi sanitari con modello S.S.N. sembra poter dare risultati in termini di incremento della produttivita', innovazione e qualita'". A favore della separazione tra ASL e AO si e' recentemente espressa anche l'Autorita' Garante per la concorrenza ed il mercato. Nella comunicazione del 26 giugno 1998, prot. 22579, infatti, l'Autorita' garante, nel rispondere a numerose segnalazioni da parte di case di cura, laboratori di diagnostica, studi medici, singoli assistiti, che lamentavano la violazione da parte delle regioni, nell'attuazione della riforma sanitaria introdotta dal d.lgs. n. 502/1992, dei principi ispiratori della riforma e delle regole della libera concorrenza, indicava tra i possibili rimedi normativi ed attuativi ai profili distorsivi della concorrenza, la separazione strutturale tra la figura della ASL, nella sua qualita' di soggetto erogatore delle prestazioni sanitarie, e la figura della ASL, nella sua qualita' di soggetto acquirente pagatore delle medesime prestazioni. L'Autorita' motivava l'utilita' del rimedio suggerito osservando che "l'attuazione del principio di libera scelta del paziente, in coerenza con il rispetto delle regole di funzionamento del mercato, richiede che si operi la separazione tra soggetto erogatore e soggetto pagatore, al fine di introdurre elementi di reale indipendenza nei rapporti che intercorrono tra chi fornisce e chi rimborsa le prestazioni sanitarie". Secondo l'Autorita' garante "tale rapporto consentirebbe di attuare un meccanismo, in virtu' del quale le prestazioni sanitarie vengono erogate dalle strutture, pubbliche o private, in grado di offrirle garantendo il migliore rapporto tra costo della prestazione e qualita' della stessa". 7. - Violazione degli artt. 76, 117, 118, nonche' degli artt. 3 e 41 della Costituzione; ancora violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, in relazione al d.lgs. n. 281/97 ed al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, da parte dell'art. 8, recante "Modificazioni all'art. 8 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". 7.1. - L'art. 8 del decreto, nell'introdurre l'art. 8-bis, comma terzo, del d.lgs. n. 502/1992, subordina la realizzazione delle strutture sanitarie e l'esercizio delle attivita' sanitarie all'autorizzazione di cui all'art. 8-ter. L'articolo 8-ter, a sua volta, dopo aver disciplinato, nei commi 1 e 3, l'autorizzazione alla realizzazione delle strutture sanitarie, ai commi 2, 4 e 5, disciplina l'autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private. In particolare, al comma 4 dell'art. 8-ter, si stabilisce che "l'esercizio delle attivita' sanitarie e socio-sanitarie da parte di strutture pubbliche e private presuppone il possesso dei requisiti minimi, strutturali, tecnologici e organizzativi stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento ai sensi dell'art. 8 della legge n. 59/97, sulla base di principi e criteri direttivi previsti dall'art. 8, comma 4, del presente decreto. In sede di modificazione del medesimo atto di indirizzo e coordinamento si individuano gli studi odontoiatrici, e di altre professioni sanitarie di cui al comma 2, nonche' i relativi requisiti minimi". Al successivo comma 5, il decreto attribuisce alle regioni il compito di definire, entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore, modalita' e termini per la richiesta e l'eventuale rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio delle attivita' sanitarie, nonche' quello di individuare "gli ambiti territoriali in cui si riscontrano carenze di strutture o di capacita' produttiva, definendo idonee procedure per selezionare i nuovi soggetti eventualmente interessati". 3) V. anche la nota del Servizio Bilancio del Senato, pubblicata in ASI n. 20 del 20 maggio 1999, in cui si ricorda che "come si sostiene nella letteratura economica sull'argomento e come suggerito dall'evidenza empirica ..., a parita' di altre condizioni, un'azienda ospedaliera autonoma, in media, appare suscettibile di realizzare piu' elevati livelli di efficienza rispetto ad un presidio ospedaliero...". Nel dettare le disposizioni relative al rilascio dell'autorizzazione per l'esercizio delle attivita' sanitarie, l'art. 8 del decreto legislativo eccede maniera evidente la delega: l'art. 2, comma 1, lett. dd) della legge n. 419/1998 ha, infatti, circoscritto l'ambito dei poteri delegati alla definizione, "fermi restando i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi di cui all'art. 8, comma 4, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni", delle "modalita' e dei criteri per il rilascio dell'autorizzazione a realizzare strutture sanitarie". E' assente, dunque, ogni delega relativa alla possibilita' di subordinare ad autorizzazioni amministrative l'esercizio dell'attivita' sanitaria. 7.2. - Va a tal proposito ricordato che l'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 502/1992 stabiliva che "ferma restando la competenza delle regioni in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private, a norma dell'art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, con atto di indirizzo e coordinamento, emanato d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, sentito il Consiglio superiore di sanita', sono definiti i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l'esercizio delle attivita' sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private e la periodicita' dei controlli sulla permanenza dei requisiti stessi". Lo stesso comma 4 fissava al 31 dicembre 1993 il termine entro il quale tale atto avrebbe dovuto essere emanato, individuando alle successive lettere da a) ad h), i criteri e principi direttivi cui tale atto avrebbe dovuto ispirarsi. In attuazione di tale disposizione, con d.P.R. 14 gennaio 1997, recante "Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento alla regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attivita' sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private" il Governo ha gia' in tal senso. Sia il d.lgs. n. 502, sia l'atto di indirizzo del 14 gennaio 1997, richiamati e "tenuti fermi" dalla nuova delega, fanno esclusivo riferimento a requisiti minimi per l'esercizio dell'attivita' sanitaria, affidando alle regioni le modalita' per il controllo dell'esistenza dei requisiti. Dunque, i requisiti per l'esercizio delle attivita' sanitarie sono stati gia' fissati con il d.P.R. 14 gennaio 1997: il rinvio effettuato dalla legge n. 419/1998 all'art. 8, comma 4 - che a sua volta rinvia ad un atto di indirizzo e coordinamento per la definizione dei requisiti per il rilascio delle autorizzazioni all'esercizio delle attivita' sanitarie - deve pertanto intendersi riferito a tale atto. Per preciso disposto della legge delega, dunque, il d.P.R. 14 gennaio 1997, in quanto atto che si fonda sull'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 502, e' l'atto cui fare riferimento in ordine alla individuazione dei requisiti per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie. La legge delega, con assoluta chiarezza, prevede che rimangano fermi i requisiti gia' presenti nell'ordinamento per l'esercizio delle attivita' sanitarie e delega il Governo esclusivamente a definire i criteri e modalita' per la realizzazione delle strutture sanitarie. Non pare possano nutrirsi dubbi circa il diverso ambito logico e concettuale di "realizzazione" ed "esercizio", tale per cui la delega a fare l'una cosa non puo' riguardare anche l'altra. Le disposizioni indicate vengono cosi' a sovrapporsi ingiustificatamente non solo alla disciplina posta dal d.P.R. 14 gennaio 1997, che aveva gia' provveduto a definire i requisiti minimi per l'autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie, ma anche alla disciplina gia' legittimamente dettata dalle regioni in materia di autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie. Tali norme generano, dunque, due ordini di problemi di costituzionalita': da un lato eccedono la delega contenuta all'art. 2, comma 1, lett. dd), della legge n. 419/1998, che ha circoscritto l'esercizio dei poteri delegati alla definizione dei criteri per il rilascio dell'autorizzazione alla "realizzazione" delle strutture sanitarie e fa salvi quelli gia' stabiliti in ordine all'"esercizio" delle stesse ai sensi dell'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 502/1992; dall'altro, in violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, vengono a ledere l'autonomia regionale in materia e, in particolare, pongono nel nulla quanto dalle regioni gia' disposto in forza delle disposizioni precedenti, in ordine alla riorganizzazione del settore sanitario. L'art. 8, nella parte in cui aggiunge dopo l'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 8-bis, comma 3, e l'art. 8-ter, commi 4 e 5, risulta, pertanto, costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione. 7.3. - L'art. 8 eccede la delega contenuta nell'art. 2, comma 1, lett. dd), della legge n. 419/1998, violando ulteriormente l'art. 76 della Costituzione, anche nella parte in cui introduce i commi secondo e quarto dell'art. 8-ter. Il secondo comma prevede, infatti, la necessita' di autorizzazione per l'esercizio di attivita' sanitarie anche per "gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessita' o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, individuati ai sensi del comma 4, nonche' per le strutture esclusivamente dedicate ad attivita' diagnostiche, svolte anche a favore di soggetti terzi". Il comma 4, a sua volta, stabilisce che "In sede di modificazione del medesimo atto di indirizzo e coordinamento si individuano gli studi odontoiatrici, e di altre professioni sanitarie di cui al comma 2, nonche' i relativi requisiti minimi". A tal proposito l'art. 2, comma 1, lett. dd) della legge n. 419/1998 delega il Governo a definire modalita' e criteri per il rilascio dell'autorizzazione alla "realizzazione", e non anche all'"esercizio", delle "strutture sanitarie", e non anche degli "studi professionali". Non e' rinvenibile, inoltre, ne' nell'art. 2, comma 1, lett. dd), ne' in altre disposizioni della legge n. 419/1998, una delega che attribuisca al Governo il compito di classificare gli studi medici in diverse tipologie, a seconda dell'attivita' esercitata, assoggettandone altresi' l'esercizio ad autorizzazione. 7.4. - Sempre in ordine alla realizzazione delle strutture sanitarie, al comma 3 dell'art. 8-ter, l'art. 8 del d.lgs. n. 229, stabilisce l'obbligo per i comuni di acquisire, nell'esercizio delle loro competenze in materia di autorizzazioni e concessioni di cui alla legge n. 493/1993, la verifica di compatibilita' del progetto da parte della regione, individuando costestualmente i criteri in base ai quali le regioni dovranno procedere a tale verifica. Stabilisce, infatti, il secondo periodo del comma 3 che "tale verifica regionale e' effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l'accessibilita' ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture". I suindicati criteri cui la regione dovra' tener conto ai fini della verifica della compatibilita' dei progetti appaiono, con evidenza, dettati in violazione degli artt. 41 e 3 della Costituzione, oltre che degli artt. 117 e 118, impingendo illegittimamente in competenze regionali: l'applicazione concreta degli stessi, infatti, e' suscettibile di penalizzare l'iniziativa economica privata, nonche' di creare forti disparita' di trattamento, ad esempio, tra i soggetti operanti in zone diverse. D'altra parte, i due i criteri del "fabbisogno complessivo" e della "localizzazione territoriale delle strutture" appaiono tra loro contradditori: per fare un esempio, la realizzazione di una struttura sanitaria in una zona ad alta concentrazione di strutture della medesima specie potrebbe rivelarsi contemporaneamente non conforme al primo criterio e conforme al secondo. La norma risulta, per tali motivi, penalizzante per le regioni, esponendole al rischio di possibili ricorsi da parte dei soggetti che vedessero le proprie richieste respinte a seguito delle suddette verifiche. 7.5. - L'art. 8, inoltre, nell'introdurre l'art. 8-quater, recante "Accreditamento istituzionale", ai commi terzo e quarto, eccede la delega di cui all'art. 2, comma 1, lett. gg), della legge n. 419. A tal proposito il comma 3 stabilisce che, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore del decreto, con atto di indirizzo e coordinamento da emanarsi ai sensi dell'art. 8 della legge n. 59/97, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, il Consiglio superiore della sanita' e, limitatamente all'accreditamento dei professionisti, la federazione nazionale dei medici chirurghi e odontoiatri, sono definiti i criteri generali uniformi: a) per la definizione dei requisiti ulteriori per l'esercizio delle attivita' sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale da parte delle strutture sanitarie e dei professionisti, nonche' la verifica periodica di tali attivita'; b) per la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno e alla funzionalita' della programmazione regionale, inclusa la determinazione dei limiti entro i quali sia possibile accreditare quantita' di prestazioni in eccesso rispetto al fabbisogno programmato, in modo da assicurare un'efficace competizione tra le strutture accreditate; c) per le procedure ed i termini per l'accreditamento delle strutture che ne facciano richiesta, ivi compresa la possibilita' di un riesame dell'istanza, in caso di esito negativo e di prescrizioni contestate dal soggetto richiedente nonche' la verifica periodica dei requisiti ulteriori e le procedure da adottarsi in caso di verifica negativa. Il successivo comma 4, definisce, alle lettere da a) a q), i criteri e principi direttivi cui l'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3 dovra' ispirarsi. Dal canto suo, l'art. 2, comma 1, lett. gg), della legge n. 419/1998 delega il Governo a "definire un modello di accreditamento rispondente agli indirizzi del Piano sanitario nazionale in applicazione dei criteri posti dall'art. 2 del d.P.R. 14 gennaio 1997, pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 1997 ...". A tal proposito il Piano sanitario nazionale per il triennio 1999-2000, approvato con d.P.R. 23 luglio 1998, nel disciplinare l'accreditamento delle strutture sanitarie, stabilisce chiaramente che "il compito di definire i criteri per l'accreditamento e di conferire lo stato di struttura sanitaria accreditata compete alle singole regioni e province autonome". Le disposizioni dei commi 3 e 4 dell'art. 8-quater del d.lgs. n. 502/1992, come introdotte dall'art. 8 del d.lgs. n. 229, eccedono, pertanto, la delega nella parte in cui non si conformano, secondo quanto stabilito art. 2, comma 1, lett. gg) della legge n. 419/1998 al Piano sanitario nazionale 1998/2000. In coerenza con il riconoscimento della competenza regionale in ordine alla definizione dei criteri per l'accreditamento delle strutture sanitarie, con le sentenze nn. 2897, 2898 e 2899 del 9 ottobre 1998, il t.a.r. Lazio, Sez. I-bis, ha disposto l'annullamento del "d.P.R. 14 gennaio 1997 nelle parti relative all'introduzione, relativi criteri, di requisiti "ulteriori" per l'accreditamento di strutture pubbliche e private in possesso dei requisiti minimi per l'autorizzazione", sostenendo in motivazione che "Il decreto impugnato, mentre ha legittimamente disposto in ordine alla definizione dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l'esercizio delle attivita' sanitarie, in attuazione dell'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 502/1992, ha invece travalicato dalle attribuzioni che lo stesso decreto legislativo conferiva all'atto di indirizzo e coordinamento, nelle disposizioni contenute nel medesimo d.P.R., che introducono, dettando i relativi criteri generali, requisiti per l'accreditamento di strutture erogatrici di prestazioni delle attivita' sanitarie". In sostanza, secondo il t.a.r. Lazio, non puo' ritenersi che l'art. 8, comma 4 del d.lgs. n. 502/1992 (non abrogato dal d.lgs. n. 229), abbia attribuito al Governo il potere di fissare i criteri generali per l'accreditamento cui le regioni avrebbero dovuto attenersi nella determinazione dei suddetti requisiti ulteriori. Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa, l'annullamento giurisdizionale di un atto generale - quale risulta, senza dubbio, il d.P.R. 14 gennaio 1997 - ha efficacia erga omnes ed ex tunc (cfr. C.d.S., Sez. VI 9 gennaio 1997, n. 20, C.d. S., Sez. V, 7 febbraio 1978, n. 212, C.d.S., Sez. VI 21 agosto 1993, n. 586): dunque, la parte del d.P.R. 14 gennaio 1997 che definisce i criteri generali cui le regioni devono ispirarsi ai fini dell'accreditamento deve ritenersi caducata; ne' valga sostenere che la legge delega ha "legificato" il d.P.R. congelandolo nella sua esistenza, al di la' e al di sopra dei suoi vizi di legittimita': una simile costruzione e' stata gia' in altri casi respinta dalla Corte costituzionale (v. per tutte sentenze nn. 385 e 386 del 1985 e 151 e 153 del 1986, relativamente alla presunta "legificazione" dei decreti di vincolo assunti sulla base del d.m. "Galasso"). Pertanto, visto anche il rinvio alla coerenza con il Piano sanitario nazionale, il rinvio posto dalla legge delega ai "criteri posti dall'art. 2 del d.P.R. 14 gennaio 1997", deve intendersi circoscritto alle disposizioni di tale articolo che attribuiscono alla competenza delle regioni la definizione dei requisiti ulteriori e delle modalita' per l'accreditamento delle strutture sanitarie, con esclusione di quelle norme che attribuiscono allo Stato di definire i criteri generali per l'accreditamento. L'art. 8, dunque, nell'introdurre l'art. 8-quater, commi 3 e 4 del d.lgs. n. 502/1992, eccede la delega di cui all'art. 2, comma 1, lett. gg), della legge n. 419/1998, anche nella parte in cui tale norma impone che la definizione di un modello di accreditamento deve avvenire "in applicazione dei criteri posti dall'art. 2 del d.P.R. 14 gennaio 1997", violando contemporaneamente le competenze costituzionalmente e legislativamente riconosciute in materia alle regioni. Tale disposizione risulta pertanto viziata in relazione agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione. 7.6. - La mancata rispondenza del modello di accreditamento introdotto dal d.lgs. n. 229 rispetto agli indirizzi del Piano sanitario nazionale 1998-2000 si riscontra anche nella parte in cui l'art. 8 introduce l'art. 8-quater del d.lgs. n. 502, comma 4, lett. a) laddove si stabilisce, tra i criteri e principi direttivi cui deve attenersi l'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, quello di "garantire l'eguaglianza tra tutte le strutture relativamente ai requisiti ulteriori richiesti per il rilascio dell'accreditamento e per la sua verifica periodica". Poiche' le condizioni per ottenere l'accreditamento sono definite su tre livelli - rispondenza ai requisiti ulteriori, funzionalita' rispetto agli indirizzi della programmazione regionale, verifica positiva dell'attivita' svolta e dei risultati raggiunti - e solo i primi vengono qualificati come "requisiti", e' evidente che anche in questo caso il principio di parita' tra i soggetti risulta completamente disatteso: lo stesso decreto, nel prevedere al comma 4, lett. a) dell'art. 8-quater che l'eguaglianza tra le strutture deve essere garantita esclusivamente rispetto "ai requisiti ulteriori", conferma che non sussiste una piena eguaglianza tra le diverse strutture sanitarie ai fini dell'accreditamento. In tal modo l'art. 8, nella parte in cui aggiunge dopo l'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 8-quater, comma 4, lett. a), non rispecchia gli indirizzi del Piano sanitario nazionale 1998-2000, nel quale si stabilisce espressamente che: "l'accreditamento si applica, allo stesso titolo, alle strutture sanitarie pubbliche e private". Il giudizio di funzionalita' rispetto alla programmazione nazionale e regionale introduce un pesante elemento di discrezionalita' nel rilascio dell'accreditamento istituzionale che, come tale, non si configura piu' quale oggettivo processo di selezione di soggetti in possesso di requisiti ulteriori, intesi come livello qualitativo richiesto per l'erogazione di prestazioni sanitarie per conto del S.S.N.. La discrezionalita' che, secondo una lettura non avvalorata dalla sentenza 416/1995 della Corte costituzionale, il d.lgs. n. 502/1992 all'art. 8 comma 4, prevede al momento della stipula degli appositi rapporti tra ASL e soggetti accreditati, viene addirittura prevista al momento del riconoscimento dello status di soggetto accreditato. In tal modo si viene ad esercitare preventivamente una selezione dei soggetti che possono accedere alla stipula degli accordi di cui all'art. 8-quinquies. Tale previsione, letta congiuntamente al comma 1 dell'art. 8-bis, laddove si prevede che i livelli uniformi di assistenza siano garantiti da presidi direttamente gestiti dalle ASL Aziende Ospedaliere e IRCCS e solo in forma residuale (cfr. "... nonche' di soggetti accreditati ai sensi dell'art. 8-quater ....") da altri soggetti accreditati, introduce una evidente disparita' tra soggetti pubblici e privati, relegando questi ultimi ad un ruolo integrativo, contrariamente alla previsione normativa della legge n. 724/1994. Anche tale disposizione, dunque, ponendosi in contraddizione con l'articolo, comma 1, lett. gg), della legge n. 419/1998, viola l'art. 76 della Costituzione. 7.7. - L'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992, disciplina gli Accordi contrattuali. Al comma 1 dell'art. 8-quinquies tale disposizione assegna alle regioni il compito di definire, nel termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto, l'ambito di applicazione degli accordi contrattuali, nonche' quello di individuare i soggetti interessati agli stessi, identificando, nelle successive lettere da a) d), gli aspetti che dovranno essere disciplinati dalle regioni. Il comma 2 dell'art. 8-quinquies stabilisce che le regioni e le unita' sanitarie locali definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate e stipulano contratti con quelle private e con i professionisti accreditati, definendo, alle successive lettere da a) ad e), il contenuto di tali accordi/contratti. Tali disposizioni non trovano alcun fondamento nella legge delega: non si rinviene, infatti, nella legge n. 419/1998 nessuna norma che attribuisca al Governo il compito di dettare la disciplina degli accordi contrattuali. L'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992 viola, pertanto, l'art. 76 della Costituzione, imponendo alle regioni, in assenza di delega, attivita' interferenti con le competenze ad esse riconosciute dagli artt. 117 e 118 della Costituzione in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera. 7.8. - L'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 8-sexies del d.lgs. n. 502/1992, detta norme in materia di remunerazione. La disciplina dettata da tale disposizione rivela contraddizioni evidenti fra le dichiarazioni di principio contenute nel decreto, con le quali vengono solo apparentemente salvaguardate e garantite le competenze regionali in materia, e le competenze che, nonostante i continui richiami alle intese con la Conferenza Stato, regioni e province autonome, di fatto, vengono attribuite al Ministero della sanita'. Tale contraddizione risulta evidente dal confronto dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992, lasciato intatto dal n. 229, dove si stabilisce espressamente che "spettano alle regioni e alle province autonome, nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi nazionali, le funzioni legislative amministrative in materia di assistenza sanitaria ospedaliera" e la traduzione di tale previsione nell'art. 8-sexies citato. Esprime in maniera chiara tale contraddizione il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 8-sexies. Mentre il comma 2 attribuisce alle regioni il compito di definire le funzioni assistenziali, il successivo comma 3 attribuisce al Ministro della sanita' il potere di determinare, con proprio decreto, i criteri per la definizione delle funzioni assistenziali e per la determinazione della loro remunerazione massima, tracciando in dettaglio il percorso metodologico che dovra' essere seguito dal Ministro. Stabilisce, infatti, il comma 3, che, la definizione dei suddetti criteri generali da parte del Ministro della sanita' dovra' avvenire sulla base di "standard organizzativi e di costi unitari predefiniti per fattori produttivi, tenendo conto, quando appropriato, del volume dell'attivita' svolta". Anche tale ultimo periodo del comma 3 esprime la citata contraddizione: se si fosse tenuto realmente conto delle funzioni regionali salvaguardate in via generale, infatti, il decreto avrebbe dovuto far riferimento quantomeno a standard organizzativi "minimali"; in relazione ai "costi unitari predefiniti per fattori produttivi", sarebbe stato necessario fare riferimento a coefficienti correttivi che tengano conto delle differenze regionali; con riguardo al "volume di attivita'" il decreto non avrebbe dovuto subordinare la considerazione dello stesso alla valutazione di appropriatezza da parte del Ministro della sanita'. Vengono in tal modo violate le competenze costituzionalmente riconosciute in materia dalle regioni: tali disposizioni, infatti, interferiscono in particolare modo sulla potesta' organizzativa riconosciuta costantemente alle regioni dalla stessa giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte. Ancora, al comma 5 dell'art. 8-sexies aggiunto all'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 8 stabilisce che con decreto del Ministro della Sanita', sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, ai sensi dell'art. 120, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 112/1998, verranno stabiliti "i criteri generali in base ai quali le regioni adottano il proprio sistema tariffario, articolando tali tariffe per classi di strutture secondo le loro caratteristiche organizzative e di attivita', verificati in sede di accreditamento delle strutture stesse". La previsione della differenziazione delle tariffe fra le diverse tipologie di strutture sanitarie sulla base di criteri organizzativi e di attivita' e la relativa attribuzione del potere di differenziare le tariffe al Ministro della sanita' ledono in maniera evidente le competenze costituzionalmente riconosciute in materia alle regioni. A cio' si aggiunga, che anche nella formulazione dell'art. 8 il Governo non ha tenuto conto del parere espresso in data 6 maggio 1999 dalla Conferenza dei presidenti delle regioni. A pagina 4 del suindicato parere, allegato al verbale della Conferenza unificata tenutasi nella stessa data, tra le osservazioni relative ad emendamenti da apportare ritenuti essenziali, con riferimento ai commi 2 e 3 dell'art. 8-sexies, si legge: "i criteri generali per la definizione delle funzioni assistenziali e della loro remunerazione spettano al livello centrale d'intesa con la Conferenza Stato-regioni. La effettiva specifica individuazione delle funzioni assistenziali e la loro remunerazione, poiche' indissolubilmente connesse alla definizione di aspetti organizzativi e programmatici di esclusiva competenza regionale, vanno mantenute in capo alle regioni. Solo per finalita' connesse alla compensazione della mobilita interregionale e valutazione di congruita' del FSN, puo' essere prevista anche in sede nazionale una classificazione ed una remunerazione di riferimento con particolare riferimento alle fattispecie di cui alle lettere, e) f) e g)". Con riguardo alle disposizioni contenute nei commi 4 e 5 dell'art. 8-sexies del d.lgs. n. 229, che nello schema di decreto erano riportate ai commi 3 e 4 dell'art. 8-sexies si legge: "La modulazione delle tariffe va mantenuta in capo alle regioni perche' espressione di politiche tariffarie che ogni governo regionale deve poter esprimere in coerenza con la propria programmazione. A livello nazionale, va prevista una disciplina relativa a tariffari massimi, eventualmente utilizzabili anche per finalita' connesse alla compensazione della mobilita' regionale del PSN." Vanno, pertanto, mosse all'art. 8 del d.lgs. n. 229, nella parte in cui aggiunge all'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992 l'art. 8-sexies, commi da 2 a 5, le stesse censure mosse al par. 2 a tutte quelle disposizioni del decreto nella cui formulazione finale non si e' tenuto conto del parere espresso dalle regioni in sede di Conferenza unificata. 7.9. - L'art. 8, nell'introdurre dopo l'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 8-septies detta alcune disposizioni in materia di prestazioni erogate in forma indiretta. Stabilisce, infatti, tale disposizione che "i rimborsi relativi alle prestazioni erogate in forma indiretta sono definiti dalle regioni e dalle province autonome in misura non superiore al cinquanta per cento delle corrispondenti tariffe regionali determinate ai sensi dell'art. 8-sexies. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, che modifica il decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, e' abolita l'assistenza in forma indiretta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e in regime di degenza. Resta ferma la normativa vigente in materia di assistenza sanitaria all'estero". Non si rinviene nella legge delega alcuna disposizione che autorizzi il Governo a disciplinare le prestazioni indirette. A cio' si aggiunga che neppure il d.lgs. n. 502/1992, cui il decreto impugnato e' delegato ad apportare modifiche, disciplina l'assistenza indiretta. L'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 8-septies viola pertanto l'art. 76 della Costituzione. L'abolizione dell'assistenza indiretta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e in regime di degenza, inoltre, denota ancora una volta la tendenza, rivelata da numerosissime norme del decreto, a privilegiare le strutture pubbliche rispetto a quelle private. 8. - Violazione degli artt. 3 e 119 della Costituzione, nonche' dell'art. 76 della Costituzione in relazione all'art. 2, comma 1, lett. cc) della legge n. 419 del 1999, da parte dell'art. 9 recante "Modificazioni all'art. 9 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502". L'art. 9, nel sostituire l'art. 9 del d.lgs. n. del 502/1992, detta disposizioni in ordine ai fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale. Nella parte in cui introduce il comma 4 dell'art. 9 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 9 stabilisce che: "L'ambito di applicazione dei fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale e' rappresentato da: a) prestazioni aggiuntive, non comprese nei livelli essenziali ed uniformi di assistenza e con questi comunque integrate, erogate da professionisti e da strutture accreditati; b) prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale comprese nei livelli uniformi ed essenziali di assistenza, per la sola quota posta a carico dell'assistito, inclusi gli oneri per l'accesso alle prestazioni erogate in regime di libera professione intramuraria e per la fruizione dei servizi alberghieri su richiesta dell'assistito di cui all'art. 1, comma 15, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. c) prestazioni socio-sanitarie erogate in strutture accreditate residenziali e semiresidenziali o in forma domiciliare, per la quota posta a carico dell'assistito". Dalla lettura di tale disposizione si evince chiaramente come essa limiti l'ambito di applicazione dei fondi integrativi alle prestazioni erogate dai professionisti e dalle strutture accreditati, escludendo le strutture autorizzate, con il risultato di creare, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, ingiustificate disparita' di trattamento tra i soggetti autorizzati e quelli accreditati. La ratio (illegittima!) della disposizione pare quella di drenare fondi per il SSN, distogliendoli dai soggetti autorizzati: in realta', oltre alla illegittima penalizzazione di questi ultimi, la disposizione e' palesemente irragionevole perche' aumenta la pressione sulle strutture del Servizio sanitario, invece di utilizzare le risorse aggiuntive per creare circuiti laterali a quello del SSN, in grado di alleggerire la pressione sulle strutture del SSN. In ogni caso, al di la' della irragionevolezza della disposizione, la stessa legge delega non autorizza il Governo ad un siffatto intervento, giacche' gli impone solamente di riordinare le forme integrative di assistenza sanitaria. Ne' argomento a favore dell'esclusione dei soggetti autorizzati si puo' dare dalla formulazione secondo cui le forme integrative "si riferiscono a prestazioni aggiuntive, eccedenti i livelli uniformi ed essenziali di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale, con questi comunque integrate... "; e, infatti, al di la' del fatto che anche i soggetti autorizzati sono integrati nella pianificazione sanitaria, se questa viene intesa in senso non dirigistico, il termine "integrate" si riferisce non ai soggetti, ne' ai livelli uniformi di assistenza, bensi' alle prestazioni aggiuntive, le quali possono essere "integrate" con i livelli uniformi ed essenziali di assistenza anche se rese da soggetti autorizzati. 9. - Violazione degli artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione da parte dell'art. 13, recante "Modificazioni all'art. 15 del d.lgs. 20 dicembre 1992, n. 502". L'art. 13 sostituisce l'art. 15 del d.lgs. n. 502/1992 e aggiunge a tale disposizione gli artt. da 15-bis a 15-undecies. L'intera materia e' stata sottoposta a forti critiche da parte del mondo medico, per svariati profili, alcuni dei quali di grave rilievo costituzionale (basti pensare alla violazione del tradizionale principio della salvezza dei diritti quesiti). La materia viene qui affrontata per la sola parte di interesse (giuridicamente rilevante) regionale, in quanto le scelte compiute dal governo centrale si riverberano sui profili di organizzazione sanitaria dell'ente regionale. 9.1. - Nel sostituire l'art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 13 stabilisce che "Fermo restando il principio dell'invarianza della spesa, la dirigenza sanitaria e' collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, ed in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilita' professionali e gestionali. In sede di contrattazione collettiva nazionale sono previste, in conformita' ai principi e alle dirigenziali nonche' per l'assegnazione, valutazione e verifica degli incarichi dirigenziali e per l'attribuzione del relativo trattamento economico accessorio correlato alle funzioni attribuite ed alle connesse responsabilita' del risultato". A tal proposito, l'art. 2, comma 1, lett. q), della legge n. 419 aveva affidato al Governo il compito di "prevedere le modalita' per pervenire per aree, funzioni ed obiettivi, a regime, all'esclusivita' del rapporto di lavoro, quale scelta individuale per il solo personale della dirigenza sanitaria in ruolo al 31 dicembre 1998 da incentivare anche con il trattamento economico aggiuntivo di cui all'art. 1, comma 12, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, secondo le modalita' applicative definite in sede di contrattazione collettiva nazionale di lavoro". Dal confronto delle due disposizioni risulta evidente come l'art. 13, nella parte in cui sostituisce l'art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992 eccede la delega contenuta all'art. 2, comma 1, lett. q), della legge n. 419/1998, violando, pertanto l'art. 76 della Costituzione. Si potrebbe, a tal proposito, eccepire che il livello unico dirigenziale e' stato introdotto dal d.lgs. n. 29/1993, entrato in vigore successivamente al d.lgs. n. 502/1992. Tuttavia, anche se si aderisce alla tesi in base alla quale il d.lgs. n. 29/1993 costituisce una legge di principi, e che, in quanto tale, le disposizioni in esso contenute devono ritenersi applicabili a tutta la dirigenza, compresa la dirigenza medica, non si spiega, in primo luogo perche' il Governo, eccedendo la delega, abbia sentito la necessita' di confermare la disciplina gia' dettata dal d.lgs. n. 29 e, in secondo luogo, per quale motivo il Governo abbia disciplinato, con il d.lgs. n. 229, anche materie, quali l'orario di lavoro, la formazione, la mobilita' del personale, che il d.lgs. n. 29/1993 ha riservato espressamente alla contrattazione collettiva, come si desume dal combinato disposto degli artt. 2 e 45 del d.lgs. n. 29/1993. La soppressione dei due livelli di dirigenza medica ha comportato, inoltre, il venir meno della prerogativa regionale di nominare un componente della Commissione selezionatrice per l'accesso al secondo livello secondo quanto stabilito nel testo dell'art. 15 del d.lgs. n. 502/1992, prima delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 229. Fuori delega pare altresi' la soppressione dei rapporti di lavoro a tempo definito per la dirigenza sanitaria (nel testo del nuovo art. 15-bis, comma 3). Infatti, concettualmente, l'esclusivita' del rapporto di lavoro della dirigenza sanitaria, prevista come principio dall'art. 2, comma 1, lett. q), della delega, e' cosa diversa dal rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo definito: l'esclusivita' implica l'impossibilita' di svolgere lavori per soggetti concorrenti con il SSN; il carattere a tempo definito del rapporto permette di avere altre attivita' (secondo la recente normativa, un dipendente pubblico puo' scegliere la collocazione a tempo definito per svolgere una attivita' diversa e non confliggente con quella principale). La soppressione dei rapporti a tempo definito e' fonte di aumento di spesa e comporta comunque gravi problemi organizzativi alle regioni. 9.2. - L'art. 13, nella parte in cui aggiunge dopo l'art. 15 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 15-sexies, detta disposizioni in ordine all'attivita' libero professionale extramuraria, stabilendo che: "il rapporto di lavoro dei dirigenti sanitari in servizio al 31 dicembre 1998 i quali, ai sensi dell'art. 1, comma 10 della legge n. 662/1996, abbiano comunicato al direttore generale l'opzione per l'esercizio dell'attivita' libero professionale extramuraria e che non intendano revocare detta opzione, comporta la totale disponibilita' nell'ambito dell'impegno di servizio, per la realizzazione dei risultati programmati e lo svolgimento delle attivita' professionali di competenza. Le Aziende stabiliscono i volumi e le tipologie delle attivita' e delle prestazioni che i singoli dirigenti sono tenuti ad assicurare, nonche' le sedi operative in cui le stesse devono essere effettuate". Anche tale disciplina deve ritenersi viziata per eccesso di delega: l'art. 2, comma 1, lett. q), della legge n. 419/1998 ha, infatti, delegato il Governo esclusivamente a "prevedere le modalita' per prevenire, all'esclusivita' del rapporto di lavoro" e non certo a disciplinare l'attivita' libero professionale extramuraria. Anche tale disposizione viola, pertanto, l'art. 76 della Costituzione, nonche' gli art. 117 e 118 della Costituzione nella parte in cui, nell'attribuire alle Aziende il potere di individuare "volumi e le tipologie delle attivita' e delle prestazioni che i singoli dirigenti sono tenuti ad assicurare, nonche' le sedi operative in cui le stesse devono essere effettuate", non prevede alcuna forma di coinvolgimento delle regioni. 9.3. - L'art. 13, risulta, inoltre, viziato di eccesso di delega nella parte in cui aggiunge all'art. 15 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 15-quater, comma 4. L'art. 15-quater, infatti, dopo aver stabilito, al comma 3, che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, tutti i dirigenti in servizio alla data del 31 dicembre 1998, sono tenuti a comunicare al direttore generale l'opzione in ordine al rapporto esclusivo, al successivo comma 4 prevede che: "il dirigente sanitario con rapporto di lavoro esclusivo non puo' chiedere il passaggio al rapporto di lavoro non esclusivo". Mentre, al comma 2, stabilisce che: "Salvo quanto previsto al comma 1, i dirigenti in servizio alla data del 31 dicembre 1998, che hanno optato per l'esercizio dell'attivita' libero professionale extramuraria passano, a domanda, al rapporto di lavoro esclusivo". Dunque, una volta che il dirigente abbia optato per il rapporto esclusivo, non puo' piu' chiedere il passaggio a quello non esclusivo, mentre e' possibile il contrario. A tal proposito va ricordato che la delega aveva incaricato il Governo di "prevedere le modalita' per pervenire... all'esclusivita' del rapporto di lavoro, quale scelta individuale per il solo personale della dirigenza sanitaria in ruolo al 31 dicembre 1998". L'art. 13, nella parte in cui introduce l'art. 15-quater, comma 4, del d.lgs. n. 502/1992, viola pertanto l'art. 6 della Costituzione. 9.4. - L'art. 15-quinquies, comma 5, come introdotto dall'art. 13 del d.lgs. n. 229 prevede che "gli incarichi di direzione di struttura, semplice o complessa, implicano il rapporto di lavoro esclusivo", cosi' vietando che possano essere attribuiti incarichi di direzione ai dirigenti sanitari che scelgono l'attivita' extramuraria. La possibilita' di ricondurre questa sanzione alla citata lett. q) della delega appare assai dubbia; sicuri appaiono alcuni profili di incostituzionalita', pur se qui non rilevanti, del trattamento deteriore fatto a chi sceglie l'attivita' extramuraria dall'art. 72 della legge n. 448 del 1998, e confermato dal comma 10 del medesimo art. 15-quinquies; altrettanto sicura, e di sicuro interesse regionale, appare la violazione dell'art. 97 della Costituzione laddove, con un ukase che non ammette repliche e che richiede immediata applicazione, si impone ed alle regioni ed alle ASL di rinunziare all'esperienza di tutti i dirigenti sanitari che non vorranno optare per il rapporto esclusivo (ai quali si continua a dimidiare il trattamento economico e a negare la possibilita' di verifica sui risultati). 10. - Violazione dell'art. 119 della Costituzione da parte dell'art. 16 del d.lgs. n. n. 229 del 1991 e dell'art. 1, comma 4, della legge n. 419 del 1998. Costituisce principio generalissimo della finanza regionale, in specie in materia sanitaria, quello secondo cui lo Stato "non puo' addossare al bilancio regionale oneri relativi alla spesa sanitaria che derivano da decisioni non imputabili alle regioni stesse" (Corte cost., sentt. nn. 452 del 1989; 416 del 1995). Ora, nonostante le assicurazioni rese in sede politica, e' accertato (anche dal Servizio Bilancio del Senato, nella nota citata) che il decreto avra' effetti finanziari oggi non controllabili. La stessa legge delega (art. 1, comma 4) prevede che "l'esercizio della delega ... non comporta complessivamente oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato e degli enti di cui agli artt. 25 e 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468 e successive modificazioni". Il decreto legislativo, cosi', non contiene alcuna garanzia che le maggiori spese provocate dalla sua attuazione non ricadano - per scelte organizzative impostate ed effettuate a livello centrale - sul sistema regionale. Non e' sufficiente all'uopo l'art. 1 del d.lgs. n. 229, nella parte in cui introduce un nuovo art. 1, comma 3, nel d.lgs. n. 502, ai sensi del quale "l'individuazione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza assicurati dal Servizio sanitario nazionale, per il periodo di validita' del Piano sanitario nazionale, e' effettuata contestualmente all'individuazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilita' finanziarie definite per l'intero sistema di finanza pubblica nel documento di programmazione economicofinanziaria. Le prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza sono garantite dal Servizio sanitario nazionale a titolo gratuito o con partecipazione alle spese, nelle forme e nelle modalita' previste dalla legislazione vigente"; ed ancora meno e' sufficiente l'art. 16, nella parte in cui introduce un art. 19-quinquies nel d.lgs. n. 502 (che prevede una relazione sugli effetti finanziari del Ministro della sanita') e un art. 19-ter, che prevede generiche misure di sostegno, ma non certo la copertura dei disavanzi sul bilancio regionale provocati dai contraccolpi delle scelte politico-organizzative prese a livello centrale. Il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle regioni e province autonome, nella citata nota del 17 giugno 1999, sottolineava questi problemi: "Richiamo, da ultimo, l'esigenza che l'approvazione del decreto legislativo avvenga in un quadro coerente anche relativamente agli aspetti economico-finanziari e che - oltre ad un miglioramento della formulazione della norma inserita nell'art. 19-quinquies (finalizzata a garantire che nella relazione ivi prevista si tenga conto delle valutazioni delle regioni sull'effettiva incidenza economica dell'applicazione del decreto) - siano da subito adottati i provvedimenti e le misure utili per recepire il lavoro svolto dall'apposito tavolo di confronto da Lei insediato su tali aspetti. In particolare si chiede che, anche attraverso una tempestiva assunzione al tavolo politico di quanto elaborato in sede tecnica, venga da subito posto mano alla manovra necessaria per trasferire alle regioni le risorse sulle quali vi e' gia' accordo, nella consapevolezza che la corretta quantificazione dell'effettivo fabbisogno finanziario e' necessaria non solo per "sanare" gli anni pregressi ma per fare del 2000 l'''anno zero'' della Sanita'". 11. - Illegittimita' derivata dalla illegittimita' costituzionale della legge delega n. 419 del 1998 per violazione dell'art. 76, sotto il profilo della generica individuazione dell'oggetto, nonche' della confusa gestione di "oggetto" e "principi" della delega. Il d.lgs. n. 229 e' illegittimo per illegittimita' derivata dalla illegittimita' della legge n. 419 del 1998, per violazione dell'art. 76, sotto il profilo della generica individuazione dell'oggetto della delega e della confusa gestione di "oggetto" e "principi". L'art. 1, comma 1, della legge n. 419 del 1998 attribuisce al Governo l'incarico di emanare uno o piu' decreti legislativi contenenti disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. n. 502/1992 "sulla base dei principi e dei criteri direttivi previsti dall'art. 2". Se si tiene a mente l'insegnamento tradizionale secondo cui la delega legislativa non puo' riguardare generiche materie o generici settori, bensi' deve fare riferimento ad oggetti definiti e precisi, leggendo le disposizioni contenute nell'art. 2 si evince chiaramente come la maggioranza di esse, anziche' dettare principi e criteri direttivi, talvolta individuino, talaltra precisino l'oggetto della delega. In sostanza, la legge n. 419/1998 definisce come "oggetto" della delega una genericissima "modifica" ed "integrazione" del d.lgs. n. 502/1992, per poi prevedere e qualificare come criteri e principi di tale oggetto le singole previsioni delle lettere da a) a qq) dell'art. 2; ma queste, a ben vedere, non fanno che esplicare l'oggetto della delega, preannunciato dall'art. 1, e solo raramente individuano criteri e principi. Ne' i pochi criteri e principi indicati in alcune delle lettere dell'art. 2, comma 1, possono ritenersi estensibili alle altre lettere dello stesso comma, essendo stati dettati in relazione allo specifico settore disciplinato dalla singola lettera. Esempi piu' eclatanti della confusione cui e' incorso il legislatore delegante sono costituiti dal disposto delle lettere c), i), m), n), r), s), u), z) aa), bb), dd), ff), gg), ii), pp), qq) dell'art. 2, comma 1. Cosa altro e' se non un "oggetto" della delega il "regolare la collaborazione tra i soggetti pubblici interessati" (lett. c); ovvero "attribuire... i compiti e le funzioni tecnico-scientifici e di coordinamento tecnico all'Istituto superiore di sanita', all'agenzia per i servizi sanitari regionali e all'istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro" (lett. i)? E si potrebbe continuare: il "ridefinire il ruolo del Piano sanitario nazionale" (lett. aa) e' solo un possibile oggetto della delega al quale mancano principi e criteri direttivi. Che, nella maggior parte dei casi, le lettere del comma 1 dell'art. 2, contengano "oggetti", senza "principi e criteri" e' infine dimostrato da quei rari casi in cui l'individuazione dell'oggetto e' accompagnata da qualche indicazione o direttiva d'intervento. Cosi', ad esempio, nel punto cc), si attribuisce la delega al riordino delle forme integrative di assistenza sanitaria "precisando che esse si riferiscono a prestazioni aggiuntive, eccedenti i livelli uniformi ed essenziali di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale, con questi comunque integrate, ammettendo altresi' la facolta' per le regioni, le province autonome e gli enti locali e per i loro consorzi di partecipare alla gestione delle stesse forme integrative di assistenza". Le norme indicate si pongono, pertanto, in chiaro contrasto con quanto previsto dall'art. 76 della Costituzione, richiedendo tale disposizione tra i requisiti della legge di delega "la determinazione dei principi e dei criteri direttivi". A tal proposito, codesta ecc. Corte ha piu' volte affermato che la legge di delega deve contenere, oltre ai limiti di durata e alla definizione dell'oggetto, anche l'indicazione dei principi e criteri direttivi e che "all'uopo il precetto costituzionale e' da ritenersi soddisfatto allorche' sono date al legislatore delegato delle direttive vincolanti, ragionevolmente limitatrici della sua discrezionalita' e delle indicazioni che riguardino il contenuto della disciplina delegata, mentre allo stesso legislatore delegato e' demandata la realizzazione, secondo modalita' tecniche prestabilite, delle esigenze, delle finalita' e degli interessi considerati dal legislatore delegante" (sent. 158/1985). E' pur vero che, in alcuni casi, codesta, eec.ma Corte ha riconosciuto che "la limitatezza delle finalita' da raggiungere giustifica adeguatamente la mancata indicazione di principi e criteri specifici" (sent. 299/1993). Non sembra, tuttavia, che tale situazione ricorra nel caso di specie, e cio' in quanto se dalla lettura dell'art. 1, comma 1, l'oggetto della delega sembra essere circoscritto alla modifica e alla integrazione di alcune disposizioni del d.lgs. n. 502/1992, esso, in realta', si snoda nelle numerosissime norme contenute nelle lettere del comma 1, dell'art. 2, che, a loro volta, intervengono su quasi tutti i settori gia' disciplinati dal d.lgs. n. 502/1992. L'oggetto della delega contenuta nella legge n. 419/1998, dunque, non e' affatto limitato, bensi' e' molto ampio: la mancata indicazione dei principi non puo', pertanto, ritenersi giustificata neppure alla luce di quanto statuito dalla giurisprudenza costituzionale. Ne' si puo' ritenere che nel caso di specie la determinazione dei principi e dei criteri direttivi sia avvenuta per relationem con riferimento al d.lgs. n. 502/1992. Questa ecc.ma Corte ha, infatti, affermato che "la determinazione dei principi e dei criteri direttivi di cui all'art. 76 della Costituzione ben puo' avvenire per relationem, con riferimento ad altri atti normativi, purche' sufficientemente specifici" (sent. 157/1985). Nel testo degli artt. 1 e 2 non e', invece, rinvenibile alcuna norma che disponga il rinvio ai principi desumibili dal d.lgs. n. 502/1992. Sebbene, infatti, alcune delle lettere contenute nel comma 2 dell'art.1, contengano disposizioni di completamento della disciplina introdotta dal d.lgs. n. 502/1992, e, come tali, potrebbero ritenersi ispirate ai principi desumibili da tale decreto legislativo, la maggioranza di esse detta disposizioni di modifica spesso contrastanti con tali principi. Negli artt. 1 e 2, e', dunque, ravvisabile una sostanziale carenza o, quantomeno, insufficienza dei principi e criteri direttivi richiesti dall'art. 76 della Costituzione quali requisiti necessari della legge di delega. Incongrua, incoerente e in contrasto con l'art. 76 della Costituzione e' poi la struttura di tutte le disposizioni di delega. La formula secondo cui oggetto della delega sono "disposizioni modificative e integrative del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502" e' contraddetta dal lunghissimo elenco dell'art. 2. Sembra quasi che non si sia voluto definire la delega come delega alla riorganizzazione del sistema sanitario e si sia invece voluto simulare il reale intento del legislatore sotto la formula anodina e riduttiva dell'art. 1, comma 1. In realta', delegare il Governo ad emanare "disposizioni integrative e modificative" di un altro atto dovrebbe sottintendere la volonta' di muoversi all'interno della logica e dei principi di quell'atto. Cio', d'altra parte, sembrerebbe confermato dal comma 2 dell'art. 1, secondo cui "L'esercizio della delega di cui al comma 1 deve avvenire nel rispetto delle competenze trasferite alle regioni con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59". Tutto cio' e' invece contraddetto, come si vedra' anche in dettaglio piu' avanti, dai singoli punti dell'art. 2, che si pongono talvolta in netta contraddizione con le scelte del d.lgs. n. 502/1992, confermate, peraltro, dal d.lgs. n. 112/1998.