Ricorso  della  regione  Puglia,  in  persona  del Presidente della
 Giunta regionale pro-tempore, prof.  Salvatore  Distaso,  autorizzato
 con  delibera  di  Giunta  regionale  n.  1081  del  3  agosto  1999,
 rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente  atto,
 dal  prof.  avv. Aldo Loiodice e dal prof. avv. Beniamino Caravita di
 Toritto e presso lo studio di quest'ultimo elettivamente  domiciliato
 in Roma, via di Porta Pinciana, 6;
   Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, per la
 dichiarazione  di  illegittimita' costituzionale del d.lgs. 19 giugno
 1999, n. 229, recante "Norme per la  razionalizzazione  del  Servizio
 sanitario  nazionale,  a  norma  dell'art.  1 della legge 30 novembre
 1998, n. 419", in toto  e  in  parte  qua,  relativamente  ad  alcuni
 articoli, pubblicato nel Supplemento ordinario n. 132/L alla Gazzetta
 Ufficiale serie generale, n. 165 del 16 luglio 1999.
                               F a t t o
   In  attuazione della delega contenuta nella legge 30 novembre 1998,
 n. 419, recante "Delega  al  Governo  per  la  razionalizzazione  del
 Servizio  sanitario  nazionale  e per l'adozione di un testo unico in
 materia di organizzazione  e  funzionamento  del  Servizio  sanitario
 nazionale.  Modifiche al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502", pubblicata
 nella  Gazzetta Ufficiale serie generale, n. 286 del 7 dicembre 1998,
 in data 19 giugno 1999, il Presidente della Repubblica ha emanato  il
 d.lgs.  n. 229/1999.
   Il  decreto,  rappresentando  un  forte  elemento di discontinuita'
 rispetto  alle  riforme  introdotte  dal  d.lgs.  n.  502/1992,  pone
 evidenti ostacoli alla programmazione sanitaria regionale.
   Tra gli effetti indotti dal decreto vi sara' quello di un ulteriore
 ingiustificato  aggravio  di  spesa:  basti  qui  ricordare gli oneri
 derivanti dalla soppressione dei rapporti di lavoro a tempo  definito
 o   quelli   conseguenti   alle   previsioni  restrittive  sui  fondi
 integrativi, che negano la  possibilita'  di  ricorrere  a  strutture
 autorizzate.  Il  Servizio  Bilancio  del  Senato,  in una nota sullo
 schema  di  decreto  delegato,  segnalava  l'esistenza  di   numerose
 disposizioni tali da recare aggravio di spesa nel settore sanitario a
 seguito della riforma 1).
   L'impostazione statalista e centralista del d.lgs. 229 ridimensiona
 drasticamente  le  competenze  attribuite  alle  regioni  in  materia
 sanitaria dagli articoli 117 e 118 della Costituzione.
   Basterebbe  il  semplice  dato  quantitativo  delle  81  pagine  di
 Gazzetta  Ufficiale  a  rendere  evidente come si sia voluto definire
 nell'estremo  dettaglio  moltissimi  luoghi  e  settori  di  evidente
 competenza  regionale:    cio'  e'  avvenuto  in palese spregio della
 volonta' parlamentare, giacche'  e'  difficile  pensare  che  con  il
 principio contenuto nell'art. 2, comma 1, lett. b, della legge n. 419
 del    1998,    relativo    al   completamento   del   "processo   di
 regionalizzazione ... del Servizio Sanitario  Nazionale"  si  volesse
 dar   mandato   al   Governo   di   sommergere  i  legislatori  e  le
 amministrazioni regionali di 80 pagine fitte di  Gazzetta  Ufficiale,
 piene di norme di dettaglio.
   1) La nota e' pubblicata in ASI - Agenzia sanitaria italiana del 20
 maggio 1999, n. 20.
    L'impostazione del decreto tende, inoltre, a vanificare la parita'
 tra pubblico e privato.
   In  particolare,  la  nuova  disciplina  introdotta  in  materia di
 accreditamento,  nel  subordinare  l'esito  positivo  della  relativa
 procedura   alla   previsione   di   un  fabbisogno  regionale  delle
 prestazioni  e  alla  capacita'  produttiva  massima  delle   singole
 strutture,  di  fatto, non puo' non condurre al riconoscimento di uno
 spazio  maggiore  e    piu'  garantito  delle  strutture   pubbliche,
 relegando   quelle  private  ad  un  ruolo  meramente  sussidiario  e
 residuale.
   Anche sotto questo profilo,  viene  posta  nel  nulla  la  volonta'
 parlamentare,  giacche'  l'art.  2,  comma  1,  lett. c) della delega
 chiede al Governo di "regolare e distribuire i compiti tra i soggetti
 pubblici interessati e i soggetti privati".
   Infine non si puo' non rilevare l'effetto devastante  di  una  fuga
 generalizzata  dalle strutture pubbliche dei migliori professionisti,
 fuga che  le  norme  sull'incompatibilita'  e  sull'esclusivita'  del
 rapporto di lavoro sono suscettibili di produrre.
   Il  d.lgs.  n.  229 del 1999 ha operato novellando il d.lgs. n. 502
 del 1992, nel cui testo sono stati  inseriti  nuovi  artt.  e  commi,
 ovvero  abrogati commi o parti di essi; nella maggior parte dei casi,
 gli artt. 1, 2, 3, 4,  5,  del  d.lgs.  n.  229  hanno  modificato  i
 corrispondenti  artt. 1, 2, 3, 4, 5, del d.lgs. n. 502: nel prosieguo
 del ricorso si fara' riferimento, nell'epigrafe del  motivo  e  nella
 descrizione  iniziale  della  censura,  del  d.lgs.  n.  229,  mentre
 all'interno dei paragrafi i riferimenti, salva  diversa  indicazione,
 saranno  effettuati  al testo del d.lgs. n. 502, cosi' come novellato
 dal d.lgs. n. 229.
   Il  d.lgs.  229/1999  invade   le   competenze   costituzionalmente
 riconosciute  alle  regioni  in  materia sanitaria e risulta pertanto
 gravemente illegittimo per i seguenti motivi:
                             D i r i t t o
   1. -  Violazione  degli  artt.  76  e  73  della  Costituzione,  in
 relazione  all'art.  1  della  legge  30  novembre  1998, n. 419, per
 mancato  rispetto  dei  termini  per  l'emanazione  e   pubblicazione
 previsti dalla legge delega.
   All'art. 1, comma 1, la legge n. 419/98, stabilisce che "il Governo
 e'  delegato  ad  emanare,  entro  centottanta giorni dall'entrata in
 vigore della presente legge, uno o piu' decreti  legislativi  recanti
 disposizioni  modificative e integrative del d.lgs. 30 novembre 1992,
 n. 502 e successive modificazioni, sulla  base  dei  principi  e  dei
 criteri direttivi previsti dall'art. 2".
   Affinche'  i  termini previsti dall'art. 1, comma 1, della legge n.
 419/98 fossero da ritenersi rispettati,  il  Governo  avrebbe  dovuto
 esercitare i poteri delegati entro il 22 giugno 1999.
   Tuttavia,  se  e' vero che il d.lgs. n. 229/99 e' stato emanato dal
 Presidente della Repubblica in data 19 giugno 1999, e' anche vero che
 esso solo in data 8 luglio  1999  veniva  trasmesso  al  Ministro  di
 grazia  e  giustizia, il quale vi apponeva il visto in data 12 luglio
 1999. Quanto poi alla data della pubblicazione,  il  decreto  risulta
 ufficialmente   pubblicato  in  data  16  luglio  1999:  la  Gazzetta
 Ufficiale, serie generale, n.  165  del  16  luglio  1999  riportava,
 infatti,   avviso  della  pubblicazione  del  d.lgs.  n.  229/99  nel
 supplemento ordinario, n. 132/L.
   Il   supplemento   ordinario   n.   132/L  e'  stato  materialmente
 distribuito solo in data 24 luglio 1999.
   Il ritardo nella pubblicazione (e nella concreta distribuzione) del
 d.lgs.  n.  229/99  costituisce  una  violazione  delle  disposizioni
 dettate  dagli  artt.  73  e  76  della Costituzione. L'art. 76 Cost.
 stabilisce, infatti, che "l'esercizio della funzione legislativa  non
 puo'  essere  delegato  al  Governo  se  non con la determinazione di
 principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato  e  per
 oggetti  definiti".    A  sua volta, l'art. 73 Cost., al terzo comma,
 stabilisce  che:  "le  leggi   sono   pubblicate   subito   dopo   la
 promulgazione".
   L'espressione  "leggi"  di  cui  al  comma terzo dell'art. 73 Cost.
 deve, infatti, intendersi riferita anche agli atti  aventi  forza  di
 legge, quali appunto i decreti delegati.
   La ricorrente ben conosce la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte
 secondo  cui  i  termini  per  l'esercizio dei poteri delegati devono
 intendersi rispettati, e che quindi  non  sussiste  violazione  degli
 artt.  73  e  76  della  Costituzione, nelle ipotesi in cui i decreti
 delegati vengano  "emanati"  nel  termine  previsto  dalla  legge  di
 delega,  non  essendo  necessario che entro tale termine essi vengano
 anche "pubblicati" (cfr. per tutte la sent. n. 184 del   10  dicembre
 1981).
   A  questa interpretazione della Corte costituzionale avrebbe dovuto
 corrispondere un atteggiamento responsabile dell'amministrazione,  la
 quale  avrebbe  dovuto  limitare  al massimo i tempi necessari per la
 pubblicazione successiva all'emanazione.
   E invece si e' assistito e si assiste anche in questa situazione ad
 un fenomeno di grave degenerazione e lassismo per quanto attiene  a(i
 tempi   de)lla   pubblicazione  dei  decreti  delegati  (la  medesima
 situazione qui lamentata si ebbe, ad esempio, per il  d.lgs.  n.  112
 del  1998,  che,  emanato  in data 31 marzo 1998, e' stato pubblicato
 nella  Gazzetta Ufficiale del 21 aprile 1998).
   Il caso in questione e' esemplare: emanato il 19  giugno  1999  dal
 Presidente  della  Repubblica,  il  decreto e' stato trattenuto negli
 uffici del Ministero della sanita' fino all'8 luglio; ha ricevuto  il
 visto  del  Ministro  di  grazia  e  giustizia  il  12;  ne  e' stata
 comunicata la pubblicazione il 16  luglio.  A  cio'  si  aggiunga,  a
 testimonianza   del  grave  ritardo  verificatosi,  che  la  Gazzetta
 Ufficiale recante il testo e' stata disponibile solo il 24  luglio  a
 Roma  e  il  26  luglio nel resto del paese: che in questa situazione
 temporale,  stante   i   lunghissimi   tempi   di   pubblicazione   e
 distribuzione  dell'atto,  si sviluppino polemiche politiche circa la
 modifica  in  itinere  (per  cosi'  dire!)  del   testo,   pur   dopo
 l'emanazione  da  parte del Presidente della Repubblica, e' evenienza
 inevitabile.
   Ora, mentre il ritardo nella distribuzione assume in questa sede il
 rilievo di un  mero  fatto,  pur  se  foriero  di  gravi  conseguenze
 giuridiche  (giacche'  la vacatio legis si e', in tal modo, ridotta a
 pochissimi giorni e ne subiscono un vulnus anche i gia' ristretti - e
 senza sospensione feriale - termini per  l'impugnazione  regionale!),
 il  ritardo nella pubblicazione ben puo' essere sanzionato in sede di
 legittimita' costituzionale, precisando che  anche  la  pubblicazione
 deve intervenire nel termine previsto dalle leggi di delega.
   2.  -  Violazione  degli  artt.  117  e  118 della Costituzione, in
 relazione all'art. 1, comma 3, della legge  30 novembre 1998, n. 419,
 al  d.lgs.    28  agosto  1997,  n.  281  e  al  principio  di  leale
 collaborazione  tra  lo  Stato  e  le  regioni  da  parte di numerose
 disposizioni del decreto.
   2.1. - L'art. 1, comma 3, della legge delega stabilisce  che  sugli
 schemi  di  decreto  legislativo  di  cui  al  comma  1,  il  Governo
 acquisisce il parere della Conferenza Unificata di cui all'art. 8 del
 d.lgs.  28 agosto 1997, n. 281, che esprime il richiesto parere entro
 trenta giorni dalla ricezione degli schemi stessi.
   Tale  disposizione  non  e'  stata  rispettata  dal  Governo  nella
 formazione finale del decreto.
   Con  riferimento  ad  alcune disposizioni, infatti, il parere della
 Conferenza Unificata non e'  stato  acquisito  dal  Governo,  essendo
 stato  presentato  un  testo che non le conteneva; rispetto ad altre,
 invece, sebbene il Presidente del Consiglio dei Ministri, in sede  di
 Conferenza  Unificata,  avesse  assicurato  che  avrebbe recepito gli
 emendamenti proposti in quella sede dalle regioni,  di  fatto,  nella
 formulazione  finale  del  decreto,  si  e'  dovuto constatare che il
 Governo non ha tenuto conto delle osservazioni regionali.
   2.2. - Appartengono al primo gruppo (disposizioni  su  cui  non  e'
 stato acquisito il parere della Conferenza Unificata):
     a) l'art. 3, nella parte in cui introduce l'art. 3-bis, comma 15,
 del  d.lgs.  n.  502/92,  dove  si  stabilisce che: "in sede di prima
 applicazione, le regioni possono disporre la  proroga  dei  contratti
 con  i  direttori  generali in carica all'atto dell'entrata in vigore
 del presente decreto per un periodo massimo di dodici mesi";
     b) l'art. 4, comma 2 nella parte in cui aggiunge il  comma  1-ter
 all'art. 4 del d.lgs. n. 502/92, ultimo periodo, in cui si stabilisce
 che:  "In ogni caso, non si procede alla costituzione o alla conferma
 in azienda ospedaliera qualora questa costituisca  il  solo  presidio
 ospedaliero pubblico presente nell'azienda unita' sanitaria locale";
     c)  l'art.  4,  comma  2,  nella  parte in cui introduce il comma
 1-octies all'art. 4 del d.lgs. n. 502, in cui si  stabilisce che: "Ai
 progetti elaborati dalle regioni e finanziati ai sensi  dell'art.  1,
 comma  34-bis,  della  legge  23  dicembre 1996, n. 662, e successive
 modificazioni, hanno titolo  a  partecipare  anche  gli  enti  e  gli
 istituti di cui al comma 12";
     d)  l'art.  5, comma 1, nella parte in cui introduce l'art. 5-bis
 del d.lgs. n. 502, comma 3, in cui si stabilisce  che:  "In  caso  di
 mancata  attivazione  del  programma  oggetto  dell'accordo  entro  i
 termini previsti dal medesimo  programma,  la  copertura  finanziaria
 assicurata   dal   Ministero  della  sanita'  viene  riprogrammata  e
 riassegnata, sentita la Conferenza permanente per i rapporti  tra  lo
 Stato,  le  regioni  e  le  province autonome di Trento e Bolzano, in
 favore di altre regioni o enti pubblici interessati al  programma  di
 investimenti,  tenuto  conto  della capacita' di spesa e di immediato
 utilizzo delle risorse da parte dei medesimi";
     e) l'art. 7,  comma  1,  nella  parte  in  cui  introduce  l'art.
 7-quater  del  d.lgs. n. 502, comma 2, in cui si  stabilisce che: "Le
 regioni disciplinano l'articolazione  delle  aree  dipartimentali  di
 sanita'  pubblica, della tutela della salute negli ambienti di lavoro
 e  della   sanita'   pubblica   veterinaria,   prevedendo   strutture
 organizzative specificatamente dedicate a: igiene e sanita' pubblica;
 igiene  degli  alimenti  e  della nutrizione; prevenzione e sicurezza
 degli  ambienti  di lavoro; sanita' animale; igiene della produzione,
 trasformazione, commercializzazione; conservazione e trasporto  degli
 alimenti di origine animale e loro derivati; igiene degli allevamenti
 e delle produzioni  zootecniche".
   Tutte  le  disposizioni  indicate  non  erano  presenti  nel  testo
 sottoposto alla Conferenza Unificata.
   2.3. - Appartengono al secondo gruppo (disposizioni  rispetto  alle
 quali  non  ci si e' adeguati alle richieste regionali, nonostante le
 assicurazioni rese in Conferenza Unificata) le  disposizioni  di  cui
 agli  artt.  1, comma 14; 4; 8-quinquies, comma 2 del d.lgs. n.  229,
 nonche' l'art. 8-sexies commi 3 e 4  dello  schema  di  decreto  (che
 corrispondono ai commi 4 e 5 del d.lgs. n. 229).
   Con  riferimento  a  tali  disposizioni,  nei successivi paragrafi,
 verranno dettagliatamente indicati  gli  emendamenti  proposti  dalla
 Conferenza dei Presidenti delle regioni nel parere rilasciato in data
 6 maggio 1999, al cui accoglimento era subordinato il parere positivo
 della  Conferenza, accettati dal Governo stesso in sede di Conferenza
 e,  infine,  sorprendentemente,  non  accolti   dal   Governo   nella
 formulazione definitiva del decreto.
   2.4.   -  Tale  comportamento  tenuto  dal  Governo  non  puo'  che
 comportare l'illegittimita' costituzionale sia delle disposizioni non
 sottoposte al parere della Conferenza, sia di quelle confermate anche
 a seguito degli emendamenti proposti dalle regioni.
   Se e' vero, infatti,  che  nella  seduta  del  6  maggio  1999,  la
 Conferenza  Unificata  ha  espresso parere favorevole sullo schema di
 decreto approvato in via preliminare dal Consiglio  dei  Ministri  in
 data  14  aprile  1999,  e'  anche  vero che, nella medesima sede, la
 Conferenza   dei   Presidenti   delle   regioni   aveva   subordinato
 l'espressione  del  proprio parere favorevole al recepimento da parte
 del Governo delle richieste formulate  nel  documento  del  6  maggio
 1999,  (allegato al verbale della Conferenza Unificata del 6/5/99), e
 che il Ministro  della  Sanita'  si  era  dichiarato  disponibile  ad
 accoglierle.
   A  conferma  della  situazione  verificatasi  si  riportano  alcuni
 stralci del verbale della seduta del 6 maggio 1999  della  Conferenza
 Unificata,  nel quale, in particolare, si legge: "Visto lo schema del
 decreto legislativo in oggetto,  approvato  in  via  preliminare  dal
 Consiglio dei Ministri nella seduta del 14 aprile 1999 e trasmesso il
 successivo  16  aprile  dal  Dipartimento  per gli affari giuridici e
 legislativi  della  Presidenza  del  consiglio  dei   Ministri   alle
 Segreterie   della   conferenza   stato-regioni  e  della  conferenza
 Stato-citta' e autonomie locali;
   Considerato che in sede tecnica, il 5 maggio 1999, i rappresentanti
 delle regioni, hanno consegnato un documento di osservazioni relative
 ad eventuali emendamenti  allo  schema  di  decreto,  precisando  che
 alcune  di  esse  erano da considerarsi essenziali e condizionanti il
 parere da esprimere; che i rappresentanti dell'ANCI,  pur  esprimendo
 una  valutazione  complessivamente  positiva sullo schema di decreto,
 hanno consegnato un documento, ancora in  fase  di  elaborazione,  di
 osservazioni  allo  stesso;  che il rappresentante dell'UNCEM, che ha
 consegnato  un  documento,  e  il  rappresentante  dell'UPI  si  sono
 associati  sostanzialmente  ai  rilievi  sollevati dal rappresentante
 dell'ANCI,  rivendicando,  rispettivamente,  spazi  per  le  province
 soprattutto  in materia di pianificazione territoriale, attraverso la
 partecipazione  dei  presidenti  delle  province  alla Conferenza dei
 sindaci e una maggiore attenzione per la situazione  della  montagna,
 evidenziando  il ruolo svolto dalle comunita' montane, in particolare
 nel settore dei servizi sociali ed assistenziali;
   Considerato  che,  nel  corso   dell'odierna   seduta   di   questa
 Conferenza, i Presidenti delle regioni hanno consegnato un documento,
 che  si allega, di osservazioni e proposte di modifica allo schema di
 decreto  in  esame,  alcune  delle  quali  ritenute  essenziali   per
 l'espressione  di un parere positivo, avanzando quindi una riserva da
 sciogliere al termine del dibattito e sulla scorta delle risposte  di
 merito da parte del Governo;
   Considerato   che,   nel   corso   dell'odierna  seduta  di  questa
 Conferenza, il Ministro della sanita' si e' dichiarato disponibile ad
 esaminare le richieste avanzate se  coerenti  con  i  principi  della
 legge  delega  e  che,  sulla  scorta dell'esame compiuto in corso di
 seduta delle stesse, ha dichiarato di accoglierle, ritenendo soltanto
 quella avanzata dal Presidente della regione Lombardia  non  coerente
 con i criteri direttivi recati dalla legge n. 419 del 1998;
   Considerato che le regioni, valutate positivamente le assicurazioni
 del  Ministro  della  sanita',  hanno  sciolto  in  senso positivo la
 riserva  posta  all'inizio  della  seduta,  augurandosi  che   quanto
 concordato  venga  mantenuto  in  sede di approvazione definitiva del
 provvedimento in esame;  che  lo  stesso  avviso  e'  stato  espresso
 dall'ANCl, UPI e UNICEM;
   Considerato   che   il   Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 nell'affermare la rilevanza dello schema  di  decreto  in  esame,  ha
 dichiarato  la  volonta' del Governo di mantenere gli impegni assunti
 per  il  rafforzamento  del  sistema  sanitario  e  ha   chiesto   la
 partecipazione  attiva  del  sistema  delle  autonomie nei successivi
 incontri  con  le  organizzazioni  sindacali  previsti  dalla   legge
 delega".    A  ribadire  la  posizione regionale, il Presidente della
 Conferenza dei Presidenti delle Regioni  e  delle  Province  autonome
 Vannino  Chiti  inviava  al Presidente del Consiglio dei Ministri, in
 data 17 giugno 1999, una nota dal seguente tenore: "Nella fase finale
 di approvazione del decreto legislativo previsto dagli artt.  1  e  2
 della  legge    30 novembre 1998 n. 419, per il riordino del Servizio
 sanitario nazionale, ritengo doveroso  rappresentarLe  nuovamente  la
 posizione  della  Conferenza  dei  presidenti  delle  regioni e delle
 province autonome, attesa la  speciale  rilevanza  che  le  questioni
 sanitarie  acquistano  sempre  di piu' per i governi regionali.  Devo
 preliminarmente ribadire  che  le  regioni  e  le  province  autonome
 chiedono,  per  poter  confermare il parere favorevole espresso, alla
 Sua presenza, in sede di Conferenza Unificata il 6 maggio  u.s.,  che
 siano   integralmente  recepite  nel  testo  finale  le  osservazioni
 definite essenziali nel documento che contiene tale  parere,  che  ad
 ogni  buon  conto si riporta in allegato 1.  Rispetto al testo che ci
 risulta essere all'esame del Consiglio dei Ministri, le regioni e  le
 province  autonome chiedono, in particolare, che sia meglio precisato
 che la "coerenza" degli schemi o progetti di piani sanitari regionali
 rispetto al PSN sia verificata  rispetto  agli  "indirizzi  generali"
 dello  stesso art. 1, comma 12.  Analoga richiesta di precisazione si
 chiede venga fatta a proposito delle sperimentazioni gestionali (art.
 10)  le quali si ritiene debbano  essere  autorizzate  dalle  Regioni
 sulla  base  di  indirizzi e criteri della Conferenza  Stato-regioni,
 della  quale  andrebbe  enfatizzata  la  funzione  di  coordinamento,
 verifica ed eventuale intervento    correttivo.    Anche  per  quanto
 riguarda   alcune   attivita'  centrali,  si  chiede  un  piu'  forte
 recepimento di quanto gia' richiesto dalle regioni,  con  particolare
 riferimento  ai  compiti dell'Agenzia nazionale per l'Accreditamento,
 (art. 19-bis,) che vanno effettivamente demandati all'Agenzia  per  i
 Servizi    Sanitari,   la   quale   si   avvale   di   un   organismo
 tecnico-scientifico dedicato, ed ai compiti e  funzioni  dell'I.S.S.,
 dell'I.S.P.E.S.L.   e  della  stessa  A.S.S.R.  (Art.  19-sexies,  ex
 19-quater).  Relativamente alle osservazioni definite rilevanti nello
 stesso documento di parere sopra richiamato, ritengo di dover  ancora
 una  volta,  richiamare  l'esigenza  posta  dalle  regioni e province
 autonome di introdurre maggiore flessibilita',  rispetto  all'attuale
 testo  (addirittura  peggiorativo),  a proposito della costituzione o
 conferma delle Aziende ospedaliere,  rilanciando  anche  una  ipotesi
 gia'  a  suo  tempo  avanzata  di Aziende di rilievo regionale che le
 regioni e province autonome dovrebbero poter costituire o  confermare
 in  base  a criteri analoghi a quelle di rilievo nazionale, tranne il
 criterio  relativo  alla  mobilita'  interregionale  e   introducendo
 comunque  un tetto massimo di posti letto aziendalizzati (apparirebbe
 congruo il 30%) in  ogni  regione,  salvo  deroga  concedibile  dalla
 Conferenza  Stato-regioni.    Per  quanto  attiene  ad  una  serie di
 disposizioni normative, presenti nel testo attuale ma mai  sottoposte
 al  parere  delle  regioni  e  province  autonome  se  ne  chiede  la
 soppressione e  l'eventuale  rinvio  ad  altro  provvedimento,  salvo
 quanto  eventualmente  recuperabile  in  un  rapido  confronto con il
 Coordinamento interregionale  dell'area  sanitaria,  con  particolare
 riferimento  a  quelle gia' segnalato al Ministro della Sanita' (che,
 per snellezza, vengono ricapitolate a parte in apposito allegato  2).
 (Omissis)".      Ma   anche  questa  autorevole  presa  di  posizione
 istituzionale e' stata tenuta dal Governo in assoluto non cale.  2.5.
 - Le disposizioni indicate al par. 2 e al par. 3 risultano, pertanto,
 poste in violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione e, in
 quanto tali, violano anche il principio di leale  collaborazione  tra
 lo  Stato  e le regioni.   Va, infatti, sottolineato, in primo luogo,
 come  la  mancata  consultazione   delle   regioni   o   la   mancata
 conformazione alle osservazioni dalle stesse presentate ai fini della
 disciplina  di  materie,  quale  quelle  dell'assistenza  sanitaria e
 ospedaliera che gli artt. 117 e 118 della Costituzione  attribuiscono
 alla  competenze  legislativa  e  amministrativa  regionali,  ridonda
 inevitabilmente in violazione degli stessi artt.   117  e  118  Cost.
 D'altra  parte,  sussiste  nel  caso di specie anche la violazione da
 parte del Governo del principio di leale collaborazione tra lo  Stato
 e  le  regioni:  di  fatto  il Governo, omettendo, rispetto ad alcune
 disposizioni del decreto, di acquisire il parere delle regioni e  non
 tenendo  conto,  rispetto  ad altre, degli emendamenti proposti dalle
 regioni, non ha concretamente rispettato le  norme  di  comportamento
 che  dovrebbero  regolare,  in  attuazione  del  principio  di  leale
 collaborazione, i rapporti tra lo Stato e le regioni.  Nella  vicenda
 sottoposta  alla  valutazione  di codesta ecc.ma Corte, la violazione
 del principio di leale  collaborazione  appare  ancora  piu'  odiosa,
 giacche'   il  parere  positivo  e'  stato  ottenuto  grazie  ad  una
 dichiarazione, resa in Conferenza, dal Ministro, alla  quale  non  e'
 poi   stato  dato  seguito:  il  rango  costituzionale  dei  soggetti
 coinvolti  spingeva  a ritenere che una dichiarazione di un Ministro,
 resa in Conferenza Stato-regioni-autonomie,  avrebbe  trovato  sicura
 attuazione.    Non  vi e' certo bisogno di ricordare che quello della
 leale  collaborazione  tra  Stato   e   regioni   e'   un   principio
 costantemente  affermato  nella giurisprudenza costituzionale, il cui
 presupposto  e'  stato  rinvenuto  da  codesta  ecc.ma  Corte   nella
 coesistenza,  l'interferenza,  la reciproca indissolubile connessione
 di poteri statali e regionali, riconosciuti ed esercitati  a  diverso
 titolo  e  con  differenti  finalita',  ma  vertenti su ambiti e aree
 oggettivamente  sovrapposte  o  coincidenti  ovvero  preordinati   al
 raggiungimento  di  compiti  comuni, e il cui "fondamento diretto" e'
 stato rinvenuto nell'articolo 5 Cost. (cfr., in particolare, sent. n.
 19 del 1997).  Una sintesi della interpretazione, fornita da  codesta
 ecc.ma  Corte  in  ordine  a  tale  principio, si trova nella recente
 sentenza n. 242 del 1997, nella quale si afferma che il principio  di
 leale  cooperazione  "deve  governare  i  rapporti  fra lo Stato e le
 regioni nelle materie  e  in  relazione  alle  attivita'  in  cui  le
 rispettive  competenze  concorrano  o  s'intersechino,  imponendo  un
 contemperamento dei rispettivi interessi ... Tale regola, espressione
 del principio costituzionale  fondamentale  per  cui  la  Repubblica,
 nella  salvaguardia  della  sua  unita',  "riconosce  e  promuove  le
 autonomie locali", alle cui esigenze "adegua i principi  e  i  metodi
 della  sua legislazione" (art. 5 Cost.) va al di la' del mero riparto
 costituzionale delle competenze per materia ed opera dunque su  tutto
 l'arco delle relazioni istituzionali fra Stato e regioni, senza che a
 tal  proposito  assuma  rilievo diretto la distinzione fra competenze
 esclusive, ripartite o integrative, o fra  competenze  amministrative
 proprie  e  delegate".   2.6. - Le disposizioni indicate, per il modo
 con cui si e' giunti alla loro formulazione, si pongono, inoltre,  in
 contrasto con la giurisprudenza costituzionale in materia di intese e
 di  pareri  con  gli  organismi rappresentativi delle Regioni e degli
 enti locali.   In particolare, recentemente,  codesta  ecc.ma  Corte,
 chiamata  a  pronunciarsi  in ordine alla legittimita' costituzionale
 dell'articolo 3, comma 4, del d.lgs. n. 281/97 - che prevede, per  le
 ipotesi  di  urgenza, la possibilita' di non ricorrere all'intesa con
 la Conferenza Stato-regioni - ha specificato  che  l'omissione  della
 partecipazione previa in caso d'urgenza, cosi' come posta dalla norma
 impugnata,   deve   ritenersi   "non  illegittima"  soltanto  se  "la
 previsione del parere o dell'intesa, pur giustificata dagli interessi
 costituzionali in gioco,  discende  da  una  scelta  del  legislatore
 statale  non  direttamente imposta da norme costituzionali o comunque
 sovraordinate (...).  Nei  casi,  invece,  in  cui  il  parere  della
 conferenza o l'intesa con la medesima si configuri, in concreto, come
 espressione   di   un   vincolo   costituzionale   discendente  dalla
 particolarita' dell'oggetto, o di obblighi  comunque  non  derogabili
 dal legislatore ordinario, non potrebbe lasciarsi alla determinazione
 del  Governo, nemmeno in nome di ragioni di urgenza, la scelta fra la
 sottoposizione dell'atto alla conferenza in via preventiva,  ai  fini
 del parere o dell'intesa, e sottoposizione ad essa, in via successiva
 dell'atto  adottato  senza  previo  parere  o  previa  intesa".    La
 statuizione  della  Corte,  sebbene  intervenuta  in  ordine  ad  una
 fattispecie  diversa  da  quella  in  questione  -  derogabilita' del
 parere/intesa con la Conferenza Stato-regioni per motivi  di  urgenza
 -,  puo' tuttavia ritenersi ad essa applicabile.  Nel caso di specie,
 infatti,  la  "particolarita'  dell'oggetto"  - materia espressamente
 attribuita dall'art.  117  Cost.  alla  competenza  delle  regioni  -
 imponeva, senza possibilita' di deroghe, che il parere delle regioni,
 nel  caso  di specie della Conferenza Stato-regioni - quale organismo
 facente parte, ai sensi dell'art. 8, comma 1, del d.lgs.  n.  281/97,
 con  la  Conferenza  Stato-citta', della Conferenza Unificata - fosse
 acquisito obbligatoriamente, su tutte le disposizioni e nel  rispetto
 delle volonta' e delle dichiarazioni rese in Conferenza.
   3.  - Violazione degli artt. 117, 118 e 3 della Costituzione, anche
 in  relazione  al  d.lgs.  n.  112/98,  al  d.lgs.  n.  281/97,  alla
 giurisprudenza  costituzionale in materia di leale collaborazione tra
 lo Stato e le regioni,  nonche'  dell'art.  76  Cost.,  in  relazione
 all'art. 2, comma 1, lett. b) e lett. h) della legge n. 419 del 1998,
 da parte dell'art. 1, recante "Modificazioni all'art. 1 del d.lgs. 30
 dicembre  1992,  n. 502".   L'art. 1 del d.lgs. n. 229/99 sostituisce
 l'art. 1 del d.lgs. n.  502/92.  3.1. - Nell'introdurre il  comma  10
 del  nuovo art. 1, l'art. 1 del d.lgs n. 502/92, indica, alle lettere
 da a) ad i), i contenuti del Piano sanitario nazionale.   Alle  lett.
 b)  ed  h)  del  comma  10,  si prevede, rispettivamente che il Piano
 sanitario nazionale  indichi  i  "livelli  essenziali  di  assistenza
 sanitaria  da assicurare per il triennio di validita' del Piano" e le
 "linee guida e i  percorsi  diagnostico  terapeutici  allo  scopo  di
 favorire, all'interno di ciascuna struttura sanitaria, lo sviluppo di
 modalita'  sistematiche  di  revisione  e  valutazione  della pratica
 clinica e assistenziale e di assicurare  l'applicazione  dei  livelli
 essenziali  di  assistenza".    Tali  disposizioni  disciplinano  con
 estremo dettaglio materie di sicura  competenza  regionale  violando,
 conseguentemente,  gli artt.   117 e 118 della Costituzione, anche in
 relazione a quanto stabilito dalla giurisprudenza  costituzionale  in
 materia  (cfr.  per  tutte  la sentenza n. 355/95).   La lett. h) del
 comma 10, oltre a contenere una previsione (come  dire?)  presuntuosa
 (come  puo'  mai  un  Piano  di  livello nazionale indicare "percorsi
 diagnostico-terapeutici" applicabili o comunque  validi  "all'interno
 di  ciascuna struttura sanitaria"?), viola gravemente la lett. h) del
 comma 1 dell'art. 2 della legge delega, che, piu' saggiamente,  aveva
 dato  mandato  al  Governo  di  "definire  linee  guida  al  fine  di
 individuare le modalita' di controllo e verifica, da attuare  secondo
 il  principio  di  sussidiareta'  istituzionale e sulla base anche di
 appositi indicatori, dell'appropriatezza delle prescrizioni  e  delle
 prestazioni   di   prevenzione,   di   diagnosi,   di   cura   e   di
 riabilitazione...".  3.2. - Nell'introdurre il  comma  14  del  nuovo
 articolo  1 del d.lgs.  n. 502/92, l'art. 1 del d.lgs. n. 229 prevede
 l'obbligo per le regioni di trasmettere al Ministro della sanita' gli
 schemi dei piani sanitari regionali allo scopo di acquisire il parere
 dello stesso per quanto attiene alla coerenza dei  medesimi  con  gli
 indirizzi   del   Piano  sanitario  nazionale.    Tale  disposizione,
 imponendo alle  regioni  di  adeguare  i  loro  piani  sanitari  agli
 indirizzi  fissati dal Piano sanitario nazionale e prevedendo, per di
 piu', che la  conformita'  dei  suddetti  piani  al  Piano  sanitario
 nazionale  venga  verificata  dal  Ministro  della  sanita',  risulta
 fortemente invasiva delle competenze costituzionalmente  riconosciute
 in  materia  alle  regioni  e  recentemente  confermate dal d.lgs. n.
 112/98 che, all'art. 115, comma  2,  lett.  a),  ha  trasferito  alle
 regioni  le funzioni e i compiti relativi "all'approvazione dei piani
 e  dei  programmi  di  settore  non  aventi  rilievo  e  applicazione
 nazionale".    Tale  disposizione,  inoltre,  disattende  il   parere
 espresso  dalla  Conferenza dei Presidenti in data 6 maggio 1999. Tra
 le  osservazioni  relative  ad  emendamenti  da  apportare   ritenuti
 essenziali  vi  era infatti la seguente: "Le regioni ritengono che il
 parere del Governo sul Piano sanitario regionale non debba estendersi
 oltre la valutazione della corrispondenza generale dei contenuti  dei
 piani  sanitari  regionali ai principi ed agli indirizzi del P.S.N.".
 Vanno, inoltre, mosse rispetto a tale disposizione  le  censure  gia'
 rivolte  al  par. 2 a tutte quelle disposizioni del decreto nella cui
 formulazione non si e' tenuto  conto  delle  osservazioni  regionali.
 3.3.  -  Al  comma  17 dell'art. 1 del d.lgs. n. 502/92, l'art. 1 del
 d.lgs. n. 229 stabilisce  che  "trascorso  un  anno  dall'entrata  in
 vigore  del  Piano  sanitario  nazionale  senza  che la regione abbia
 adottato il piano sanitario regionale, alla  regione  stessa  non  e'
 consentito  l'accreditamento  di nuove strutture".  Tale disposizione
 va censurata sotto molteplici profili.  In primo luogo risulta lesiva
 delle competenze riconosciute alle regioni in materia  di  assistenza
 sanitaria e ospedaliera dagli articoli 117 e 118 della Costituzione e
 confermate   dalla   giurisprudenza   costituzionale  in  materia  di
 accreditamento.      A   tal   proposito,   codesta   ecc.ma   Corte,
 pronunciandosi    in    ordine   alla   legittimita'   costituzionale
 dell'accreditamento transitorio disposto dalla legge n.  724/94,  con
 sentenza n. 416/95, aveva statuito che "Premesso che l'accreditamento
 delle strutture sanitarie consiste nel riconoscimento, ad opera delle
 regioni,  del  possesso,  in  capo  ad organismi sanitari di cura, di
 specifici requisiti -  c.d.  "standard"  di  qualificazione  -  e  si
 risolve  nell'iscrizione  in  un  elenco  al  quale  gli utenti delle
 prestazioni sanitarie possono attingere, l'art.  6, comma 6, legge 23
 dicembre 1994 n. 724, che prevede  un  diritto  di  accreditamento  -
 automatico per il biennio 1995-1996 - delle strutture in possesso dei
 requisiti  di  cui  all'art. 8 comma 4 d.-l. 30 dicembre 1992 n. 502,
 come stabiliti con atto  di  indirizzo  e  coordinamento  governativo
 emanato  d'intesa  con  la  Conferenza  permanente Stato-regioni, non
 contrasta con gli artt. 117,  118  e  119  cost.;  tale  sistema  non
 altera, infatti, gli equilibri attualmente esistenti nel settore, ne'
 incide, scavalcandoli, sui poteri amministrativi regionali, in quanto
 il  diritto  e'  pur  sempre  subordinato  all'accettazione del nuovo
 meccanismo della remunerazione delle prestazioni su base  di  tariffe
 ed  all'espletamento dei poteri di autotutela e di verifica regionale
 sul rispetto della predetta condizione e sul permanere dei requisiti,
 salva inoltre la facolta'  delle  regioni  di  aumentare,  con  nuovi
 accertamenti, il numero degli accreditamenti in atto".  D'altra parte
 lo  stesso  d.lgs.  n.  112/98  appare  rispettoso  delle  competenze
 regionali in materia di accreditamento: l'art. 115,  comma  1,  lett.
 g),  ha, infatti, riservato allo Stato esclusivamente "la definizione
 di un modello di accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e
 private".   In secondo  luogo  viola  l'art.  3  della  Costituzione,
 creando ingiustificate situazioni di disparita' di trattamento tra le
 diverse   regioni   in   ordine  all'accreditamento  delle  strutture
 sanitarie.   In terzo luogo si  pone  in  palese  contrasto  con  gli
 obiettivi  fissati  dal decreto stesso all'art. 8, nella parte in cui
 introduce l'art.  8-ter, commi 3 e 4.   Tale  disposizione,  infatti,
 nel   subordinare  i  progetti  per  la  realizzazione  di  strutture
 sanitarie  alla  verifica  di  compatibilita' da parte delle Regioni,
 stabilisce che tale verifica deve essere effettuata  in  rapporto  al
 fabbisogno  complessivo  e  alla  localizzazione  territoriale  delle
 strutture presenti in ambito regionale,  "anche  al  fine  di  meglio
 garantire  l'accessibilita'  ai  servizi  e  valorizzare  le  aree di
 insediamento prioritario di nuove strutture".  Evidente e' poi ancora
 una volta la violazione del criterio  direttivo  (art.  2,  comma  1,
 lett. b), della legge delega) di "completare la regionalizzazione ...
 del Servizio sanitario nazionale".
   4. - Violazione degli articoli 5, 76, 117 e 118 della Costituzione,
 in  relazione  all'art.  2,  comma 1, lett. b, della legge n. 419 del
 1998 e agli artt. 115 e 5 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, da  parte
 dell'art.  2,  recante  "Modificazioni  all'articolo  2 del d.lgs. 30
 dicembre 1992, n. 502".   4.1. - L'art. 2,  nell'introdurre  dopo  il
 comma  2  dell'art. 2 del d.lgs. n. 502/92 ulteriori commi, detta una
 serie di disposizioni in ordine ai  Piani  sanitari  regionali.    In
 particolare,  al  comma  2-ter,  l'art.  2  stabilisce  che  il Piano
 sanitario regionale e' sottoposto alla Conferenza permanente  per  la
 programmazione  sanitaria e sociosanitaria regionale, ed e' approvato
 previo  esame  delle  osservazioni  eventualmente   formulate   dalla
 Conferenza.    Tale  disposizione prevede, inoltre, che la Conferenza
 partecipa alla  verifica  della  realizzazione  del  Piano  attuativo
 locale  da  parte  delle  Aziende ospedaliere e dei piani   attuativi
 locali.   Il  comma  2-quinquies  prevede,  inoltre,  che  "la  legge
 regionale  disciplina  il  rapporto  tra  programmazione  regionale e
 programmazione  attuativa  locale,  definendo   in   particolare   la
 procedura  di  proposta,  adozione e approvazione del piano attuativo
 locale e le modalita' di partecipazione ad  esse  degli  enti  locali
 interessati.    Nelle   aree   metropolitane   il   piano   attuativo
 metropolitano e' elaborato dall'organismo di cui al  comma  2-quater,
 ove costituito".  Tali disposizioni eccedono, in maniera evidente, la
 delega  contenuta  nell'art.  2,  comma  1, lett. aa), della legge n.
 419/98.  L'art. 2, comma 1, lett. aa), della legge n. 419/98, delega,
 infatti, il Governo  a  "ridefinire  il  ruolo  del  Piano  sanitario
 nazionale,  nel  quale  sono  individuati  gli obiettivi di salute, i
 livelli  uniformi  ed  essenziali  di  assistenza  e  le  prestazioni
 efficaci ed appropriate da garantire a tutti i cittadini a carico del
 Fondo   sanitario   nazionale;   demandare   ad   appositi  organismi
 scientifici del Servizio  sanitario  nazionale  l'individuazione  dei
 criteri  di  valutazione qualitativa e quantitativa delle prestazioni
 sanitarie, disciplinando la partecipazione  a  tali  organismi  delle
 societa'   scientifiche  accreditate,  anche  prevedendo  sistemi  di
 certificazione della qualita'".  Nel dettare la  disciplina  relativa
 alla programmazione sanitaria regionale e alle forme di coordinamento
 di  questa  con quella regionale, le norme indicate eccedono i limiti
 della delega posti dall'art.  2, comma 1, lett. aa), della  legge  n.
 419/98,    ed    interferiscono    indebitamente   sulle   competenze
 costituzionalmente riconosciute alle  regioni,  ponendosi  in  aperta
 violazione  con gli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione.  Nulla
 si dispone, infatti, nella legge delega in ordine ad un  ripensamento
 e  ad una riorganizzazione dei piani sanitari regionali; nulla ancora
 si dice in ordine alle modalita' di approvazione del piano regionale;
 nulla  infine  si  prevede  in  ordine  alla   strutturazione   della
 pianificazione  sanitaria infraregionale.  E' peraltro giurisprudenza
 consolidata  quella  secondo  cui nelle materie regionali le forme di
 coinvolgimento  degli  enti  locali  e  le  forme  di  pianificazione
 infraregionale sono di spettanza della potesta' legislativa regionale
 (v. da ultimo sent. n. 408 del 1998).  Cosi', anche a voler concedere
 che  i  commi 2-ter e 2-quinquies non esorbitino dalla delega, rimane
 comunque incontestabile la violazione dell'autonomia regionale  nella
 parte  in  cui  si pretende di disegnare procedure e strumenti per la
 pianificazione sanitaria regionale e infraregionale.   D'altra  parte
 lo  stesso  d.lgs.  n.  112/98,  recante  "Conferimento di funzioni e
 compiti amministrativi dallo Stato alle regioni e agli enti locali in
 attuazione del Capo I della legge n. 59/97, all'art.   115, comma  2,
 lett.   a),   ha  conferito  alle  regioni  le  funzioni  concernenti
 "l'approvazione dei piani e  dei  programmi  di  settore  non  aventi
 rilievo e applicazione nazionale", riservando allo Stato, al comma 1,
 lett.    a), l'adozione del Piano sanitario nazionale d'intesa con la
 Conferenza unificata.  4.2. - L'art. 2, nella parte in  cui  aggiunge
 il  comma  2-octies  all'art.  2 del d.lgs. n. 502/92, stabilisce che
 "salvo quanto diversamente disposto, quando la regione non  adotta  i
 provvedimenti  previsti  dai  commi  2-bis  e 2-quinques, il Ministro
 della sanita', sentite la  regione  interessata  e  l'agenzia  per  i
 servizi  sanitari regionali, fissa un congruo termine per provvedere;
 decorso tale termine, il Ministro della sanita',  sentito  il  parere
 della  medesima  agenzia  e  previa  consultazione  della  Conferenza
 permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
 autonome  di  Trento  e  Bolzano,  propone  al Consiglio dei Ministri
 l'intervento  sostitutivo,  anche  sotto  forma  di  nomina   di   un
 Commissario  ad acta.  L'intervento adottato dal Governo non preclude
 l'esercizio delle funzioni regionali per le quali si e' provveduto in
 via sostitutiva ed e' efficace fino  a  quando  i  competenti  organi
 regionali  abbiano  provveduto".    Tale disposizione non rispetta le
 norme  procedurali  -  espressione  di  principi  consolidati   nella
 giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  - dettate dal d.lgs. n.
 112/98 in materia di poteri sostitutivi statali nei  confronti  delle
 regioni,  violando  conseguentemente  gli  artt.   5, 117 e 118 della
 Costituzione.  A tal proposito il d.lgs. n. 112/98, che ha  conferito
 alle   regioni,   ad   eccezione   di  quelle  riservate  allo  Stato
 dall'articolo 115, comma 1, le funzioni e i compiti amministrativi in
 materia di "salute umana", all'art. 5, commi 1  e 2, nel disciplinare
 l'esercizio  dei  poteri  sostitutivi  statali  nei  confronti  delle
 regioni,  prevede  che  "con  riferimento  alle funzioni e ai compiti
 spettanti alle regioni e agli  enti  locali,  in  caso  di  accertata
 inattivita'   che  comporti  inadempimento  agli  obblighi  derivanti
 dall'appartenenza all'Unione europea o pericolo di grave  pregiudizio
 agli  interessi  nazionali, il Presidente del Consiglio dei Ministri,
 su proposta del Ministro competente  per  materia,  assegna  all'ente
 inadempiente  un congruo termine per provvedere.  Decorso inutilmente
 tale termine, sentito il soggetto inadempiente, nomina un Commissario
 che provvede in via sostitutiva".   Dal  confronto  delle  due  norme
 risulta  evidente  che l'art. 2 del d.lgs. n. 229, nella parte in cui
 aggiunge il comma 2-octies all'art.   2 del  d.lgs.  n.  502/92,  nel
 prevedere  che  sia  il  Ministero della Sanita' a fissare un termine
 affinche' la regione provveda ai sensi dei commi 2-bis e 2-quinquies,
 non rispetta l'art. 5 del  d.lgs.  n.    112/98  che,  al  contrario,
 attribuisce tale potere al Presidente del Consiglio dei Ministri.  La
 giurisprudenza della Corte costituzionale e' comunque consolidata nel
 senso   che   i   poteri  sostitutivi  devono  essere  esercitati  da
 un'autorita' di Governo (v. sent. n. 386 del 1991).   D'altra  parte,
 un vizio non dissimile era stato censurato gia' dalla sentenza n. 335
 del   1993,  che  aveva  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 3,  comma  6,  del  d.lgs.  n.  502,  nella  parte  in  cui
 attribuiva  il potere sostitutivo al Ministro della Sanita':  in quel
 caso, il vizio fatto valere era  l'eccesso  di  delega,  giacche'  la
 legge  delega  stessa  attribuiva  potere  sostitutivo  e  diffida al
 Consiglio dei Ministri; in questo caso, nulla dicendo  la  delega  in
 proposito,  non  possono  non  rimanere  fermi i principi consolidati
 della giurisprudenza della Corte, cosi' come recepiti dal d.lgs.   n.
 112,  secondo  cui  l'intervento  sostitutivo  e'  di  spettanza  del
 Consiglio dei Ministri.   La  diffida  e'  evidentemente  strumentale
 all'esercizio  del  potere sostitutivo e non puo' non soggiacere alle
 stesse   regole   procedimentali   e   sostanziali    dell'intervento
 sostitutivo: per queste ragioni, l'attribuzione del potere di diffida
 al Ministro della Sanita' appare in palese violazione dei consolidati
 principi in materia.  4.3. - Devono, inoltre, ritenersi insussistenti
 nel  caso  di specie le condizioni alla presenza delle quali l'art. 5
 del d.lgs. n. 112/98 subordina  l'esercizio  dei  poteri  sostitutivi
 statali:   va  assolutamente  escluso,  infatti,  che  dalla  mancata
 attuazione da parte delle regioni delle disposizioni di cui ai  commi
 2-bis  e  2-quinquies  possano  derivare  forme di inadempimento agli
 obblighi derivanti dall'appartenenza alla Unione europea  o  pericolo
 di  grave  pregiudizio  agli interessi nazionali.  A tal proposito il
 comma 2-bis prevede la costituzione, da parte  delle  regioni,  della
 Conferenza    permanente    per   la   programmazione   sanitaria   e
 sociosanitaria regionale, individuandone quali componenti il  sindaco
 del  comune,  nel caso in cui l'ambito territoriale dell'ASL coincida
 con quello del comune; il presidente della  Conferenza  dei  sindaci,
 ovvero  il  sindaco o i presidenti di circoscrizione, nei casi in cui
 l'ambito territoriale  dell'ASL  sia,  rispettivamente,  superiore  o
 inferiore  al territorio del Comune, nonche' rappresentanti regionali
 delle     autonomie  locali.     Il  successivo   comma   2-quinquies
 attribuisce, rispettivamente, alle regioni il compito di disciplinare
 il  rapporto  tra programmazione regionale e programmazione attuativa
 locale, nonche' quello di definire la procedura di proposta, adozione
 e  approvazione  del  piano  attuativo  locale  e  le  modalita'   di
 partecipazione  ad  esse  degli  enti  locali  interessati,  e  ad un
 apposito organismo,  da  costituire  ai  sensi  del  comma  2-quater,
 l'elaborazione  del  piano  attuativo  metropolitano.    Si tratta di
 procedure e strumenti che attengono, per  definizione,  all'interesse
 regionale  e  infraregionale,  e,  come tali, non possono coinvolgere
 l'appartenenza  all'Unione  Europea,  ne'  mettere  in  pericolo  gli
 interessi nazionali (cfr. sentenza n. 126 del 1996).
   5. - Violazione degli artt. 5, 117 e 118 e 97 della Costituzione in
 relazione  all'art.  5 d.lgs. n. 112/98 da parte dell'art. 3, recante
 "Modificazioni all'art. 3 del  d.lgs.  30  dicembre  1992,  n.  502".
 L'art.  3  modifica  l'art. 3 del d.lgs. n. 502/92 e aggiunge ad esso
 gli articoli da 3-bis a 3-sexies.
   5.1 - All'art. 3-bis, l'art. 3 del d.lgs. n. 229 detta disposizioni
 in ordine ai direttori generali amministrativi e sanitari.  Al  comma
 2 dell'art. 3-bis si stabilisce che "la nomina del direttore generale
 deve  essere  effettuata  nel  termine  perentorio di sessanta giorni
 dalla  data  di vacanza dell'ufficio. Scaduto tale termine si applica
 l'art. 2,  comma 2-octies.  Anche in questo caso il decreto  sanziona
 l'inerzia regionale con la previsione dei poteri sostitutivi statali,
 stabilendo,  per l'ipotesi in cui la regione non provveda alla nomina
 dei direttori generali nel termine di sessanta giorni  dalla  vacanza
 dell'ufficio,  l'applicazione  della procedura delineata dall'art. 2,
 nella parte in cui aggiunge il comma 2-octies all'art. 2  del  d.lgs.
 n.  502/92.    Vanno, pertanto, mosse alla disposizione in oggetto le
 censure  rivolte  supra  sub  par.  4.2.  e  4.3.  alla  disposizione
 dell'art. 2 del d.lgs. n. 229/99 nella parte in cui aggiunge il comma
 2-octies  all'art.  2 del d.lgs. n. 502/92.  L'art. 3, nella parte in
 cui aggiunge all'art. 3-bis, comma 2, all'art. 3 del d.lgs. n. 502/92
 viola, pertanto  gli  artt.  5,  117  e  118  della  Costituzione  in
 relazione al d.lgs. n. 112/98.  Anche nel caso di specie, infatti, il
 decreto  non  rispetta  le  norme procedurali fissate dall'art. 5 del
 d.lgs. n. 112/98.  Inoltre, la mancata nomina del direttore  generale
 nel  termine individuato da tale disposizione, non risulta, anche nel
 caso in  questione,  idonea  a  generare  il  pericolo  di  un  grave
 pregiudizio agli interessi nazionali, o l'inadempimento agli obblighi
 derivanti  dall'appartenenza  all'Unione europea.  A cio' si aggiunga
 che l'attribuzione ad un commissario ad acta dei poteri di nomina dei
 direttori generali falsa gravemente la collocazione di questi ultimi,
 impedendo alla regione una seria programmazione sanitaria.    Ne'  si
 rinvengono nell'art. 3 meccanismi attraverso i quali la regione possa
 manifestare  la  propria  valutazione rispetto alla nomina effettuata
 dal Commissario ad acta.  Sarebbe stato opportuno, a  tal  proposito,
 prevedere  quantomeno  un termine ragionevole, trascorso il quale, in
 mancanza di una revoca espressa, si potesse  dimostrare  il  silenzio
 assenso  della regione.   Tale previsione risulta, pertanto, idonea a
 ledere, oltre  le  competenze  costituzionalmente  riconosciute  alle
 regioni  in  materia  sanitaria, anche il principio di buon andamento
 della pubblica amministrazione sancito dall'art. 97 Cost..
   6.  -  Violazione  degli  artt.  76,  117  e  118,  3  e  97  della
 Costituzione,  del d.lgs. n. 269/93 e del d.lgs. n. 112/98 del d.lgs.
 28 agosto 1997, n.  281  e  del  principio  costituzionale  di  leale
 collaborazione  tra  Stato  e  regioni, da parte dell'art. 4, recante
 "Modifica dell'art.  4 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502".  6.1.  -
 Nel  sostituire  l'art.  4 del d.lgs. n. 502/92, l'art. 4, al comma 1
 primo periodo, stabilisce che "per specifiche esigenze assistenziali,
 di ricerca scientifica nonche' di didattica  del  Servizio  sanitario
 nazionale, nel rispetto dei criteri e modalita' di cui ai commi 1-bis
 e  seguenti,  possono  essere  costituiti  o  confermati  in aziende,
 disciplinate dall'art. 3, gli istituti di ricovero e cura a carattere
 scientifico di diritto pubblico, con le particolarita' procedurali ed
 organizzative previste dalle  disposizioni  attuative  dell'art.  11,
 comma  1,  lett.  b)  della  legge  n.  59/97.   Sempre al comma 1 si
 stabilisce che  "Sino  all'emanazione  delle  disposizioni  attuative
 sugli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, ad essi si
 applicano   le   disposizioni  del  presente  decreto  relative  alla
 dirigenza sanitaria, ai dipartimenti,  alla  direzione  sanitaria  ed
 amministrativa   aziendale   e  al  collegio  di  direzione".    Tale
 disposizione, nel prevedere che la conferma o la costituzione di tali
 istituti in azienda ospedaliera debba  avvenire  nel  rispetto  delle
 disposizioni  di cui ai commi 1-bis e seguenti dell'art. 4 del d.lgs.
 n. 502/92, cosi'  come  modificato  dal  d.lgs.  n.  229/99,  nonche'
 uniformando,  seppure  temporaneamente,  la  disciplina  dettata  dal
 decreto in ordine alla dirigenza  sanitaria,  ai  dipartimenti,  alla
 direzione  sanitaria  ed  amministrativa  aziendale  e al collegio di
 direzione viola le competenze  costituzionalmente  riconosciute  alle
 regioni  in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera, cosi' come
 attuate dalla legislazione statale in materia di Istituti di ricovero
 e cura a carattere  scientifico.  A tal proposito il d.lgs. 30 giugno
 1993, n. 269, recante "Riordinamento degli  Istituti  di  ricovero  e
 cura a carattere scientifico, a norma dell'art. 1, comma 1, lett. h),
 della  legge  23  ottobre 1992, n. 42", all'art. 2, ha individuato le
 competenze statali in ordine agli istituti  di  ricovero  e  cura  di
 carattere  scientifico,  stabilendo  al primo comma, che al Ministero
 della sanita' compete: a) il riconoscimento del carattere scientifico
 degli istituti e la relativa revoca; b) la  definizione  dei  criteri
 generali  per  la  redazione  degli  statuti  e dei regolamenti degli
 istituti; c) l'attivita' di controllo  e  vigilanza.    Al  comma  2,
 l'art.  2  ha,  inoltre,  stabilito  che "I provvedimenti di cui alla
 lettera a) del comma 1, sono emanati sentiti il Ministro del  tesoro,
 il   Ministro   dell'universita'   e   della  ricerca  scientifica  e
 tecnologica e la Conferenza permanente per i rapporti tra  lo  Stato,
 le  regioni  e  le  province autonome".   Tale ultima disposizione e'
 stata,  tra  l'altro  dichiarata  costituzionalmente  illegittima  da
 codesta  ecc.ma  Corte  nella  parte  in  cui  non prevede che per il
 riconoscimento del carattere scientifico degli istituti e la relativa
 revoca e' sentita la regione interessata (cfr. sentenza 19-25  luglio
 1994,  n. 338). Il comma 3 di tale disposizione ha, inoltre, affidato
 ad un regolamento  da  emanarsi  con  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica, il compito di disciplinare:  a) i criteri generali per il
 riconoscimento  degli  Istituti  e  la  definizione delle strutture e
 attrezzature   destinate   all'attivita'   di   ricerca    biomedica,
 organizzativa    e   gestionale   dei   servizi   sanitari,   nonche'
 dell'attivita' di ricerca ed assistenza  svolta,  necessarie  per  il
 riconoscimento; b) le procedure per il riconoscimento e la revoca del
 carattere  scientifico degli istituti; c) le norme transitorie per la
 revisione  dei  riconoscimenti  gia'  concessi;  d)  gli  atti  degli
 Istituti  sottoposti  al  controllo  e il relativo procedimento; e) i
 criteri generali per l'adeguamento degli statuti e dei regolamenti da
 parte degli Istituti; f) l'istituzione e  la  disciplina  in  ciascun
 istituto  di  comitati  per  la  valutazione etica della attivita' di
 ricerca e di sperimentazione clinica; g) le convenzioni fra  istituti
 per  realizzare programmi comuni nel settore della ricerca biomedica,
 nella  organizzazione  e  gestione  dei   servizi   sanitari,   nella
 sperimentazione  di  interesse  generale  e nella formazione continua
 professionale;  h)  le  procedure  per  lo  svolgimento  di  ricerche
 finalizzate  e a pagamento; i) i criteri per la valutazione dei costi
 e dei rendimenti e per l'utilizzazione delle risorse, allo  scopo  di
 ridurre  l'onere  a  carico  dei bilanci pubblici; l) l'attivita' del
 direttore scientifico che assume la responsabilita' complessiva delle
 attivita' di ricerca anche per quanto  attiene  alla  gestione  delle
 risorse ad essa destinate nel quadro della programmazione
  dell'istituto.    L'art.  3  ha  individuato i seguenti organi degli
 istituti:  1)  il  consiglio  di  amministrazione;  2)  il  direttore
 generale;  3)  il  collegio  dei  revisori;  4)  il  comitato tecnico
 scientifico.  Al comma 2 dell'art. 3 il d.lgs. n.  269  ha  stabilito
 che  con successivo decreto del Presidente della Repubblica avrebbero
 dovuto  essere  disciplinate  "modalita'  di  nomina,   composizione,
 durata,  attribuzioni  e  funzionamento  degli  organi"  nonche'  "le
 modalita'  di  nomina  del  direttore  scientifico  e   le   relative
 attribuzioni".      Anche   tale  disposizione  e'  stata  dichiarata
 costituzionalmente illegittima da codesta ecc.ma Corte nella parte in
 cui non prevede che del consiglio di amministrazione e  del  collegio
 dei  revisori  degli  istituti  di  ricovero  e cura con personalita'
 giuridica di  diritto  pubblico  fanno  parte,  rispettivamente,  due
 rappresentanti  ed  un  rappresentante  della  regione.    Il comma 3
 dell'art. 3 ha disposto  il  rinvio  alle  disposizioni  del  decreto
 legislativo  30 dicembre 1992, n. 502, per gli organi di cui al comma
 1, numeri 2) e 3).  I successivi articoli 4, 5 e  6  del  d.lgs.  269
 hanno  dettato norme specifiche per gli Istituti di ricovero e cura a
 carattere scientifico in ordine al  personale,  al  patrimonio,  alla
 contabilita',  all'attivita' di ricerca e ai relativi  finanziamenti.
 Recentemente il d.lgs. n. 112/98, all'art. 121, comma 2, ha stabilito
 che: "Ferme  restando  le  competenze  regionali  aventi  ad  oggetto
 l'attivita'  assistenziale  degli  Istituti  di  ricovero  e  cura  a
 carattere scientifico e le attivita' degli  Istituti  zooprofilattici
 sperimentali,  sono  conservati  allo  Stato  il  riconoscimento,  il
 finanziamento,  la  vigilanza  ed  il   controllo,   in   particolare
 sull'attivita'  di  ricerca  corrente  finalizzata, degli Istituti di
 ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e  privati  e  degli
 Istituti  zooprofilattici  sperimentali".    Dunque,  in  ordine agli
 Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico  rimangono  ferme
 in  capo  alle  regioni le competenze gia' riconosciute dal d.lgs. n.
 269/1993,  nonche'  quelle  in  materia  di  assistenza   ospedaliera
 confermate  dal  d.lgs. n. 112/98.  L'art. 4, comma 1, nella parte in
 cui dispone in ordine agli istituti di ricovero e cura  di  carattere
 scientifico  risulta,  pertanto,  costituzionalmente  illegittimo per
 violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione in  relazione  al
 d.lgs. n. 269/93 e al d.lgs. n. 112/98.  6.2. - L'art. 4, al comma 3,
 del d.lgs. n. 229 abroga il comma 4 dell'art. 4 del d.lgs. n. 502/92.
 Il  comma  4  dell'art.  4 del d.lgs. n. 502/92 prevedeva la facolta'
 delle regioni di "costituire in azienda i presidi ospedalieri in  cui
 insiste  la  prevalenza  del  percorso formativo del triennio clinico
 della facolta' di medicina e chirurgia,  i  presidi  ospedalieri  che
 operano  in  strutture  di  pertinenza  dell'universita', nonche' gli
 ospedali destinati a centro di riferimento della rete di  servizi  di
 emergenza,  dotati  del dipartimento di emergenza come individuata ai
 sensi dell'art. 9 del d.P.R. 27 marzo 1992, pubblicato nella Gazzetta
 Ufficiale n. 76 del  31  marzo  1992  e  successive  modificazioni  e
 integrazioni,  e  che  siano, di norma, anche dotati di elisoccorso".
 L'abrogazione di tale disposizione sembrerebbe  comportare  il  venir
 meno  della possibilita' da parte delle regioni di costituire Aziende
 ospedaliere di rilievo regionale. Il tenore delle altre  disposizioni
 dell'art.  4  del  d.lgs.  n.  229,  che  dettano  essenzialmente  la
 disciplina  delle  Aziende  ospedaliere  di   rilievo   nazionale   o
 interregionale,    comporterebbe    secondo    una    interpretazione
 filogovernativa l'intenzione del legislatore delegato di  vietare  la
 costituzione  di  Aziende ospedaliere regionali.  Tale divieto, posto
 dal Governo, non trova peraltro alcun  fondamento  nelle  indicazioni
 fornite  dal Parlamento nella legge delega. L'art.  2, comma 1, lett.
 ii),  della  legge   n.   419/98,   delega,   infatti,   il   Governo
 esclusivamente  a  "precisare  i  criteri  distintivi  e gli elementi
 caratterizzanti per l'individuazione delle aziende  unita'  sanitarie
 locali  e  delle  aziende  ospedaliere, con particolare riguardo alle
 caratteristiche  organizzative  minime  delle  stesse  e  al  rilievo
 nazionale  o  interregionale  delle aziende ospedaliere".  Ora, se si
 tiene a  mente  che  l'art.  4  del  d.lgs.  n.  502/92  disciplinava
 l'istituzione    delle   Aziende   Ospedaliere   sulla   base   della
 individuazione  degli  ospedali  di  rilievo  nazionale  e  di   alta
 specializzazione,  fissandone  i  requisiti,  e prevedeva altresi' la
 costituzione in aziende da parte  delle  regioni  di  alcuni  presidi
 ospedalieri, appare evidente che l'interpretazione che il legislatore
 delegato  ha  dato  della  delega  e'  del tutto fuorviante (oltre ad
 essere, come si vedra' piu' avanti, totalmente infondata nel merito e
 lesiva  dell'autonomia  regionale).    E,  infatti,  il   legislatore
 delegato, con riferimento alle aziende ospedaliere, deve:  precisarne
 i  criteri  distintivi e gli elementi caratterizzanti; individuare le
 caratteristiche organizzative minime; individuare, infine, i  casi  e
 le  tipologie  in  cui si ha rilievo nazionale o interregionale delle
 aziende  ospedaliere.   L'interpretazione letterale  permette  (anzi,
 impone)  di  ritenere  che  l'individuazione  delle  "caratteristiche
 organizzative minime" si riferisca anche  alle  aziende  ospedaliere,
 cosicche'  esistono  presidi  ospedalieri  che hanno "caratteristiche
 organizzative minime", tali da permetterne l'istituzione  in  azienda
 ospedaliera,   diversi   da   quelli   che   possono,  con  procedura
 particolare, essere riconosciuti come aziende di rilievo nazionale  o
 interregionale.  Il testo della legge delega permette (anzi, impone),
 dunque,  di  ritenere  che  tra  le  aziende  ospedaliere  di rilievo
 nazionale o interregionale e quelle  non  aventi  le  caratteristiche
 organizzative  minime  (fissate a livello centrale) vi sia uno spazio
 che ben puo' (continuare ad) essere disciplinato dalle regioni, nella
 loro autonomia. Nulla autorizza ad interpretare la legge delega  come
 fonte  di un divieto di istituzione di aziende ospedaliere regionali;
 nulla permette di dedurre una riduzione dei poteri regionali; in ogni
 caso, trattandosi di una facolta'  regionale,  ricadente  in  materia
 tipicamente regionale quale quella della sanita', un siffatto divieto
 avrebbe  dovuto  essere posto   esplicitamente.   Un evidente sintomo
 della forzatura compiuta dal Governo e' dato dal fatto che il decreto
 ha dovuto provvedere ad abrogare esplicitamente il comma 4  dell'art.
 4  del  d.lgs.  n.  502:  se  l'esclusione  delle aziende ospedaliere
 regionali  fosse  discesa  direttamente  dalla   legge   di   delega,
 l'abrogazione  del comma 4 da parte del testo governativo non sarebbe
 stata necessaria.  Ne' valga dire che la previsione abrogatrice serve
 a rendere piu' chiara la voluntas legis: il legislatore delegato  non
 puo'  effettuare operazioni abrogatrici che non siano gia' ricomprese
 nella delega; e, come si e' visto, nulla autorizza ad interpretare la
 legge n.   419 del 1998 siccome fonte  di  un  divieto  di  istituire
 aziende  ospedaliere  regionali.   Non diversamente ha argomentato la
 sentenza n. 355 del 1993, dichiarando l'incostituzionalita' dell'art.
 4, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, nella parte in cui  prevedeva
 la  costituzione in aziende ospedaliere di ospedali diversi da quelli
 previsti  dalla legge delega. Il principio, in quello, come in questo
 caso, e' quello dell'interpretazione stretta della legge delega:  se,
 in  quel  caso,  la  ratio  era quella della creazione di "un sistema
 chiuso per gli ospedali di rilievo nazionale"; in  questo  caso,  non
 esiste  nella  legge  delega  una  ratio tendente a limitare i poteri
 regionali.   L'art. 4,  comma  3,  del  d.lgs.  n.  229/99,  risulta,
 pertanto viziato di eccesso di delega e, come tale, si pone in aperta
 violazione  dell'art.    76 della Costituzione.   6.3. - L'art. 4 del
 d.lgs. n.  229/99  viola,  inoltre,  gli  artt.    117  e  118  della
 Costituzione  in  relazione al d.lgs.  28 agosto 1997, n. 281, e alla
 giurisprudenza  costituzionale  in  ordine  al  principio  di   leale
 collaborazione  tra  lo  Stato  e  le  regioni,  in quanto, nella sua
 formulazione, il Governo non ha preso  in  considerazione  il  parere
 espresso  dalle  regioni  in  data 6 maggio 1999.   Al par. 2, tra le
 "Osservazioni  relative  ad   emendamenti   da   apportare   ritenuti
 rilevanti",  del  parere  espresso  in tale data dalla Conferenza dei
 presidenti delle regioni  e  delle  province  autonome  con  riguardo
 all'art.   4   dello  schema  di  decreto,  infatti,  si  legge:  "va
 salvaguardata la facolta' delle  regioni  di  confermare  o  meno  le
 aziende  ospedaliere  gia' costituite o, in subordine, il raccordo di
 tali esperienze con le sperimentazioni  gestionali  di  cui  all'art.
 9-bis  del  d.lgs.  n.   502/92 e 517/93 come modificato dall'art. 10
 dello schema di decreto in esame".  Ne' puo' dirsi  che  la  facolta'
 delle  regioni  di  confermare  o  meno  le  aziende ospedaliere gia'
 costituite possa ritenersi salvaguardata dalla disposizione dell'art.
 4, comma 2, nella parte in cui aggiunge al comma 1  dell'art.  4  del
 d.lgs.  n.  502/92,  il  comma  1-sexies, in base al quale "i presidi
 attualmente costituiti in aziende  ospedaliere,  con  esclusione  dei
 presidi  di cui al comma 6, per i quali viene richiesta la conferma e
 che non soddisfano i requisiti di cui al comma 1-bis, possono  essere
 confermati  per un periodo massimo di tre anni dall'entrata in vigore
 del presente decreto, che modifica il d.lgs.  30  novembre  1992,  n.
 502,  sulla  base  di  un  progetto  di  adeguamento presentato dalla
 regione, con la procedura di cui al comma 1-quater.    Alla  scadenza
 del  termine  previsto nel provvedimento di conferma, ove permanga la
 carenza dei requisiti,  le  regioni  e  il  ministero  della  sanita'
 attivano   la   procedura   di   cui  al  comma  1-quinquies  (revoca
 dell'azienda), ove i requisiti sussistano, si procede  ai  sensi  del
 comma  1-quater".    La  conferma  per  un  periodo di tre anni delle
 aziende ospedaliere gia' costituite, che non posseggono  i  requisiti
 di cui al comma 1-ter, infatti, soddisfa solo per un periodo di tempo
 limitato  (tre  anni)  la  richiesta  avanzata  dalle  regioni per il
 tramite della Conferenza dei Presidenti in data  6  maggio  1999:  al
 termine dei tre anni, infatti, le aziende confermate transitoriamente
 dovranno  adeguarsi ai requisiti richiesti dal decreto per le aziende
 ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale, in caso  contrario
 tali  aziende  saranno  revocate secondo la procedura individuata dal
 comma 1-quinques.  Vanno, pertanto, mosse all'art. 4 le censure  gia'
 rivolte  al par.   2 in generale rispetto a tutte quelle disposizioni
 del d.lgs. n.  229/99, nella cui formulazione definitiva  non  si  e'
 tenuto  conto  delle osservazioni regionali.   6.4. - Le disposizioni
 dell'art. 4 rendono piu'  difficile  e  macchinosa  l'istituzione  di
 aziende   ospedaliere,  vietano  le  aziende  ospedaliere  regionali,
 impongono la presenza, nell'ambito della ASL, di almeno  un  presidio
 ospedaliero:   in   tal   modo,  limitano  fortemente  e,  di  fatto,
 impediscono la separazione, a  livello  regionale,  tra  il  soggetto
 erogatore  delle prestazioni sanitarie (ASL) e il soggetto produttore
 delle  stesse.    Cosi'  operando,  esse   sono   gravemente   lesive
 dell'autonomia regionale ex artt. 117 e 118 Cost.; violano, altresi',
 il  principio  del  buon  andamento  della  pubblica amministrazione,
 sancito dall'articolo 97 della Costituzione, precludendo,  di  fatto,
 gli  effetti  benefici  in termini di incremento della produttivita',
 innovazione e qualita' derivanti dalla suddetta separazione; limitano
 il principio della libera scelta da parte del cittadino utente  della
 struttura  erogatrice  delle  prestazioni sanitarie, giacche' la ASL,
 possedendo propri presidi ospedalieri, non potra' che favorirli nella
 stesura degli accordi contrattuali previsti dal decreto.  Invero, tra
 le idee forti alle quali si ispirano i progetti di riforma  sanitaria
 dei paesi dell'Oecd, come risulta da una sintesi delle stesse redatta
 dall'Oecd   2)   vi   e'   proprio   quella   dello  "sviluppo  della
 contrattazione tra acquirenti e produttori di prestazioni sanitarie":
 indubbiamente non in linea con tale  principio  appare  la  riduzione
 della  possibilita'  di istituzione di aziende ospedaliere autonome e
 la conseguente configurazione di una ASL erogatore e produttore delle
 prestazioni  sanitarie  (dovendo  essere  necessariamente   presente,
 nell'ambito  della  ASL,  almeno  un presidio ospedaliero).   2) Oecd
 1996, Health care Reform in Light of Changing Funding Incentives  and
 Production  Potterns,  Parigi, Workings Papers, 18.  Lo stesso parere
 del Senato della Repubblica sullo schema di decreto legislativo aveva
 sottolineato che "occorre inoltre evitare che  le  pur  condivisibili
 esigenze  di  razionalizzazione del sistema sia ospedaliero che della
 medicina territoriale ambulatoriale siano perseguite con criteri tali
 da ridurre la  possibilita'  di  concorrenza  virtuosa  tra  soggetti
 erogatori  di prestazioni sanitarie" (parere della Commissione igiene
 e sanita' del Senato del 26 maggio  1999)  3).    E'  ancora,  in  un
 articolo  apparso  nell'"Economist" del 19 marzo 1999, che riporta un
 intervento di Josef Figueras,  Regional  Adviser  dell'Organizzazione
 Mondiale  della  Sanita' (WHO), dal titolo "Chi decide e chi paga nel
 sistema  sanitario  europeo:  verso  un  bilanciamento  tra  Stato  e
 mercato",  si  sottolinea  che  "la  separazione  delle  funzioni  di
 produzione e di acquisto dei servizi in sistemi sanitari con  modello
 S.S.N.  sembra  poter  dare  risultati in termini di incremento della
 produttivita', innovazione e qualita'".  A favore  della  separazione
 tra  ASL  e  AO si e' recentemente espressa anche l'Autorita' Garante
 per la concorrenza ed il mercato.  Nella comunicazione del 26  giugno
 1998,  prot.  22579,  infatti,  l'Autorita' garante, nel rispondere a
 numerose segnalazioni  da  parte  di  case  di  cura,  laboratori  di
 diagnostica,  studi  medici,  singoli  assistiti,  che lamentavano la
 violazione da parte  delle  regioni,  nell'attuazione  della  riforma
 sanitaria  introdotta dal d.lgs. n. 502/1992, dei principi ispiratori
 della riforma e delle regole della libera concorrenza, indicava tra i
 possibili rimedi normativi ed attuativi ai profili  distorsivi  della
 concorrenza,  la  separazione  strutturale  tra  la figura della ASL,
 nella sua qualita' di soggetto erogatore delle prestazioni sanitarie,
 e la figura della ASL, nella  sua  qualita'  di  soggetto  acquirente
 pagatore delle medesime prestazioni.  L'Autorita' motivava l'utilita'
 del  rimedio  suggerito osservando che "l'attuazione del principio di
 libera scelta del paziente, in coerenza con il rispetto delle  regole
 di  funzionamento  del  mercato, richiede che si operi la separazione
 tra soggetto erogatore e soggetto pagatore,  al  fine  di  introdurre
 elementi  di reale indipendenza nei rapporti che intercorrono tra chi
 fornisce  e  chi  rimborsa   le   prestazioni   sanitarie".   Secondo
 l'Autorita'  garante  "tale  rapporto  consentirebbe  di  attuare  un
 meccanismo, in virtu' del  quale  le  prestazioni  sanitarie  vengono
 erogate  dalle  strutture,  pubbliche o private, in grado di offrirle
 garantendo  il  migliore  rapporto  tra  costo  della  prestazione  e
 qualita' della stessa".
   7.  -  Violazione degli artt. 76, 117, 118, nonche' degli artt. 3 e
 41 della Costituzione; ancora violazione degli artt. 117, 118  e  119
 della  Costituzione, in relazione al d.lgs. n. 281/97 ed al principio
 di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, da parte dell'art.
 8, recante "Modificazioni all'art. 8 del d.lgs. 30 dicembre 1992,  n.
 502".    7.1.  -  L'art. 8 del decreto, nell'introdurre l'art. 8-bis,
 comma terzo, del d.lgs. n. 502/1992, subordina la realizzazione delle
 strutture  sanitarie  e   l'esercizio   delle   attivita'   sanitarie
 all'autorizzazione  di  cui all'art. 8-ter.   L'articolo 8-ter, a sua
 volta, dopo aver disciplinato, nei commi 1 e 3, l'autorizzazione alla
 realizzazione  delle  strutture  sanitarie,  ai  commi  2,  4  e   5,
 disciplina  l'autorizzazione  all'esercizio delle attivita' sanitarie
 da parte delle strutture pubbliche e private.    In  particolare,  al
 comma  4  dell'art.  8-ter,  si  stabilisce  che  "l'esercizio  delle
 attivita' sanitarie e socio-sanitarie da parte di strutture pubbliche
 e private presuppone il possesso dei requisiti  minimi,  strutturali,
 tecnologici  e  organizzativi  stabiliti  con  atto  di  indirizzo  e
 coordinamento ai sensi dell'art. 8 della legge n. 59/97,  sulla  base
 di  principi  e  criteri direttivi previsti dall'art. 8, comma 4, del
 presente decreto. In sede  di  modificazione  del  medesimo  atto  di
 indirizzo  e  coordinamento si individuano gli studi odontoiatrici, e
 di altre professioni sanitarie di cui al comma 2, nonche' i  relativi
 requisiti  minimi".    Al  successivo comma 5, il decreto attribuisce
 alle regioni il compito di definire, entro sessanta giorni dalla  sua
 entrata in vigore, modalita' e termini per la richiesta e l'eventuale
 rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio delle
 attivita'  sanitarie,  nonche'  quello  di  individuare  "gli  ambiti
 territoriali  in  cui  si  riscontrano  carenze  di  strutture  o  di
 capacita'  produttiva,  definendo  idonee procedure per selezionare i
 nuovi soggetti eventualmente interessati".  3) V. anche la  nota  del
 Servizio  Bilancio  del Senato, pubblicata in ASI n. 20 del 20 maggio
 1999, in cui si ricorda  che  "come  si  sostiene  nella  letteratura
 economica sull'argomento e come suggerito dall'evidenza empirica ...,
 a  parita'  di  altre condizioni, un'azienda ospedaliera autonoma, in
 media, appare suscettibile di  realizzare  piu'  elevati  livelli  di
 efficienza  rispetto  ad un presidio ospedaliero...".  Nel dettare le
 disposizioni relative al rilascio dell'autorizzazione per l'esercizio
 delle attivita' sanitarie, l'art. 8 del  decreto  legislativo  eccede
 maniera  evidente la delega: l'art. 2, comma 1, lett. dd) della legge
 n. 419/1998 ha, infatti, circoscritto l'ambito  dei  poteri  delegati
 alla   definizione,   "fermi   restando   i   requisiti  strutturali,
 tecnologici e organizzativi minimi di cui all'art. 8,  comma  4,  del
 d.lgs.  30  dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni", delle
 "modalita' e  dei  criteri  per  il  rilascio  dell'autorizzazione  a
 realizzare  strutture  sanitarie".  E'  assente,  dunque, ogni delega
 relativa   alla   possibilita'   di   subordinare  ad  autorizzazioni
 amministrative l'esercizio dell'attivita' sanitaria.  7.2. - Va a tal
 proposito ricordato che l'art. 8, comma 4,  del  d.lgs.  n.  502/1992
 stabiliva  che "ferma restando la competenza delle regioni in materia
 di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private,  a
 norma  dell'art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, con atto di
 indirizzo  e  coordinamento,  emanato  d'intesa  con  la   Conferenza
 permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province
 autonome, sentito il Consiglio superiore di sanita', sono definiti  i
 requisiti  strutturali,  tecnologici e organizzativi minimi richiesti
 per l'esercizio delle attivita' sanitarie da  parte  delle  strutture
 pubbliche  e private e la periodicita' dei controlli sulla permanenza
 dei requisiti stessi".  Lo stesso comma 4 fissava al 31 dicembre 1993
 il termine entro il quale tale atto avrebbe  dovuto  essere  emanato,
 individuando  alle  successive  lettere  da  a)  ad  h),  i criteri e
 principi direttivi cui tale atto  avrebbe  dovuto    ispirarsi.    In
 attuazione  di tale disposizione, con d.P.R. 14 gennaio 1997, recante
 "Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento alla  regioni  e
 alle  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  in  materia di
 requisiti  strutturali,  tecnologici  ed  organizzativi  minimi   per
 l'esercizio  delle  attivita'  sanitarie  da  parte  delle  strutture
 pubbliche e private" il Governo ha gia' in tal senso.  Sia il  d.lgs.
 n.  502,  sia  l'atto  di indirizzo del 14 gennaio 1997, richiamati e
 "tenuti fermi" dalla nuova  delega,  fanno  esclusivo  riferimento  a
 requisiti  minimi per l'esercizio dell'attivita' sanitaria, affidando
 alle  regioni  le  modalita'  per  il  controllo  dell'esistenza  dei
 requisiti.    Dunque,  i  requisiti  per  l'esercizio delle attivita'
 sanitarie sono stati gia' fissati con il d.P.R. 14 gennaio  1997:  il
 rinvio effettuato dalla legge n. 419/1998 all'art. 8, comma 4 - che a
 sua  volta  rinvia  ad  un  atto  di indirizzo e coordinamento per la
 definizione  dei  requisiti  per  il  rilascio  delle  autorizzazioni
 all'esercizio  delle  attivita'  sanitarie - deve pertanto intendersi
 riferito a tale atto.   Per  preciso  disposto  della  legge  delega,
 dunque,  il  d.P.R.  14  gennaio  1997,  in  quanto atto che si fonda
 sull'art. 8, comma 4,  del  d.lgs.    n.  502,  e'  l'atto  cui  fare
 riferimento  in  ordine  alla  individuazione  dei  requisiti  per il
 rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie.
 La legge delega, con assoluta chiarezza, prevede che rimangano  fermi
 i  requisiti  gia'  presenti  nell'ordinamento  per l'esercizio delle
 attivita' sanitarie e delega il Governo esclusivamente a  definire  i
 criteri  e  modalita' per la realizzazione delle strutture sanitarie.
 Non pare possano nutrirsi dubbi circa  il  diverso  ambito  logico  e
 concettuale di "realizzazione" ed "esercizio", tale per cui la delega
 a fare l'una cosa non puo' riguardare anche l'altra.  Le disposizioni
 indicate  vengono  cosi'  a  sovrapporsi ingiustificatamente non solo
 alla disciplina posta dal d.P.R. 14  gennaio  1997,  che  aveva  gia'
 provveduto   a  definire  i  requisiti  minimi  per  l'autorizzazione
 all'esercizio delle attivita' sanitarie,  ma  anche  alla  disciplina
 gia'   legittimamente   dettata   dalle   regioni   in   materia   di
 autorizzazione all'esercizio delle attivita' sanitarie.   Tali  norme
 generano, dunque, due ordini di problemi di costituzionalita':  da un
 lato  eccedono  la  delega contenuta all'art. 2, comma 1, lett.  dd),
 della legge n. 419/1998, che ha circoscritto l'esercizio  dei  poteri
 delegati    alla    definizione   dei   criteri   per   il   rilascio
 dell'autorizzazione  alla "realizzazione" delle strutture sanitarie e
 fa salvi quelli gia' stabiliti in ordine all'"esercizio" delle stesse
 ai sensi dell'art.  8, comma 4, del d.lgs. n.  502/1992;  dall'altro,
 in  violazione  degli  artt.  117 e 118 della Costituzione, vengono a
 ledere l'autonomia regionale in materia e,  in  particolare,  pongono
 nel   nulla  quanto  dalle  regioni  gia'  disposto  in  forza  delle
 disposizioni precedenti, in ordine alla riorganizzazione del  settore
 sanitario.    L'art. 8, nella parte in cui aggiunge dopo l'art. 8 del
 d.lgs.  n. 502/1992, l'art. 8-bis, comma 3, e l'art. 8-ter, commi 4 e
 5, risulta, pertanto, costituzionalmente illegittimo  per  violazione
 degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione.  7.3. - L'art. 8 eccede
 la  delega  contenuta nell'art. 2, comma 1, lett. dd), della legge n.
 419/1998, violando ulteriormente l'art.  76 della Costituzione, anche
 nella parte in cui introduce  i  commi  secondo  e  quarto  dell'art.
 8-ter.     Il  secondo  comma  prevede,  infatti,  la  necessita'  di
 autorizzazione per l'esercizio di attivita' sanitarie anche per  "gli
 studi  odontoiatrici,  medici  e  di altre professioni sanitarie, ove
 attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero
 procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare  complessita'  o
 che  comportino un rischio per la sicurezza del paziente, individuati
 ai sensi  del  comma  4,  nonche'  per  le  strutture  esclusivamente
 dedicate ad attivita' diagnostiche, svolte anche a favore di soggetti
 terzi".    Il  comma  4,  a  sua  volta,  stabilisce  che "In sede di
 modificazione del medesimo  atto  di  indirizzo  e  coordinamento  si
 individuano gli studi odontoiatrici, e di altre professioni sanitarie
 di  cui  al  comma  2,  nonche' i relativi requisiti minimi".   A tal
 proposito l'art. 2, comma 1, lett. dd) della legge n. 419/1998 delega
 il  Governo  a  definire  modalita'  e  criteri   per   il   rilascio
 dell'autorizzazione     alla    "realizzazione",    e    non    anche
 all'"esercizio", delle  "strutture  sanitarie",  e  non  anche  degli
 "studi professionali".  Non e' rinvenibile, inoltre, ne' nell'art. 2,
 comma  1,  lett.  dd),  ne'  in  altre  disposizioni  della  legge n.
 419/1998, una  delega  che  attribuisca  al  Governo  il  compito  di
 classificare  gli  studi  medici  in  diverse  tipologie,  a  seconda
 dell'attivita' esercitata, assoggettandone  altresi'  l'esercizio  ad
 autorizzazione.    7.4.  -  Sempre in ordine alla realizzazione delle
 strutture sanitarie, al comma 3 dell'art. 8-ter, l'art. 8 del  d.lgs.
 n.   229,   stabilisce   l'obbligo   per   i   comuni  di  acquisire,
 nell'esercizio delle loro competenze in materia di  autorizzazioni  e
 concessioni   di   cui   alla  legge  n.  493/1993,  la  verifica  di
 compatibilita' del progetto  da  parte  della  regione,  individuando
 costestualmente  i  criteri  in  base  ai  quali  le regioni dovranno
 procedere a tale verifica.  Stabilisce, infatti, il  secondo  periodo
 del comma 3 che "tale verifica regionale e' effettuata in rapporto al
 fabbisogno  complessivo  e  alla  localizzazione  territoriale  delle
 strutture presenti in ambito  regionale,  anche  al  fine  di  meglio
 garantire  l'accessibilita'  ai  servizi  e  valorizzare  le  aree di
 insediamento prioritario di nuove strutture".   I suindicati  criteri
 cui  la  regione  dovra'  tener  conto  ai  fini della verifica della
 compatibilita'  dei  progetti  appaiono,  con  evidenza,  dettati  in
 violazione  degli  artt.  41  e 3 della Costituzione, oltre che degli
 artt. 117 e 118, impingendo illegittimamente in competenze regionali:
 l'applicazione concreta degli stessi,  infatti,  e'  suscettibile  di
 penalizzare  l'iniziativa  economica privata, nonche' di creare forti
 disparita'  di  trattamento,  ad  esempio, tra i soggetti operanti in
 zone diverse.   D'altra  parte,  i  due  i  criteri  del  "fabbisogno
 complessivo"  e  della  "localizzazione territoriale delle strutture"
 appaiono  tra  loro  contradditori:     per  fare  un   esempio,   la
 realizzazione  di  una  struttura  sanitaria  in  una  zona  ad  alta
 concentrazione di strutture della medesima specie potrebbe  rivelarsi
 contemporaneamente  non  conforme  al  primo  criterio  e conforme al
 secondo.   La norma risulta, per tali  motivi,  penalizzante  per  le
 regioni,  esponendole  al  rischio  di possibili ricorsi da parte dei
 soggetti che vedessero le proprie richieste respinte a seguito  delle
 suddette verifiche.  7.5. - L'art. 8, inoltre, nell'introdurre l'art.
 8-quater,  recante  "Accreditamento  istituzionale", ai commi terzo e
 quarto, eccede la delega di cui all'art. 2, comma 1, lett. gg), della
 legge n. 419.   A tal proposito il  comma  3  stabilisce  che,  entro
 centottanta  giorni  dall'entrata  in vigore del decreto, con atto di
 indirizzo e coordinamento da emanarsi  ai  sensi  dell'art.  8  della
 legge  n.  59/97, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali,
 il   Consiglio   superiore    della    sanita'    e,    limitatamente
 all'accreditamento  dei  professionisti, la federazione nazionale dei
 medici chirurghi e odontoiatri,  sono  definiti  i  criteri  generali
 uniformi:    a)  per  la  definizione  dei  requisiti  ulteriori  per
 l'esercizio  delle  attivita'  sanitarie  per  conto   del   Servizio
 sanitario   nazionale  da  parte  delle  strutture  sanitarie  e  dei
 professionisti, nonche' la verifica periodica di tali  attivita';  b)
 per  la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno e
 alla  funzionalita'  della  programmazione  regionale,   inclusa   la
 determinazione  dei  limiti  entro  i quali sia possibile accreditare
 quantita'  di  prestazioni  in   eccesso   rispetto   al   fabbisogno
 programmato,  in  modo  da assicurare un'efficace competizione tra le
 strutture  accreditate;  c)  per  le  procedure  ed  i  termini   per
 l'accreditamento  delle  strutture  che  ne  facciano  richiesta, ivi
 compresa la possibilita' di un riesame dell'istanza, in caso di esito
 negativo  e  di  prescrizioni  contestate  dal  soggetto  richiedente
 nonche'  la verifica periodica dei requisiti ulteriori e le procedure
 da adottarsi in caso di verifica  negativa.  Il successivo  comma  4,
 definisce,  alle  lettere  da a) a q), i criteri e principi direttivi
 cui l'atto di indirizzo e coordinamento di  cui  al  comma  3  dovra'
 ispirarsi.   Dal canto suo, l'art. 2, comma 1, lett. gg), della legge
 n.  419/1998  delega  il  Governo   a   "definire   un   modello   di
 accreditamento   rispondente   agli  indirizzi  del  Piano  sanitario
 nazionale in applicazione dei criteri posti dall'art. 2 del d.P.R. 14
 gennaio 1997, pubblicato  nel  Supplemento  ordinario  alla  Gazzetta
 Ufficiale  n. 42 del 20 febbraio 1997 ...".  A tal proposito il Piano
 sanitario nazionale per il triennio 1999-2000, approvato  con  d.P.R.
 23  luglio  1998,  nel  disciplinare l'accreditamento delle strutture
 sanitarie, stabilisce chiaramente  che  "il  compito  di  definire  i
 criteri  per  l'accreditamento  e  di conferire lo stato di struttura
 sanitaria  accreditata  compete  alle  singole  regioni  e   province
 autonome".    Le  disposizioni dei commi 3 e 4 dell'art. 8-quater del
 d.lgs. n.  502/1992, come introdotte dall'art. 8 del  d.lgs. n.  229,
 eccedono,  pertanto,  la delega nella parte in cui non si conformano,
 secondo quanto stabilito art. 2, comma 1, lett. gg)  della  legge  n.
 419/1998  al Piano sanitario nazionale 1998/2000.  In coerenza con il
 riconoscimento della competenza regionale in ordine alla  definizione
 dei  criteri  per  l'accreditamento delle strutture sanitarie, con le
 sentenze nn. 2897, 2898 e 2899 del 9 ottobre 1998, il  t.a.r.  Lazio,
 Sez.  I-bis,  ha disposto l'annullamento del "d.P.R.  14 gennaio 1997
 nelle parti relative all'introduzione, relativi criteri, di requisiti
 "ulteriori" per l'accreditamento di strutture pubbliche e private  in
 possesso  dei  requisiti  minimi per l'autorizzazione", sostenendo in
 motivazione che  "Il  decreto  impugnato,  mentre  ha  legittimamente
 disposto  in  ordine  alla  definizione  dei  requisiti  strutturali,
 tecnologici e organizzativi minimi per  l'esercizio  delle  attivita'
 sanitarie,  in  attuazione  dell'art.  8,  comma  4,  del  d.lgs.  n.
 502/1992, ha invece travalicato  dalle  attribuzioni  che  lo  stesso
 decreto  legislativo conferiva all'atto di indirizzo e coordinamento,
 nelle disposizioni contenute nel medesimo  d.P.R.,  che  introducono,
 dettando  i relativi criteri generali, requisiti per l'accreditamento
 di strutture erogatrici di prestazioni  delle  attivita'  sanitarie".
 In  sostanza,  secondo il t.a.r. Lazio, non puo' ritenersi che l'art.
 8, comma 4 del d.lgs. n. 502/1992 (non abrogato dal d.lgs.  n.  229),
 abbia  attribuito  al Governo il potere di fissare i criteri generali
 per l'accreditamento cui le regioni avrebbero dovuto attenersi  nella
 determinazione  dei  suddetti  requisiti  ulteriori.   Secondo quanto
 affermato   dalla   giurisprudenza   amministrativa,   l'annullamento
 giurisdizionale di un atto generale - quale risulta, senza dubbio, il
 d.P.R.  14  gennaio  1997 - ha efficacia erga omnes  ed ex tunc (cfr.
 C.d.S., Sez. VI 9 gennaio 1997, n. 20, C.d. S., Sez.  V,  7  febbraio
 1978,  n.  212,  C.d.S.,  Sez. VI 21 agosto 1993, n. 586): dunque, la
 parte del d.P.R. 14 gennaio 1997 che definisce i criteri generali cui
 le  regioni  devono  ispirarsi  ai  fini   dell'accreditamento   deve
 ritenersi  caducata;  ne'  valga  sostenere  che  la  legge delega ha
 "legificato" il d.P.R. congelandolo nella sua esistenza, al di la'  e
 al  di sopra dei suoi vizi di legittimita': una simile costruzione e'
 stata gia' in altri casi respinta dalla Corte costituzionale (v.  per
 tutte  sentenze  nn.  385  e  386  del  1985  e  151  e 153 del 1986,
 relativamente alla presunta "legificazione" dei  decreti  di  vincolo
 assunti  sulla  base del d.m.   "Galasso").  Pertanto, visto anche il
 rinvio alla coerenza con il  Piano  sanitario  nazionale,  il  rinvio
 posto dalla legge delega ai "criteri posti dall'art.  2 del d.P.R. 14
 gennaio 1997", deve intendersi circoscritto alle disposizioni di tale
 articolo   che   attribuiscono   alla  competenza  delle  regioni  la
 definizione  dei  requisiti   ulteriori   e   delle   modalita'   per
 l'accreditamento  delle strutture sanitarie, con esclusione di quelle
 norme che attribuiscono allo Stato di definire i criteri generali per
 l'accreditamento.  L'art. 8, dunque, nell'introdurre l'art. 8-quater,
 commi 3 e 4 del d.lgs. n. 502/1992, eccede la delega di cui  all'art.
 2,  comma 1, lett. gg), della legge n. 419/1998, anche nella parte in
 cui  tale  norma  impone  che  la  definizione  di  un   modello   di
 accreditamento  deve  avvenire  "in  applicazione  dei  criteri posti
 dall'art. 2 del d.P.R.  14 gennaio 1997", violando contemporaneamente
 le competenze costituzionalmente e legislativamente  riconosciute  in
 materia  alle regioni.  Tale disposizione risulta pertanto viziata in
 relazione agli artt.  76, 117 e 118 della Costituzione.   7.6.  -  La
 mancata  rispondenza  del  modello  di  accreditamento introdotto dal
 d.lgs. n. 229 rispetto agli indirizzi del Piano  sanitario  nazionale
 1998-2000  si  riscontra  anche nella parte in cui l'art. 8 introduce
 l'art. 8-quater del d.lgs. n. 502,  comma  4,  lett.  a)  laddove  si
 stabilisce,  tra  i  criteri  e principi direttivi cui deve attenersi
 l'atto di indirizzo e coordinamento di cui  al  comma  3,  quello  di
 "garantire  l'eguaglianza  tra  tutte  le  strutture relativamente ai
 requisiti ulteriori richiesti per il rilascio  dell'accreditamento  e
 per  la  sua verifica periodica".  Poiche' le condizioni per ottenere
 l'accreditamento sono  definite  su  tre  livelli  -  rispondenza  ai
 requisiti  ulteriori,  funzionalita'  rispetto  agli  indirizzi della
 programmazione regionale, verifica positiva dell'attivita'  svolta  e
 dei  risultati  raggiunti  -  e solo i primi vengono qualificati come
 "requisiti", e' evidente che anche in questo  caso  il  principio  di
 parita'  tra  i  soggetti  risulta completamente disatteso: lo stesso
 decreto, nel prevedere al comma 4, lett. a)  dell'art.  8-quater  che
 l'eguaglianza  tra  le strutture deve essere garantita esclusivamente
 rispetto "ai requisiti ulteriori",  conferma  che  non  sussiste  una
 piena   eguaglianza  tra  le  diverse  strutture  sanitarie  ai  fini
 dell'accreditamento.   In tal modo  l'art.  8,  nella  parte  in  cui
 aggiunge dopo l'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, l'art. 8-quater, comma
 4,  lett.  a),  non  rispecchia  gli  indirizzi  del  Piano sanitario
 nazionale 1998-2000,  nel  quale  si  stabilisce  espressamente  che:
 "l'accreditamento  si  applica,  allo  stesso  titolo, alle strutture
 sanitarie  pubbliche  e  private".    Il  giudizio  di  funzionalita'
 rispetto  alla  programmazione  nazionale  e  regionale  introduce un
 pesante elemento di discrezionalita' nel rilascio dell'accreditamento
 istituzionale che, come tale, non si configura piu'  quale  oggettivo
 processo di selezione di soggetti in possesso di requisiti ulteriori,
 intesi   come  livello  qualitativo  richiesto  per  l'erogazione  di
 prestazioni sanitarie per conto del S.S.N..  La discrezionalita' che,
 secondo una lettura non  avvalorata  dalla  sentenza  416/1995  della
 Corte  costituzionale,  il  d.lgs.  n.  502/1992  all'art. 8 comma 4,
 prevede al momento della stipula degli appositi rapporti  tra  ASL  e
 soggetti  accreditati,  viene  addirittura  prevista  al  momento del
 riconoscimento dello status di soggetto accreditato.  In tal modo  si
 viene  ad  esercitare  preventivamente una selezione dei soggetti che
 possono  accedere  alla  stipula  degli  accordi  di   cui   all'art.
 8-quinquies.    Tale  previsione,  letta  congiuntamente  al  comma 1
 dell'art. 8-bis,  laddove  si  prevede  che  i  livelli  uniformi  di
 assistenza  siano garantiti da presidi direttamente gestiti dalle ASL
 Aziende Ospedaliere e IRCCS e solo  in  forma  residuale  (cfr.  "...
 nonche' di soggetti accreditati ai sensi dell'art. 8-quater ....") da
 altri  soggetti  accreditati,  introduce  una evidente disparita' tra
 soggetti pubblici e privati, relegando  questi  ultimi  ad  un  ruolo
 integrativo,  contrariamente alla previsione normativa della legge n.
 724/1994.     Anche   tale   disposizione,   dunque,   ponendosi   in
 contraddizione  con  l'articolo,  comma  1, lett. gg), della legge n.
 419/1998, viola l'art.   76 della Costituzione.   7.7.  -  L'art.  8,
 nella  parte  in  cui  introduce  l'art.  8-quinquies  del  d.lgs. n.
 502/1992, disciplina gli Accordi  contrattuali.  Al comma 1 dell'art.
 8-quinquies tale disposizione assegna  alle  regioni  il  compito  di
 definire,  nel  termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore del
 decreto, l'ambito di applicazione degli accordi contrattuali, nonche'
 quello  di  individuare   i   soggetti   interessati   agli   stessi,
 identificando,  nelle  successive  lettere  da a) d), gli aspetti che
 dovranno essere disciplinati dalle regioni.   Il  comma  2  dell'art.
 8-quinquies  stabilisce  che  le regioni e le unita' sanitarie locali
 definiscono  accordi  con  le  strutture  pubbliche  ed  equiparate e
 stipulano  contratti  con  quelle  private  e  con  i  professionisti
 accreditati,  definendo,  alle  successive  lettere  da  a) ad e), il
 contenuto di tali accordi/contratti.  Tali disposizioni  non  trovano
 alcun fondamento nella legge delega:  non si rinviene, infatti, nella
 legge n. 419/1998 nessuna norma che attribuisca al Governo il compito
 di dettare la disciplina degli accordi contrattuali.  L'art. 8, nella
 parte  in  cui  introduce l'art. 8-quinquies   del d.lgs. n. 502/1992
 viola,  pertanto,  l'art.  76  della  Costituzione,  imponendo   alle
 regioni,   in  assenza  di  delega,  attivita'  interferenti  con  le
 competenze  ad  esse  riconosciute  dagli  artt.  117  e  118   della
 Costituzione in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera.  7.8.
 -  L'art.  8, nella parte in cui introduce l'art. 8-sexies del d.lgs.
 n. 502/1992, detta norme in materia di remunerazione.  La  disciplina
 dettata  da  tale  disposizione rivela contraddizioni evidenti fra le
 dichiarazioni di  principio  contenute  nel  decreto,  con  le  quali
 vengono  solo  apparentemente salvaguardate e garantite le competenze
 regionali in materia, e le  competenze  che,  nonostante  i  continui
 richiami  alle  intese  con  la  Conferenza Stato, regioni e province
 autonome, di fatto, vengono attribuite al  Ministero  della  sanita'.
 Tale contraddizione risulta evidente dal confronto dell'art. 2, comma
 1,  del  d.lgs.  n.  502/1992,  lasciato  intatto dal n. 229, dove si
 stabilisce espressamente che "spettano alle regioni e  alle  province
 autonome,  nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi nazionali,
 le funzioni  legislative  amministrative  in  materia  di  assistenza
 sanitaria  ospedaliera"  e la traduzione di tale previsione nell'art.
 8-sexies citato.  Esprime in maniera chiara  tale  contraddizione  il
 combinato  disposto  dei  commi  2 e 3 dell'art. 8-sexies.  Mentre il
 comma 2 attribuisce alle regioni il compito di definire  le  funzioni
 assistenziali,  il  successivo  comma 3 attribuisce al Ministro della
 sanita' il potere di determinare, con proprio decreto, i criteri  per
 la  definizione  delle funzioni assistenziali e per la determinazione
 della loro remunerazione massima, tracciando in dettaglio il percorso
 metodologico che dovra' essere seguito  dal  Ministro.    Stabilisce,
 infatti,  il  comma  3,  che,  la  definizione  dei  suddetti criteri
 generali da parte del Ministro della sanita'  dovra'  avvenire  sulla
 base  di  "standard  organizzativi e di costi unitari predefiniti per
 fattori produttivi, tenendo conto,  quando  appropriato,  del  volume
 dell'attivita'  svolta".    Anche  tale  ultimo  periodo  del comma 3
 esprime la citata contraddizione:  se si fosse tenuto realmente conto
 delle funzioni regionali salvaguardate in via generale,  infatti,  il
 decreto   avrebbe   dovuto  far  riferimento  quantomeno  a  standard
 organizzativi "minimali"; in relazione ai "costi unitari  predefiniti
 per  fattori produttivi", sarebbe stato necessario fare riferimento a
 coefficienti correttivi che tengano conto delle differenze regionali;
 con riguardo al "volume di attivita'" il decreto non  avrebbe  dovuto
 subordinare  la  considerazione  dello  stesso  alla  valutazione  di
 appropriatezza da parte del Ministro della sanita'.   Vengono in  tal
 modo violate le competenze costituzionalmente riconosciute in materia
 dalle   regioni:   tali   disposizioni,  infatti,  interferiscono  in
 particolare   modo   sulla   potesta'   organizzativa    riconosciuta
 costantemente  alle  regioni  dalla  stessa giurisprudenza di codesta
 ecc.ma Corte.    Ancora,  al  comma  5  dell'art.  8-sexies  aggiunto
 all'art.  8  del  d.lgs.    n.  502/1992, l'art. 8 stabilisce che con
 decreto  del  Ministro della Sanita', sentita l'Agenzia per i servizi
 sanitari regionali, d'intesa  con  la  Conferenza  Stato-regioni,  ai
 sensi  dell'art.  120,  comma  1,  lett.  g), del d.lgs. n. 112/1998,
 verranno stabiliti "i criteri generali in base ai  quali  le  regioni
 adottano  il proprio sistema tariffario, articolando tali tariffe per
 classi di strutture secondo le loro caratteristiche  organizzative  e
 di  attivita',  verificati  in sede di accreditamento delle strutture
 stesse".  La previsione della differenziazione delle tariffe  fra  le
 diverse  tipologie  di  strutture  sanitarie  sulla  base  di criteri
 organizzativi e di attivita' e la relativa attribuzione del potere di
 differenziare le tariffe al Ministro della sanita' ledono in  maniera
 evidente  le  competenze  costituzionalmente  riconosciute in materia
 alle regioni.   A cio' si  aggiunga,  che  anche  nella  formulazione
 dell'art.  8  il  Governo  non ha tenuto conto del parere espresso in
 data 6 maggio 1999 dalla Conferenza dei presidenti delle regioni.   A
 pagina  4 del suindicato parere, allegato al verbale della Conferenza
 unificata tenutasi nella stessa data, tra le osservazioni relative ad
 emendamenti da apportare  ritenuti  essenziali,  con  riferimento  ai
 commi  2 e 3 dell'art. 8-sexies, si legge: "i criteri generali per la
 definizione delle funzioni assistenziali e della  loro  remunerazione
 spettano   al   livello   centrale   d'intesa   con   la   Conferenza
 Stato-regioni.  La effettiva specifica individuazione delle  funzioni
 assistenziali  e  la  loro  remunerazione,  poiche' indissolubilmente
 connesse alla definizione di aspetti organizzativi e programmatici di
 esclusiva competenza regionale, vanno mantenute in capo alle regioni.
 Solo  per  finalita'  connesse  alla  compensazione  della   mobilita
 interregionale  e  valutazione  di  congruita'  del  FSN, puo' essere
 prevista  anche  in  sede  nazionale  una  classificazione   ed   una
 remunerazione   di   riferimento  con  particolare  riferimento  alle
 fattispecie di cui alle lettere, e) f) e  g)".    Con  riguardo  alle
 disposizioni contenute nei commi 4 e 5 dell'art.  8-sexies del d.lgs.
 n.  229,  che  nello schema di decreto erano riportate ai commi 3 e 4
 dell'art.  8-sexies  si  legge:  "La  modulazione  delle  tariffe  va
 mantenuta  in  capo  alle  regioni  perche'  espressione di politiche
 tariffarie  che  ogni  governo  regionale  deve  poter  esprimere  in
 coerenza  con  la  propria  programmazione.   A livello nazionale, va
 prevista una disciplina relativa a tariffari  massimi,  eventualmente
 utilizzabili  anche  per  finalita' connesse alla compensazione della
 mobilita' regionale del PSN."  Vanno, pertanto, mosse all'art. 8  del
 d.lgs.  n.  229, nella parte in cui aggiunge all'art. 8 del d.lgs. n.
 502/1992 l'art. 8-sexies, commi da 2 a 5, le stesse censure mosse  al
 par. 2 a tutte quelle disposizioni del decreto nella cui formulazione
 finale  non  si  e' tenuto conto del parere espresso dalle regioni in
 sede di Conferenza unificata.  7.9. - L'art. 8, nell'introdurre  dopo
 l'art.  8  del  d.lgs.  n.  502/1992,  l'art.  8-septies detta alcune
 disposizioni in materia di prestazioni erogate  in  forma  indiretta.
 Stabilisce,  infatti, tale disposizione che "i rimborsi relativi alle
 prestazioni erogate in forma indiretta sono definiti dalle regioni  e
 dalle  province  autonome  in  misura  non superiore al cinquanta per
 cento delle corrispondenti tariffe  regionali  determinate  ai  sensi
 dell'art.  8-sexies.    Entro  diciotto mesi dalla data di entrata in
 vigore del presente decreto, che modifica il decreto legislativo  del
 30  dicembre  1992,  n.  502  e  successive modificazioni, e' abolita
 l'assistenza in forma indiretta  per  le  prestazioni  di  assistenza
 specialistica  ambulatoriale  e  in regime di degenza. Resta ferma la
 normativa vigente in materia  di  assistenza  sanitaria  all'estero".
 Non  si rinviene nella legge delega alcuna disposizione che autorizzi
 il Governo a disciplinare  le  prestazioni  indirette.    A  cio'  si
 aggiunga  che neppure il d.lgs. n. 502/1992, cui il decreto impugnato
 e'  delegato  ad   apportare   modifiche,   disciplina   l'assistenza
 indiretta.    L'art. 8, nella parte in cui introduce l'art. 8-septies
 viola  pertanto  l'art.  76   della   Costituzione.      L'abolizione
 dell'assistenza   indiretta   per   le   prestazioni   di  assistenza
 specialistica ambulatoriale e in regime di degenza,  inoltre,  denota
 ancora  una  volta  la  tendenza, rivelata da numerosissime norme del
 decreto, a privilegiare le  strutture  pubbliche  rispetto  a  quelle
 private.
   8.  -  Violazione  degli  artt. 3 e 119 della Costituzione, nonche'
 dell'art. 76 della Costituzione in relazione  all'art.  2,  comma  1,
 lett.  cc)  della legge n. 419 del 1999, da parte dell'art. 9 recante
 "Modificazioni all'art. 9 del  d.lgs.  30  dicembre  1992,  n.  502".
 L'art.  9,  nel sostituire l'art. 9 del d.lgs. n. del 502/1992, detta
 disposizioni in ordine ai fondi integrativi  del  Servizio  sanitario
 nazionale.    Nella parte in cui introduce il comma 4 dell'art. 9 del
 d.lgs.    n.  502/1992,  l'art.  9  stabilisce  che:    "L'ambito  di
 applicazione  dei  fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale
 e' rappresentato da:   a) prestazioni aggiuntive,  non  comprese  nei
 livelli  essenziali  ed  uniformi di assistenza e con questi comunque
 integrate, erogate da professionisti e da strutture  accreditati;  b)
 prestazioni  erogate  dal  servizio  sanitario nazionale comprese nei
 livelli uniformi ed essenziali di assistenza, per la sola quota posta
 a  carico  dell'assistito,  inclusi  gli  oneri  per  l'accesso  alle
 prestazioni  erogate  in  regime di libera professione intramuraria e
 per la fruizione dei servizi alberghieri su richiesta  dell'assistito
 di  cui  all'art.  1, comma 15, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
 c)  prestazioni  socio-sanitarie  erogate  in  strutture  accreditate
 residenziali  e semiresidenziali o in forma domiciliare, per la quota
 posta a carico dell'assistito".  Dalla lettura di  tale  disposizione
 si  evince  chiaramente come essa limiti l'ambito di applicazione dei
 fondi integrativi alle prestazioni erogate dai professionisti e dalle
 strutture accreditati, escludendo le strutture  autorizzate,  con  il
 risultato  di  creare,  in violazione dell'art. 3 della Costituzione,
 ingiustificate disparita' di trattamento tra i soggetti autorizzati e
 quelli accreditati.  La ratio (illegittima!) della disposizione  pare
 quella  di  drenare  fondi  per  il  SSN, distogliendoli dai soggetti
 autorizzati: in realta', oltre  alla  illegittima  penalizzazione  di
 questi  ultimi,  la disposizione e' palesemente irragionevole perche'
 aumenta la pressione sulle strutture del Servizio  sanitario,  invece
 di  utilizzare  le  risorse aggiuntive per creare circuiti laterali a
 quello del SSN, in grado di alleggerire la pressione sulle  strutture
 del  SSN.    In  ogni  caso,  al  di la' della irragionevolezza della
 disposizione, la stessa legge delega non autorizza il Governo  ad  un
 siffatto  intervento,  giacche' gli impone solamente di riordinare le
 forme integrative di assistenza sanitaria.   Ne' argomento  a  favore
 dell'esclusione   dei   soggetti   autorizzati  si  puo'  dare  dalla
 formulazione secondo cui  le  forme  integrative  "si  riferiscono  a
 prestazioni aggiuntive, eccedenti i livelli uniformi ed essenziali di
 assistenza   definiti  dal  Piano  sanitario  nazionale,  con  questi
 comunque  integrate... "; e, infatti, al di la' del fatto che anche i
 soggetti autorizzati sono integrati nella  pianificazione  sanitaria,
 se   questa  viene  intesa  in  senso  non  dirigistico,  il  termine
 "integrate" si riferisce non ai soggetti, ne' ai livelli uniformi  di
 assistenza,  bensi'  alle  prestazioni  aggiuntive,  le quali possono
 essere "integrate" con i livelli uniformi ed essenziali di assistenza
 anche se rese da soggetti  autorizzati.
   9. - Violazione degli artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione da
 parte dell'art. 13, recante "Modificazioni all'art. 15 del d.lgs.  20
 dicembre 1992, n. 502".  L'art. 13 sostituisce l'art. 15  del  d.lgs.
 n.  502/1992  e  aggiunge  a  tale disposizione gli artt. da 15-bis a
 15-undecies.  L'intera materia e' stata sottoposta a  forti  critiche
 da  parte del mondo medico, per svariati profili, alcuni dei quali di
 grave rilievo  costituzionale  (basti  pensare  alla  violazione  del
 tradizionale  principio  della  salvezza  dei  diritti quesiti).   La
 materia  viene  qui  affrontata  per  la  sola  parte  di   interesse
 (giuridicamente  rilevante)  regionale,  in quanto le scelte compiute
 dal governo centrale si riverberano  sui  profili  di  organizzazione
 sanitaria  dell'ente  regionale.    9.1.  - Nel sostituire l'art. 15,
 comma 1, del d.lgs. n. 502/1992,  l'art.  13  stabilisce  che  "Fermo
 restando  il  principio  dell'invarianza  della  spesa,  la dirigenza
 sanitaria e' collocata  in  un  unico  ruolo,  distinto  per  profili
 professionali,  ed  in un unico livello, articolato in relazione alle
 diverse responsabilita' professionali  e  gestionali.    In  sede  di
 contrattazione  collettiva nazionale sono previste, in conformita' ai
 principi e alle dirigenziali nonche' per l'assegnazione,  valutazione
 e  verifica  degli  incarichi  dirigenziali  e per l'attribuzione del
 relativo trattamento economico  accessorio  correlato  alle  funzioni
 attribuite  ed  alle  connesse responsabilita' del risultato".  A tal
 proposito, l'art. 2, comma 1, lett. q),  della  legge  n.  419  aveva
 affidato  al  Governo  il  compito  di  "prevedere  le  modalita' per
 pervenire per aree, funzioni ed obiettivi, a regime, all'esclusivita'
 del  rapporto  di  lavoro,  quale  scelta  individuale  per  il  solo
 personale  della  dirigenza sanitaria in ruolo al 31 dicembre 1998 da
 incentivare anche con il  trattamento  economico  aggiuntivo  di  cui
 all'art.  1,  comma 12, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, secondo
 le  modalita'  applicative  definite  in   sede   di   contrattazione
 collettiva   nazionale   di   lavoro".     Dal  confronto  delle  due
 disposizioni risulta evidente come l'art.   13, nella  parte  in  cui
 sostituisce  l'art.  15,  comma 1, del d.lgs.   n. 502/1992 eccede la
 delega contenuta all'art. 2, comma 1,  lett.    q),  della  legge  n.
 419/1998,  violando,  pertanto  l'art.  76  della  Costituzione.   Si
 potrebbe, a tal proposito, eccepire che il livello unico dirigenziale
 e'  stato  introdotto  dal  d.lgs.  n.  29/1993,  entrato  in  vigore
 successivamente  al  d.lgs.  n.  502/1992.    Tuttavia,  anche  se si
 aderisce  alla  tesi  in  base  alla  quale  il  d.lgs.  n.   29/1993
 costituisce  una  legge  di  principi,  e  che,  in  quanto  tale, le
 disposizioni in esso contenute devono ritenersi applicabili  a  tutta
 la  dirigenza,  compresa la dirigenza medica, non si spiega, in primo
 luogo perche' il Governo,  eccedendo  la  delega,  abbia  sentito  la
 necessita' di confermare la disciplina gia' dettata dal d.lgs.  n. 29
 e,  in secondo luogo, per quale motivo il Governo abbia disciplinato,
 con il d.lgs. n. 229, anche materie, quali  l'orario  di  lavoro,  la
 formazione,  la  mobilita' del personale, che il d.lgs. n. 29/1993 ha
 riservato  espressamente  alla  contrattazione  collettiva,  come  si
 desume dal combinato disposto degli  artt.  2  e  45  del  d.lgs.  n.
 29/1993.    La  soppressione  dei  due livelli di dirigenza medica ha
 comportato, inoltre, il venir meno  della  prerogativa  regionale  di
 nominare un componente della Commissione selezionatrice per l'accesso
 al  secondo  livello  secondo quanto stabilito nel testo dell'art. 15
 del d.lgs.  n. 502/1992, prima delle modifiche apportate  dal  d.lgs.
 n.  229.   Fuori delega pare altresi' la soppressione dei rapporti di
 lavoro a tempo definito per la dirigenza  sanitaria  (nel  testo  del
 nuovo art. 15-bis, comma 3). Infatti, concettualmente, l'esclusivita'
 del  rapporto  di  lavoro  della  dirigenza  sanitaria, prevista come
 principio dall'art. 2, comma 1,  lett.  q),  della  delega,  e'  cosa
 diversa  dal  rapporto  di  lavoro  a tempo pieno o a tempo definito:
 l'esclusivita'  implica  l'impossibilita'  di  svolgere  lavori   per
 soggetti  concorrenti  con  il SSN; il carattere a tempo definito del
 rapporto permette  di  avere  altre  attivita'  (secondo  la  recente
 normativa,  un  dipendente  pubblico puo' scegliere la collocazione a
 tempo definito per svolgere una attivita' diversa e non  confliggente
 con  quella  principale).    La  soppressione  dei  rapporti  a tempo
 definito e' fonte di aumento  di  spesa  e  comporta  comunque  gravi
 problemi  organizzativi  alle regioni.  9.2. - L'art. 13, nella parte
 in cui aggiunge  dopo  l'art.  15  del  d.lgs.  n.  502/1992,  l'art.
 15-sexies,   detta   disposizioni   in  ordine  all'attivita'  libero
 professionale extramuraria, stabilendo che:  "il rapporto  di  lavoro
 dei  dirigenti  sanitari  in servizio al 31 dicembre 1998 i quali, ai
 sensi  dell'art.  1,  comma  10  della  legge  n.  662/1996,  abbiano
 comunicato   al   direttore   generale   l'opzione   per  l'esercizio
 dell'attivita' libero professionale extramuraria e che non  intendano
 revocare detta opzione, comporta la totale disponibilita' nell'ambito
 dell'impegno   di   servizio,  per  la  realizzazione  dei  risultati
 programmati  e  lo  svolgimento  delle  attivita'  professionali   di
 competenza.    Le  Aziende stabiliscono i volumi e le tipologie delle
 attivita' e delle prestazioni che i singoli dirigenti sono tenuti  ad
 assicurare,  nonche' le sedi operative in cui le stesse devono essere
 effettuate".   Anche  tale  disciplina  deve  ritenersi  viziata  per
 eccesso  di  delega:    l'art.  2,  comma 1, lett. q), della legge n.
 419/1998 ha, infatti, delegato il Governo esclusivamente a "prevedere
 le modalita' per prevenire, all'esclusivita' del rapporto di  lavoro"
 e   non   certo   a  disciplinare  l'attivita'  libero  professionale
 extramuraria.   Anche tale disposizione viola,  pertanto,  l'art.  76
 della  Costituzione,  nonche'  gli  art. 117 e 118 della Costituzione
 nella parte  in  cui,  nell'attribuire  alle  Aziende  il  potere  di
 individuare   "volumi   e   le  tipologie  delle  attivita'  e  delle
 prestazioni che  i  singoli  dirigenti  sono  tenuti  ad  assicurare,
 nonche' le sedi operative in cui le stesse devono essere effettuate",
 non  prevede  alcuna  forma  di coinvolgimento delle regioni.  9.3. -
 L'art. 13, risulta, inoltre, viziato di eccesso di delega nella parte
 in  cui  aggiunge  all'art.  15  del  d.lgs.  n.   502/1992,   l'art.
 15-quater,  comma 4.  L'art. 15-quater, infatti, dopo aver stabilito,
 al comma 3, che entro novanta giorni dalla data di entrata in  vigore
 del  decreto, tutti i dirigenti in servizio alla data del 31 dicembre
 1998, sono tenuti a comunicare al  direttore  generale  l'opzione  in
 ordine  al rapporto esclusivo, al successivo comma 4 prevede che: "il
 dirigente  sanitario  con  rapporto  di  lavoro  esclusivo  non  puo'
 chiedere  il passaggio al rapporto di lavoro non esclusivo".  Mentre,
 al comma 2, stabilisce che: "Salvo quanto  previsto  al  comma  1,  i
 dirigenti  in  servizio  alla  data  del  31 dicembre 1998, che hanno
 optato   per   l'esercizio   dell'attivita'   libero    professionale
 extramuraria  passano,  a  domanda, al rapporto di lavoro esclusivo".
 Dunque, una volta che il  dirigente  abbia  optato  per  il  rapporto
 esclusivo,   non  puo'  piu'  chiedere  il  passaggio  a  quello  non
 esclusivo, mentre e' possibile il contrario.    A  tal  proposito  va
 ricordato  che la delega aveva incaricato il Governo di "prevedere le
 modalita' per pervenire... all'esclusivita' del rapporto  di  lavoro,
 quale  scelta  individuale  per  il  solo  personale  della dirigenza
 sanitaria in ruolo al 31 dicembre 1998". L'art. 13,  nella  parte  in
 cui  introduce  l'art.  15-quater,  comma 4, del d.lgs.  n. 502/1992,
 viola  pertanto  l'art.  6  della  Costituzione.     9.4.  -   L'art.
 15-quinquies,  comma  5,  come introdotto dall'art.  13 del d.lgs. n.
 229 prevede che "gli incarichi di direzione di struttura, semplice  o
 complessa, implicano il rapporto di lavoro esclusivo", cosi' vietando
 che  possano  essere  attribuiti  incarichi di direzione ai dirigenti
 sanitari che scelgono l'attivita' extramuraria.   La possibilita'  di
 ricondurre  questa sanzione alla citata lett.  q) della delega appare
 assai dubbia; sicuri appaiono alcuni profili di  incostituzionalita',
 pur  se  qui  non  rilevanti,  del  trattamento deteriore fatto a chi
 sceglie l'attivita' extramuraria dall'art.  72 della legge n. 448 del
 1998, e confermato dal  comma  10  del  medesimo  art.  15-quinquies;
 altrettanto  sicura,  e  di  sicuro  interesse  regionale,  appare la
 violazione dell'art. 97 della Costituzione laddove, con un ukase  che
 non ammette repliche e che richiede immediata applicazione, si impone
 ed  alle  regioni ed alle ASL di rinunziare all'esperienza di tutti i
 dirigenti sanitari che non vorranno optare per il rapporto  esclusivo
 (ai quali si continua a dimidiare il trattamento economico e a negare
 la possibilita' di verifica sui  risultati).
   10.   -  Violazione  dell'art.  119  della  Costituzione  da  parte
 dell'art.  16 del d.lgs. n. n. 229 del 1991 e dell'art. 1,  comma  4,
 della  legge  n.  419 del 1998.   Costituisce principio generalissimo
 della finanza regionale,  in  specie  in  materia  sanitaria,  quello
 secondo  cui lo Stato "non puo' addossare al bilancio regionale oneri
 relativi  alla  spesa  sanitaria  che  derivano  da   decisioni   non
 imputabili  alle  regioni  stesse"  (Corte  cost., sentt. nn. 452 del
 1989; 416 del 1995).  Ora, nonostante le assicurazioni rese  in  sede
 politica, e' accertato (anche dal Servizio Bilancio del Senato, nella
 nota  citata)  che  il  decreto  avra'  effetti  finanziari  oggi non
 controllabili. La stessa legge delega (art. 1,  comma 4) prevede  che
 "l'esercizio  della  delega  ...  non comporta complessivamente oneri
 aggiuntivi per il bilancio dello Stato e degli enti di cui agli artt.
 25  e  27  della  legge  5  agosto  1978,   n.   468   e   successive
 modificazioni".    Il decreto legislativo, cosi', non contiene alcuna
 garanzia che le maggiori spese provocate  dalla  sua  attuazione  non
 ricadano - per scelte organizzative impostate ed effettuate a livello
 centrale - sul sistema regionale.  Non e' sufficiente all'uopo l'art.
 1  del  d.lgs.  n. 229, nella parte in cui introduce un nuovo art. 1,
 comma 3, nel d.lgs. n. 502, ai sensi del quale "l'individuazione  dei
 livelli  essenziali  e uniformi di assistenza assicurati dal Servizio
 sanitario nazionale, per il periodo di validita' del Piano  sanitario
 nazionale,  e'  effettuata  contestualmente  all'individuazione delle
 risorse  finanziarie  destinate  al Servizio sanitario nazionale, nel
 rispetto  delle  compatibilita'  finanziarie  definite  per  l'intero
 sistema   di   finanza   pubblica  nel  documento  di  programmazione
 economicofinanziaria.  Le prestazioni comprese nei livelli essenziali
 di assistenza sono  garantite  dal  Servizio  sanitario  nazionale  a
 titolo  gratuito o con partecipazione alle spese, nelle forme e nelle
 modalita' previste dalla legislazione vigente";  ed  ancora  meno  e'
 sufficiente  l'art.    16,  nella  parte  in  cui  introduce  un art.
 19-quinquies nel d.lgs.   n. 502 (che  prevede  una  relazione  sugli
 effetti  finanziari del Ministro della sanita') e un art. 19-ter, che
 prevede generiche misure di sostegno, ma non certo la  copertura  dei
 disavanzi  sul  bilancio  regionale  provocati dai contraccolpi delle
 scelte  politico-organizzative  prese  a  livello   centrale.      Il
 Presidente  della  Conferenza dei Presidenti delle regioni e province
 autonome, nella citata nota del 17 giugno 1999,  sottolineava  questi
 problemi:  "Richiamo,  da  ultimo,  l'esigenza che l'approvazione del
 decreto legislativo avvenga in un quadro coerente anche relativamente
 agli aspetti economico-finanziari e che - oltre ad  un  miglioramento
 della   formulazione  della  norma  inserita  nell'art.  19-quinquies
 (finalizzata a garantire che nella relazione ivi  prevista  si  tenga
 conto   delle  valutazioni  delle  regioni  sull'effettiva  incidenza
 economica dell'applicazione del decreto) - siano da subito adottati i
 provvedimenti e  le  misure  utili  per  recepire  il  lavoro  svolto
 dall'apposito  tavolo  di confronto da Lei insediato su tali aspetti.
 In  particolare  si  chiede  che,  anche  attraverso  una  tempestiva
 assunzione  al  tavolo  politico di quanto elaborato in sede tecnica,
 venga da subito posto mano alla  manovra  necessaria  per  trasferire
 alle  regioni  le  risorse  sulle  quali  vi  e'  gia' accordo, nella
 consapevolezza  che  la   corretta   quantificazione   dell'effettivo
 fabbisogno  finanziario  e' necessaria non solo per "sanare" gli anni
 pregressi ma per fare del 2000 l'''anno zero'' della Sanita'".
   11. - Illegittimita' derivata dalla  illegittimita'  costituzionale
 della legge delega n. 419 del 1998 per violazione dell'art. 76, sotto
 il  profilo della generica individuazione dell'oggetto, nonche' della
 confusa gestione di "oggetto" e "principi" della delega.   Il  d.lgs.
 n.   229   e'   illegittimo   per   illegittimita'   derivata   dalla
 illegittimita' della legge n. 419 del 1998, per violazione  dell'art.
 76, sotto il profilo della generica individuazione dell'oggetto della
 delega e della confusa gestione di "oggetto" e "principi".  L'art. 1,
 comma  1,  della  legge  n.  419  del  1998  attribuisce  al  Governo
 l'incarico di emanare  uno  o  piu'  decreti  legislativi  contenenti
 disposizioni  correttive ed integrative del d.lgs. n. 502/1992 "sulla
 base dei principi e dei criteri direttivi previsti dall'art. 2".   Se
 si  tiene  a  mente l'insegnamento tradizionale secondo cui la delega
 legislativa non puo' riguardare generiche materie o generici settori,
 bensi' deve fare riferimento ad oggetti definiti e precisi,  leggendo
 le  disposizioni  contenute nell'art. 2 si evince chiaramente come la
 maggioranza di esse, anziche' dettare principi e  criteri  direttivi,
 talvolta  individuino, talaltra precisino l'oggetto della delega.  In
 sostanza, la legge n. 419/1998 definisce come "oggetto" della  delega
 una  genericissima  "modifica"  ed  "integrazione"  del  d.lgs.    n.
 502/1992, per poi prevedere e qualificare come criteri e principi  di
 tale  oggetto  le  singole  previsioni  delle  lettere  da  a)  a qq)
 dell'art.   2; ma queste, a  ben  vedere,  non  fanno  che  esplicare
 l'oggetto  della  delega, preannunciato dall'art. 1, e solo raramente
 individuano criteri e principi.   Ne'  i  pochi  criteri  e  principi
 indicati  in  alcune  delle  lettere  dell'art.  2,  comma 1, possono
 ritenersi estensibili alle altre lettere dello stesso comma,  essendo
 stati  dettati in relazione allo specifico settore disciplinato dalla
 singola lettera.   Esempi piu'  eclatanti  della  confusione  cui  e'
 incorso  il  legislatore delegante sono costituiti dal disposto delle
 lettere c), i), m), n), r), s), u), z) aa), bb), dd), ff), gg),  ii),
 pp),  qq)  dell'art.   2, comma 1.  Cosa altro e' se non un "oggetto"
 della delega il "regolare la collaborazione tra i  soggetti  pubblici
 interessati" (lett. c); ovvero "attribuire... i compiti e le funzioni
 tecnico-scientifici e di coordinamento tecnico all'Istituto superiore
 di   sanita',   all'agenzia   per  i  servizi  sanitari  regionali  e
 all'istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del  lavoro"
 (lett.  i)?    E  si potrebbe continuare: il "ridefinire il ruolo del
 Piano sanitario nazionale" (lett. aa) e' solo  un  possibile  oggetto
 della  delega  al  quale  mancano principi e criteri direttivi.  Che,
 nella maggior parte dei casi, le lettere del comma 1  dell'art.    2,
 contengano "oggetti", senza "principi e criteri" e' infine dimostrato
 da   quei   rari   casi   in  cui  l'individuazione  dell'oggetto  e'
 accompagnata da qualche indicazione o direttiva d'intervento.  Cosi',
 ad esempio, nel punto cc), si attribuisce la delega al riordino delle
 forme integrative di assistenza sanitaria  "precisando  che  esse  si
 riferiscono a prestazioni aggiuntive, eccedenti i livelli uniformi ed
 essenziali  di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale, con
 questi comunque integrate, ammettendo altresi'  la  facolta'  per  le
 regioni, le province autonome e gli enti locali e per i loro consorzi
 di  partecipare  alla  gestione  delle  stesse  forme  integrative di
 assistenza".   Le norme indicate  si  pongono,  pertanto,  in  chiaro
 contrasto  con  quanto  previsto  dall'art.  76  della  Costituzione,
 richiedendo tale disposizione tra i requisiti della legge  di  delega
 "la  determinazione  dei  principi  e dei criteri direttivi".   A tal
 proposito, codesta ecc. Corte ha piu' volte affermato che la legge di
 delega deve contenere, oltre ai limiti di durata e  alla  definizione
 dell'oggetto,  anche l'indicazione dei principi e criteri direttivi e
 che "all'uopo il precetto costituzionale e' da ritenersi  soddisfatto
 allorche'   sono   date   al  legislatore  delegato  delle  direttive
 vincolanti, ragionevolmente limitatrici della sua discrezionalita'  e
 delle  indicazioni  che  riguardino  il  contenuto  della  disciplina
 delegata, mentre allo stesso legislatore  delegato  e'  demandata  la
 realizzazione,   secondo   modalita'   tecniche  prestabilite,  delle
 esigenze,  delle  finalita'  e  degli   interessi   considerati   dal
 legislatore  delegante" (sent. 158/1985).  E' pur vero che, in alcuni
 casi, codesta, eec.ma Corte ha riconosciuto che "la limitatezza delle
 finalita'  da  raggiungere  giustifica   adeguatamente   la   mancata
 indicazione di principi e criteri specifici" (sent. 299/1993).
  Non  sembra,  tuttavia,  che  tale  situazione  ricorra  nel caso di
 specie, e cio' in quanto se  dalla  lettura  dell'art.  1,  comma  1,
 l'oggetto  della  delega  sembra  essere circoscritto alla modifica e
 alla integrazione di alcune  disposizioni  del  d.lgs.  n.  502/1992,
 esso,  in realta', si snoda nelle numerosissime norme contenute nelle
 lettere del comma 1, dell'art. 2, che, a loro volta, intervengono  su
 quasi  tutti  i  settori  gia'  disciplinati  dal d.lgs. n. 502/1992.
 L'oggetto della delega contenuta nella legge n. 419/1998, dunque, non
 e'  affatto  limitato,  bensi' e' molto ampio: la mancata indicazione
 dei principi non puo', pertanto, ritenersi giustificata neppure  alla
 luce  di quanto statuito dalla giurisprudenza costituzionale.  Ne' si
 puo' ritenere che nel caso di specie la determinazione dei principi e
 dei criteri direttivi sia avvenuta per relationem con riferimento  al
 d.lgs.  n. 502/1992.   Questa ecc.ma Corte ha, infatti, affermato che
 "la determinazione dei  principi  e  dei  criteri  direttivi  di  cui
 all'art.  76 della Costituzione ben puo' avvenire per relationem, con
 riferimento  ad  altri  atti  normativi,   purche'   sufficientemente
 specifici"  (sent.  157/1985).    Nel testo degli artt. 1 e 2 non e',
 invece, rinvenibile alcuna norma che disponga il rinvio  ai  principi
 desumibili  dal  d.lgs. n.  502/1992.  Sebbene, infatti, alcune delle
 lettere contenute nel comma 2 dell'art.1, contengano disposizioni  di
 completamento  della disciplina introdotta dal d.lgs. n. 502/1992, e,
 come tali, potrebbero ritenersi ispirate ai  principi  desumibili  da
 tale  decreto  legislativo, la maggioranza di esse detta disposizioni
 di modifica spesso contrastanti con tali principi.  Negli artt.  1  e
 2,  e',  dunque,  ravvisabile  una sostanziale carenza o, quantomeno,
 insufficienza dei principi e criteri direttivi richiesti dall'art. 76
 della Costituzione quali requisiti necessari della legge  di  delega.
 Incongrua, incoerente e in contrasto con l'art. 76 della Costituzione
 e'  poi  la struttura di tutte le disposizioni di delega.  La formula
 secondo cui oggetto della delega sono  "disposizioni  modificative  e
 integrative  del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502" e' contraddetta dal
 lunghissimo elenco dell'art. 2.  Sembra quasi che non si  sia  voluto
 definire  la  delega  come  delega  alla riorganizzazione del sistema
 sanitario e si sia  invece  voluto  simulare  il  reale  intento  del
 legislatore  sotto la formula anodina e riduttiva dell'art. 1,  comma
 1.    In  realta',  delegare  il  Governo  ad  emanare  "disposizioni
 integrative  e  modificative" di un altro atto dovrebbe sottintendere
 la volonta' di muoversi all'interno della logica e  dei  principi  di
 quell'atto.   Cio', d'altra parte, sembrerebbe confermato dal comma 2
 dell'art.  1, secondo cui "L'esercizio della delega di cui al comma 1
 deve avvenire nel rispetto delle competenze trasferite  alle  regioni
 con  il d.lgs.  31 marzo 1998, n. 112, in attuazione del capo I della
 legge 15 marzo 1997, n. 59".  Tutto cio' e' invece contraddetto, come
 si vedra' anche in dettaglio piu' avanti, dai singoli punti dell'art.
 2,  che si pongono talvolta in netta contraddizione con le scelte del
 d.lgs. n. 502/1992, confermate, peraltro, dal d.lgs. n. 112/1998.