Ricorso della regione Veneto, in persona del Presidente pro-tempore della giunta regionale, on. dr. Giancarlo Galan, autorizzato dalla giunta regionale del Veneto con deliberazione n. 2560 del 27 luglio 1999 che si allega in copia (all. 1) rappresentata e difesa, in forza di mandato rilasciato dal Vicepresidente della giunta regionale Bruno Canella in assenza del Presidente, dagli avv.ti Alfredo Bianchini e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Confalonieri n. 5, come da mandato a margine; Contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del suo Presidente pro-tempore; per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale di alcuni articoli del d.lgs. 19 giugno 1999 n. 299 (recante norme per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale a norma dell'art. 1 della legge 30 novembre 1988, n. 419) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 165 del 16 luglio 1999, Serie Generale. La legge 30 novembre 1998, n. 419 ha delegato il Governo ad emanare uno o piu' decreti legislativi per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale, per l'adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del S.N.N. e per modifiche al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502. Il Governo ha cosi' emanato il d.lgs. del 19 giugno 1999, n. 229, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 165 del 16 luglio 1999. La regione Veneto, deducendo l'illegittimita' costituzionale di alcuni articoli del predetto decreto, lo impugna per i seguenti motivi: D i r i t t o 1. - Violazione dell'art. 76 della Costituzione da parte dell'art. 1 del decreto 229 del 1999 e dei nuovi commi dell'art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992 eccesso di delega. Violazione dei principi generali concernenti l'autonomia statutaria, legislativa ed amministrativa delle regioni con particolare riferimento agli artt. 3, 115, 117, 118, 119, 123 della Costituzione. L'art. 1 del d.lgs. in esame si propone la modificazione dell'art. 1 del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 che aveva riordinato la disciplina in materia sanitaria a norma dell'art. 1 della legge 421/1992. Dopo aver dichiarato che la tutela della salute costituisce un diritto fondamentale dell'individuo ed un interesse della collettivita', da garantire attraverso il servizio sanitario nazionale, il decreto indica nel piano sanitario nazionale lo strumento per individuare i livelli essenziali ed uniformi di assistenza da assicurare in tutto il territorio e le relative risorse finanziarie. Tale piano, la cui durata viene determinata in un triennio, e' adottato dal Governo che deve stabilirne i contenuti secondo principi e criteri indicati in dettaglio dal nuovo art. 1, comma 10 del d.lgs. n. 502 del 1992: in particolare alla lettera e) del citato comma 10, in relazione al successivo nuovo comma 11, si prevede la adozione di progetti-obiettivo da parte del Ministero della sanita' (con decreto di natura non regolamentare), da realizzare anche con l'integrazione funzionale operativa dei Servizi sanitari e dei Servizi socio assistenziali degli enti locali. Per cosi' dire a valle del piano sanitario nazionale (e degli stessi progetti-obiettivo), si colloca il piano sanitario regionale che dovrebbe rappresentare, secondo quanto dice con qualche enfasi il nuovo comma 13, il piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute ed il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche della popolazione regionale anche in riferimento agli obiettivi del piano sanitario nazionale. Sennonche', piu' realisticamente, il seguito del comma 13 aggiunge che le regioni, entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore del piano sanitario nazionale "adottano o adeguano i Piani sanitari regionali" cosi' comprendendosi che i Piani regionali stessi sono in concreto connessi e dipendenti dal piano sanitario nazionale cui, appunto, debbono adeguarsi. Di piu', per garantire questo adeguamento le regioni (e le provincie autonome), secondo il successivo nuovo comma 14, debbono in via preventiva trasmettere al Ministero della sanita' i relativi schemi o progetti di Piani sanitari allo scopo di acquisire il parere dello stesso "per quanto attiene alla coerenza dei medesimi con gli indirizzi del piano sanitario nazionale" il che, ad evidenza, accentua attraverso una forma in qualche modo certificativa della coerenza "regionale", la dipendenza del piano sanitario regionale al piano sanitario nazionale, sminuendosi cosi' quella funzione strategica che pure si era detto di voler attribuire al piano regionale medesimo. Il nuovo comma 17 dell'art. 1 del d.lgs. 502/1992 si preoccupa anche di considerare l'ipotesi che la regione, trascorso un anno dalla entrata in vigore del piano nazionale, non abbia adottato il relativo piano sanitario regionale nel senso di stabilire un duplice ordine di sanzioni. La prima sanzione consiste in un divieto alla regione di accreditare nuove strutture. La seconda sanzione (dopo un complicato procedimento che muove da una diffida del Ministero della sanita' per terminare con un provvedimento del Consiglio dei Ministri) consiste nella adozione di atti necessari per dare attuazione nella regione al piano sanitario nazionale a prescindere da un piano regionale, ivi compresa la nomina di commissari ad acta. In sintesi il sistema cosi' delineato vede, dunque, il perno in un piano sanitario nazionale ed in progetti-obiettivo adottati e gestiti, anche nel dettaglio, dal Ministero della sanita', con obbligo della regione di adeguarvisi mediante un piano regionale che deve acquisire un previo attestato di coerenza al piano sanitario nazionale, rilasciato dallo stesso Ministero della sanita', pena, in difetto di adozione (e fors'anche di coerenza nel senso sopra inteso), di sanzioni che vanno dall'impedimento dell'esercizio di una attivita' amministrativa (quella di accreditamento), all'estremo della nomina di commissari ad acta governativi. Lo statuto della regione Veneto in conformita' ai principi costituzionali indicati in particolare dall'art. 123 della Costituzione, disciplina la funzione amministrativa regionale (artt. da 48 a 53) riservando alla legge regionale sia l'organizzazione amministrativa sia, in particolare, al fine del buon andamento e della imparzialita' della azione amministrativa, il procedimento di formazione degli atti amministrativi regionali. Organizzazione e procedimento sono, dunque, riservati nelle materie di competenza ex 117 della Costituzione alla legislazione regionale non solo in conformita' ai principi costituzionali ma anche, in concreto, sulla base di norme statutarie che hanno poi trovato via via attuazione legislativa dal 1971 ad oggi. Il sistema introdotto (e sopra delineato) dall'art. 1 del d.lgs. impone alle regioni uno schema procedimentale della loro azione amministrativa che si deve obbligatoriamente esprimere in un piano (sanitario regionale) con una durata predeterminata (triennale, per l'obbligatorio adeguamento al Piano, triennale, nazionale), con un risvolto sanzionatorio nell'ipotesi di mancata adozione di quel modulo di azione amministrativa ovvero di adozione di un modulo che non sia coerente con quello nazionale. L'imposizione di uno schema di azione obbligato sotto il profilo organizzatorio-procedimentale appare sicuramente in contrasto con il principio della autonomia statutaria regionale che, nelle materie di competenza legislativa regionale, appunto, garantisce la liberta' delle forme organizzatorie e procedimentali. Codesta Corte nella sentenza n. 461 del 19 novembre 1992 (espressa proprio in materia di Sanita' pubblica) nel dichiarare costituzionalmente illegittima la norma contenuta nell'art. 5 della legge n. 175/1992, ha fra l'altro puntualizzato che "esiste una connessione naturale tra la disciplina del procedimento e la materia della organizzazione: la regolamentazione, da parte della regione, dei procedimenti amministrativi di propria spettanza e' un corollario della competenza in materia di ordinamento degli uffici, quale espressione della sua potesta' di autorganizzazione". Se gia' queste considerazioni, autorevolmente confortate dall'insegnamento di codesta Corte, persuadono della illegittimita' costituzionale del sistema complessivamente introdotto dall'art. 1, che pretende di imporre uno schema di procedimento e di organizzazione alle regioni nella attuazione del servizio sanitario nazionale, e' subito da aggiungere che questa illegittimita' appare accentuata da cio' che non soltanto si impone uno strumento di Pianificazione senza alternative, ma che lo si impone con una attribuzione (che per le regioni diventa imposizione) di competenza che non trova giustificazione alcuna. Si vuol dire che l'art. 1 (nell'introdurre i nuovi commi dell'art. 1 del d.lgs. 502/1992) obbliga le regioni a concorrere alla attuazione del servizio sanitario nazionale attraverso uno strumento amministrativo, il, piano regionale sanitario, inteso nel sistema del decreto come provvedimento amministrativo a sua volta attuativo di altro provvedimento amministrativo, il piano sanitario nazionale, adottato dal Governo (e per i piani attuativi del Ministero della sanita'). Ora, secondo un principio indiscusso (e d'altronde implicitamente confermato anche da codesta Corte con sentenza n. 407 del 18 luglio 1989), compete alla regione la scelta degli strumenti di intervento, a livello legislativo o a livello amministrativo, e la conseguente ripartizione delle competenze fra i vari organi regionali. Indendendosi cosi' che la legislazione statale non puo' imporre alle regioni che l'attuazione del piano sanitario nazionale avvenga a livello amministrativo e non per ipotesi anche attraverso interventi legislativi. Ne' si potrebbe obiettare che il testo dell'art. 1 non esclude la possibilita' di interventi legislativi regionali in materia. Non lo si potrebbe obiettare, non soltanto perche' la norma addirittura pone delle sanzioni se il piano sanitario regionale non venisse adottato (con cio' dimostrandosi che quello del piano sanitario regionale diventa il modulo inderogabile), ma soprattutto perche' anche se ammettesse interventi legislativi ne verrebbe aggravata la censura di illegittimita' costituzionale per quanto si pretenderebbe che un piano sanitario nazionale, avente natura amministrativa, diventi norma quadro di principio della legislazione regionale³ Il che, evidentemente, non e' consentito ai sensi dell'art. 117 della Costituzione che riserva esclusivamente alla legge statale la funzione di normazione di principio della legislazione regionale. D'altronde l'art. 1 in esame, vuoi nella parte in cui indica i contenuti del piano sanitario nazionale, vuoi nella parte in cui indica i contenuti della relazione annuale del Ministero della sanita', finisce per dettare delle disposizioni di estremo dettaglio alle regioni, indipendentemente dal piu' generale problema dell'imposizione di uno schema organizzativo procedimentale di azione amministrativa di cui si e' sopra detto. In effetti il dettaglio del piano sanitario nazionale e della relativa relazione, si traducono in altrettante disposizioni di dettaglio cui la regione deve uniformarsi obbligatoriamente, pena le sanzioni di cui sopra, nei piani regionali sanitari. Infatti il d.lgs. obbligando le regioni alla "coerenza" obbliga le stesse ad assumere pari pari i contenuti del piano sanitario nazionale il che si traduce in un obbligato recepimento di dettaglio dei contenuti stessi del piano sanitario nazionale. Codesta Corte ha piu' volte affermato che le disposizioni dirette a porre i principi concernenti l'organizzazione regionale non puo' giungere al punto di estromettere di fatto le regioni dalle materie di loro competenza. Si vuol dire cosi' che, per quanto sia da riconoscersi una esigenza di uniformita', in vista di una generale e comune tutela dell'interesse alla salute, non si puo' giungere al punto di appiattire ogni relativa disciplina annullandosi il potere di autonoma determinazione delle regioni costringendole ad assumere integralmente i contenuti di un piano nazionale adottato per di piu' a livello amministrativo, come limite addirittura di un'eventuale attivita' legislativa regionale in materia. Sotto un profilo piu' particolare, la lesione della autonomia regionale si apprezza considerando che le disposizioni contenute nel nuovo comma 14 dell'art. 1 (che impone alle regioni di trasmettere al Ministro della sanita' gli schemi o progetti di piani sanitari allo scopo di acquisire il parere dello stesso per quanto attiene alla coerenza dei medesimi con gli indirizzi del piano sanitario nazionale), non soltanto sottomettono l'attivita' regionale al "giudizio" di un Ministero (come si e' gia' evidenziato), ma rendono anche del tutto svincolato e libero da regole, canoni o criteri tale giudizio. Infatti non si rinviene nel testo legislativo alcun indirizzo ed alcun principio che possano circoscrivere e delimitare i confini, i contenuti e le modalita' del giudizio stesso. Si apre cosi' la strada ad un procedimento che, per la sua indeterminatezza e per l'assenza di regole, puo' condurre alla manifestazione di qualsiasi arbitraria valutazione: il giudizio di coerenza viene percio' rimesso ad una sorta di discrezionalita' incontrollabile che un organo dello Stato puo' esercitare nei confronti della regione. La lesione della autonomia regionale puo' essere apprezzata anche con riferimento al terzo comma del nuovo art. 1 laddove si affida al piano sanitario nazionale di individuare (con un effetto che diventa poi vincolante per le regioni, per il gia' ricordato regime di coerenza") livelli essenziali e uniformi di assistenza nell'ambito del servizio sanitario nazionale. Naturalmente si condivide il principio, ispirato ad un rilevante interesse pubblico, che sul territorio nazionale siano assicurati i livelli essenziali di assistenza per tutti i cittadini, ma perche' uniformi?. Se all'espressione in esame si potesse attribuire un significato di endiadi, nessun problema. Ma se, come sembra (considerato che tale espressione e' anche utilizzata in successive disposizioni ed in contesti diversi) fosse da attribuirsi un significato autonomo rispettivamente all'aggettivo essenziale ed a quello uniforme, la domanda ritornerebbe in tutta la sua rilevanza. Perche' una regione, una volta assicurato il servizio essenziale, dovrebbe anche garantirlo come uniforme?. Non sussiste una risposta logica se non quella di una imposizione di un modulo unico che prescinde dalle connotazioni, dalle risorse, dalle caratteristiche di ciascuna realta' regionale. E, poiche' in materia sussiste l'autonomia legislativa e amministrativa delle regioni, non puo' non considerarsi costituzionalmente illegittima, alla luce delle disposizioni in rubrica indicate, una norma che lede tale autonomia e che prescinde dal valutare le diversita' delle singole realta' regionali. La lesione della autonomia regionale puo' essere apprezzata, come si e' visto, considerando il sistema sanzionatorio introdotto dal nuovo art. 1, comma 17 che si articola nella possibilita' di impedire, da un lato, alla regione di accreditare nuove strutture e di nominare, d'altro lato, commissari ad acta. La legge delega n. 419/1998 all'art. 2, lett. oo), prevedeva a sua volta un duplice sistema sanzionatorio. Da un lato penalizzazioni sul piano finanziario consistenti in riduzioni o dilazioni dei flussi finanziari in caso di inerzia o ritardo delle regioni nell'adozione o nella attuazione di programmi; d'altro lato forme di intervento del Governo volte a far fronte, nei casi piu' gravi, all'eventuale inerzia delle amministrazioni. Come ben si vede il sistema sanzionatorio delineato dalla legge delega contemplava due ipotesi molto precise: la penalizzazione finanziaria ovvero interventi sostitutivi del Governo. Non contemplava affatto (e non avrebbe potuto contemplarlo) forme di congelamento del potere amministrativo regionale in relazione all'accreditamento delle strutture, come invece - e illegittimamente - prevede il decreto delegato. In questo ordine di considerazioni, si rende evidente per un verso l'eccesso di delega e quindi la violazione dell'art. 76 della Costituzione e, per altro verso, la violazione degli artt. 115, 117 e 118 della Costituzione per quanto si pretende con una legge dello Stato di impedire il normale svolgimento di competenze e poteri regionali. Quanto alla configurazione di interventi di commissari ad acta si verifica ancora una volta un eccesso di delega censurabile ex art. 76 della Costituzione. Infatti il gia' citato art. 2 oo) collegava forme di intervento del Governo all'inerzia o a ritardi nella attuazione e adozione di programmi: programmi che, nell'ottica del legislatore delegante, potevano differenziarsi dal piano sanitario regionale. Ora, stabilire una sorta di automatismo fra mancanza di piano sanitario regionale e nomina del commissario ad acta significa trascurare l'eventualita' che la realizzazione delle finalita' dei piano sanitario nazionale possa essere conseguita anche attraverso diversi moduli organizzatori. La mancanza di un piano sanitario regionale, si vuole cosi dire, non e' di per se' necessariamente sintomo di non attuazione del piano sanitario nazionale, per cui stabilire l'equazione "mancanza di piano sanitario regionale = commissario ad acta", sembra eccessivo e, comunque, un eccesso rispetto alla delega. 2. - Violazione dell'art. 76 della Costituzione da parte degli artt. 1 e 2, d.lgs. n. 229/1999 e dei nuovi commi degli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 502 del 1992 eccesso di delega. Un non trascurabile aspetto di illegittimita' del decreto delegato (e in particolare, degli artt. 1 e 2) e' rinvenibile sotto il profilo dell'eccesso di delega in relazione alla legge 23 ottobre 1992, n. 421. Ora, e' vero che il d.lgs. di cui si lamenta l'incostituzionalita' e' stato emanato in attuazione di una specifica legge delega (la legge 30 novembre 1998, n. 419) che, dunque, costituisce necessario e imprescindibile parametro di verifica della congruita' della normazione di dettaglio. E' altrettanto vero, pero', che tale decreto non interviene a operare in una terra di nessuno, ma si inserisce (o, meglio, tende dichiaratamente a coordinarsi) entro la cornice normativa delineata dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502. Anzi, lo stesso oggetto primario della delega (v. art. 1, comma 1, legge n. 419/1998), consiste nel conferimento al Governo del potere di emanare "uno o piu' decreti legislativi recanti disposizioni modificative e integrative del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502": cosicche' deve ragionevolmente ritenersi che il Governo, nell'attivarsi, dovesse - quanto meno con riferimento alle disposizioni integrative - disporsi lungo una linea normativa non solo conforme ai principi e criteri direttivi di delega di cui all'art. 2, legge n. 419/1998, ma altresi' rispettare i principi ed i criteri direttivi di cui all'art. 1 della precedente legge delega (n. 421/1992), che vengono, dunque, per cosi' dire richiamati per relationem e in via ricettizia nel momento stesso in cui il delegante, manifestando la necessita' di integrare la normativa pregressa, ne verifica anche i principi ispiratori. Ora, non pare proprio che questo percorso integrativo sia stato rispettato dall'"ultimo" legislatore delegato. E cio' perche' il Governo, lungi dal conformarsi ai (peraltro difficilmente individuabili) principi di cui alla legge n. 419/1998, ha sopravanzato gli stessi criteri direttivi di cui alla legge n. 421/1992. Particolarmente significativo in proposito e' l'art. 2, d.lgs. n. 229/1999: questa norma dichiaratamente integra l'art. 2, d.lgs. n. 502/1992 (disposizione che ha un solo generico comma), aggiungendo ben sette commi che regolamentano nel dettaglio la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio sanitaria regionale, la formazione e il contenuto del piano sanitario regionale, e cosi' via. Sembra, dunque, che questa norma contribuisca a offrire un decisivo contributo in materia di regionalizzazione sanitaria ... senonche' essa si chiude, poi, con un comma (il nuovo 2-octies), che introduce una peculiare procedura sanzionatoria (che puo' sfociare anche nella nomina di un commissario ad acta) che ben rispecchia la filosofia del decreto e che fa apparire la regione come ente "sotto tutela". E cio' (ma e' scontato aggiungerlo) senza che precisa indicazione in tal senso siano desumibili ne' dalla legge delega n. 421 del 1992, ne' da quella del novembre dello scorso anno (419/1998). Ma gli esempi potrebbero continuare, se solo si consideri che la stessa filosofia dell'operazione di riforma sanitaria sembra essere (piu' che integrata o modificata) addirittura stata stravolta. Valga per tutte le osservazione relativa ai rapporti tra la programmazione sanitaria regionale e nazionale: infatti, mentre la delega del 1992 (v. nuovo art. 1, comma 1, lett. c), ispirandosi dichiaratamente al principio di sussidiarieta', costruiva come residuale la competenza statale, ergendo le regioni al ruolo di protagoniste, al contrario il decreto delegato del 1998 (la cui legge delega si dichiara strumentalmente intenzionata a "completare il processo di regionalizzazione" capovolge la prospettiva e antepone a ogni altra l'iniziativa statale (v. nuovo art. 1, comma 3, nonche' l'intero nuovo art. 2). In altre parole, sotto lo schermo della mera integrazione del sistema sanitario in essere, l'odierno decreto delegato rallenta il processo di regionalizzazione e, lungi dal limitarsi a un'opera di razionale completamento, stravolge i principi e i criteri direttivi della delega "madre" del 1992 (che, nella prospettiva sopraindicata dovrebbe concorrere a reggere l'odierno decreto delegato) senza provvedere a una loro adeguata sostituzione. Esaminando nel dettaglio alcune disposizioni del nuovo art. 2 si puo' maggiormente apprezzare la forte invasione del potere statale nei confronti della regione. Il comma che diviene 2-bis nel decreto 502, nel dichiarare che la legge regionale istituisce la conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale, impone la partecipazione alla conferenza di alcuni soggetti, condizionandone cosi', ab origine caratteristiche e connotazioni. Tale disposizione appare in contrasto con i principi costituzionali che assicurano l'autonomia regionale nella disciplina del procedimento e dell'organizzazione nelle materie in cui la regione ha competenza legislativa e, in corrispondenza, amministrativa. D'altronde (come e' gia' stato chiarito da codesta corte in sentenza n. 461/1992): "la regolamentazione, da parte della regione dei procedimenti amministrativi di propria spettanza e' un corollario della competenza in materia di ordinamento degli uffici, quale espressione della sua potesta' di auto organizzazione". Ebbene, nella specie, non soltanto si e' prevista da parte della legge statale una conferenza regionale permanente, ma addirittura se ne viene a disciplinare anche la composizione. La composizione di tale conferenza e' rilevante anche perche', secondo il successivo nuovo comma 2-ter inserito nel decreto 502/1992, il progetto del piano sanitario regionale e' sottoposto alla conferenza stessa ed e' poi approvato proprio dopo l'esame delle osservazioni eventualmente formulate dalla conferenza, cosicche', secondo tale procedimento, la conferenza funziona come organo per cosi' dire terzo rispetto alla regione che deve approvare, non si dimentichi, il suo piano sanitario regionale. In questo quadro il piano sanitario regionale si trova in qualche modo fra due fuochi: tra un piano sanitario nazionale a cui deve essere "coerente" ed un parere di una conferenza (in qualche modo "terza" rispetto alla organizzazione regionale) al cui parere deve uniformarsi. Anche in questa prospettiva, quindi, viene leso, secondo una procedura abbastanza irrazionale, l'autonomo potere di autorganizzazione delle regioni. Ancor piu' preoccupante, sotto il profilo della lesione della autonomia regionale, e' il nuovo comma 2-sexies (inserito nel decreto 502/1992) che disciplina nel dettaglio i contenuti dell'attivita' regionale (ed in buona sostanza, indirettamente, i contenuti dello stesso piano sanitario regionale). Infatti in una serie di punti (a loro volta articolati in sottopunti) che vanno dalla lettera a) alla lettera h) vengono individuati i contenuti sia per un'eventuale azione legislativa sia addirittura per un'eventuale azione amministrativa concernenti la distribuzione, l'organizzazione, la gestione, il controllo delle unita' sanitarie locali in una visione di tale dettaglio da non consentire ulteriori margini di autonomia alla regione: ne' sul piano legislativo, ne' tantomeno sul piano amministrativo. Ora e' ben noto, secondo un costante indirizzo di codesta Corte, che debbono considerarsi costituzionalmente illegittime quelle norme della legislazione statale che anziche' porre principi e criteri generali cui deve ispirarsi l'attivita' legislativa della regione, impediscono alle regioni l'esercizio delle loro legittime competenze attraverso l'imposizione di norme di dettaglio. Tanto piu' grave appare nella specie la portata delle modifiche introdotte dall'art. 2 in quanto l'invasione statuale si rivolge addirittura all'esercizio della attivita' amministrativa della regione. 3. - Ulteriore violazione degli artt. 76, 115, 117, 118, 119, 123 Cost., da parte di tutta la normativa del d.lgs. 229 del 1999 e, in particolare, da parte degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7, 10, 13, 15, 16 dello stesso, in relazione ai principi di cui alla legge delega n. 419/1998. Il discorso muta di poco se, anziche' ipotizzare - come corpus sovrano - una macro-delega, ai fini dell'individuazione dei principi e dei criteri direttivi cui il legislatore delegato avrebbe dovuto attenersi si opti per una micro-delega, sostanziata, appunto, dai soli principi contenuti nella legge n. 419/1998. La semplice panoramica dell'art. 2, infatti, consente di constatare che il delegante, anziche' delegare per principi e criteri, si e' limitato a delegare per "oggetti", elencando accuratamente un'interminabile serie di ambiti di intervento del legislatore delegato, ma omettendo di enunciare in concreto i principi-guida (si considerino, a titolo esemplicativo, le lettere c), i), m), n), r), s), n), z), aa), bb), dd), ff), gg), ii), pp), qq), dell'art. 2, comma 1). Ora, e' pur vero che la genericita' della delega e', innanzitutto, vizio della legge delega. Ma e' altrettanto vero che tale vizio, pur rilevante ex se, non puo' certo farsi valere nei ristretti limiti dell'impugnativa della legge delega. Se cosi' fosse, infatti, la genericita' della delega diverrebbe garanzia di "impunita'" per l'atto delegato che, non essendo vincolato ad alcun parametro (o essendo vincolato a parametri estremamente labili proprio perche' generici) non potrebbe mai venire "accusato" di eccesso di delega .... per il semplice fatto che un "livello" corretto di delega non e' individuabile a causa del vizio originario di genericita'. La paradossalita' dell'esito interpretativo, dunque, non puo' non imporre una meditata cautela: proprio perche' la delega e' generica, cioe', il decreto delegato non e' legibus solutus ma e' doppiamente a rischio per vizi propri (eccesso) e per vizi derivati. Del resto, anche codesta Corte, con sentenza n. 32 del 10 maggio 1994, ha precisato (con principio espresso in ipotesi di materia delegificata, ma comunque utilizzabile a fini generali) che la determinazione di criteri e principi direttivi deve essere espressamente e sufficientemente determinata (e pure il Consiglio di Stato, con parere reso adununanza generale n. 1176/1995 del 11 aprile 1996 ha segnalato la sindacabilita' da parte della Corte costituzionale degli atti legislativi adottati dal Governo alla stregua dell'art. 76 Cost., trattandosi di atti equiparati, quanto a forza e valore formale, alle leggi ordinarie). Si vuol dire, in altre parole, che l'eccesso di delega che si e' prospettato come vizio dell'art. 2 poco sopra considerato (e che si e' prospettato anche in altri motivi del presente ricorso) va altresi' ricondotto (ed in quest'ottica le argomentazioni qui illustrate vanno estese non soltanto ai casi in cui si e' dedotto l'eccesso di delega) alla genericita' della stessa legge delegante che diviene essa medesima radice e causa dei profili di illegittimita' non soltanto sotto l'aspetto appunto dell'eccesso di delega. 4. - Violazione degli artt. 76, 115, 117, 118, 119, 123 Cost., da parte di tutta la normativa del d.lgs. 229 del 1999 e, in particolare, da parte degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7, 10, 13, 15, 16 dello stesso, anche in relazione all'art. 1, comma 3, legge n. 419/1998 nonche' in relazione alla parziale mancata acquisizione del parere della competente conferenza e alla mancata considerazione del parere medesimo espresso dalla conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome. L'individuazione della conferenza competente puo' risultare paradossalmente problema di secondaria ma non irrilevante importanza) se solo si consideri che il parere concretamente reso (ed espresso, comunque, da commissione incompetente) non e' stato tenuto in grande considerazione (e cosi' e' stato sostanzialmente vanificato in sede di attuazione della delega). La conferenza espressasi in proposito aveva, infatti, subordinato la conferma del parere di massima favorevole alla bozza di d.lgs., condizionando, pero', tale giudizio all'accoglimento di osservazioni relative ed emendamenti ritenuti essenziali e al positivo riscontro di osservazioni relative ed emendamenti ritenuti rilevanti. L'accoglimento e questo positivo riscontro non sono stati, pero' integrali. Per cui in buona sostanza si dovrebbe considerare che non vi sia stato parere favorevole, non essendosi affatto concretizzate le condizioni poste dalla conferenza. Infatti, per quanto riguarda l'art. 1, comma 14, del d.lgs. n. 502 del 1992, introdotto dall'art. 1 d.lgs. n. 229 del 1999, relativo al parere sugli schemi o progetti di piani sanitari regionali il testo non e' stato migliorato precisando che la "coerenza" verificata negli aspetti generali. Relativamente all'art. 10 (che ha modificato l'art. 9-bis del decreto n. 502/1992 sulle sperimentazioni gestionali) si segnala che e' stata accolta la richiesta dei due elementi ritenuti indispensabili (1. Partecipazione dei privati fino al 49%; 2. limitazione dell'esclusione del subappalto alle sole attivita' di assistenza diretta), ma non la richiesta piu' generale: la conferenza Stato-regioni definisce i criteri e le regioni autorizzano. Analogamente e' avvenuto per le osservazioni relative ad emendamenti da apportare ritenuti rilevanti. Relativamente all'art. 4 del decreto n. 229/1999 (che ha inserito il comma 1-quinquies all'art. 4 del d.lgs. n. 502/1992), non risulta confermato nel testo il contenuto della risposta fornita, su questo argomento, dai rappresentanti del Governo in sede di conferenza circa l'inserimento di una norma che prevedesse il coinvolgimento della conferenza nella valutazione di situazioni eventualmente determinatesi per la conferma delle aziende ospedaliere, per persistente carenza di requisiti. Relativamente all'art. 13 del decreto n. 229 del 1999 che ha introdotto nel d.lgs. n. 502 del 1992 l'art. 15-ter, gia' indicato come 17-ter nella fase di elaborazione del decreto, non si e' tenuto conto del parere contrario delle regioni, al proliferare di dirigenze nei molteplici profili professionali. Per quanto concerne l'art. 16 del d.lgs. n. 229 del 1999 che ha inserito l'art. 19-ter nel testo del decreto 502 del 1992, non si e' tenuto conto del fatto che le regioni avevano ribadito che deve essere la singola regione a valutare la possibilita' di utilizzare il Fondo del 3% per i processi correttivi scaturenti dal patto di stabilita'. Ma ancor piu' censurabile e' il fatto che alcuni punti dello schema di decreto non siano stati sottoposti al parere di nessuna conferenza. Cio' vale per quanto riguarda l'art. 3 del d.lgs. n. 229 del 1999 che ha inserito l'art. 3-bis, comma 15 nel d.lgs. n. 502 del 1992: la previsione normativa di una procedura di prima applicazione per la nomina di direttori generali non puo', infatti, limitarsi ad una facolta' delle regioni di disporre un'eventuale proroga dei contratti in corso. Ancora, per l'art. 4 del d.lgs. n. 229 del 1999 che ha introdotto il nuovo art. 4, comma 1-ter nel d.lgs. n. 502 del 1992: tale previsione normativa relativa alla esclusione comunque di possibilita' di conferma per le aziende ospedaliere che costituiscano il solo presidio ospedaliero pubblico della U.S.L., non risulta essere stata mai sottoposta al parere delle regioni (che, invano, ne hanno chiesto la soppressione). Per il successivo comma 1-octies del nuovo art. 4 previsione normativa in grado di condizionare negativamente la possibilita' di utilizzo per le regioni del cosiddetto "Fondo 3%") non risulta anche essa essere stata mai sottoposta al parere delle regioni (e invano le regioni ne hanno chiesto la soppressione). Si consideri l'art. 5 del d.lgs. n. 229 del 1999 che ha aggiunto un art. 5-bis nel decreto n. 502/1992 relativo ai casi di mancata attivazione degli accordi di programma per l'art. 20 della legge n. 67/1988 che non risulta essere stato mai sottoposto al parere delle regioni, e, in ogni caso appare troppo drastica ed automatica. Anche qui le regioni inutilmente ne hanno invano chiesto la modifica. Nemmeno la previsione normativa di piu' aree dipartimentali all'interno del dipartimento di prevenzione risulta essere stata mai sottoposta al parere delle regioni (art. 7-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, introdotto dall'art. 7 del d.lgs. n. 229 del 1999). In altre parole, alla luce di tali rilievi non si comprende proprio quale finalita' abbia la previsione normativa che impone che lo schema di d.lgs. sia sottoposto al vaglio di un organo partecipato dalle regioni. Perche' delle due l'una: o la norma della legge delega che prevede quel parere e' superflua, oppure e' illegittima quella norma delegata che e' nata senza essere sottoposta previamente (e compiutamente) al vaglio dell'organo deputato a esprimere il parere (o che e' sorta considerando quel parere tamquam non esset). Ai sensi dell'art. 1, comma 3, legge n. 419/1998, sugli schemi di d.lgs. il Governo avrebbe dovuto acquisire tra l'altro, il parere della "conferenza unificata" di cui all'art. 8, d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281: tale parere non e' stato acquisito. Al contrario, il Governo risulta essersi rivolto alla conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome, che e' - a tutta evidenza - organo completamente distinto. Ne deriva inequivocabilmente che il Governo ha omesso di acquisire un parere essenziale e non surrogabile, con cio' violando l'art. 1, comma 3, della legge delega n. 419/1998, risultando cosi' viziato il decreto nel suo complesso. 5. - Violazione dei principi generali concernenti l'autonomia statutaria, legislativa ed amministrativa delle regioni con particolare riferimento agli artt. 115, 117, 118, 119, 123 della Costituzione da parte dell'art. 7 del d.lgs. n. 229 del 1999. Violazione dell'art. 76 Cost.: eccesso di delega. L'art. 7 del decreto al secondo comma, modificando d.lgs. n. 502 del 1992 ha introdotto, fra gli altri, gli artt. 7-bis, ter e quinques configurando dipartimento di prevenzione quale struttura operativa dell'unita' sanitaria locale con l'obiettivo di promuovere non solo la salute ma anche la prevenzione delle malattie ed il miglioramento della qualita' della vita. Qui si devono riproporre le argomentazioni gia' illustrate a sostegno dei primi due motivi di ricorso (ivi comprese quelle relative alla genericita' della legge delega). Infatti il decreto non solo pone delle disposizioni di dettaglio che praticamente non lasciano margini per una autonoma azione legislativa o amministrativa della regione ma,. In sostanza, introducono un assetto organizzatorio, con relativi moduli procedimentali, che tolgono alle regioni ogni potere di auto organizzazione nonche' di organizzazione degli enti assoggettati al loro controllo. In quest'ordine di considerazioni si ripropongono quindi le censure di cui ai predetti motivi 1 e 2 che debbono ritenersi qui integralmente richiamate. Ma vi e' di piu' perche' l'invasione del nuovo dipartimento nella sfera di organizzazione della regione e nei relativi procedimenti si, coglie in tutta la sua consistenza tenendosi presente che con legge regionale n. 32 del 18 ottobre 1996, la regione Veneto ha istituito proprio una Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale (ARPAV) a cui sono affidati i medesimi compiti di indagine, controllo, accertamento ed intervento tecnico in relazione a cause di nocivita' di origine ambientale. Codesta Corte piu' volte ha avuto occasione di insegnare che laddove la legge regionale sia gia' stata emanata per organizzare interventi e per delineare procedimenti, preordinati al soddisfacimento di un particolare interesse pubblico nelle materie in cui sussista una sua competenza appunto legislativa, l'intervento dello Stato non puo' spingersi allo stravolgimento dei moduli organizzatori e dei procedimenti gia' legislativamente disciplinati, se non a condizione di configurare una illegittima invasione nella sfera di autonomia legislativa ed amministrativa regionale. 6. - Violazione dei principi generali concernenti l'autonomia statutaria, legislativa ed amministrativa delle regioni con particolare riferimento agli artt. 115, 117, 118, 119, 123 della Costituzione da parte dell'art. 10 del d.lgs. n. 229 del 1999. Violazione dell'art. 76 Cost: eccesso di delega. L'art. 10 del decreto, che si propone di modificare l'art. 9-bis del d.lgs n. 502 del 1992, attribuisce alla conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano dei poteri di autorizzazione di programmi di sperimentazione aventi ad oggetto nuovi modelli gestionali che prevedano forme di collaborazione fra strutture del servizio sanitario nazionale, anche attraverso la costituzione di societa' miste, a capitale pubblico e privato. Non solo, tale Conferenza permanente, secondo la disciplina introdotta dall'art. 10 (art. 9-bis del decreto n. 502 del 1992), deve verificare annualmente i risultati conseguiti sia sul piano economico sia su quello della qualita' dei servizi. Senonche' la funzione essenziale ditale conferenza (v. d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281) e' quella di garantire la partecipazione delle regioni (e delle Province autonome di Trento e Bolzano) a tutti i processi decisionali di interesse regionale e in questa ottica le sono conferiti relativi poteri di promozione, coordinamento, informazione, valutazione, di intesa e accordo. Non sono invece previsti, proprio perche' esulano dalla sua essenziale funzione partecipativa, compiti di amministrazione attiva, come sono quelli disegnati dall'art. 10 in esame (9-bis nuovo testo del d.lgs. n. 502 del 1992) prevede appunto un potere autorizzatorio ed un connesso potere di verifica e controllo. Questi rilievi consentono la prospettazione di almeno due censure sotto il profilo della legittimita' costituzionale. In primo luogo, la violazione delle norme indicate in rubrica per quanto alla regione vengono sottratti, con un'indebita formula organizzatoria, poteri decisionali in materia di sua competenza. In secondo luogo, l'eccesso di delega in quanto la legge n. 419/1998 non ha mai conferito al legislatore delegato ne' il mandato di modificare l'art. 9-bis del d.lgs. n. 502/1992 ne' tantomeno il compito di modificare i poteri della conferenza permanente Stato e regione cosi' come definiti e disciplinati dal d.lgs. n. 281/1997. 7. - Violazione dell'art. 76 della Costituzione: eccesso di delega. Violazione degli artt. 3, 115, 117, 118, 119 e 123 della Costituzione da parte dell'art. 13 del d.lgs. n. 229 del 1999. Il nuovo testo dell'art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, come modificato dall'art. 13 del decreto n. 229 del 1999, si propone di disciplinare la dirigenza medica e delle professioni sanitarie. Come premessa, il comma 2 del nuovo art. 15 riconduce la dirigenza sanitaria alla disciplina del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, mentre il successivo terzo comma, nel proporsi di illustrare l'attivita' dei dirigenti sanitari, fra l'altro afferma: "il dirigente, in relazione alla attivita' svolta, ai programmi concordati da realizzare ed alle specifiche funzioni allo stesso attribuite, e' responsabile del risultato...". Se con tale espressione si voleva intendere che la responsabilita' del risultato e' riferita ai momenti organizzativi, nessun problema. Se, diversamente (e in quest'ottica tuzioristica viene dedotto il presente motivo), il d.lgs., innovando rispetto ad una consolidata tradizione legislativa, radicata in tutti gli ordinamenti europei ed extraeuropei che ha sempre qualificato la prestazione d'opera intellettuale (medica in questo caso) come connessa ad una obbligazione di mezzi, avesse inteso definirla come obbligazione di risultato: in tal caso se ne contesterebbe (e si contesta) la legittimita' costituzionale. In altre parole se al sanitario ospedaliero si dovesse richiedere non soltanto la correttezza nell'adempimento della sua attivita' ma addi'rittura l'obbligo di un risultato, si profilerebbe (e si profila) una questione di costituzionalita'. Una siffatta rivoluzionaria impostazione appare anzitutto illegittima perche' la legge n. 419/1998 non aveva attribuito al legislatore delegato alcun compito o potere di modificare in radice la struttura delle obbligazioni del sanitario. E' anche illegittima sotto il profilo della violazione dell'art. 3 della Costituzione per quanto introduce una violenta quanto ingiustificata ed immotivata discriminazione fra i sanitari e le altre categorie professionali: non solo, fra gli stessi sanitari, quelli dipendenti dalle strutture ospedaliere e quelli operanti in altri ambiti. Gli uni risponderebbero in base all'attivita'; gli altri risponderebbero in base al risultato. Codesta Corte (si ricorda la decisione n. 192 dell'11 luglio 1984) ha indirettamente affrontato il tema della disparita' di trattamento fra le categorie professionali, mostrando di condividere il principio che fra le categorie professionali non si puo' attuare una ingiustificata discriminazione (che, peraltro, nella specie li' esaminata non fu riscontrata, ma in questo caso la diversita' di trattamento e' addirittura eclatante se si considera che il citato comma terzo non teme di dire che il sanitario, rectius il dirigente, in relazione all'attivita' svolta e' responsabile del risultato).