IL TRIBUNALE Procedimento penale contro persona da identificare, indagata per il reato di cui all'art. 328 c.p. F a t t o In data 25 luglio 1998 le sorelle P. C. e I. C. (generalita' omesse a tutela della privacy dovendo questo provvedimento essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) presentava denunzia contro il medico di guardia dell'ospedale, identificato in atti, esponendo suoi comportamenti, sfociati nella morte della loro madre, curata dallo stesso, configurabili come omissione di atti d'ufficio. Il p.m. svolgeva indagini, sentendo anche il medico come persona informata sui fatti, e poi chiedeva l'archiviazione degli atti, con ampia motivazione circa l'insussistenza del reato. Le parti offese proponevano rituale opposizione alla richiesta di archiviazione, chiedendo che venissero svolte nuove indagini con assunzione di testimonianze ed eventualmente di consulenza medica. L'opposizione e' sicuramente ammissibile in quanto presentata in termini e contenente la richiesta di nuove prove non palesemente irrilevanti ma che, a parere dello scrivente, non porterebbero comunque ad una diversa valutazione conclusiva. A questo punto pero' il g.i.p. pertanto tenuto a fissare udienza in camera di consiglio per discutere sull'opposizione e deve invitare il medico di guardia, gia' identificato e contro cui e' indirizzata espressamente la denunzia, a nominarsi un difensore di fiducia o ad accettare un difensore d'ufficio (poco importa invero che egli non sia stato iscritto nel registro degli indagati, essendo certa l'attribuzione a lui di un reato e comportando la sua mancata convocazione la sicura nullita' di ogni ulteriore atto). Premessa Il nostro sistema processuale presenta un'anomalia (non ignota comunque ad altri ordinamenti) che lo pone in contrasto con l'art. 23 della Costituzione, secondo cui nessuna prestazione personale o patrimoniale puo' essere imposta se non in base alla legge, disposizione che va ovviamente correlata con il principio di eguaglianza; il che sta a significare che ogni prestazione deve rispondere a due requisiti imprescindibili: 1) essere prevista specificamente dalla legge; 2) essere applicata al singolo cittadino in forza di regole generali che prevedano esattamente le situazioni oggettive che, nel rispetto del principio di eguaglianza, comportano l'obbligo della prestazione nel caso concreto. E' percio' da escludersi che la prestazione possa derivare quale comportamento occasionale e libero di un funzionario pubblico. Questa regola non trova applicazione nel nostro codice di proceduta penale il quale prevede che ogni persona indagata deve essere munita di un difensore, che assegna un difensore di ufficio a chi sia privo di un difensore di fiducia e che poi (art. 31 Disp. att. c.p.p.) stabilisce l'obbligo per l'indagato di retribuire il difensore d'ufficio assegnatogli. Questo significa, in termini concreti, che anche l'indagato per sbaglio, anche l'indagato che senza alcuna difficolta' puo' comprovare la sua estraneita' all'indagine (si pensi all'errore di identificazione o al possesso di un alibi documentale), solo per il fatto che il p.m. decide di convocarlo per un interrogatorio o di dargli avviso di una perizia, si trova poi ad essere obbligato al pagamento di una parcella. Siamo di fronte quindi ad una situazione in cui il fatto di dover effettuare una prestazione nasce si' in forza di una norma di legge, ma poi, nell'applicazione concreta, trova o meno applicazione a seconda delle scelte operate dal p.m., molto spesso ampiamente discrezionali: egli puo' iscrivere o meno come persona indagata, egli puo' anticipare o ritardare la richiesta di archiviazione, egli puo' decidere se sia o meno necessario procedere all'interrogatorio dell'indagato. Avviene cosi', ad esempio, che se il p.m., prima di indagare un soggetto, procede ad accertamenti preliminari di p.g. l'interessato possa chiarire la propria posizione tempestivamente e senza danni; se il p.m. procede direttamente alle indagini e' quasi inevitabile che il soggetto si veda costretto, suo malgrado, a prendersi un difensore di fiducia o d'ufficio. E talvolta, nella mente del cittadino ignaro degli inesorabili meccanismi giudiziari, puo' persino sorgere il sospetto che il p.m., abbia scelto una certa via processuale, piuttosto di un'altra, proprio per "castigarlo" mediante le altrettanto inesorabili spese legali. Questa premessa non attiene strettamente alla questione in esame, ma e' stata fatta per porre in evidenza come nel nostro sistema giudiziario sia rilevante il problema dei costi che il cittadino e' costretto a sopportare quando, anche senza sua colpa e responsabilita', sia coinvolto nel meccanismo giudiziario: una denunzia o querela infondata, un errore da parte della polizia giudiziaria, un eccesso di zelo della pubblica accusa, comportano il pagamento obbligatorio di somme anche rilevanti, senza che il cittadino abbia modo alcuno di rifarsi contro il responsabile o verso lo Stato. Avviene cosi', ad esempio, che chiunque puo' sporgere querela per diffamazione a mezzo stampa e, se il p.m., non decide di archiviare la querela, il querelato si trova a difendersi, affiancato dall'ineludibile difensore, davanti al giudice; pero' anche il caso di proscioglimento con la formula che il fatto non costituisce reato (formula di rito quando si sia fatto esercizio del diritto di cronaca), il querelante non risponde in alcun modo ne' per le spese ne' per i danni (artt. 427 e 542 c.p.p.) e non rischia assolutamente nulla. Avviene cosi', ad esempio, che un soggetto possa far causa civile ad altri, anche del tutto temeraria, che possa causare danni e spese per decine di milioni, senza che il danneggiato possa pretendere una preventiva garanzia di essere poi rimborsato (in altri paesi e' espressamente previsto che il giudice possa imporre la prestazione di una cauzione). Il caso in esame e' esemplare sotto questo profilo. Di fronte ad una denunzia il p.m. ha svolto delle indagini e poi ha deciso che non vi erano elementi per configurare un reato a carico di chicchessia. Ha quindi chiesto l'archiviazione degli atti per infondatezza della notizia di reato. Il denunziante ha proposto opposizione chiedendo l'assunzione di ulteriori prove. A questo punto sarebbe ragionevole che il g.i.p. investito dell'archiviazione, potesse fare una delibazione degli elementi in atti e delle prove proposte, che potesse fare una prognosi circa la sostenibilita' dell'accusa in giudizio, anche nel caso di esito favorevole delle nuove prove, e che quindi effettuasse un controllo di garanzia di fronte ad una iniziativa di un privato sicuramente dannosa per il possibile indagato. Ed invece no, perche' la Cassazione, in ripetute sentenze, ha affermato che il g.i.p. in una tale situazione e' obbligato a fissare udienza di comparizione delle parti avanti a se'. Se pero' il g.i.p. fissa l'udienza, e' obbligato a nominare un difensore all'indagato ed a mettere cosi' in moto un meccanismo che portera' inevitabilmente l'indagato ad ansie, preoccupazioni, perdita di tempo e, ovviamente, al trasferimento forzoso di parte dei suoi redditi ad un avvocato. Nel caso di specie, per di piu' si verifica anche che l'istanza del privato provoca l'attribuzione della qualita' di indagato ad un altro cittadino. Si realizza percio' appieno l'ipotesi esaminata nelle premesse, di una prestazione prevista si per legge, ma la cui applicazione nel caso concreto e' rimessa all'iniziativa di un cittadino, senza alcun controllo, senza alcuna possibilita' di rivalsa, senza alcuna responsabilita' per danni. Ne' e' sostenibile che il precetto costituzionale sia osservato solo perche' l'incappare in una grana giudiziaria senza aver fatto nulla per meritarselo, sarebbe una specie di disgrazia mandata dal cielo che assicura l'eguaglianza solo perche' puo' capitare a tutti senza distinzioni. La casualita', e' evidente, per essere tale non deve dipendere da iniziative o scelte umane, mentre nei casi sopra esposti si e' invece proprio di fronte ad un meccanismo anomalo che consente ad un cittadino (poco importa se in buona fede o in malafede o querulomane) di creare danni e costi ad altri senza risponderne in alcun modo. Si aggiunga che l'obbligo di retribuire il difensore d'ufficio non e' minimamente vincolato all'accertamento di un comportamento colposo o doloso del soggetto che potrebbe, questo si', far scattare l'obbligo di legge con il prescritto carattere di generalita', ma e' riconnesso al semplice fatto di essere incappati nelle maglie della giustizia, fatto che per l'innocente non e' dovuto al caso, ma deriva sempre da errore, dolo o colpa di altri soggetti ben individuabili. La circostanza che questo onere scatti automaticamente, comporta che il cittadino e' del tutto privo di ogni tipo di difesa anche di fronte a comportamenti illegittimi di terzi (violazione dell'art. 24 Cost.) e viola il principio di presunzione di innocenza (art. 27 Cost.) perche' addossa degli oneri al cittadino non a seguito di una condanna, ma in relazione al solo fatto casuale di essere indagato. D i r i t t o Lo scrivente ritiene che siano prospettabili, in relazione al caso in esame, i seguenti due aspetti di incostituzionalita': 1) incostituzionalita' dell'art. 410, comma 3, c.p.p. nella parte in cui, secondo l'interpretazione datane dalla Corte di cassazione, consente al privato che assume di essere parte offesa di un reato, di provocare la fissazione dell'udienza in camera di consiglio per discutere in merito alla richiesta di archiviazione proposta dal p.m., senza possibilita' di un severo vaglio della richiesta da parte del g.i.p. cosi' legittimando qualunque cittadino a far subire ad altri spese legali ed a protrarre a suo carico nel tempo la qualita' di soggetto indagato. La giurisprudenza della Cassazione nel senso indicato e' assolutamente costante e confermata a sezioni unite 15 marzo 1996 n. 2 (cfr. anche Cass. 28 maggio 1996, n. 1440, 23 luglio 1996 n. 3474); 2) incostituzionalita' dell'art. 31 disposizioni di attuazione al c.p.p. che addossa obbligatoriamente al cittadino l'onere di pagare l'onorario al difensore di ufficio in funzione di un comportamento di un terzo, sia esso un privato o un pubblico ministero, indipendentemente dall'accertamento di un suo comportamento colposo o doloso e di un provvedimento che, effettuato tale accertamento, gli addossi l'onere. Entrambe le questioni sollevate sono rilevanti nel caso di specie, in modo autonomo l'una dall'altra perche' questo g.i.p. nel caso che le norme fossero costituzionalmente legittime, dovrebbe fissare udienza con tutte le conseguenze prospettate e si deve accertare se sia giusto l'automatismo che porta alla fissazione dell'udienza e, d'altro canto, se sia giusto che un privato possa essere legittimato, anche in mancanza di una richiesta dell'Autorita', a mettere in moto un meccanismo che provochera' un sicuro esborso a carico di un altro cittadino. Si consideri che anche in questo caso questo g.i.p. e' tenuto a nominare un difensore all'indagato e che pertanto la questione sub 2) e', per cosi' dire, in re ipsa.