IL PRETORE Premesso che: l'imputazione di oltraggio formulata a carico di Bertelli Stefano Marco, con decreto di giudizio immediato 15 dicembre 1998 del g.i.p. presso la locale pretura, emesso a seguito di opposizione a decreto penale di condanna pronunciato dalla stessa a.g. il 2 novembre 1998, origina da una vicenda per la quale il medesimo imputato ha, a sua volta, querelato il vigile urbano Ramoni Fulvio per il reato di minacce aggravate dalla qualita' di pubblico ufficiale, con atto depositato il 20 luglio 1998 presso la stazione Carabinieri di Cannobio; presentata opposizione al decreto penale sopra indicato, il difensore dell'imputato chiedeva formalmente al procuratore della Repubblica presso la locale pretura, con istanza 11 dicembre 1998, che detta a.g. emettesse il decreto di citazione a giudizio nei confronti del Ramoni Fulvio "onde poi consentire all'interessato Bertelli Stefano di chiedere aI pretore la riunione dei due processi"; il procuratore della Repubblica rigettava oralmente l'istanza non ritenendo necessaria la riunione e riservandosi di valutare l'emissione del decreto di citazione a giudizio nei confronti del Ramoni all'esito del processo a carico del Bertelli, secondo quanto riferito dal difensore di questi in sede di richiesta prove; alla data odierna non risulta emesso alcun decreto di citazione a giudizio, ne' richiesta di archiviazione a carico del Ramoni per il reato di minacce aggravate; O s s e r v a Le prove richieste dalle parti consistono sostanzialmente da un lato nell'escussione del vigile urbano cui si deve la denuncia per oltraggio, il ridetto Ramoni Fulvio, dall'altro nell'escussione di Bertelli Giovanni, padre dell'imputato e di Santoro Pasquale, entrambi indicati presenti ai fatti gia' nella querela sporta dall'imputato, cosi' che non vi e' dubbio alcuno che l'odierna vicenda processuale faccia riferimento allo stesso episodio, inquadrato rispettivamente come oltraggio o come minaccia aggravata dalle due parti, e che l'istruttoria andra' necessariamente ad investire l'esame della sussistenza o meno della minaccia da parte del Ramoni, quantomeno al fine di esaminare la presenza a favore dell'imputato della scriminante della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale, la cui estensione e' stata puntualmente precisata con sentenza n. 140/1998 della Corte costituzionale; In tale contesto elemento centrale del giudizio sara' sicuramente l'esame dell'attendibilita' dei vari testi, e dunque delle due opposte versioni, cosi' che in qualsiasi caso questo giudice si trovera' di fatto a pronunciarsi indirettamente anche sulla commissione o meno da parte del Ramoni del reato per il quale e' stato querelato; L'impossibilita' per il giudice di sospendere il processo a carico del Bertelli ed ordinare al pubblico ministero di prendere le proprie decisioni in ordine all'esercizio o meno della azione penale a carico del Ramoni, poiche' la riunione dei processi puo' essere disposta, a mente dell'art. 17 c.p.p., soltanto per "processi pendenti nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice", o in alternativa l'impossibilita' di dichiarare la nullita' del decreto di citazione a giudizio per aver omesso il pubblico ministero di istruire e prendere le proprie determinazioni in ordine alla notizia di reato la cui prova influisce sulla prova del reato per cui e' stata esercitata l'azione penale, poiche' tale circostanza non e' enunciata nell'art. 555/2 c.p.p. tra le cause di nullita' del decreto di citazione a giudizio, non possono che condurre nel presente caso ad una rilevante serie di distorsioni processuali, con innegabili riflessi sul diritto di difesa e sul corretto svolgimento dell'amministrazione della giustizia; E' infatti evidente che il Ramoni, unica fonte di prova della pubblica accusa, non potra' deporre giurando come teste in forza del divieto di cui all'art. 197, lett. b) c.p.p., attesa l'evidente connessione interprobatoria di cui all'art. 371/2, lett. b) c.p.p. col procedimento aperto a suo carico, perche' la sussistenza della minaccia integra necessariamente la scriminante della reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale, cosi' che nel caso egli appare portatore di un interesse che puo' contrastare con il dovere di rispondere secondo verita', con conseguente incompatibilita' tra la sua situazione processuale e l'ufficio di testimone (cfr. Corte cost. sent. n. 109/1992), e dunque sara' sottoposto ad esame con l'assistenza di un difensore quale imputato di reato collegato a quello per cui si procede; Qualora poi decidesse di avvalersi della facolta' di non rispondere potrebbe paralizzare del tutto l'accusa (quali contestazioni muovergli - sugli atti redatti, e non sulle deposizioni rese - secondo la recente rilettura del giudice delle leggi dell'art. 513 c.p.p. ?); Oppure potrebbe trovarsi a dover decidere all'improvviso se avvalersi o meno della facolta' di non rispondere (scoprendo solo in dibattimento di essere stato querelato), con ricadute verosimilmente negative sulla scelta e sulla preparazione della sua difesa; Mentre e' evidente che una preliminare valutazione unitaria dell'intera vicenda da parte del pubblico ministero consentirebbe ed imporrebbe, attese le due versioni diametralmente opposte, di esercitare l'azione penale per l'una e di richiedere l'archiviazione per l'altra, cosi' che colui che non ha mai assunto la veste formale di imputato, perche' oggetto di decreto di archiviazione del g.i.p., potrebbe deporre in dibattimento giurando come teste e non come imputato di procedimento collegato, almeno secondo una certa (minoritaria) condivisibile interpretazione giurisprudenziale dell'art. 197 c.p.p. (Cass. sez. I sent. n. 11837 dell'11 dicembre 1992): l'unica che puo' impedire la svalutazione delle fonti di prova dell'accusa mediante iniziative strumentali dell'indagato; E cio' allo stato potrebbe essere possibile solo col dichiarare la nullita' del decreto di citazione a giudizio, rendendo tra l'altro cosi' censurabile il mancato rispetto da parte del pubblico ministero del principio di cui all'ultima parte dell'art. 358 c.p.p., che gli fa obbligo di svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini (ed il prendere in considerazione la querela di questi non puo' che rientrare in tale previsione), e dunque assicurando il rispetto del principio costituzionale dell'obbligatorieta' dell'azione penale, altrimenti palesemente aggirato col trattare discrezionalmente prima l'una e poi, a seconda dell'esito processuale, l'altra vicenda; In alternativa il recupero processuale della situazione da parte del giudice, che potesse ordinare al p.m. di esercitare l'azione penale al fine di riunire i due procedimenti nello stesso grado (in analogia con il potere del g.i.p. di rigettare la richiesta di giudizio immediato per un solo imputato per il preminente interesse alla ricostruzione dei fatti tramite un unico processo a tutti i coimputati, riconosciuto in via interpretativa da Cass., sez. V, sent. n. 1245 del 31 gennaio 1998), potrebbe porre le parti in posizione di parita' sostanziale, consentendo ad un unico giudice del fatto di apprezzare la vicenda con le parti calate per intero nella doppia veste di accusatore ed imputato, non solo formalmente come invece accade oggi se l'accusatore e' imputato di un procedimento collegato inevitabilmente di la' da venire e, potendo dire e non dire, puo' orientare il dibattimento a carico dell'antagonista, e quindi il suo, senza rischiare piu' di tanto; Si aggiunge inoltre che una pronuncia indiretta sulla minaccia nel giudizio sull'oltraggio pregiudica in ogni caso l'eventuale giudizio a carico del Ramoni: o nella persona del giudice, che potrebbe astenersi pur non essendovi una situazione di incompatibilita' e non rientrando il caso nell'ambito delle previsioni dell'art. 36 c.p.p., o nel giudizio del giudice nominato al suo posto, che inevitabilmente terra' presente la prima decisione, e che si trovera' ad acquisire ex art 238/1 c.p.p. i verbali delle prove assunte nel primo processo, con ulteriore complicazione e duplicazione dell'attivita' processuale gia' effettuata, aprendosi comunque eventualmente la strada ad un procedimento di revisione ex art. 630, lett. a) c.p.p.; Si noti poi che la vicenda processuale in esame ben puo' essere inquadrata come caso in cui "la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza", ovverosia come un tipico caso in cui per processi nello stesso stato e grado di giudizio sarebbe possibile la riunione a mente dell'art. 17, lett. d) c.p.p., viceversa impedita dalla scelta discrezionale ed insindacabile del pubblico ministero, ed ancora che detta vicenda non e' strutturalmente dissimile da evenienze ancora piu' eclatanti, come ad esempio il caso di querele reciproche tra privati per fatti diversi scaturiti dal medesimo episodio, cioe' il caso di reati commessi da piu' persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero un'altra ipotesi tipica di riunione di processi ex art. 17, lett. c) c.p.p.: mal si concilia pertanto la piu' ampia discrezionalita' che la giurisprudenza di legittimita' attribuisce al giudice nel far uso del potere di cui all'art. 17 c.p.p. con la possibilita' che cio' gli sia di fatto precluso in ipotesi tipiche dalla scelta di una parte processuale qual e' il pubblico ministero; Il principio della prevalenza dell'esigenza di compiuto accertamento del fatto sulle decisioni del pubblico ministero in ordine all'esercizio dell'azione penale e' del resto gia' espressamente accolto dall'ordinamento all'art. 449/6 c.p.p., laddove stabilisce la riunione dei procedimenti connessi di cui solo uno sia stato instaurato dal pubblico ministero con giudizio direttissimo, e la prevalenza del rito ordinario; Laddove cio' sia ritenuto indispensabile dal giudice, conclusivamente solo una revisione complessiva della tematica inerente l'assunzione delle qualifiche processuali, in relazione alle iniziative dei privati o alle scelte del pubblico ministero, attesa la ripercussione delle stesse in ambito processuale e dunque in sede di formazione della prova, puo' evitare incongruenze, discrezionalita', disparita' e duplicazioni quali quelle sopra enunciate, e, correlativamente a questa, al fine di assicurare la parita' tra le parti processuali e l'ordinato svolgimento della giustizia, nel caso di mancata valutazione complessiva da parte dell'organo dell'accusa di una medesima vicenda processuale, sia pure diversamente qualificata, occorre prevedere per il giudice del dibattimento il potere ripristinare la medesima fase processuale per reati nei quali la prova dell'uno influisce sulla prova dell'altro: o facendo retroagire l'unico per cui e' stata esercitata l'azione penale (con dichiarazione di nullita' del relativo decreto di citazione a giudizio) o imponendo la riunione in sede dibattimentale per quello dimenticato in fase di indagini preliminari; Diversamente la celebrazione di un processo quale il presente, destinato a sanzionare o meno solo una parte di un'unica vicenda storica in cui esistono altri risvolti penali pendenti ma momentaneamente sospesi, non puo' che portare alla marcata violazione dei principi costituzionali espressi: dall'art. 2 della Costituzione in ordine alla garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, in particolare quello di difendersi agendo in giudizio in condizioni di parita', perche' porta al dibattimento un imputato le cui ragioni non sono state vagliate in istruttoria dall'organo imparziale della pubblica accusa; dall'art. 3 della Costituzione in ordine al principio di uguaglianza, perche' contrappone in sede processuale un privato ad un pubblico ufficiale con adesione acritica del pubbIico ministero al rapporto del p.u., visto che non viene esaminata la censura del privato al comportamento di questi, cosi' che il cittadino si trova ad essere imputato sostanzialmente per scelta del suo antagonista, senza che le sue opposte ragioni abbiano trovato udienza presso chi aveva l'obbligo di valutarle, ed in ordine al principio di ragionevolezza che impone un'unica valutazione unitaria della medesima vicenda e dunque la preferenza per il simultaneus processus; dall'art. 24 della Costituzione in ordine alla possibilita' per tutti di agire in giudizio, perche' impedisce all'imputato querelante l'esame in istruttoria della sua querela o l'azione in giudizio nei confronti del suo accusatore in posizione di parita'; dall'art. 25 della Costituzione in ordine alla precostituzione del giudice naturale, perche' porta davanti al suo giudice naturale un imputato non ancora in tale effettiva condizione, costringendo il giudice a pronunciarsi comunque in modo anomalo sulla sua eventuale responsabilita'; dall'art. 97 della Costituzione in ordine al buon andamento della pubblica amministrazione, perche' consente la duplicazione di procedimenti strutturalmente unitari, aprendo la strada ad esiti eventualmente confliggenti; dall'art. 112 della Costituzione in ordine alla obbligatorieta' dell'azione penale, perche' consente al pubblico ministero di scegliere discrezionalmente solo un inquadramento penale della medesima vicenda senza contestualmente sottoporre l'altro al giudice, quantomeno con preliminare richiesta di archiviazione;