IL PRETORE
                               F a t t o
   Con  ricorso  al  pretore  di  Milano, depositato in data 10 aprile
 1998, la S.r.l. Duebi, con sede in Milano, via privata Maria  Teresa,
 6, ha chiesto l'annullamento di molteplici verbali di accertamento di
 violazioni  del  regolamento comunale sulla pubblicita' del comune di
 Milano.
   A sostegno  della  introdotta  domanda  l'istante  ha  eccepito  la
 nullita'  di  una  parte  dei  verbali impugnati in quanto notificati
 oltre  il  termine  prescrizionale  di  centocinquanta  giorni  dalla
 violazione,  sancito  dall'art.  24, comma 2, del d.lgs. n. 507/1993;
 l'istante ha inoltre eccepito la violazione  dell'art.  3,  comma  4,
 della  legge  7  agosto  1990,  n.  241,  nonche'  la  sussistenza di
 molteplici vizi giuridici, tra i quali:
     erroneo richiamo della norma regolamentare violata;
     mancanza   di    indicazione    dell'autorita'    cui    proporre
 l'impugnazione;
     mancata indicazione del responsabile del procedimento;
     mancata applicazione della normativa in materia di continuazione;
     trattandosi di "piu' violazioni della stessa disposizione".
   Costituitosi   in   giudizio   il   comune   di   Milano   a  mezzo
 dell'avvocatura comunale,  eccepiva  preliminarmente  che  l'art.  22
 della  legge  16  ottobre  1981,  n.  689,  non ammette il ricorso al
 pretore avverso i verbali di accertamento, bensi' soltanto avverso le
 successive  ordinanze-ingiunzioni:     sicche'  il   ricorso   doveva
 dichiararsi inammissibile.
   La   ricorrente   Duebi   contrapponeva  che,  ove  fosse  ritenuta
 applicabile l'obsoleta normativa di cui alla legge  n.  689/1981,  in
 tale  ipotesi  era  necessario  rimettere  la  questione  alla  Corte
 costituzionale, in quanto detta normativa appariva largamente viziata
 per violazione di diversi principi costituzionali.
                             D i r i t t o
   Al fine di puntualizzare e schematizzare  la  situazione  giuridica
 venutasi  a  creare,  che  ingenera anche una rilevante confusione ed
 incertezza sul diritto  applicabile,  e'  preliminarmente  necessario
 esaminare la successione della legislazione intervenuta in materia di
 sanzioni amministrative:
     A)   in   tema   di   sanzioni  amministrative  in  generale,  il
 legislatore,   in   occasione   della    legge    sulla    cosiddetta
 "depenalizzazione"  (legge  24  novembre 1981, n. 689), regolamento'.
 l'intera materia: si tratta peraltro di una legge vecchia di circa 18
 anni, periodo nel quale molti e diversi principi sono  stati  sanciti
 in modo inequivocabile dalla Corte costituzionale;
     B)  nei suddetti 18 anni inoltre, in tema sanzioni tributarie, ma
 anche in altre  materie    -  si  pensi  alle  sanzioni  in  tema  di
 circolazione  stradale,  o a quelle in tema di inquinamenti - molta e
 diversa legislazione e' intervenuta: ma mai riferita  alla  normativa
 generale  della citata legge n. 689/1981; soprattutto mai limitante o
 comprimente il diritto di difesa giudiziale;
     C)  finalmente,  con    i  tre  d.lgs. nn. 471, 472 e 473, del 18
 dicembre 1997, le "sanzioni  amministrative per violazioni  di  norme
 tributarie"  sono state regolamentate in coerenza ai principi sanciti
 dalla Corte costituzionale e comunque con tutte le dovute tutele  del
 diritto di difesa giudiziale.
   I  suddetti  tre  decreti  legislativi  sono entrati in vigore il 1
 aprile 1998;
     D) in particolare, l'art. 12, comma 1, lett. b),  del  d.lgs.  n.
 473/1997  (nel  capo  IV,  titolato  "Sanzioni  in materia di tributi
 locali") cosi' recitava:
     al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, sono apportate  "le  seguenti
 modificazioni:  ...  (omissis)  ...; b)nell'art. 24, comma 1, secondo
 periodo, le parole "si osservano le norme contenute nelle sezioni I e
 II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689"  sono  sostituite
 dalle  seguenti:  "si  osserva  la disciplina generale delle sanzioni
 amministrative per le violazioni delle norme tributarie": con cio' si
 superavano - entrata in vigore prevista per il 1 aprile 1998 - (anche
 per le sanzioni sulla pubblicita') le obsolete norme della  legge  n.
 689/1981;
     E)  tuttavia  inopinatamente,  e  peraltro senza alcuna logicita'
 giuridica, l'art. 4, comma 3, del successivo d.lgs. 5 giugno 1998, n.
 203 ("Disposizioni integrative e correttive"), cosi recitava:
     al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, sono  apportate  le  seguenti
 modificazioni:  a)  nell'art. 24, riguardante sanzioni amministrative
 in materia di imposta comunale sulla pubblicita'  ...,  al  comma  1,
 secondo periodo, come modificato dall'art. 12, comma 1, lett. b), del
 d.lgs.  18 dicembre 1997, n. 473, le parole "si osserva la disciplina
 generale delle sanzioni amministrative per le violazioni  tributarie"
 sono  sostituite  dalle  seguenti:  "si  osservano le norme contenute
 nelle sezioni I e II del capo I della  legge  24  novembre  1981,  n.
 689,  o,  per  la  violazione  delle  norme  tributarie, quelle sulla
 disciplina  generale   delle   relative   sanzioni   amministrative".
 L'entrata  in  vigore  di  detto  d.lgs. n. 203/1998 era retroattiva,
 cioe' il 1 aprile 1998: e per di piu' rimetteva  -  pari  pari  -  in
 vigore  le  obsolete  norme della vecchia legge n. 689/1981, le quali
 appaiono   incostituzionali   sotto   molteplici   profili.        La
 contraddittorieta'  intrinseca  -  icto  oculi  -  del descritto iter
 legislativo, nonche' la  connessa  confusione  giuridica  ingenerata,
 sono   poi   aggravate,  se  possibile,  da  due  ulteriori  "abnormi
 circostanze":
     il suddetto d.lgs. n. 203/1998, che e' dei primi di giugno, viene
 pubblicato soltanto un mese  dopo  sulla  Gazzetta  Ufficiale  (il  1
 luglio  1998),  tuttavia  con  la  declaratoria (art. 5) di efficacia
 retroattiva al 1 aprile 1998;
     per contro la circolare del Ministero delle finanze n. 180/E, pur
 essendo datata 10 luglio 1998  -  la  quale  analizza  ed  interpreta
 l'articolato  dell'intera normativa dei tre d.lgs. nn. 471, 472 e 473
 -, non tiene minimamente conto del d.lgs n. 203, come  se  lo  stesso
 neppure esistesse.
   Tutto  cio'  premesso,  appaiono  rilevanti  e  non  manifestamente
 infondate:
     la questione di legittimita' costituzionale del d.lgs. n. 203 del
 5 giugno 1998, sotto il profilo dell'illegittima irretroattivita';
     la   questione   di  legittimita'  costituzionale  del  combinato
 disposto di cui agli artt. 18 e 22 della legge 24 novembre  1981,  n.
 689  -  che  dal  suddetto  decreto vengono rimessi in vigore - per i
 seguenti motivi:
      1)  la  lesione  dei  diritti  essenziali  della  difesa,  e  la
 violazione  del  principio  della immediata impugnabilita' degli atti
 davanti  alla  magistratura,   nonche'   della   certezza   temporale
 dell'esercizio di tale diritto costituzionale;
      2)  la  violazione  del  principio  del  giudice  naturale.   La
 situazione giuridica  in  essere,  in  applicazione  della  legge  n.
 689/1981.    Il  meccanismo  di  cui  alla  normativa  della legge n.
 689/1981 (comb.  disp. degli artt. 16, 18 e 22 appare a giudizio  del
 pretore  "perverso ed illegittimo": in violazione di diversi principi
 costituzionali.  La legge 24 novembre 1981, n. 689:
     per un verso, ammette  il  pagamento  della  sanzione  in  misura
 ridotta  (pari  alla  terza  parte  del  massimo)  entro  il  termine
 tassativo di sessanta giorni dalla contestazione (art. 16);
     per altro verso,  prevede  solo  la  possibilita'  di  presentare
 (peraltro  alla  stessa  autorita' che ha emesso la sanzione) scritti
 difensivi e documenti (art.  18)  -  al  fine  di  contestare  l'atto
 notificato -, ma non prevede alcun termine finale entro cui il comune
 deve rispondere a detti scritti difensivi.
   Sicche',  in  pratica,  al  soggetto  che riceve la notifica di una
 sanzione amministrativa, la legge pone soltanto la  seguente  abnorme
 alternativa:
     o   pagarla   in  misura  ridotta,  con  cio'  pero'  rinunciando
 definitivamente   a   qualsiasi   possibilita'   di    eccezione    o
 contestazione,  senza quindi alcuna possibilita' di difesa giudiziale
 davanti al giudice ordinario;
     ovvero presentare scritti difensivi ed attendere - e   sperare  -
 che  l'amministrazione  li valuti, e di conseguenza annulli d'ufficio
 la sanzione. Scelta tale seconda ipotesi, in carenza di risposta  del
 comune  che  non  ha  alcun  termine  e  quindi in sostanza non vi e'
 tenuto, il soggetto si ritrova a non potere piu' pagare  la  sanzione
 in misura ridotta - essendo nel frattempo decorsi i suddetti sessanta
 giorni   -,  e  quindi  potendo  solo  attendere  la  notifica  della
 successiva  ordinanza-ingiunzione,  che  peraltro  costituisce   gia'
 titolo  esecutivo  ad  ogni effetto (art. 18, ultimo comma).  Si deve
 solo aggiungere che la citata ordinanza-ingiunzione - che costituisce
 il primo atto dell'esecuzione -, portante il  totale  della  sanzione
 (con  l'aggiunta  di spese ed interessi) avverso la quale soltanto la
 legge ammette finalmente il ricorso al giudice ordinario  (art.  22),
 interviene  "normalmente"  molti  anni  dopo  la  contestazione della
 sanzione (in genere 4 o 5 anni dopo), cioe'  in  tempi  non  coerenti
 alla  convulsa  vita  moderna.    L'illegittimita' costituzionale del
 d.lgs. n. 203/1998.  L'art. 25, secondo  comma,  della  Costituzione,
 come  l'art.  11  delle preleggi, escludono che una legge possa avere
 efficacia retroattiva rispetto alla  data  della  sua  pubblicazione:
 data che, nella specie, e' il 1 luglio 1998.
   Tutela  costituzionale particolarmente ribadita per la legge penale
 ed in genere per la "normativa che attiene al  quadro  sanzionatorio"
 (come  nella  specie):  a  fortiori  ove  la retroattivita' non trova
 alcuna  adeguata  giustificazione  sul  piano  della  ragionevolezza,
 ponendosi   anche   in   contrasto   con   altri  principi  e  valori
 costituzionalmente protetti (cfr. Corte cost., sentt. n. 6, n. 153  e
 n. 397 del 1994; sentt. n. 68 e n. 376 del 1995).  In effetti, l'art.
 5  del  citato d.lgs. n. 203/1998 stabilisce che "le disposizioni del
 presente decreto hanno effetto a decorrere dal 1 aprile 1998".
   La retroattivita' della particolare norma di cui all'art. 4,  comma
 3  -  che  modica "nuovamente" l'art. 24 del d.lgs. n. 507/1993 sulla
 pubblicita' -, appare dunque costituzionalmente illegittima e  dovra'
 esser  annullata dalla Corte.  Le illegittimita' costituzionali degli
 artt. 18 e 22 della legge n. 689/1981.
   Poiche' il citato d.lgs. n. 203/1998  riporta  in  vigore,  per  le
 sanzioni,  le  norme  di cui alla legge n. 689/1981, si evidenziano i
 possibili vizi costituzionali della stessa, che -  in  una  parola  -
 impediscono  al  cittadino  di difendersi e di contestare, davanti al
 giudice ed in termini certi, le sanzioni che la  p.a.  gli  notifica.
 Specificamente  gli  artt.  18  e 22 della legge n. 689/1981 appaiono
 viziati,  in  quanto  violano  la  Costituzione,  ed  in  particolare
 violano:
     l'art.  3,  comma  primo, (uguaglianza dei cittadini davanti alla
 legge);
     l'art.  24  (tutela  giurisdizionale  di  diritti  ed   interessi
 legittimi):    "tutti  possono  agire  in  giudizio per la tutela dei
 propri  diritti  ed  interessi  legittimi".  La  difesa  e'   diritto
 inviolabile in ogni stato e grado del "procedimento";
     l'art.  25  (giudice naturale): "Nessuno puo' essere distolto dal
 giudice naturale precostituito per legge)";
     l'art. 113 (immediata impugnabilita' degli  atti  della  pubblica
 amministrazione  davanti  agli  organi  giurisdizionali): "Contro gli
 atti della pubblica  amministrazione  e'  sempre  ammessa  la  tutela
 giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi".
   1.  -  Lesione dei diritti essenziali della difesa e violazione del
 principio  dell'immediata  impugnabilita'  degli  atti  davanti  alla
 magistratura.
   La  sanzione  amministrativa  per definizione e' l'atto conseguente
 alla violazione - rectius "Contestata  violazione"  -  di  una  norma
 precettiva, che puo' avere natura sia legislativa che regolamentare.
   Nella  fattispecie,  il  comune  di Milano ha contestato molteplici
 violazioni di una norma del vigente regolamento sulla pubblicita', in
 quanto le "targhe su palo" esposte dalla ricorrente  non  riportavano
 tutte  le  indicazioni  sulla  previa  autorizzazione amministrativa,
 necessarie a  norma  di  regolamento.    La  contestazione  di  detta
 violazione e' avvenuta - come di norma - a mezzo di apposito verbale,
 redatto dalla vigilanza urbana, che e' stato notificato all'esponente
 insieme  con  l'atto  che applicava la conseguente sanzione, indicata
 nel totale, nonche' nella misura parziale, per l'ipotesi di oblazione
 entro sessanta giorni (vedi docc. alleg., sub A), da 1) a 44); sub  B
 da  1) a 83)).  Detto atto amministrativo notificato (Che corrisponde
 in sede civilistica al  decreto  inguntivo)  ha  piena  ed  immediata
 efficacia  imponendo  il  pagamento  delle relative somme a titolo di
 sanzione: per cui contro il predetto atto - e connesso verbale  -  il
 cittadino  deve  potere  ricorrere al pretore competente per materia,
 per fare valere ogni opportuna eccezione.
   E' cio' che ha fatto l'esponente, presentando il ricorso in esame.
   Ma e' con precisione cio' che espressamente  esclude  il  combinato
 disposto  degli  artt.18  e  22 della legge n. 689/1981 in quanto non
 ammette ricorso  all'autorita'    giudiziaria  se  non  in  una  fase
 successiva  e  per  di  piu'  del  tutto indeterminata nei tempi - in
 pratica  di  molti  anni successiva -, che e' quella della esecuzione
 coattiva della riscossione delle somme dovute da  parte  del  comune:
 fase  che inizia appunto con l'ordinanza-ingiunzione (Che corrisponde
 all'atto di precetto),  finalmente  ricorribile  avanti  il  pretore,
 anche  se  entro  un termine (solo trenta gg. dalla notifica) diverso
 dai  normali  termini  processuali  degli  atti  introduttivi,  ormai
 fissati per tutti in sessanta giorni.
   La  conferma  di  quanto esposto e' nella stessa eccezione avanzata
 dall'opposto comune  di  Milano:  che  infatti  ha  chiesto  che  sia
 dichiarata  l'inammissibilita'  del  ricorso  ex  art.  22,  legge n.
 689/1981:  sicche',  ove  fosse  accolta  detta   pregiudiziale,   il
 ricorrente  non  avrebbe  avuto  allo  stato (ne' e' dato sapere se e
 quando potra' avere), alcuna, difesa giudiziale dei propri diritti.
   La conseguente compressione del diritto alla difesa giurisdizionale
 immediata e' dunque palese: perche' il cittadino - in  vigenza  della
 citata normativa - non puo' fare valere le proprie eccezioni, nonche'
 i  vizi  da cui in ipotesi fossero indicati gli atti di contestazione
 che gli sono stati notificati.   La Corte costituzionale  piu'  volte
 investita  su  varie  norme  che limitavano la possibilita' di difesa
 giudiziale, si  e'  reiteratamente  espressa  per  la  illegittimita'
 costituzionale delle stesse per violazione degli artt. 24 e 113 della
 Costituzione: e cio' anche in casi in cui la compressione del diritto
 alla  difesa giudiziale era minore che non quella determinatasi nella
 fattispecie, trattandosi solo di un differimento  dell'azione  ad  un
 successivo  termine  che  peraltro era comunque certo.   Si vedano le
 sentenze della Corte costituzionale n. 233 del 1996, n. 56 del  1995,
 n. 360 del 1994 e n. 406 del 1993, nelle quali "si e' sempre ritenuto
 che  l'assoggettamento  dell'azione  giudiziaria all'onere del previo
 esperimento di rimedi amministrativi,  con  conseguente  differimento
 della  proponibilita' dell'azione a un certo termine decorrente dalla
 data  di  presentazione  del  ricorso,  e'  legittimo   soltanto   se
 giustificato  da esigenze di ordine generale o da superiori finalita'
 di  giustizia,  fermo  restando  che,  pur  nel  concorso   di   tali
 circostanze,  il legislatore deve contenere l'onere nella misura meno
 gravosa  possibile  (...)  L'ampiezza  della  copertura  offerta  dai
 principi  posti  dai  richiamati  parametri costituzionali e' infatti
 tale da colpire, non solo l'esclusione della tutela  giurisdizionale,
 soggettiva  od oggettiva, ma anche qualsiasi limitazione che ne renda
 impossibile  o  anche  difficile  l'esercizio.  E  cio'  segnatamente
 allorquando  si  tratti  di  controversie  (...)  che  non  implicano
 accertamenti tecnici in  funzione  dei  quali  appaia  necessario,  o
 quantomeno opportuno, che la fase giurisdizionale sia preceduta da un
 esame in sede amministrativa".
   Analogamente  anche  la  sent.  n.  507 del 1995, che ha dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale dell'art.  23,  quinto  comma,  della
 legge  n.  689/1981,  "nella  parte  in  cui  prevede  che il pretore
 convalidi il provvedimento opposto in caso di  mancata  presentazione
 dell'opponente alla prima udienza".
   Nello  stesso  senso  si  veda anche la sent. Cass. civ. sez. un. 1
 luglio 1997, n. 5897, in cui e' precisato che "il ricorso al prefetto
 (per violazioni al codice della strada) non  costituisce  presupposto
 processuale  per  potere  adire  il  giudice ordinario, che quindi e'
 meramente facoltativo".
   Nella  fattispecie  della citata normativa della legge n. 689/1981,
 la situazione, e quindi la violazione, e' ancora piu' grave,  perche'
 l'azione  giudiziale  e'  differita  sine die, ad un tempo futuro del
 tutto incerto e indeterminato; ne' peraltro vi  sono  ragionevolmente
 motivi   che  giustificano  tale  dilazione;  ne'  sono  da  esperire
 accertamenti tecnici particolari, visto che vi e' solo un verbale che
 si limita ad accertare una certa situazione di fatto.
   La lesione del diritto alla difesa appare dunque assai pregnante  e
 grave,  perche',  a  fronte di somme dovute, che possono essere anche
 rilevanti e che incidono immediatamente sulla  posizione  di  diritto
 soggettivo  del  cittadino,  questi  non  ha  alcuna  possibilita' di
 ricorrere alla normale via giudiziaria: sicche'  il  relativo  debito
 diviene  esecutivo per l'intero, risultando impugnabile soltanto dopo
 la notifica della ordinanza-ingiunzione: la quale interviene  per  di
 piu' dopo molti anni dalla sanzione notificata.
   Il  sospetto di incostituzionalita' dell'art. 22, legge 24 novembre
 1981, n. 689, che  prevede  la  possibilita'  esclusivamente  di  una
 tutela giudiziale solo successiva ed in tempi del tutto incerti, pare
 dunque non manifestamente infondato.
   Sospetto  e  dubbio  di  incostituzionalita' avvalorati da tutta la
 successiva evoluzione  legislativa  in  tema  di  sanzioni  su  molte
 materie:
     si  esamini,  ad  es., proprio il citato d.lgs. n. 472/1997 - che
 tratta pur sempre  di  sanzioni  amministrative,  seppure  di  natura
 tributaria -, il cui art. 18 offre ampie facolta' di immediata tutela
 giurisdizionale,  per  di piu' nel termine di sessanta giorni, che e'
 ormai termine consueto per le difese giudiziali;
     si veda la normativa sull'inquinamento idrico (da ultimo, ad es.,
 il d.lgs.  17 marzo 1995, n. 79, convertito in legge 17 maggio  1995,
 n.  172)  che nulla modifica rispetto ai principi generali in tema di
 difesa giudiziale immediata a fronte delle relative sanzioni,  ne'  -
 ovviamente - fa riferimento alla legge n. 689/1981;
     si veda il codice della strada, che pure prevedendo il ricorso al
 prefetto, ammette in ogni caso l'immediato ricorso al pretore avverso
 le relative sanzioni notificate al trasgressore;
     si  veda  la  legge  14  novembre 1995, n. 481 (istituzione delle
 autorita' di regolazione dei servizi di pubblica  utilita'),  nonche'
 la  legge  31  luglio  1997, n. 249 (istituzione dell'autorita' sulle
 telecomunicazioni), le quali attribuiscono al giudice  amministrativo
 -  cioe'  ad una giurisdizione piena ed effettiva - la competenza sui
 ricorsi  immediati  (nei  canonici  sessanta  giorni)  avverso  atti,
 provvedimenti  e  sanzioni delle predette autorita', senza ovviamente
 prevedere alcuna dilazione e/o rinvio, ne' tanto meno citare la legge
 n. 689/1981.
   Il richiamo della piu' recente legislazione,  nelle  piu'  svariate
 materie, potrebbe continuare: e sempre costante resterebbe l'evidenza
 di  una sempre espressa previsione dei normali rimedi giurisdizionali
 avverso alle relative emanande sanzioni  amministrative,  pure  nelle
 diverse fattispecie.
   Circostanza  questa che sottolinea altresi' una evidente disparita'
 di trattamento, tra i  cittadini  colpiti  da  sanzioni  nel  settore
 pubblicitario (quello del caso de quo), rispetto ai cittadini colpiti
 da sanzioni amministrative, sempre notificate dalla p.a., ma in tutte
 le altre e piu' diverse materie.
   Opponendosi dunque l'art. 22 della legge 24  novembre 1981, n.  689
 alla  immediata  difesa  giudiziale ed a tempi certi della stessa, si
 rende  necessario  sottoporre  la  relativa  questione   alla   Corte
 costituzionale,  per conseguirne una pronuncia che sani l'evidenziato
 vizio, annullando la citata norma.
   2. - La violazione del principio del giudice naturale.
   Analogamente appare palese che i citati artt. 18 e 22  della  legge
 n.  689/1981  distolgono  il cittadino dal proprio giudice naturale -
 che per legge generale e' costituito dalla magistratura  ordinaria  e
 amministrativa  -,   prevedendo la possibilita' di presentare scritti
 difensivi  alla  stessa  autorita'  che  ha  emesso  la  sanzione,  e
 dilazionando  ad  un  tempo  futuro  ed  indeterminato  il ricorso al
 giudice ordinario:  giudice tanto piu' competente, nella  specie,  in
 quanto  si  tratta  di  obbligazioni  pecuniarie non aventi natura di
 imposta o tassa.
   Sul punto e' conforme e consolidata la giurisprudenza  della  Corte
 costituzionale  in  applicazione  dell'art.  25,  primo  comma, della
 Costituzione.
   Tanto e quanto altro premesso e ritenuto;
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  il  giudicante
 rinvia   le   rilevate   questioni   di   legittimita'   alla   Corte
 costituzionale al fine di conoscere:
     1) se la retroattiva  applicazione  (in  forza  dell'art.  5  del
 d.lgs.    5  giugno 1998, n. 203, che stabilisce che "le disposizioni
 del presente decreto hanno effetto a decorrere  dal  1  aprile  1998)
 dell'art.  4,  comma  3,  del  citato  d.lgs.  n.  203/1998 (il quale
 "attiene al quadro sanzionatorio", in  quanto  modifica  "nuovamente"
 l'art.   24   del  d.lgs.     n.  507/1993,  sulla  pubblicita')  sia
 costituzionalmente legittima, alla luce dell'art. 25, secondo  comma,
 della  Costituzione,  cosi' come dell'art. 11 delle preleggi: i quali
 escludono che una legge possa avere  efficacia  retroattiva  rispetto
 alla data della sua pubblicazione:  data che, nella specie del d.lgs.
 n. 203/1998, e' il 1 luglio 1998;
     2)  se  il  combinato disposto degli artt. 18 e 22 della legge 24
 novembre 1981, n.  689,  nella  parte  in  cui  escludono  la  tutela
 giudiziale  immediata  contro  le sanzioni amministrative notificate,
 rinviando   la   stessa   al    momento    della    notifica    della
 ordinanza-ingiunzione,  quindi  ad  un  tempo futuro indeterminato ed
 incerto, sia costituzionalmente legittimo alla luce  degli  artt.  3,
 24,  25 e 113 della Costituzione, avuto anche riguardo agli artt. 6 e
 13  della  convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei   diritti
 dell'uomo e delle liberta' fondamentali.