IL TRIBUNALE MILITARE
   Nel procedimento penale a carico di Ferrara Mummolo Ciro,  nato  il
 31  gennaio 1972 a San Severo (FG) e residente a Milano, in via Paolo
 Lomazzo n. 10 e con dimora in Milano alla via Aleardo Aleardi  n.  3,
 imputato  del  reato  di "mancanca alla chiamata" (art. 151 c.p.m.p.)
 perche', chiamato alla  armi  mediante  pubblici  manifesti,  non  si
 presentava, senza giusto motivo, al distretto militare di Milano o ad
 altra  Autorita' militare nei cinque giorni successivi al 10 dicembre
 1998, termine ultimo prefissatogli, restando arbitrariamente  assente
 fino a tutt'oggi.
   Ha pronunziato la seguente ordinanza;
   Sulla questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, 151 e
 263  c.p.m.p.  in  relazione all'art. 14, commi 2 e 3, legge 8 luglio
 1998, n. 230 con riferimento agli artt. 3, 25, comma 1 e 103, comma 3
 della Costituzione;
                             O s s e r v a
   In data 8 giugno perveniva a questo giudice una richiesta di rinvio
 a giudizio del pubblico  ministero  nei  confronti  dell'imputato  in
 rubrica  e  per  il  reato  militare sopra meglio descritto. L'azione
 penale del 2 giugno 1999  e'  relativa  ad  una  assenza  arbitraria,
 qualificata  quale  mancanza  alla  chiamata, iniziata il 10 dicembre
 1998 e, tutt'ora perdurante  stante  il  fatto  che  l'imputato,  pur
 interrogato   in   sede   di   indagini,   e   quindi   a  conoscenza
 dell'imputazione, non ha a tutt'oggi inteso presentarsi al reparto  e
 prestare il serzizio militare obbligatorio.
   Questo  giudice,  nell'atto  di  disporre  con  decreto ex art. 418
 c.p.p.  l'udienza in camera di consiglio, dubita pero' della  propria
 giurisdizione  in  tema  di delitto di mancanza alla chiamata per una
 ipotesi  di  assenza  arbitraria  che  e'  contestata   a   tutt'oggi
 perdurante   (cio'   che  del  resto  emerge  anche  dagli  atti  del
 fascicolo); cio' stante la sopravvenuta legge 8 luglio 1998,  n.  230
 (Nuove   norme   in   materia   di   obiezione  di  coscienza)  e  la
 giurisprudenza costituzionale sviluppatasi negli ultinn anni.
    In particolare, si ritiene che non sia manifestamente infondata la
 tesi per cui il delitto di mancanza alla chiamata, come per  il  caso
 oggetto  del  procedimento  penale  a carico di Ferrara Mummolo Ciro,
 debba  andare  sottratto  alla  competenza  funzionale  del   giudice
 militare  per  essere  devoluto a quella del giudice ordinario. Tutto
 questo  dovrebbe   essere   il   frutto   logico   di   una   lettura
 costituzionalmente  intesa  degli  artt.  5,  151  e  263 c.p.m.p. in
 relazione con la norma di  cui  all'art.  14,  commi  2  e  3,  legge
 230/1998.
   Con  riferimento  all'art.  3 della Costituzione cui sono sottesi i
 principi di uguaglianza e di ragionevolezza;
   E' noto che la nuova legislazione sulla obiezione di  coscienza  ha
 abrogato  le  disposizioni  della  legge  772/1972  e  ha devoluto la
 cognizione del delitto militare di rifiuto del servizio  militare  di
 leva alla competenza funzionale del pretore del luogo ove deve essere
 svolto  il servizio militare (art. 14, commi 2 e 3). Anteriormente la
 giurisdizione apparteneva ai tribunali militari (vd. l'abrogato  art.
 8),  cosi'  come  e'  sempre  appartenuta a costoro la cognizione del
 delitto di mancanza alla chiamata.
   Orbene, fra i due delitti sopra presi in considerazione esiste  una
 perfetta  analogia,  cosi'  come  riconosciuto in precedenti sentenze
 dalla stessa Corte costituzionale (fra le altre la nn.  409/1989,  la
 343/1993   e  la  422/1993).  L'interesse  leso  tutelato  dalle  due
 fattispecie penali e' sempre militare ed e' identico: l'interesse  ad
 una  regolare  incorporazione  dei  soggetti obbligati al servizio di
 leva.
   Le modalita' oggettive di comportamento sono analoghe; trattasi  di
 fattispecie a forma libera: il rifiuto totale di prestare il servizio
 obbligatorio   con   comportamenti  commissivi  (es.  il  rifiuto  di
 indossare la divisa) od omissivi (es. il non presentarsi  al  reparto
 di  addestramento  di  cui  al precetto); e' noto infatti, che chi e'
 imputato di mancanza alla chiamata o del delitto di cui all'art.  14,
 legge 230/1998 adotta i medesimi comportamenti commissivi od omissivi
 non  distinguendosi  affatto  se  non  dalla  adduzione dei motivi di
 coscienza al rifiuto stesso.
   L'elemento materiale del delitto di  cui  alla  nuova  legge  sulla
 obiezione  di  coscienza  e'  dato  dalla  manifestazione di volonta'
 attinente  alla   inottemperanza   dell'obbligo   di   leva   facente
 riferimento   ai  motivi  di  coscienza  riconosciuti  meritevoli  di
 particolare tutela dal legislatore e  di  cui  all'art.  1,  medesima
 legge. In altri termini, quando l'incorporando manifesti altri motivi
 rispetto  a  quelli  codificati (es. politici o privati come nel caso
 dell'odierno  imputato),  oppure  non  alleghi  alcuna   motivazione,
 ricorrera'  l'altro  reato militare e cioe' quello oggi contestato di
 mancanza alla chiamata.
   La stessa pena fra i due delitti e'  identica:  reclusione  da  sei
 mesi  a due anni. Devesi ulteriormente tenere presente che i soggetti
 attivi  dei  due  delitti  militari  in  questione   sono   identici:
 l'obiettore  totale  sia  che manifesti le ragioni di cui all'art. 1,
 legge 230/1998, sia che ne manifesti altre oppure nessuna, e'  sempre
 un  iscritto  di  leva  gia'  arruolato (vd. d.P.R. 237/64) in attesa
 d'incorporazione presso un  reparto  di  addestramento,  un  militare
 considerato in servizio a norma dell'art. 5 c.p.m.p.
   Ogni obiettore totale al servizio militare (come nel caso di specie
 e'  l'odierno imputato) non e in servizio alle armi (in senso attivo)
 bensi' un semplice arruolato che ha ricevuto  la  cartolina  precetto
 che gli impone di presentarsi presso un reparto oppure (come nel caso
 di specie) che deve rispondere ad un manifesto di chiamata alle armi.
   Una  identica  situazione,  quella  del  soggetto  che regolarmente
 precettato non ha ancora assunto servizio militare, viene trattata ai
 fini della sottoposizione alla giurisdizione militare o ordinaria  in
 modo assolutamente ed incongruamente diverso. L'uno, il mancante alla
 chiamata   viene  sottoposto  alla  giurisdizione  militare,  l'altro
 l'obiettore viene sottoposto alla  giurisdizione  ordinaria.  Ma,  in
 entrambi  i  casi  il  soggetto riveste la stessa qualifica e, cioe',
 quella di militare considerato  in  servizio  ai  sensi  dell'art.  5
 c.p.m.p.
   Ora,  poiche'  e' potesta' discrezionale del legislatore attribuire
 una  fattispecie  penale  alla  cognizione  del   giudice   ordinario
 anziche',  a quella del giudice militare (giudice eccezionale dato il
 tenore dell'art. 103, comma 3 Cost.) cui in origine era  devoluta  (e
 la  cui  "militarita'" era riconosciuta dalla costante giurisprudenza
 di merito e di legittimita' che mai ebbero ad eccepire  alcunche'  in
 proposito),  e'  opportuno, pero', sottolineare che il giudizio sotto
 il profilo costituzionale  considerato  deve  svolgersi  nelle  forme
 proprie   del   criterio   di   ragionevolezza  cui  deve  sottostare
 l'attivita' del potere legislativo.
   E cio' non sembra essersi verificato.  Il  fatto  che  due  diverse
 autorita'  giudiziarie  debbano  occuparsi  del  medesimo  fatto  con
 l'unico criterio distintivo costituito  dall'allegazione  o  meno  da
 parte  dell'obiettore  dei  motivi  di  cui  all'art.  1  della legge
 230/1998 sembra non essere  ragionevole  bensi',  sproporzionato  uso
 della discrezionalita' legislativa.
   Con riferimento all'art. 25, primo comma della Costituzione;
   Dalle  considerazioni  precedenti  deriva  che  il  legislatore  ha
 demandato all'obiettore totale la possibilita' di scegliere non  solo
 il  giudice  territorialmente  competente bensi', la stessa autorita'
 giudiziaria, ordinaria o militare.
   Vi sara' chi ben informato e previdente addurra' o meno i motivi di
 cui all'art. 1, legge 230/1998 (oltretutto non verificabili in  alcun
 modo  dato il loro riferimento alla sfera intima personale) a seconda
 della convenienza pratica del momento o, a seconda delle informazioni
 acquisite sugli  orientamenti  giurisprudenziali,  e  in  particolare
 delle   pene  che  si  vuole  irrogare  da  parte  di  una  autorita'
 giudiziaria localmente individuata per i reati di rifiuto  totale,  e
 con tutte le ulteriori conseguenze che ne possono derivare in tema di
 effetti  penali:  per esempio la differente clausola di esonero fra i
 due delitti di rifiuto e la esclusione per il delitto di cui all'art.
 14, legge  230/1998  di  circostanze  aggravanti  obbligatorie  quali
 quella dell'art.  154, n. 1 c.p.m.p.
   Sembra  impossibile  che  la  semplice adduzione di motivi da parte
 dell'imputato  possa  essere   elemento   di   individuazione   della
 giurisdizione  e del mantenimento o meno della giurisdizione militare
 in determinate fattispecie penali.
   Con riferimento all'art. 103, terzo comma della Costituzione;
   ll   costituente,   nell'interpretazione   datane    dalla    Corte
 costituzionale,  ha  inteso  configurare la giurisdizione militare in
 tempo di pace  come  giurisdizione  eccezionale,  circoscritta  entro
 limiti  rigorosi, nel senso che anche per i militari la giurisdizione
 naturale e' quella ordinaria e solo in via  eccezionale  e  residuale
 subentra quella militare.
   Nell'ambito  di  questa  linea interpretativa anche il requisito di
 "appartenenza alle forze  armate"  e'  stato  inteso  in  senso  piu'
 ristretto  di  quello  usato dal legislatore; la nozione adottata dal
 costituente e' infatti, destinata a dare  una  misura  limitata  alla
 giurisdizione  speciale  militare,  l'altra  invece e' sottesa ad una
 coincidenza fra giurisdizione e  assoggettamento  alla  legge  penale
 militare.
   Cosi'  si e' pronunciato il giudice delle leggi nella nota sentenza
 n. 429 del 1992: "la  diversita'  di  piani  di  iurisdictio  e  lex,
 presente in Costituzione, assente nel codice penale militare di pace,
 vale  inoltre  a  sottolineare  il  principio  che  la  giurisdizione
 normalmente da adire e'  quella  dei  giudici  ordinari  anche  nella
 materia penale.
   Questa  Corte  ha sempre inteso la giurisdizione militare "come una
 giurisdizione  eccezionale   circoscritta   entro   limiti   rigorosi
 (omissis),   ''vale   a  dire  come  una  deroga  alla  giurisdizione
 ordinaria''  la  cui  eccezionalita'  e'  sottolineata,  per  giunta,
 dall'uso dell'avverbio ''soltanto'' nell'art. 103, terzo comma, della
 Costituzione,  a  conferma  che  la  giurisdizione  ordinaria  e'  da
 considerare, per il tempo di pace, come la giurisdizione normale".  I
 medesimi  concetti  sono  insiti anche nella pronuncia n. 78 del 1989
 laddove la Consulta ha dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 263
 c.p.m.p. laddove attribuiva la cognizione ai tribunali  militari  dei
 reati militari commessi da militari minorenni.
   "Il  Costituente  ha inteso conservare la giurisdizione militare in
 tempo  di  pace  ''soltanto''  per  i  reati  militari  commessi   da
 appartenenti   alle   forze  armate,  nella  accezione  ristretta  di
 cittadini che,  al  momento  della  cominissione  del  reato,  stanno
 prestando  il  servizio militare e non in quella dilatata da riferire
 allo status militis di  chi  e'  titolare  di  obblighi  militari..."
 (sempre  sentenza  Corte  cost.  n.  429/1992).  In altri termini, la
 nozione di "appartenente alle forze armate" deve intendersi  soltanto
 in quella del militare non soltanto arruolato bensi', incorporato che
 sta prestando servizio cioe', del militare in servizio attivo.
   Pertanto,  appare  compatibile  con la Costituzione solo un sistema
 che limiti la sottoposizione  alla  giurisdizione  militare  ai  soli
 soggetti  che  siano  in  attualita' di servizio alle armi. In questo
 senso la Corte  costituzionale  ha  affermato  che  la  giurisdizione
 penale   militare  deve  occuparsi  esclusivamente  dei  militari  in
 servizio e di quelli considerati tali (art. 5 c.p.m.p.).
   Per quanto riguarda il concetto di militare in  servizio  non  puo'
 fondatamente revocarsi in dubbio che il mancante alla chiamata sia in
 una  posizione  del tutto diversa da quella di militare in attualita'
 di servizio.
   Tutte le norme che regolano  gli  status  militari,  infatti,  sono
 molto  chiare  nel  distinguere il militare in stato di mancanza alla
 chiamata da quello in servizio. L'art. 151  c.p.m.p.,  incrimina  "il
 militare  che, chiamato alle armi per adempiere il servizio di ferma,
 non si presenta nei cinque giorni successivi a quello prefisso".   La
 nozione  di ferma di leva e' stabilita dal d.P.R. 237/64 come "quella
 parte dell'obbligo del servizio  militare  che  si  compie  sotto  le
 armi".
   La  decorrenza  della ferma di leva e' stabilita "nel giorno in cui
 ha inizio la prestazione del servizio alle armi"  e  non  gia'  dalla
 ricezione della cartolina precetto per la presentazione al reparto di
 addestramento  o  dal  manifesto  di  chiamata alle armi, come invece
 sarebbe stato piu' logico se  il  mancante  alla  chiamata  fosse  un
 militare  in  effettivita'  di  servizio.  Infine,  l'art. 146 d.P.R.
 237/64 individua gli autori del reato di mancanza alla  chiamata  nei
 semplici iscritti di leva arruolati.
   Dal complesso normativo citato emerge in modo evidentissimo come il
 mancante alla chiamata sia in uno status militis del tutto diverso da
 quello del soggetto in attualita' di servizio.
   Per  quanto  riguarda  i  militari considerati in servizio la Corte
 costituzionale ha, invece, affermato che in questi casi  sussiste  un
 legame  organico  con  la  forza  armata  tale  da giustificare detta
 sottoposizione. In altri termini, tale  legame  organico  sorge  solo
 quando  effettivamente,  a  seguito  dell'incorporamento  (che per il
 mancante  alla  chiamata  manca)  si  instaura  un  rapporto  con  la
 amministrazione  di  supremazia  speciale, l'instaurazione di forti e
 rigidi rapporti  disciplinari  e  gerarchici,  la  sottoposizione  al
 regolamento di disciplina militare e alle relative cogenti sanzioni.
   Se  e'  vero che il leslatore del '41 ha statuito all'art. 5, primo
 comma n. 3 c.p.m.p., che i  militari  mancanti  alla  chiamata  "sono
 considerati   in   servizio   alle   armi"  tuttavia  tale  artifizio
 interpretativo non puo' certo essere stato avallato dal Costituente.
   Nei mancanti alla chiamata difetta, come  gia'  sopra  detto,  quel
 legame  organico  con  la  forza  armata  che  depone  per  ritenerli
 "appartenenti alla forza armata". Essi non sono cittadini che  stanno
 prestando il servizio militare ne', possono ritenersi sussistenti nei
 loro  confronti  quei  legami organici con la forza armata che invece
 sussistono per le altre categorie di militari considerati in servizio
 e che sono richiesti dalla Corte costituzionale per  giustificare  la
 sottoposizione dei predetti militari alla giurisdizione militare.
   Infatti,  in  tutti  gli  altri  casi  di  militari  considerati in
 servizio  di  cui  all'art.  5  c.p.m.p.  risulta   esservi   formale
 incorporazione  presso  un  reparto, intesa come atto con il quale il
 soggetto viene inserito nell'attivita' di una compagine militare  per
 svolgervi il suo servizio, di leva, permanente o temporaneo.
   Nel  mancante alla chiamata difetta l'incorporazione, esso e' privo
 di legami organici con la forza armata, non e' mai  stato  sottoposto
 neppure   ad   un   minimo   addestramento  tale  da  collocarlo  con
 consapevolezza del suo status all'interno del consorzio militare.
   Tale situazione non puo' essere accomunata in un  indistinto  genus
 con  i  reati  di  assenza arbitraria di allontanamento illecito e di
 diserzione, ipotesi  che  sussistono  nella  loro  materialita'  solo
 quando  un militare arruolato e' stato incorporato, inserendosi cosi'
 pienamente  nel  consorzio  militare,  e  che  si   allontana   senza
 autorizzazione.    Il  presupposto  dei  delitti  di  diserzione e di
 allontanamento illecito e'  l'attualita'  di  servizio  del  soggetto
 attivo;  nelle  norme  di  cui  agli  artt.  147 e 148 si recita: "il
 militare che, essendo in servizio alle armi ...".
   D'altra parte, anche  la  giurisprudenza  ha  ben  chiaro  come  la
 posizione  del  militare mancante alla chiamata sia del tutto diversa
 da quella del militare in servizio, allorquando fatica  non  poco  ad
 applicare  al  mancante  alla  chiamata  la circostanza attenuante di
 recluta di cui all'art. 48 n. 2 c.p.m.p. in  quanto  afferma  non  si
 possa  applicare  una  circostanza  che  si  fonda  sulla  durata del
 servizio militare a chi tale servizio non ha  mai  intrapreso.  Tutte
 perplessita'  che non avrebbero ragione di sussistere se vi fosse una
 pura parvenza di legame organico con la  forza  armata  rappresentato
 dall'incorporazione.
   Pertanto,  erroneamente  il  legislatore,  con  gli  artt.  5 e 263
 c.p.m.p., ha inserito nell'indistinto genus dei militari  considerati
 in  servizio il soggetto in stato di mancanza alla chiamata in quanto
 siffatta equiparazione importa violazione dell'art. 103, terzo  comma
 della  Costituzione, determinando l'effetto di sottoporre un soggetto
 non appartenente alle forze armate alla giurisdizione militare.
   Da quanto sopra esposto, sembra a  questo  giudice  remittente  che
 emerga  la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita'
 costituzionale prospettate.
   Il profilo della rilevanza delle stesse emerge ictu oculi  sol  che
 si  consideri  che  il  provvedimento  che  questo  giudice  dovrebbe
 emettere non  puo'  prescindere  dalla  soluzione  delle  prospettate
 questioni;  in caso di accoglimento si dovrebbe emettere declaratoria
 di difetto di giurisdizione ex art. 20 c.p.p.