IL TRIBUNALE MILITARE
   In  sede di udienza preliminare del 21 luglio 1999 nel procedimento
 penale a carico di Tricarico Angelo, nato l'11 maggio 1977 a  Rapallo
 (Genova)   e   residente   a   Rapallo  (Genova),  via  Tre  Scalini;
 irreperibile; imputato del reato di "diserzione aggravata" (art.  148
 n.  1  c.p.m.p.)   perche', militare effettivo presso il 7 reggimento
 "Cuneo" in Udine  il  giorno  2  giugno  1998  si  allontanava  senza
 autorizzazione  dal  reparto,  restando  arbitrariamente  assente per
 cinque giorni consecutivi e fino a tutt'oggi.
   Con l'aggravante della durata ultrasemestrale dell'assenza ex  art.
 154, comma 1, n. 1) c.p.m.p.;
   Ha  pronunciato  e  pubblicato  mediante lettura del dispositivo la
 seguente ordinanza;
    Sulla questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  154,
 comma 1, n. 1) c.p.m.p., in relazione all'art. 148 c.p.m.p.;
                             O s s e r v a
   Con  atto  del  29  marzo  1999  il  pubblico  ministero esercitava
 l'azione penale nei confronti dell'imputato in rubrica per il delitto
 militare di diserzione sopra descritto.
   All'odierna udienza preliminare, il pubblico ministero,  contestava
 all'imputato  la  circostanza aggravante di cui all'art 154, comma 1,
 n. 1) c.p.m.p. stante il fatto che l'assenza arbitraria dal  reparto,
 a tutt'oggi perdurante, ha superato sei mesi di durata.
   Valutate  le prove documentali contenute nel fascicolo di indagini,
 sentite  le  parti  processuali,  questo  giudice  ritenendo  fondata
 l'ipotesi accusatoria, pur valutata l'azione penale sotto la veste di
 carattere processuale, dovrebbe emettere decreto di rinvio a giudizio
 avanti il Collegio.
   Pero',  ad  un  piu'  attento  esame  circa  la  correttezza  della
 qualificazione giuridica operata oggi  dal  pubblico  ministero,  con
 l'attribuzione all'imputato di un elemento fattuale ulteriore, pur di
 carattere circostanziale, si dubita della legittimita' costituzionale
 della stessa.
   In   altri  termini,  si  dubita  sia  costituzionalmente  corretto
 attribuire ai militari che hanno commesso un reato di  diserzione  di
 durata superiore ai sei mesi la circostanza obbligatoria, oggettiva e
 speciale di cui all'art. 154, comma 1, n. 1) c.p.m.p.
   A  parere  di  questo  giudice  non e' manifestamente infondato che
 quest'ultima norma sia contraria ai  principi  di  uguaglianza  e  ai
 criteri   di   logica  e  ragionevolezza  sottesi  all'art.  3  della
 Costituzione cui deve sottostare anche  il  legislatore.  Tutto  cio'
 operando  un  raffronto  con  la  disciplina  relativa  al delitto di
 rifiuto di prestare servizio militare di cui all'art. 14 della  legge
 8  luglio  1998  n.    230  (Nuove  norme  in materia di obiezione di
 coscienza).
   La circostanza aggravante in questione  e'  di  carattere  speciale
 giacche',  come  recita  il  primo  comma  dell'art. 154 c.p.m.p., e'
 prevista solo per  le  fattispecie  delittuose  di  diserzione  e  di
 mancanza  alla  chiamata di cui alle sezioni seconda e terza del capo
 III, libro secondo, del codice penale militare di pace; non e'  stata
 prevista  dal  legislatore  che nel 1972 con legge 772 e che nel 1998
 con la novella n. 230 ha disciplinato il regime  della  obiezione  di
 coscienza del servizio militare.
   Trattasi,  inoltre, di circostanza obbligatoria ad effetto speciale
 che, se contestata dal pubblico ministero (e come  lo  e'  stato  nel
 caso  che  ci  occupa) comporta da parte del giudice una obbligatoria
 conoscenza, e, se ritenuta prevalente su altre eventuali  circostanze
 attenuanti,  anche  un  aumento della pena da un terzo alla meta'. Il
 fatto che sia obbligatoria lo si evince anche dalla  descrizione  del
 fatto  circostanziale  operato  dal legislatore che usa l'espressione
 "la  pena  e'  aumentata"  mentre  al  n.  2  del   medesimo   comma,
 nell'illustrare la circostanza attenuante, usa la diversa espressione
 "la pena puo' essere diminuita".
   Il  fatto  che siffatta circostanza aggravante sia contestata ad un
 disertore od  un  mancante  alla  chiamata  non  rimane  indifferente
 ovviamente nemmeno al giudice, dato che, una volta ricercati i valori
 concreti  ed  individuata  nel  caso  concreto  la  sussistenza della
 medesima (ed essendo  di  carattere  oggettivo  e'  immediatamente  e
 documentalmente  riscontrabile), comporta un conseguente obbligatorio
 giudizio quantomeno di comparazione con altre circostanze ex art.  69
 c.p.
   Orbene,  il legislatore che nel 1972 e che nel 1998 (con la legge 8
 luglio 1998 n. 230) ha disciplinato anche  il  delitto  del  militare
 arruolato  che  rifiuta il servizio militare, allegando i particolari
 motivi di coscienza  ritenuti  meritevoli  di  tutela  da  parte  del
 legislatore  all'art.  1  medesime  leggi,  non  ha  previsto ipotesi
 circostanziali  al  fatto.  Nessuna circostanza aggravante (e nemmeno
 attenuante) e' prevista all'art. 14, legge n. 230/1998  ed  in  altre
 norme della recente legge di riforma della obiezione di coscienza.
   Orbene,  fra  il  delitto  di  diserzione  e  quello  di rifiuto di
 prestare servizio militare di cui  all'art.  14,  legge  n.  230/1998
 esiste  una  perfetta  analogia,  cosi' come riconosciuto anche dalla
 stessa Corte costituzionale per esempio nelle sentenze nn.  409/1989,
 343/1993, 422/1993.
   L'interesse  leso  tutelato  dalle due fattispecie penali e' sempre
 militare ed e' identico: l'interesse ad una  regolare  incorporazione
 di soggetti obbligati al servizio di leva.
   Le  modalita'  oggettive  di  comportamento sono analoghe; trattasi
 sempre di fattispecie a forma libera: il rifiuto totale  di  prestare
 il servizio obbligatorio con comportamenti commissivi (es. il rifiuto
 di  indossare  la  divisa)  od  omissivi  (es.  il non presentarsi al
 reparto di appartenenza di cui al precetto); e' noto infatti, che chi
 e' imputato di diserzione o del delitto di cui all'art. 14, legge  n.
 230/1998  adotta  i medesimi comportamenti commissivi od omissivi non
 distinguendosi se non dalla adduzione  dei  motivi  di  coscienza  al
 rifiuto  stesso.  L'elemento  materiale del delitto di cui alla nuova
 legge sulla obiezione di coscienza e' dato  dalla  manifestazione  di
 volonta'  attinente  alla inottemperanza dell'obbligo di leva fecendo
 riferimento  ai  motivi  di  coscienza  riconosciuti  meritevoli   di
 particolare  tutela  dal  legislatore  e  di  cui all'art. 1 medesima
 legge. In altri termini, quando il militare  manifesti  altri  motivi
 rispetto a quelli codificati (es. privati), oppure non alleghi alcuna
 motivazione (come nel caso dell'odierno imputato), ricorrera' l'altro
 reato militare e, cioe' quello di diserzione oggi contestato.
   I  due  delitti sono sanzionati in modo identico: reclusione da sei
 mesi a due anni. Devesi ulteriormente tenere presente che i  soggetti
 attivi   dei   due  delitti  militari  in  questione  sono  identici:
 l'obiettore totale sia che manifesti le ragioni di  cui  all'art.  1,
 legge  n.  230/1998,  sia  che ne manifesti altre, oppure nessuna, e'
 sempre un iscritto di leva gia' arruolato (vd. d.P.R. n. 237/1964).
   Ora, una identica situazione oggettiva  e  soggettiva,  quella  del
 militare  che rifiuta di prestare il servizio militare di leva per le
 ragioni di cui all'art. 1, legge n. 230/1998,  oppure  altre,  oppure
 nessuna,  viene  trattata  diversamente  ed incongruamente per quanto
 attiene la attribuibilita'  di  elementi  accidentali,  accessori  al
 reato;  elementi  che  incidono,  come  nel caso che ci occupa, sulla
 gravita' del reato e, quindi, sulla sanzione da irrogare, comportando
 cioe' una non indifferente modificazione della sanzione  che,  invero
 edittalmente e' identica.
   Si  ritiene  che  nel  caso  in  questione il legislatore non abbia
 seguito i criteri di parita' di trattamento e di  ragionevolezza  cui
 deve sottostare la sua attivita'.
   L'uso  sproporzionato  ed  ingiustificabile  della discrezionalita'
 legislativa e' provato anche dal fatto che il  disertore  che  compie
 una  assenza  arbitraria  dal  reparto  per poco piu' di sei mesi (e,
 quindi, un rifiuto al servizio  militare  obbligatorio  limitato  nel
 tempo)  si  vede attribuita la circostanza aggravante obbligatoria ad
 effetto speciale di  cui  all'art.  154,  comma  1,  n.  1,  c.p.m.p.
 mentre,  il  militare  che rifiuta il servizio militare di leva per i
 motivi di cui all'art. 1, legge n. 230/1998 (motivi che, poi, data la
 loro  incidenza  nell'intimo non possano essere provati circa la loro
 reale  sussistenza)  rispondera'  per  il  suo   comportamento   solo
 dell'identica sanzione penale base.
   E'  ovvio,  a  questo  punto, che si lascia al militare piu' o meno
 informato  e  smaliziato  che  non  vuole  adempiere  agli   obblighi
 costituzionali  di  difesa  della patria, di optare per una o l'altra
 forma di rifiuto al servizio militare a seconda della maggiore o meno
 grave incidenza della sanzione penale. Per cui, alla  fin  fine,  una
 circostanza aggravante definita obbligatoria puo' divenire in pratica
 solo eventuale.
   La questione di costituzionalita' prospettata e' rilevante dato che
 se accolta comporterebbe a questo giudice l'onere di emettere decreto
 di  rinvio  a giudizio solo per il reato contestato privo di elemento
 circostanziale aggravante e far sottoporre al  vaglio  dibattimentale
 l'imputato per il delitto militare semplice.