IL TRIBUNALE MILITARE
   Nel  procedimento  penale  a  carico  del maresciallo GdF Cammarata
 Antonino nato ad Aidone (EN) l'11 dicembre 1957, imputato del delitto
 continuato di cui all'art. 3, legge 9 dicembre 1941, n.  1383,  nella
 pubblica  udienza  del  5  giugno  1999  ha  pronunciato  la seguente
 ordinanza sulla questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 33,  comma  2,    c.p.p.,  in  relazione agli artt. 1 c.p.v., legge 7
 maggio 1981, n. 180, 7-bis, e 97,  r.d. 30 gennaio 1941, n. 12  cosi'
 come  novellati  dalla  legge 4 maggio 1998, n. 133, r.d. 9 settembre
 1941, n. 1022.
                             O s s e r v a
   In data odierna si apriva l'udienza pubblica del processo penale  a
 carico   dell'imputato  in  rubrica  accusato  del  delitto  militare
 continuato di collusione con privati per frodare la Finanza.
   In verita', gia' il 17 marzo 1999 si erano svolti atti introduttivi
 al  dibattimento  ed,  in  sede  di  verifica   circa   la   regolare
 costituzione  delle  parti  processuali,  si era rinviato il processo
 alla data odierna  dato  il  riscontrato  legittimo  impedimento  per
 malattia dell'imputato.
   Allora, il collegio giudicante era diversamente composto: l'odierno
 presidente  figurava  giudice  a  latere  ed  il  presidente  era  un
 magistrato d'appello applicato in supplenza dalla sede di servizio di
 Verona, stante la incompatibilita' a giudicare di  tutti  i  colleghi
 giudicanti della sede di servizio torinese.
   Oggi, il tribunale militare preposto a giudicare l'odierno imputato
 vedeva  quale  presidente  l'estensore  del  presente  provvedimento,
 magistrato  di  tribunale  a  cui  venivano  conferite  le   funzioni
 superiori  dal  presidente della Corte d'appello militare di Roma con
 decreto del 31 maggio 1999 e, quale giudice a latere,  un  magistrato
 di tribunale comandato in supplenza dalla sede di Padova.
   Dal  carteggio contenuto nel fascicolo del dibattimento emerge che,
 pero', il  provvedimento  di  conferimento  di  funzioni  di  giudice
 supplente all'odierno giudice a latere togato e l'ultimo di una serie
 di  provvedimenti  tutti  finalizzati  alla costituzione del collegio
 giudicante nella sola causa contro Cammarata Antonino  e  posteriori,
 non  solo  alla  consumazione  del  fatto  delittuoso  contestato ma,
 anche, alla stessa udienza di rinvio del 17 marzo 1999.
   Infatti, alla  fine  di  maggio  1999  il  presidente  della  Corte
 militare  d'appello  di  Roma prima nominava quale giudice supplente,
 necessario  per  integrare  la  regolare  composizione  del  collegio
 giudicante,  l'attuale  presidente  del tribunale militare di Padova;
 poi, senza motivazione alcuna si nominavano  sempre  quali  supplenti
 vari magistrati di tribunale revocando ovviamente la nomina di chi in
 precedenza  aveva    un  ricevuto  conferimento  di  funzioni:  da un
 magistrato di tribunale in servizio a Verona, si passava  ad  uno  in
 servizio  a  Padova  ed,  infine,  all'attuale giudice a latere   che
 risulta  coprire  funzioni  di  g.i.p.-g.u.p.  presso  il   tribunale
 militare di Padova.
   Tutti i provvedimenti amministrativi di supplenza e di revoca dagli
 stessi   adottati  dal  presidente  della  Corte  militare  d'appello
 risultano immotivati. Non si e' in grado di conoscere le ragioni  per
 cui  in  pochi  giorni  si  e'  passati  da  conferire le funzioni di
 supplenza a  vari  colleghi  sempre  diversi  e,  successivamente,  a
 revocarle.
   Siffatti  provvedimenti  discrezionali  avrebbero dovuto quantomeno
 essere motivati e, soprattutto, quando, come nel caso delle  adozioni
 di  atti  di  supplenza e/o applicazioni in sede di uffici giudiziari
 militari, mai si sono  seguiti  criteri  obiettivi  e  predeterminati
 fondantisi, per esempio, su tabelle automatiche infradistrettuali.
   Di  certo,  non  puo' considerarsi una motivazione il provvedimento
 con cui ad un magistrato di tribunale in servizio a Padova si e'  poi
 scelto  l'odierno giudice a latere sempre di Padova laddove si recita
 "preso atto di quanto rappresentatomi per le vie brevi  comunico  che
 prevista  supplenza  presso  Tribunamiles Torino per udienza giorno 5
 giungo 1999  debet  intendersi  per  magistrato  militare  dott.  ...
 (Omissis) et non dico non dott.ssa ... (Omissis)".
   Queste  modalita'  incerte  finalizzate  alla ricerca di un giudice
 necessario per costituire regolarmente l'odierno collegio  giudicante
 non  sono  sfuggite  all'imputato  che, giustamente, dal suo punto di
 vista non vedendo, fra l'altro, alcuna motivazione nei numerosi  atti
 sopra  evidenziati potra' anche avere rimembrato prassi anche recenti
 in voga nella magistratura ordinaria  quando  le  applicazioni  e  le
 supplenze di magistrati disposte al di fuori di criteri automatici od
 oggettivi  avevano  avuto  anche  lo  scopo,  come riconosciuto dalla
 dottrina, di  inviare  un  dato  giudice  per  una  data  causa,  con
 conseguente  uso  distorto  del  potere  giudiziario  in  spregio dei
 supremi  principi,  anche   costituzionali,   di   imparzialita'   ed
 indipendenza.
   L'imputato,  dal  suo  punto  di vista, potra' anche avere pensato,
 essendo notorio  che  presso  gli  uffici  giudiziari  ordinari  sono
 obbligatorie  delle  tabelle  oggettive  e  predeterminate  a livello
 infradistrettuale, per l'adozione dei provvedimenti di supplenza  dei
 magistrati,  che  nel  suo  caso  non  si  sia  voluto evitare che la
 designazione della persona dei magistrati  venga  rimessa  a  fattore
 puramente discrezionale
  e, proprio, quando dall'inizio degli anni '70 il Consiglio superiore
 della   magistratura   aveva   emesso  varie  delibere  raccomandando
 l'adozione di criteri  oggettivi,  automatici,  predeterminati  circa
 l'assegnazione degli affari giudiziari.
   Infatti, in atti preliminari al dibattimento, la difesa eccepiva la
 nullita'  della  costituzione dell'odierno collegio giudicante, cosi'
 come formato a seguito del provvedimento discrezionale  di  supplenza
 relativo  all'odierno  giudice  al  latere, ed assumeva fossero stati
 violati gli artt. 33 comma 2 e 178  c.p.p.  in  riferimento  all'art.
 7-bis  dell'ordinamento giudiziario cosi' come novellato dall'art.  6
 della legge 4 maggio 1998 n. 133 giacche', il presidente della  Corte
 militare   d'appello  nell'adottare  il  censurato  provvedimento  di
 supplenza, al di fuori dei criteri individuati  dal  legislatore  del
 '98  e,  con  atto  altamente  discrezionale, per di piu' immotivato,
 avrebbe  reso  irriconoscibile  il giudice naturale precostituito per
 legge con cio' violando la norma costituzionale di cui  all'art.  25,
 comma 1, direttamente impositiva.
   Il  pubblico  ministero  si  associava  alla  dedotta  eccezione di
 nullita' e asseriva altresi', che la norma di cui all'art. 1,  c.p.v.
 della  legge  180/1981, laddove statuisce che "lo stato giuridico, le
 garanzie d'indipendenza e l'avanzamento dei magistrati militari  sono
 regolati  dalle  disposizioni in vigore per i magistrati ordinari..."
 rende applicabili direttamente anche alla magistratura militare tutti
 gli istituti dell'ordinamento giudiziario comune  non  specificamente
 derogati  dalla  legge; sarebbero, pertanto, direttamente applicabili
 alla magistratura  militare  i  criteri  tabellari  infradistrettuali
 previsti per l'adesione dei provvedimenti di supplenza e applicazione
 di  cui all'art. 6 della legge 4 maggio 1998 n. 133 che ha introdotto
 dei commi all'art. 7-bis dell'ordinamento giudiziario comune.
   La  difesa  in  via  subordinata  chiedeva  a  questo  giudice   di
 riconoscere  la  rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza della
 questione  di  costituzionalita'  dell'art.  33  comma  2  c.p.p.  in
 relazione  ai  parametri  di cui agli artt. 3 e 25, primo comma della
 Costituzione  deducendo  la  violazione  dei  principi  del  "giudice
 naturale  precostituito  per  legge"  e  della parita' di trattamento
 sussistendo in realta' due diverse modalita', l'una discrezionale  ed
 immotivata, l'altra predeterminata e tabellare, di individuazione del
 giudice  componente  del  collegio e, quindi, del giudice naturale, a
 seconda che la  supplenza  venga  adottata  negli  uffici  giudiziari
 militari oppure ordinari.
   Questo  giudice  remittente ritiene non fondata la dedotta nullita'
 ed, invece, rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 costituzionalita'  prospettata;  tuttavia l'analisi prospettata dalla
 difesa dell'imputato va ricondotta e relazionata con ulteriori  fonti
 normative.
   Innanzitutto la dedotta nullita' assoluta d'ordine generale ex art.
 178,  comma  1,  lett.  a) c.p.p. relativa ad una asserita violazione
 circa le condizioni ed i requisiti della capacita'  del  giudice  non
 puo'  far  riferimento  anche  alla norma di cui all'art. 33, comma 2
 c.p.p. giacche', questa  stabilisce  proprio  l'esatto  contrario  e,
 cioe', che le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici
 ed alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sull'assegnazione dei
 processi  a  sezioni,  collegi e giudici non attendono alla capacita'
 del giudice.
   Onde riconoscere la sussistenza della dedotta nullita' ex art.  178
 c.p.p. sulle modalita' con cui da parte del  presidente  della  Corte
 militare  d'appello  si  e' con provvedimento di supplenza costituito
 l'odierno collegio giudicante e' d'uopo verificare  due  presupposti:
 se  possa  operare  direttamente  come  sostrato del dedotto vizio di
 nullita' assoluta il principio costituzionale  sotteso  all'art.  25,
 primo   comma   della  Costituzione  e,  se  sia  stata  operata  una
 irregolarita' formale.
   Ora,  se  puo'  direttamente  verificarsi  la  compatibilita'   del
 provvedimento  di supplenza dell'odierno giudice al latere con l'art.
 25, primo comma della Costituzione, dato che il concetto di capacita'
 puo' essere ricostruito, ai fini della  nullita'  prevista  dall'art.
 178  c.p.p.  comprendendo  in esso il requisito della precostituzione
 del giudice, imposto dalla  norma  costituzionale  cosicche',  se  in
 concreto  viene  meno la precostituzione del giudice, sarebbe violata
 la garanzia dell'imparzialita' ed indipendenza, condizione necessaria
 della capacita' e, quindi, non troverebbe  piu'  applicazione  l'art.
 33,  comma  2  c.p.p.,  pur  tuttavia nel caso di specie non e' stata
 riscontrata una  irregolarita'  formale  nell'atto  discrezionale  di
 supplenza.
   Infatti,  il  legislatore  nel  novellare con la legge 133/1998 gli
 artt.  7-bis  e   97   dell'ordinamento   giudiziario   comune,   con
 l'introduzione   dei   commi  3-bis,  3-ter,  3-quater,  3-quinquies,
 3-sexies,  prevedendo  l'introduzione  di  tabelle  infradistrettuali
 degli  uffici  requirenti  e  giudicanti,  che  ricomprendano tutti i
 magistrati ad eccezione dei capi  degli  uffici,  per  permettere  la
 successiva  ed  eventuale  adozione dei provvedimenti di supplenza da
 parte del presidente  della  Corte  d'appello,  ha  inteso  riferirsi
 inspiegabilmente ai soli uffici giudiziari ordinari.
   In  tutta  la  normativa  si fa riferimento ad organi estranei alla
 giustizia militare: Consiglio superiore della magistratura,  Ministro
 di  grazia  e giustizia; organi cui sono delegate competenze apposite
 nell'individuazione ed approvazione delle tabelle infradistrettuali.
   Gia' la circostanza che ad un anno di distanza  il  Ministro  della
 difesa  ed  il  Consiglio  della  magistratura  militare non si siano
 attivati a dare esecuzione al disposto normativo per  quanto  attiene
 all'organizzazione giudiziaria militare fa comprendere come non possa
 imputarsi   al   presidente   della   Corte  militare  d'appello  una
 inosservanza  della  novella  e  dei   principi   costituzionali   di
 imparzialita'  ed  indipendenza  sottesi  alla stessa. Dato il tenore
 letterale  della  fonte  normativa  non  si   rinviene   quindi   una
 irregolarita'   formale   nel   provvedimento  di  supplenza  oggetto
 dell'eccezione.
   Dalle  precedenti  considerazioni  consegue  pero',  che  sia   non
 manifestamente  infondata la questione di costituzionalita' dell'art.
 33, comma 2 c.p.p. in relazione agli artt. 1, c.p.v. legge  180/1981,
 7-bis e 97, 30 gennaio 1941 n. 12 cosi' come  novellati  dalla  legge
 133/1998  (Ordinamento  giudiziario comune), r.d. 9 settembre 1941 n.
 1022 (Ordinamento giudiziario militare), e laddove  non  prescrivendo
 un  regime  tabellare  predeterminato al thema decidendum come regola
 automatica per l'adozione dei provvedimenti di supplenza dei  giudici
 da  parte  del  presidente della Corte militare d'appello, cosi' come
 vigenti  per  i   magistrati   ordinari,   permettono   non   possano
 considerarsi  attinenti alle capacita' del giudice le disposizioni di
 assegnazione  di  giudici  quali  supplenti  nei  collegi  giudicanti
 mediante atti altamente discrezionali ed immotivati.
   La  disposizione  di  cui  all'art.  33,  comma 2 c.p.p. stabilisce
 infatti, che non si considerano attinenti alle capacita' del  giudice
 anche  le  disposizioni  sull'assegnazione  del  giudice  agli uffici
 giudiziari e sulla formazione dei collegi.
   Tale  norma  consente,  come  e'  successo  nel  caso  di   specie,
 l'applicazione  di criteri discrezionali e immotivati di assegnazione
 di  giudici  per  comporre  i   collegi   giudicanti   in   caso   di
 incompatibilita'  dei  magistrati originariamente preposti, senza che
 operi la nullita' assoluta, rilevabile  d'ufficio  in  ogni  stato  e
 grado   del   procedimento,   prevista   per   l'inosservanza   delle
 disposizioni concernenti le condizioni di capacita' del giudice ed il
 numero dei giudici necessari per costituire  i  collegi  (artt.  178,
 comma 1, lett. a) e 179 c.p.p.).
   La norma di cui all'art. 1, c.p.v. legge 180/1981 che prescrive che
 lo  stato  giuridico  e  le  garanzie  di indipendenza dei magistrati
 militari siano regolati dalle disposizioni in vigore per i magistrati
 ordinari e' norma di principio che data la sua valenza  generale  mal
 si  attaglia  all'odierna  problematica  e  non  ha  impedito  che il
 legislatore con la legge del 4 maggio 1998 n. 133 tralasciasse,  come
 consueto, di incidere anche nell'ordinamento giudiziario militare.
   Il  r.d.  1022/1941  (Ordinamento giudiziario militare) nelle parti
 ancora in  vigore,  perche'  non  abrogate  dalla  legge  di  riforma
 180/1981,  nulla  riferisce  circa i criteri per la adozione da parte
 del presidente della Corte militare d'appello  dei  provvedimenti  di
 supplenza  e  applicazione  dei  giudici  lasciando  cosi'  di  fatto
 l'arbitrio nella scelta dei  criteri  da  adottare  stante  anche  il
 diretto  riferimento alla sola magistratura ordinaria del gia' citato
 regime tabellare infrastrutturale di cui art. 6 della legge 133/1998.
   Tutto cio' viola le norme di cui ai artt. 3 e 25, primo comma della
 Costituzione.
   Con riferimento all'art. 3 della Costituzione cui  sono  sottesi  i
 principi di uguaglianza e ragionevolezza:
     sussiste    una    ingiustificata   disparita'   di   trattamento
 relativamente alla disciplina delle  adozioni  dei  provvedimenti  di
 supplenze  e  applicazioni  dei giudici da parte del presidente della
 Corte d'appello, a seconda che si  tratti  di  magistratura  militare
 oppure   ordinaria  e,  quando  lo  stato  giuridico  e  le  garanzie
 d'indipendenza  delle  due  magistrature  e'  identico   e,   quando,
 soprattutto  e'  lo stesso codice penale di rito ad applicarsi stante
 il principio di complementarieta' di cui all'art. 261 c.p.m.p.
   Come  gia'  detto  per  la  sola   magistratura   ordinaria   trova
 applicazione   ex   art.   6,  legge  133/1998  il  regime  tabellare
 infradistrettuale per le adozioni dei provvedimenti di applicazione e
 supplenza dei giudici; in quella militare, come e' successo nel  caso
 in esame, si suole adottare provvedimenti di supplenza discrezionali,
 senza alcun criterio oggettivo ed automatico e, per di piu', privi di
 motivazione.
   Trattandosi  di  due  organizzazioni  giudiziarie  aventi lo stesso
 settore giurisdizionale penalistico come campo  d'azione  ed  essendo
 comuni agli interessi "ad un piu' adeguato funzionamento degli uffici
 giudiziari"  (ved.  art.  6,  legge  133/1998)  ed alla continuita' e
 prontezza della funzione giurisdizionale,  e'  irragionevole  che  il
 legislatore  non  abbia disposto un regime tabellare automatico anche
 per l'adozione dei provvedimenti  di  applicazione  e  supplenza  dei
 magistrati militari negli uffici giudicanti e/o requirenti militari.
   E'  irragionevole  e  priva  di qualsiasi giustificazione l'attuale
 situazione che permette  che  negli  uffici  giudiziari  militari  si
 possano   designare   magistrati  supplenti  sulla  base  di  fattori
 puramente discrezionali e, come e' successo nel caso che  ci  occupa,
 determinando  un  giudice  nemmeno della piu' vicina sede giudiziaria
 che rispetto a Torino e' quella di La Spezia.
   Con riferimento al principio di cui all'art. 25, primo comma  della
 Costituzione  per  cui  "nessuno  puo'  essere  distolto  dal giudice
 naturale precostituito per legge":
     l'art.  25,  primo  comma  della  Costituzione, stabilendo, fra i
 diritti dei cittadini, che nessuno puo' essere distolto  dal  giudice
 naturale  precostituito per legge attribuisce ad essi la garanzia che
 la  competenza  degli  organi  giudiziari  e'   sottratta   ad   ogni
 possibilita' di arbitrio.
   Sottesa  alla  suddetta  norma  costituzionale  vi  e'  una nozione
 "formale"  che  statuisce  una  riserva  assoluta  di   legge   nella
 individuazione e modificazione del giudice.
   L'attuale  situazione  normativa  sopra  delineata ha indebitamente
 demandato ad autorita'  giurisdizionale  (presidente  Corte  militare
 d'appello)   il   compito   di   incidere   con  atto  amministrativo
 discrezionale ed immotivato su materia riservata.
   Il disposto costituzionale  non  permette  cio'  anche  perche'  ne
 deriva  che  gli  atti  cui  viene  interdetto  ogni intervento sulla
 materia riservata che non si concreti  in  una  mera  esecuzione  del
 precetto  legislativo  sono  tutti  quelli  che nella gerarchia delle
 fonti del diritto occupano una posizione  subordinata  rispetto  alla
 legge ordinaria.
   Nella  materia de quo non possono intervenirvi ne' regolamenti, ne'
 atti singolari a carattere discrezionale come nel caso che ci occupa.
   La   determinazione   del   giudice   competente   deve   risultare
 necessariamente  da  un  accertamento  obiettivo che la singola causa
 presenta  caratteristiche  di  fatto  corrispondenti  ad  un  modello
 astratto e generale previsto dalla legge.
   E   la  riserva  assoluta  di  legge  involge  non  solo  le  norme
 attributive di competenza ma, anche la scelta del giudice  e  la  sua
 eventuale modifica.
   Per  di  piu',  come  la  migliore  dottrina  ha detto da anni, per
 giudice naturale deve intendersi anche il  magistrato-persona  fisica
 e,  cio', pena la dismissione del fine perseguito dall'art. 25, primo
 comma della Costituzione.
   La funzione del precetto  e'  quella  di  impedire  che  un  affare
 giudiziario  possa  essere  sottoposto  alla  decisione di un giudice
 diverso da quello che risulta dall'applicazione automatica di criteri
 tabellari precostituiti, al fine di ottenere  un  esito  della  causa
 almeno   ipoteticamente  diverso  da  quello  che  si  sarebbe  avuto
 attraverso  l'opera  del  giudice  naturale;  e'   ovvio   che   tale
 intendimento  puo'  essere  evitato  anche  modificando  il  collegio
 oppure, scegliendo un  dato  giudice  al  posto  di  un  altro  quale
 supplente   e  tramite  atti  discrezionali  immotivati  (e,  percio'
 sottratti  anche  al  controllo  ed   alla   verifica   delle   parti
 processuali)   presi  da  autorita',  pur  giurisdizionali,  ex  post
 rispetto alla regiudicanda
   Sembra evidente che se  il  principio  del  giudice  naturale  deve
 assolvere   questa   funzione   di   garanzia   di   indipendenza  ed
 imparzialita'  dell'attivita'  giurisdizionale  esso,  non  puo'  non
 riguardare  anche  il  giudice inteso come persona fisica destinato a
 "costituire" l'organo giudiziario.
   Le norme dell'ordinamento giudiziario comune prevedono,  come  gia'
 detto,  dei  criteri  oggettivi  e  predeterminati per l'assegnazione
 degli affari agli organi giudiziari, alle relative sezioni e, con  la
 legge 133/1998 anche per l'adozione dei provvedimenti di supplenza ed
 applicazione di giudici sui collegi giudicanti.
   Tutto  cio'  difetta  nell'ordinamento giudiziario militare di pace
 pur essendo vigente la norma di cui all'art. 1, c.p.v. legge 180/1981
 che parifica lo stato giuridico e la  garanzia  di  indipendenza  fra
 magistrati ordinari e militari.
   Tutto  cio'  detto,  le  prospettate questioni di costituzionalita'
 sono altresi' rilevanti poiche',  in  caso  di  accoglimento,  questo
 giudice, cosi' come e' stato composto a seguito di piu' provvedimenti
 del  presidente  della Corte militare d'appello, dovrebbe riconoscere
 di  non  essere  il  giudice  naturale  precostituito  per  legge   e
 conseguentemente  emettere  ordinanza  di declaratoria di nullita' ex
 art. 178, comma 1, lett. a) e 179 c.p.p.