LA CORTE D'APPELLO Riunita in camera di consiglio ha emesso la seguente ordinanza nella procedura iscritta al n. 292 di ruolo generale per gli affari camera di consiglio dell'anno 1998 e vertente tra M. S. n.q. esercente la patria potesta' sulla minore M. M. L., rappresentato e difeso, in virtu' di mandato a margine dell'atto di reclamo, dall'avv. Antonio Voltaggio, presso il cui studio in Roma, via Fontanella Borghese, 72, veniva eletto domicilio, reclamante, e Conservatore dei registri immobiliari Roma 2, reclamato; nonche' la Soc. D.E.F.A. s.r.l., reclamata; Oggetto: reclamo avverso iscrizione ipotecaria con riserva, ex art. 2674-bis e 113-ter disp. att. c.c., decreto del tribunale di Roma in data 3 marzo 1998; Svolgimento del processo Con ricorso proposto al tribunale di Roma, M. S., nella qualita' di esercente la patria potesta' sulla minore M. M. L., proponeva reclamo avverso la decisione del Conservatore dei registri immobiliari di Roma, che, richiesto di iscrizione ipotecaria fondata su ordinanza emessa dal giudice istruttore ex art. 186-quater c.p.c., aveva eseguito la formalita' della iscrizione di ipoteca con riserva ai sensi dell'art. 2674-bis c.c.. Con decreto depositato il 3 marzo 1998, il tribunale di Roma respingeva il reclamo avanzato da M. S., rilevando che, ai sensi dell'art. 2818 c.c. costituiscono titolo per la iscrizione della ipoteca unicamente le sentenze che portano condanna al pagamento di una somma e "gli altri provvedimenti giudiziali ai quali la legge attribuisce tale effetto" e, nel caso di specie, mentre non poteva equipararsi l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 186-quater c.p.c. ad una sentenza, attesa la revocabilita' e la non definitivita' di quel provvedimento, non appariva sostenibile l'analogia della situazione in esame con quella prevista dall'art. 186-ter c.p.c., che prevede espressamente che la ordinanza costituisce titolo per la iscrizione della ipoteca giudiziale; riteneva, quindi, manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal M. Proponeva reclamo avverso il decreto del tribunale il M., sottolineando la delicatezza della questione che si presentava per la prima volta all'esame dei giudici del merito: metteva in rilievo vari ordini di motivi in base ai quali poteva dedursi la parificazione della ordinanza emessa dopo la chiusura della istruzione ad una sentenza, quali la cognizione piena e non sommaria che precede la emissione del provvedimento, la circostanza che questo "acquista la efficacia della sentenza impugnabile" a certe condizioni, la irrevocabilita' dell'ordinanza, se non con la sentenza che definisce il giudizio. Il conservatore non compariva in camera di consiglio. Veniva quindi integrato il contraddittorio con la societa' convenuta, ritenuta parte necessaria, atteso il suo sostanziale interesse e la sua presenza nel giudizio davanti al tribunale; neppure questa, peraltro, si costituiva. Motivi della decisione Osserva innanzitutto la Corte che i fatti posti alla base del reclamo devono essere ritenuti pacifici in causa: la ordinanza con cui il G.I. ha condannato la convenuta soc. DE.FA. s.r.l. a pagare a M. S., nella qualita' indicata, la somma di L. 115 milioni, oltre gli interessi e le spese di causa, a titolo di risarcimento del danno causato al volto della minore M. M. L. da un cane di proprieta' della societa', e' stata emessa ai sensi dell'art. 186-quater c.p.c., dopo l'esaurimento della istruzione e nei limiti in cui lo stesso giudice ha ritenuto raggiunta la prova della responsabilita', del danno e del nesso di causalita'. L'art. 186-quater c.p.c. si applica al caso di specie, in quanto, la stessa legge che ha introdotto la norma, d.-l. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito in legge 20 dicembre 1995, n. 534, con l'art. 9 ha modificato l'art. 90 della legge 26 novembre 1990, n. 353, disponendo che "ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 si applicano le disposizioni vigenti anteriormente a tale data, nonche' l'art. 186-quater c.p.c.". Deve dunque esaminarsi la possibilita' di equiparazione della ordinanza emessa all'esito della istruttoria, ai sensi dell'art. 186-quater c.p.c., alla sentenza, in quanto appare pacifico che nessuna, "legge attribuisce tale effetto" specifico di idoneita' ad iscrivere ipoteca all'ordinanza in esame. La questione, trattata con ampiezza dalla difesa del reclamante appare sicuramente molto delicata, soprattutto per la squisita novita' dell'istituto introdotto dal legislatore, nel quale sono state inserite caratteristiche comuni a ordinanze e sentenze. Tale ordinanza, successiva alla chiusura dell'istruzione, prevista dall'art. 186-quater c.p.c., e' stata definita come "l'istituto piu' innovativo e al tempo stesso piu' problematico" della novella del 1995: presupposto dell'ordinanza e' che la istruzione sia stata "esaurita", da intendersi realizzato, sia quando non siano state proposte richieste istruttorie, sia quando le richieste avanzate siano state espletate o disattese. Il termine finale per l'emanazione della richiesta, nelle cause di vecchio rito, e' costituito dalla rimessione della causa al Collegio, in quanto, da tale momento, la competenza verrebbe attribuita a questo, anche se sembra che le parti debbano aver precisato le conclusioni, quanto meno implicitamente, perche' l'oggetto della ordinanza deve essere ancorato alla "istanza della parte che ha proposto domanda di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna o al rilascio di beni". L'istanza viene accolta "nei limiti in cui il giudice ritiene gia' raggiunta la prova". Il provvedimento arricchisce il quadro delle ordinanze con funzione anticipatoria della decisione, come si apprende dai lavori parlamentari (Senato della Repubblica, n. 2209, art. 7) ed e' stato ritenuto come un primo approccio alla "decisione con motivazione a richiesta delle parti". La novita' e' arricchita dal fatto che si tratta di un provvedimento emesso a cognizione piena, in quanto e' stata chiusa la fase istruttoria e le parti hanno presentato le rispettive richieste: dunque le carte processuali sono nelle mani del giudicante che ha tutti gli elementi che possono e debbono essere posti alla base della sentenza. Deve rilevarsi ancora che si tratta di una ordinanza non revocabile, se non con la sentenza che definisce il giudizio; l'ordinanza, infine, puo' "acquistare l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza", in seguito alla rinuncia alla pronuncia della sentenza, da parte della parte intimata o alla estinzione del giudizio. Ovviamente il processo prosegue verso la sentenza se non vi sono rinuncia o estinzione. In tale situazione sostiene il reclamante che si deve definire come sentenza questo nuovo provvedimento introdotto dal legislatore, in quanto presenta piu' tratti caratteristici di questa rispetto a quelli della ordinanza. Pur prendendo atto della delicatezza della questione di definire la natura giuridica di un provvedimento delineato per la prima volta dal legislatore del 1995, che dichiara espressamente, nei lavori parlamentari, di voler introdurre un provvedimento con funzione anticipatoria della decisione, non sembra alla Corte che possa accedersi alla tesi principale del reclamante. Se infatti ci si trova davanti ad una ordinanza anomala, irrevocabile fino alla eventuale sentenza, che puo' divenire sentenza essa stessa per semplice volonta' della parte intimata, contenendo gia' la stessa la pronuncia sulle spese, manca, peraltro, il tratto caratteristico senza il quale non puo' parlarsi di sentenza vera e propria: la irrevocabilita' da parte del giudice che l'ha pronunciata, che non puo' piu' riesaminare le questioni gia' decise (art. 279 c.p.c.). Nel caso dell'ordinanza di cui all'art. 186-quater, invece, la irrevocabilita' del provvedimento e' condizionata all'atteggiamento della parte resistente e, in assenza di accadimenti, resiste soltanto fino alla sentenza, che, questa si', spogliera' definitivamente il giudice della causa. Dunque la non equiparabilita' della ordinanza ex art. 18-quater alla sentenza comporta la inapplicabilita' dell'art. 2818 c.c. e, dunque, la non iscrivibilita' della ipoteca sulla base di quel provvedimento. Ritiene, peraltro, la Corte che l'art. 186-quater, nella parte in cui non colloca l'ordinanza de qua tra quelle che costituiscono titolo per la iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 c.c., possa attuare una disparita' di trattamento tra destinatari di ordinanze comportanti condanna al pagamento di somma, in funzione anticipatoria di sentenze, con particolare riferimento all'ordinanza prevista dall'art. 186-ter c.p.c., cosiddetta ordinanza di ingiunzione, anch'essa dal contenuto anticipatorio di decisioni, introdotta dall'art. 21 della legge 26 novembre 1990, n. 353 (riforma del c.p.c.) e possa essere venuta meno alla dichiarata funzione di "soddisfare esigenze immediate di tutela" giudiziaria, scoraggiando "la prosecuzione di giudizi dettata da finalita' defatigatorie", in una "strategia di rapido smaltimento dell'arretrato" (v. parere del C.S.M. sulla riforma): non appare dunque manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma, nella parte in cui non prevede quella idoneita' alla iscrizione anche per l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione, sollevata dalla parte reclamante, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Nella ipotesi, praticamente piu' rilevante, di ordinanza ingiunzione, emessa nei confronti della parte costituita, il giudice emana il provvedimento quando i fatti costitutivi del credito sono provati documentalmente (art. 633, comma 1, e comma 2 c.p.c.) o le eccezioni sollevate non siano "fondate su prova scritta o di pronta soluzione"; ma puo' emanarlo "anche se vi e' pericolo di grave pregiudizio nel ritardo", salva la imposizione di una cauzione. Tale ordinanza e' revocabile in qualsiasi momento dal giudice che l'ha emessa; la stessa acquista efficacia esecutiva e diviene irrevocabile in caso di estinzione del giudizio a cognizione piena nel corso del quale e' stata emanata. Dunque si tratta di un'ordinanza emanata in una qualunque fase del procedimento, in quanto la norma fa leva essenzialmente sul titolo (o addirittura sul "pericolo"), anche se le prove non sono ancora state escusse o addirittura richieste, quando il giudicante non ha, e non puo' avere, l'intero spettro delle prove dedotte e prodotte o espletate, e soprattutto, quando ancora i titoli non hanno subito quella contestazione che nell'arco del processo possono fisiologicamente ricevere (salve le ipotesi di disconoscimento della scrittura e della querela di falso, espressamente previsti dalla norma); del resto - e questo costituisce la conseguenza, e la riprova, del fatto che il processo e' in corso di formazione - la norma prevede espressamente che la ordinanza possa essere revocata; questa, del resto, non acquista mai la efficacia di sentenza. Ben diverse sembrano le condizioni di emanabilita' dell'ordinanza di cui all'art. 186-quater: come si e' visto, la intera fase istruttoria e' terminata, tutte le prove sono state espletate ed il legislatore prevede l'ordinanza come non piu' modificabile almeno fino alla emissione della sentenza, con la possibilita' di acquisire, di per se', efficacia di sentenza. Non entra in questa disamina la questione relativa alle critiche fatte dalla dottrina alla ordinanza in esame in quanto costituiva attuazione della contestata idea di prevedere provvedimenti con motivazione da apporre a richiesta di parte: infatti la motivazione - o la carenza di motivazione - e' comune ad entrambi i provvedimenti confrontati. Orbene la ordinanza ingiunzione dichiarata esecutiva costituisce titolo per la iscrizione della ipoteca giudiziale, mentre per la ordinanza successiva alla chiusura della istruzione non e' previsto tale effetto. E' vero che l'art. 186-ter si richiama alla disciplina del procedimento per ingiunzione ex artt. 633 e ss. c.p.c., che dichiaravano tale idoneita' ad iscrivere ipoteca con riferimento al decreto ingiuntivo, ma non si puo' trascurare che un provvedimento, pur previsto successivamente, qualora richieda l'esito positivo di un giudizio a cognizione piena, come presupposto per la sua emanazione, non possa avere effetti minori del provvedimento sommario, come deve essere considerato quello di cui all'art. 186-ter, atteso anche il dichiarato scopo del legislatore del 1995 di voler accelerare le decisioni del giudicante. La questione prospettata concerne anche la ragionevolezza della misura adottata dal legislatore, sempre in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Non vi e' dubbio che il legislatore debba godere della piu' ampia discrezionalita' nel delineare i provvedimenti di competenza del giudice e nell'indicarne gli effetti tipici; tuttavia, secondo l'ormai costante insegnamento della stessa Corte costituzionale, le scelte operate dal legislatore non si sottraggono al controllo di legittimita', sotto il profilo della ragionevolezza e della razionalita' dell'intervento legislativo, tenuto conto che, nella specie due ordinanze aventi il medesimo fine hanno conseguenze diverse, in danno proprio di quella la cui emissione sembra addirittura dover soddisfare presupposti piu' onerosi. D'altro canto il legislatore ha previsto anche una esecutivita' ope legis dell'ordinanza ex art. 186-quater, al contrario di quella relativa all'ordinanza prevista dall'art. 186-ter, che deve essere dichiarata. E' allora proprio questo elemento di comparazione che chiarisce i termini della irragionevole scelta legisla-tiva e rende necessario l'esame del giudice delle leggi, al fine di dare concretezza agli invocati parametri costituzionali. In conclusione la mancata previsione della idoneita' ad iscrivere ipoteca dell'ordinanza prevista dall'art. 186-quater sembra costituire una effettiva disparita' di trattamento con il destinatario dell'ordinanza ingiunzione, che, se appare disporre di prova scritta, non ha ancora sottoposto il suo credito al vaglio della intera istruzione; dalla norma risulta pregiudicato anche il diritto di agire per la tutela del proprio diritto. Nel caso in esame, dunque, l'applicazione dell'art. 186-quater c.p.c., interpretato nel senso sopra detto, non puo' che portare al rigetto del reclamo, come si e' visto: la questione di legittimita' costituzionale della norma, quindi, rileva e comporta la necessita' di adire la Corte costituzionale, in quanto non appare manifestamente infondata.