IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 128/1998 del registro generale pretura avente per oggetto sfratto per morosita' promossa da Suvero Valeria, avv. Borrini, contro Biyad Latifa, avv. Viani. Nel corso del procedimento civile iscritto al n. 128/1998 del r.g.a.c. ex pretura presso il tribunale della Spezia, intercorrente tra Suvero Valeria e Biyad Latifa ed avente per oggetto, da un lato, la domanda di risoluzione del contratto di locazione intercorrente tra le predette parti per inadempimento del conduttore (il Biyad) e dall'altro la domanda del conduttore di determinazione dell'entita' del cosiddetto equo canone, al fine di ottenere la ripetizione delle somme versate in eccesso, veniva ammessa e svolta consulenza tecnica d'ufficio al fine di determinare appunto l'entita' del canone legale. All'esito di tale consulenza il perito depositava notula degli onorari, per ottenerne la liquidazione. Ravvisandosi la necessita' di chiarimenti scritti del c.t.u., lo stesso veniva poi incaricato di svolgere un supplemento di relazione, attualmente in corso. Peraltro Biyad Latifa, parte che ha richiesto la predetta c.t.u., e' stato ammesso al gratuito patrocinio ai sensi del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282. Oggetto della presente ordinanza, con la quale si solleva questione di costituzionalita' in via incidentale, e' la discplina sul compenso per i periti nel caso di ammissione della parte richiedente al gratuito patrocinio ai sensi del citato r.d. n. 3282/1923. Si osserva infatti che, ai sensi dell'art. 11, numeri 3 e 4, del regio decreto n. 3282/1923, il perito opera gratuitamente, salvo per quanto concerne le spese vive, anticipate dall'erario e prenotate a debito. Al perito e' consentita la ripetizione del proprio compenso soltanto "dalla parte condannata nelle spese, od anche dalla stessa parte ammessa al gratuito patrocinio, qualora, per vittoria nella causa o per altre circostanze, venisse a cessare in essa lo stato di poverta'" (art. 11, n. 3). Ora e' evidente che, a fronte di una parte "povera" che dovesse soccombere in giudizio, il perito avrebbe limitatissime possibilita' di ottenere il pagamento della propria prestazione, in quanto, ove il "povero" venisse anche condannato alle spese, e scattasse quindi il meccanismo di legittimazione al recupero nei suoi confronti, la satisfattivita' di tale recupero sarebbe sostanzialmente frustrata in partenza dal ricorrere appunto di una situazione di indigenza. Ne consegue che il sistema, cosi' come costruito dalla normativa censurata, finisce per porre il c.t.u. in una condizione strutturale di assai dubbia imparzialita', in quanto, al di la' dell'evenienza, del tutto aleatoria ed ipotetica, di una ripresa dell'indigente dallo stato di poverta' per cause diverse, la concreta possibilita' per il perito di ottenere il pagamento sarebbe agganciata in modo quasi esclusivo alla soccombenza di una delle parti, quella non povera, in quanto in dipendenza di cio' potrebbe aversi il recupero dalla stessa (se condannata nelle spese) o dalla parte ammessa al gratuito patrocinio (se la vittoria le consentisse di perdere lo stato di poverta'). Tale disciplina, alterando sensibilmente la parita' delle parti nel processo costituisce diretta violazione del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione) e indiretta violazione del principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) che, nell'ambito dell'attivita' giurisdizionale avente per oggetto diritti contrapposti, parrebbe imporre l'equidistanza di chi eserciti nel processo attivita' idonea ad influire sensibilmente sul giudizio in merito ai diritti stessi. E' ben vero in effetti che l'attivita' del perito non integra una decisione giudiziale e che il perito e le sue valutazioni sono comunque sottoposte al controllo del giudice: si osserva pero' che, al di la' di errori tecnici palpabili, l'attivita' del c.t.u. comporta giudizi e come tale, per quanto controllabile nell'oggettivita' delle motivazioni e dei parametri, contiene assai spesso in se' stessa, se non quasi sempre, un nucleo difficilmente violabile di libero convincimento che, tanto piu' se si tratti di giudizio di tipo squisitamente tecnico, risulta solo in parte verificabile appieno dal giudice. Il giudice puo' apprezzare se la motivazione sia logica e fondata su elementi obiettivi, ma e' assai difficile che tale controllo possa effettivamente sottoporre a verifica il margine di libero convincimento proprio di ogni giudizio. E tale ambito di impalpabile ed inevitabile valutazione soggettiva e' in grado di introdurre nel processo, ove esso possa venire influenzato dal fatto che il pagamento del compenso dipenda dall'esito della consulenza, una variabile lesiva della parita' delle parti davanti all'attivita' giudiziaria (non a caso, si rileva ancora, la legge sottopone il c.t.u. a ricusazione - art. 63, secondo comma del c.p.c. - nei medesimi casi in cui anche il giudice puo' essere ricusato - art. 51 del c.p.c. - a conferma di un esigenza di imparzialita' del perito non dissimile da quella che riguarda lo stesso magistrato). D'altra parte, per completezza di disamina, si osserva che, sotto il profilo in esame, la disciplina prevista dall'art. 11, n. 3, per i difensori, non presta il fianco ad analoghe critiche, in quanto i presupposti cui la normativa subordina il diritto al compenso dell'avvocato, ovverosia in ultima analisi, la vittoria nella vertenza della parte povera, corrono nella medesima direzione dell'impegno richiesto al professionista, che e' appunto quello di ottenere la vittoria in giudizio del proprio assistito. Non ignora peraltro questo giudice che la questione di costituzionalita' della normativa in esame gia' fu dichiarata infondata da Corte costituzionale 9 maggio 1973, n. 58. Si osserva pero' che, oltre al tempo da allora trascorso, con tutte le evoluzioni culturali in merito al tema dell'imparzialita' e le novita' normative in tema di gratuito patrocinio in materia penale e di lavoro, il profilo di remissione era stato in quella sede sostanzialmente diverso, in quanto fondato sul timore che l'obbligo di prestare gratuitamente l'opera potesse incidere negativamente sul diritto del non abbiente ad un'adeguata attivita' processuale, e come tale del tutto diverso dal profilo sollevato in questa sede. Sotto un diverso profilo suscita dubbi di costituzionalita' il diverso trattamento che i periti, ausiliari del giudice, ricevono in caso di gratuito patrocinio ai sensi degli artt. 13 e 14, legge 11 agosto 1973, n. 533, rispetto al gratuito patrocino ai sensi del regio decreto n. 3282/1923. Infatti in entrambi i casi l'ausiliario e' nominato dal giudice che segue il processo (mentre per il difensore la nomina proviene in materia civile dalla commissione presso il tribunale: art. 29 regio decreto n. 3282/1923) e purtuttavia nel primo caso (art. 14, secondo comma, della legge n. 533/1973) il compenso e' anticipato dallo Stato (con tutto cio' di vantaggio che ne deriva, rispetto all'immediatezza e certezza di pagamento dell'opera svolta che, costituendo prestazione lavorativa, gode tra l'altro di garanzia costituzionale quanto alla remunerazione: artt. 35 e 36) mentre, nel secondo caso, la prestazione e' gratuita ed il suo pagamento dipende dal verificarsi o meno del complesso di condizioni sopra richiamate in merito alla condanna alle spese di una delle parti od alla cessazione della situazione di poverta'. Costituisce regola fatta propria dalla Corte costituzionale (Corte costituzionale 12 luglio 1967, n. 112) in tema di prestazione dei consulenti, quella per cui non puo' aversi discriminazione "tra gli ausiliari la cui opera viene richiesta da un identico organo", pur se nell'esercizio di diverse funzioni (nel caso di specie si trattava della liquidazione dei compensi al perito del pubblico ministero, da riconoscere non solo nell'esercizio dell'azione penale, ma anche quando il tecnico operi nei giudizi civili di interdizione promossi dal p.m.). D'altra parte, premesso che nel processo e' in realta' il giudice e non le parti a richiedere l'ausilio del c.t.u., deve poi rilevarsi come, dal punto di vista istituzionale, giudice del lavoro e giudice delle cause civili ordinarie non siano organi giudiziari diversi, trattandosi di distinzione correlata soltanto a differenze di specializzazione e ad esigenza organizzative interne (cfr. ad es., per un applicazione del principio che precede, Cass., 8 giugno 1979, n. 3272 e Cass., 22 aprile 1980 n. 2605). Sembra quindi chiaro che, ricorrendo i medesimi presupposti (nomina di ausiliario da parte del giudice della causa), non possa giustificarsi la disparita' di trattamento ai danni del perito, in quanto e' del tutto evidente che la specialita' della materia puo' al limite giustificare le diverse modalita' di ammissione al gratuito patrocinio (piu' celeri ed efficienti per il lavoratore secondo il sistema della legge n. 533/1973), ma non di certo le modalita' di pagamento del lavoro del perito, rispetto al quale identica e' l'attivita' da svolgere in una o in un'altra materia. Entrambi i dubbi di costituzionalita' teste' sollevati si risolverebbero con la previsione dell'obbligo di anticipazione a carico dell'erario mediante annotazione a debito, salvo il diritto di ripetizione, delle somme spettanti al consulente a titolo di compenso, in conformita' a quanto gia' previsto dall'art. 11, n. 4, del regio decreto n. 3282/1923, per il recupero delle sole spese vive da parte del perito: la questione di legittimita' deve quindi venire sollevata in tali termini. Per quanto attiene alla legittimazione del sottoscritto magistrato a sollevare la questione di costituzionalita', nonche' la rilevanza di essa, si osserva che: essendo stata depositata, da parte del c.t.u., la notula per la liquidazione dell'attivita' gia' svolta, e' proprio questo il momento, per prassi e norma, in cui questo giudice dovrebbe determinare l'ammontare del compenso e le modalita' di soddisfazione nelle forme di legge (artt. 50 e 51 disp. att. c.p.c.); la mancanza di previsione che renderebbe incostituzionale la normativa impedisce in questa fase, che e' quella propria della liquidazione del compenso al perito, di porre a carico dell'erario il compenso stesso, di talche' al limite, essendo stata depositata la notula (che, secondo esperienza, ha il significato proprio di chiedere al giudice il compenso per l'attivita' svolta) dovrebbe emettersi un provvedimento di rifiuto o di dilazione fino all'esito della causa (in questo caso per valutare se l'esito stesso consenta di soddisfare il perito in dipendenza delle condizioni di cui all'art. 11, n. 3, del regio decreto n. 3228/1923); quindi proprio ora, nel dover rifiutare o dilazionare la liquidazione, la normativa censurata diviene rilevante con il correlato difetto di legittimita' costituzionale; nel presente giudizio, oltre alla attivita' peritale di cui e' stata chiesta la liquidazione, e' in corso ulteriore attivita' peritale, rispetto alla quale, absit iniuria verbis, potrebbero avere concretezza i dubbi di alterazione dell'imparzialita' di giudizio di cui si e' detto, di talche', almeno in via di fatto, la rilevanza diviene addirittura duplice. Ritenuto quindi di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, nn. 3 e 4 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, nella parte in cui non prevedono che siano anticipate dal pubblico erario anche le somme spettanti ai periti nominati dal giudice a titolo di compenso per l'opera prestata, salva annotazione a debito e ripetizione nelle forme di cui all'art. 11, nn. 3 e 4 e cio' per violazione degli artt. 24 e 3 della Costituzione, nei sensi e nei termini di cui alla motivazione che precede.