IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 17823/1997 del r.g.a.c., vertente tra Sessa Virginia, residente in Napoli, alla via Tasso n. 432/D, ed elettivamente domiciliata in Napoli, via dei Mille n. 59, presso l'avv. Stefano Cianci, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso introduttivo, opponente e Ente autonomo acquedotto pugliese, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso, anche in virtu' di procura a margine della copia notificata del ricorso introduttivo, dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, con sede in Napoli, alla via A. Diaz n. 11, opposto nonche' Banco di Napoli S.p.a., quale commissario governativo per la riscossione dei tributi per la provincia di Napoli, in persona del collettore dott. Fabio Fronza, elettivamente domiciliato in Napoli, corso Umberto I n. 237, presso la dr. Maria Ruggiero, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce alla copia notificata del ricorso introduttivo, opposto. F a t t o Con ricorso depositato in data 4 dicembre 1997, Virginia Sessa ha proposto opposizione avverso l'esecuzione promossa nei suoi confronti, nelle forme di cui al d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (esecuzione esattoriale), dal concessionario del servizio della riscossione dei tributi per la provincia di Napoli, su delega del concessionario del servizio della riscossione dei tributi per la provincia di Potenza, con atto di pignoramento mobiliare del 24 novembre 1997, sulla base della cartella esattoriale n. 5600186 del 10 agosto 1995 della S.E.M. S.p.a. (concessionario del servizio della riscossione dei tributi della provincia di Potenza), relativa ad una pretesa di complessive L. 14.368.937 dell'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese per forniture idriche relative alla sua abitazione sita in Maratea (PZ), effettuate negli anni 1991, 1992, 1993 e 1994, nonche' del successivo avviso di mora, fatto notificare dal Banco di Napoli S.p.a. (commissario governativo della concessione del servizio di riscossione dei tributi per la provincia di Napoli) in data 29 settembre 1997, con il quale le veniva richiesto il pagamento della somma di L. 4.471.502. La Sessa, a fondamento dell'opposizione proposta, ha dedotto che, dopo la notificazione della cartella esattoriale, aveva chiesto ed ottenuto dall'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese le rilevazioni dei propri consumi idrici inerenti agli anni per i quali era stato intimato il pagamento, ed aveva potuto riscontrare che erano stati commessi errori di conteggio. In particolare: per l'anno 1991, a fronte di un consumo di 1.552 mc di acqua, con eccedenza - rispetto al consumo base di 90 mc - di 1.462 mc, le era stato richiesto il pagamento di una somma di L. 1.198.279, per una eccedenza pari a 1.498 mc; per l'anno 1992, a fronte di un consumo di 1.476 mc di acqua, con eccedenza - rispetto al consumo base di 73 mc - di 1.403 mc, le era stato richiesto il pagamento di una somma di L. 5.721.054, per una eccedenza pari a 2403 mc. Dopo avere informato di cio' sia l'ente creditore che l'esattore, chiedendo le opportune rettifiche, in mancanza di risposta, aveva provveduto al pagamento della somma che riteneva effettivamente dovuta, pari a L. 11.368.937, in data 30 gennaio 1996. Cio' nonostante l'ente creditore, a mezzo del concessionario del servizio per la riscossione dei tributi, aveva proceduto all'esecuzione per la differenza. Tanto premesso, richiamando la sentenza 13 luglio 1995 n. 318 della Corte costituzionale, la opponente ha chiesto: in via principale, accertarsi e dichiararsi che l'Ente autonomo per l'acquedotto Pugliese ed il concessionario del servizio di riscossione dei tributi per la provincia di Napoli (quest'ultimo quale delegato del concessionario del servizio di riscossione dei tributi per la provincia di Potenza) non hanno diritto a procedere all'esecuzione forzata nei propri confronti in base alle norme sull'esecuzione esattoriale, trattandosi di materia di competenza del giudice ordinario; in via subordinata, e nel merito, accertarsi e dichiararsi che il proprio debito nei confronti dell'Ente autonomo per l'acquedotto Pugliese, pari a L. 11.368.937 era stato gia' integralmente estinto prima del pignoramento; conseguentemente accertarsi e dichiararsi la nullita' e l'inefficacia dell'avviso di mora e del pignoramento esattoriale; condannarsi l'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese e la S.E.M. S.p.a. al rimborso delle spese di giudizio. Sospesa l'esecuzione con decreto, ed instaurato il contraddittorio nei confronti dell'ente creditore e del concessionario del servizio di riscossione dei tributi per la provincia di Napoli, si sono regolarmente costituiti in giudizio: l'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese, in persona del legale rappresentante pro-tempore il quale, in via preliminare, ha eccepito l'inammissibilita' dell'opposizione, in quanto la stessa avrebbe dovuto essere proposta avverso la cartella esattoriale nei termini di legge, e, nel merito, ha contestato il fondamento della stessa, per essere integralmente dovute le somme di cui era stato ingiunto il pagamento come rilevabile dalle proprie note allegate agli atti; il Banco di Napoli S.p.a., quale commissario governativo per il servizio della riscossione dei tributi nella provincia di Napoli, in persona del collettore dott. Fabio Fronza, il quale, in via preliminare, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, chiedendo in subordine l'autorizzazione alla chiamata in garanzia della S.E.M. S.p.a., quale concessionario del servizio di riscossione dei tributi per la provincia di Potenza, e, nel merito, ha affermato l'infondatezza dell'opposizione, per mancanza di prova. Dopo istruzione esclusivamente documentale, sulle conclusioni di cui in epigrafe, la causa e' stata assegnata in decisione all'udienza del 3 febbraio 1999, con termine di trenta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e ulteriore termine di venti giorni per il deposito di eventuali memorie di replica. D i r i t t o Ritiene questo pretore di dover sollevare la questione di costituzionalita' dell'art. 1 della legge 13 dicembre 1928 n. 3233 (nonche' degli artt. 11 e 11-bis della legge 23 settembre 1920 n. 1365, di conversione del r. d.-l. 19 ottobre 1919 n. 2060, come modificati dal suddetto art. 1), nella parte in cui, rinviando alle norme previste per la riscossione delle imposte dirette per la soddisfazione di crediti non tributari dell'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese (ed in particolare gli artt. 53 e 54 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, modificato dal d.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43), impedisce al debitore - nell'ipotesi in cui contesti l'esistenza o l'entita' del credito - di proporre opposizione all'esecuzione dinanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria. Detta questione appare infatti rilevante ai fini della decisione del presente giudizio, nonche' non manifestamente infondata. Rilevanza della questione L'opponente Virginia Sessa ha, in via principale, contestato in radice il diritto dell'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese di procedere ad esecuzione forzata nei propri confronti, in base alle norme sull'esecuzione esattoriale, assumendo trattarsi di materia di competenza del giudice ordinario. In via subordinata al mancato accoglimento di questo primo motivo di opposizione, ha inoltre proposto due distinte domande: con la prima ha chiesto accertarsi e dichiararsi che il proprio debito nei confronti dell'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese era stato gia' integralmente estinto prima del pignoramento; con la seconda, ha chiesto accertarsi e dichiararsi la nullita' e l'inefficacia dell'avviso di mora e del pignoramento esattoriale. Orbene, la domanda principale deve certamente qualificarsi come opposizione all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., avendo ad oggetto la negazione del diritto dell'ente creditore di procedere ad esecuzione forzata (secondo le forme dell'espropriazione esattoriale, concretamente prescelte). Inoltre, mentre la prima delle due domande subordinate puo' qualificarsi come azione di accertamento negativo della pretesa dell'ente creditore, la seconda (in coerenza con la stessa intitolazione del ricorso) configura anch'essa certamente una opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., avendo ad oggetto la dichiarazione di inefficacia degli atti esecutivi compiuti dal creditore procedente in conseguenza dell'inesistenza del suo credito e del suo conseguente diritto di procedere ad esecuzione forzata. In base all'art. 1 della legge 13 dicembre 1928 n. 3233 (che ha modificato il testo dell'art. 11 della legge 23 settembre 1920, n. 1365, di conversione, con modifiche, del r. d.-l. 19 ottobre 1919, n. 2060, ed ha aggiunto gli artt. 11-bis, 11-ter ed 11-quater), la riscossione di tutte le entrate dell''Ente autonomo per l'acquedotto pugliese "e' fatta dagli esattori comunali, ovvero da un esattore unico particolare, in base a ruoli, approvati da presidente e resi esecutori", con tutte le modalita' e secondo le norme in vigore per la riscossione delle imposte dirette (art. 11), e gli utenti sono tenuti al pagamento delle somme comprese nei ruoli, nonostante qualsiasi reclamo e contestazione, salvo i rimborsi dovuti a contestazione definita (art. 11-bis). In base al rinvio come sopra disposto, trova percio' attualmente applicazione nella materia di cui trattasi la procedura di esazione delle entrate disciplinata dal d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (modificato dal d.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43). In base a detta normativa era, tra l'altro, esclusa la possibilita' di sospensione dell'esecuzione da parte del giudice ordinario, salvo che nel caso di opposizione di terzo ai sensi dell'art. 619 c.p.c. (art. 54 d.P.R. n. 602 del 1973, primo comma) nonche' la possibilita' per il debitore di proporre le opposizioni regolate dagli artt. da 615 a 618 del c.p.c. (art. 54 d.P.R. n. 602 del 1973, secondo comma). Il primo di tali divieti e' stato peraltro dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione con la sentenza 13 luglio 1995, n. 318 della Corte costituzionale, nell'ipotesi in cui l'utente contesti l'esistenza o l'entita' del credito, per la disparita' di trattamento che, dal punto di vista della difesa giurisdizionale - alla cui maggiore intensita' concorre comunque anche la tutela cautelare - l'utente stesso subisce rispetto alle controversie concernenti gli altri servizi non compresi nel sistema di riscossione esattoriale, e per la irragionevolezza della esclusione del potere di sospensione cautelare, nel caso in cui, trattandosi di entrate non tributarie, alle stesse non sia applicabile il sistema di gradualita' della realizzazione del credito, previsto per le imposte dall'art. 15 del citato d.P.R. n. 602 del 1973. Nella motivazione della richiamata decisione, la Corte costituzionale ha precisato che, per effetto del sistema normativo sottoposto al suo giudizio, da essa in passato giudicato conforme a costituzione in relazione all'esazione dei tributi (tra l'altro nella sentenza n. 63 del 1982), "nel caso di entrate non tributarie riscosse secondo la procedura esattoriale, il debitore, mentre e' legittimato a proporre un'azione di accertamento negativo della pretesa dell'ente creditore, non puo', invece, invocare, innanzi al giudice, la tutela cautelare", ed ha ritenuto discriminatorio il "regime al quale risulta assoggettata la riscossione delle entrate di natura non tributaria quando l'utente avanzi contestazioni circa l'esistenza o l'entita' del credito, atte a legittimare un'azione di accertamento negativo". Appare dunque chiaro che la illegittimita' costituzionale dell'inesistenza di un potere cautelare del giudice ordinario di sospendere l'esecuzione esattoriale in caso di contestazione circa l'esistenza o l'entita' del credito azionato e' stata affermata, con la sentenza n. 318 del 1995, in relazione alla possibilita' del debitore di proporre una normale azione di accertamento negativo circa l'esistenza o l'entita' del credito vantato dall'ente procedente, e non in relazione alla possibilita' per il debitore di proporre opposizione all'esecuzione esattoriale ai sensi dell'art. 615 c.p.c. Ed e' appena il caso di osservare, in proposito, che, pur essendo estremamente discussa la natura giuridica dell'opposizione all'esecuzione - trattandosi di azione di mero accertamento negativo della legittimita' dell'esecuzione, secondo alcuni, ovvero di azione costitutiva che invalida ex nunc tutti gli effetti dell'esecuzione compiuta, secondo altri - e' comunque certo che tale azione non puo' identificarsi con quella di mero accertamento negativo dell'esistenza e/o dell'entita' del credito per cui si procede esecutivamente, avendo essa comunque ad oggetto non il credito in se', ma il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata sulla base di detto credito (e segnatamente, secondo la tesi che pare prevalere in dottrina e giurisprudenza, in ogni caso la nullita' o l'insussistenza dell'azione esecutiva in senso sostanziale, ed eventualmente la nullita' o l'annullamento degli atti esecutivi compiuti). Per quanto sin qui osservato, e' quindi chiaro che, pur dichiarata la illegittimita' costituzionale delle norme che impediscono la sospensione dell'esecuzione esattoriale nell'ambito del processo per la riscossione delle entrate dell'ente autonomo per l'acquedotto pugliese, in relazione alla possibilita' del debitore di proporre l'azione di accertamento negativo dell'entita' o esistenza del credito azionato (art. 54 d.P.R. n. 602 del 1973, primo comma), resta tuttora esclusa la possibilita' per il debitore di proporre le opposizioni regolate dagli artt. da 615 a 618 del c.p.c. (art. 54 d.P.R. n. 602 del 1973, secondo comma). Avendo Virginia Sessa proposto proprio una opposizione all'esecuzione, in via principale, nel presente giudizio, la eventuale illegittimita' costituzionale delle norme che ne escludono l'ammissibilita', deve ritenersi certamente rilevante ai fini della decisione. Non manifesta infondatezza della questione Per quanto attiene al giudizio di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' sollevata, pare opportuno richiamare le considerazioni svolte nella sentenza 18 luglio 1997, n. 239 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17 della legge 3 gennaio 1981, n. 6 (norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti), nella parte in cui, rinviando alle norme previste per la riscossione delle imposte dirette, impedisce al debitore - nell'ipotesi in cui contesti l'esistenza o l'entita' del credito - di proporre opposizione all'esecuzione dinanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria. La questione sottoposta all'esame della corte, in tale caso, aveva ad oggetto un caso assolutamente simile a quello attualmente in esame, caratterizzato cioe' dalla previsione dell'applicabilita' del sistema di riscossione delle imposte dirette per crediti non tributari (nella specie crediti previdenziali relativi alle categorie degli ingegneri e degli architetti). In relazione a detta fattispecie si lamentava una lesione del principio di effettivita' della tutela giurisdizionale dei diritti in conseguenza sia del divieto di proporre "nelle forme dell'opposizione all'esecuzione", l'azione di accertamento dell'inesistenza della relativa obbligazione pecuniaria, sia del divieto di sospensione dell'esecuzione da parte dell'autorita' giudiziaria ordinaria. La Corte costituzionale, precisato preliminarmente doversi ritenere escluso dall'area di rilevanza della questione sottoposta al suo vaglio il profilo attinente alle norme che disciplinano la sospensione dell'esecuzione (avendo il giudice a quo gia' rigettato la proposta istanza di sospensione), la ha poi riconosciuta fondata, in relazione al diverso profilo attinente al divieto di proposizione dell'opposizione all'esecuzione, richiamando le censure operate nella sentenza n. 318 del 1995 al "discriminatorio regime al quale risulta assoggettata la ricossione delle entrate di natura non tributaria, quando l'utente avanzi contestazioni circa la esistenza o l'entita' del credito, atte a legittimare un'azione di accertamento negativo peraltro esperibile, ai sensi dell'art. 54 del d.P.R. n. 602 del 1973, solo "dopo il compimento dell'esecuzione stessa", ed alla mancanza, nel caso delle entrate di natura non tributaria, di un sistema di gradualita' della riscossione in relazione all'andamento del processo. Ha infatti osservato che la carenza di graduazione dell'esecutivita', oltre ad imporre al debitore un sacrificio assolutamente sproporzionato rispetto alle finalita' ed alla natura dell'ente creditore, comporta altresi', anche in considerazione di taluni effetti di irreversibilita' tipici del processo esecutivo, una inammissibile limitazione della tutela alla proponibilita' di sole iniziative risarcitorie, potendo queste corrispondere alla specificita' ed all'intensita' della tutela giurisdizionale postulata dall'art. 24 della Costituzione, solo se inserite in un piu' ampio quadro di garanzie, quale appunto si delinea per le entrate tributarie. Le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella pronunzia da ultimo richiamata (n. 239 del 1997), da un lato sottolineano la distinzione che deve ritenersi operare, nella materia dell'esecuzione esattoriale, tra il profilo relativo al divieto di sospensione dell'esecuzione da parte del giudice ordinario e quello relativo al potere del debitore di proporre l'opposizione all'esecuzione regolata dall'art. 615 c.p.c., dall'altro lato evidenziano l'inadeguatezza delle norme di cui si intende denunziare l'illegittimita' costituzionale nella presente sede, a concretare l'effettivita' della tutela giurisdizionale postulata dagli artt. 3 e 24 della Costituzione, sotto il secondo degli indicati profili, per i medesimi motivi che hanno portato alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 17 della legge 3 gennaio 1981, n. 6 (norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti), nella parte in cui, rinviando alle norme previste per la riscossione delle imposte dirette, impedisce al debitore - nell'ipotesi in cui contesti l'esistenza o l'entita del credito - di proporre opposizione all'esecuzione dinanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria.