IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1752 del 1997, proposto da Domenico Scoglietti, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Carullo ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso, in Bologna, strada Maggiore n. 47; Contro il Ministro di grazia e giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, per l'annullamento del decreto 1 settembre 1997 del Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria presso il Ministero di grazia e giustizia, con cui viene irrogata la sanzione della destituzione dal servizio al ricorrente Domenico Scoglietti; della delibera del consiglio centrale di disciplina (depositata il 7 giugno 1997), che propone la sanzione di cui sopra; nonche' di ogni altro atto conseguenziale o correlato eventualmente emanato dall'amministrazione e, comunque, contrastante con le richieste del ricorrente, anche se allo stato ignoto; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero di grazia e gistizia; Viste le memorie difensive delle parti; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore per la pubblica udienza del 3 febbraio 1999 il dott Domenico Lundini; Uditi, all'udienza predetta, l'avv. Belli, in sostituzione dell'avv. Carullo, per il ricorrente, e l'avv. dello Stato Mancini per l'amministrazione; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; F a t t o Nei confronti del sig. Domenico Scoglietti, dipendente del Ministero di grazia e giustizia in qualita' di agente di custodia, sottoposto a procedimento penale per concorso nel reato di falso in atto pubblico e per truffa aggravata, e' stata applicata, con sentenza del g.i.p. presso il tribunale di Saluzzo, ex art. 444, c.p.p., la pena di mesi cinque e giorni 25 di reclusione, col beneficio della sospensione condizionale. Conseguentemente il Ministero di grazia e giustizia ha notificato, allo Scoglietti, in data 9 luglio 1996, contestazione disciplinare per infrazione di cui all'art. 6, comma 2, lettere a) e d), e comma 3, lettera a), del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449. Il consiglio centrale di disciplina, nella riunione dell'11 febbraio 1997, ha proposto la destituzione, che e' stata poi di fatto irrogata con decreto del Direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in data 1 settembre 1947. Avverso tale provvedimento insorge l'interessato, deducendo: 1) illegittimita' per violazione di legge: violazione dell'art. 6 del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449. E' stato ignorato dall'amministrazione il termine perentorio di novanta giorni entro il quale il procedimento disciplinare, avviato a seguito di condanna penale passata in giudicato, deve essere concluso, ex art. 6, comma 4, d.lgs. n. 449/1992. Invero la contestazione degli addebiti e' stata notificata nel luglio 1996 e la sanzione della destituzione e' stata irrogata con decreto del 1 luglio 1997, notificato il giorno successivo. 2) illegittimita' per violazione di legge: violazione dell'art. 16 del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449. Eccesso di potere per violazione del procedimento. Ai sensi dell'art. 16 del d.lgs. n. 449/1992, la riunione del consiglio di disciplina per la trattazione e deliberazione deve aver luogo entro 15 giorni dalla prima riunione del consiglio stesso, mentre nella specie tale termine non e' stato rispettato. 3) illegittimita' per eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione ed illogicita' manifesta della stessa. Illegittimita' per violazione di legge: violazione dell'art. 1, d.lgs. n. 449/1992 e dell'art. 3 legge n. 241/1990. La costruzione accusatoria e' speciosa ed illogica. Non e' stato contestato, invero, lo stato patologico dello Scoglietti, ma si e' assunto che tale patologia non poteva sussistere perche' l'agente non aveva avuto il tempo materiale per farsi visitare. Con tale ragionamento si giustifica l'applicazione della piu' grave delle sanzioni nei confronti di un dipendente che mai prima di allora aveva dato modo ai suoi superiori di sollevare la minima osservazione sul suo comportamento. La sanzione poi e' immotivata, considerando anche che la sentenza penale, essendo frutto di "patteggiamento", non ha dato luogo ai necessari accertamenti in fatto, sicche' a maggior ragione il Consiglio di disciplina doveva provvedere ad un esame esauriente ed ad una esaustiva motivazione. 4) illegittimita' per violazione di legge: violazione dell'art. 11 del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449, non essendo stata rispettata, nella specie, la corrispettivita' tra sanzione e infrazione disciplinare. Invero, il ricorrente e' stato incolpato di aver inventato uno stato morboso per procurarsi alcuni giorni di riposo in coincidenza col capodanno. Lo Scoglietti non aveva mai dato motivo di doglianza per il suo comportamento in servizio e la pretesa infrazione e' avvenuta dopo il termine del servizio, senza che vi sia stata dimostrazione di particolare malafede. Inoltre, il ricorrente e' stato condannato a soli 5 mesi e 25 giorni di carcere (pena sospesa), ben al sotto quindi della condanna minima indicata dall'ultimo periodo lettera a) del citato art. 6 comma 3. Il consiglio di disciplina e il Direttore dell'amministrazione penitenziaria hanno dunque errato nel non tener conto di circostanze tutte volte a mitigare la pena. Conclude per l'accoglimento del ricorso. La p.a. si e' costituita in giudizio e controdeduce ex adverso alle censure del ricorrente. Questi ha depositato ulteriori memorie in date 29 ottobre 1997 e 22 gennaio 1999. L'istanza cautelare e' stata accolta, con ordinanza n. 668 del 6 novembre 1997. Alla pubblica udienza del 3 febbraio 1999 la causa e' passata in decisione. D i r i t t o 1. - Con il primo motivo di ricorso l'istante sostiene che l'amministrazione avrebbe violato l'art. 6 del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449, il quale, al comma 4, stabilisce che la destituzione per condanna penale passata in giudicato - comma 3, lett. a), stesso art. 6 - "e' inflitta all'esito di un procedimento disciplinare, che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna ..." e "concluso nei successivi novanta giorni". Ad avviso del ricorrente il superamento di questo secondo termine, da ritenersi perentorio ed invalicabile, comporterebbe la radicale illegittimita' della sanzione espulsiva irrogata nei suoi confronti. 2. - Al riguardo il collegio rileva preliminarmente che l'esposta censura e' prioritaria e potenzialmente assorbente, in quanto il suo ipotetico accoglimento comporterebbe (a differenza di quanto conseguirebbe all'eventuale favorevole esame di altre doglianze pure prospettate dall'opponente) la definitiva perenzione del procedimento disciplinare, restando quindi preclusi all'amministrazione la riedizione dell'atto ed il nuovo esercizio del potere disciplinare. 3. - Cio' posto, va rilevato, in punto di fatto, che effettivamente il termine di cui trattasi e' stato nella specie ampiamente superato, atteso che il funzionario istruttore e' stato nominato il 25 giugno 1996 e la contestazione di addebiti e' stata formulata il 6 luglio 1996 mentre il decreto ministeriale d'irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione e' stato adottato il 1 settembre 1997 e successivamente notificato. 4. - Orbene, il ripetuto termine e' sicuramente perentorio, alla stessa stregua, del resto di quello stabilito dall'art. 9, secondo comma, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, cui l'art. 6, quarto comma, del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449, e' chiaramente ispirato, sia dal punto di vista letterale che della ratio ad esso sottostante. Entrambe dette disposizioni, infatti, hanno inteso drasticamente delimitare una parentesi temporale entro la quale puo' essere esercitato il potere disciplinare a seguito di condanna penale, il cui termine iniziale e' quello di centottanta giorni dalla conoscenza della sentenza di condanna e il cui termine finale e' quello di novanta giorni decorrente dall'inizio del procedimento; il superamento di quest'ultimo termine, quindi, come ha ritenuto l'adunanza plenaria del consiglio di Stato (decisione del 3 settembre 1997, n. 16), risolvendo le precedenti incertezze interpretative della giurisprudenza amministrativa, comporta l'illegittimita' del provvedimento punitivo, senza nemmeno che possa tenersi conto di eventuali ragioni giustificatrici connesse a fasi ed esigenze endoprocedimentali. 5. - Tanto premesso, il collegio reputa peraltro di doversi astenere da una pronuncia di accoglimento del ricorso in esame e di conseguente annullamento dell'atto impugnato, ritenendo di dover condividere i profili d'illegittimita' costituzionale prospettati dall'adunanza plenaria nella citata decisione (nonche' da C.d.S. VI, n. 591 del 29 aprile 1998 e n. 1244 del 14 settembre 1998) in relazione all'art. 9, comma 2, della legge n. 19/1990 e di dovere pertanto sollevare, d'ufficio, analoga questione anche nel presente giudizio in riferimento all'art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 449 del 30 ottobre 1992. Al riguardo possono essere sostanzialmente recepite le argomentazioni gia' svolte dalla menzionata giurisprudenza e puo' rilevarsi, quindi, circa un possibile contrasto con l'art. 3 della Costituzione, che la fissazione di un termine (novanta giorni) troppo breve puo risultare illogica perche' in contrasto con le esigenze di pieno accertamento ed attenta valutazione dei fatti attraverso' un procedimento disciplinare il quale, sebbene caratterizzato, nel d.lgs. n. 449/1992, da una scansione di adempimenti piuttosto serrata, resta pur sempre un procedimento complesso e articolato e comprensibilmente suscettibile, quindi, di svolgersi e concludersi entro tempi superiori a quelli di cui al denunciato comma 4, art. 6 del ripetuto d.lgs. del 1992. Deve inoltre osservarsi che puo' apparire irragionevole fissare il medesimo termine per la conclusione di un procedimento disciplinare gia' avviato e successivamente sospeso in pendenza del giudizio penale e per la conclusione di un procedimento disciplinare promosso, come nella specie, dopo la conclusione del procedimento penale (CdS, VI, n. 1244/1998). Anche l'art. 97 della Costituzione appare vulnerato, poiche' la ristrettezza del termine in questione puo' in concreto pregiudicare l'adeguata valutazione dei fatti in una materia delicata in cui l'ordinamento postula il conteperamento tra esigenze dell'amministrazione e interesse dell'incolpato alla prosecuzione dell'attivita' lavorativa. La necessita', poi, di una specifica ed autonoma valutazione, in sede disciplinare, degli elementi pur gia' sottoposti al giudice penale, appare poi particolarmente emergente ed apprezzabile nel caso, come appunto quello di specie, in cui la vicenda penale si e' chiusa con applicazione della pena su "patteggiamento", ex art. 444 c.p.p., e non vi e' stato quindi, in quella sede, accertamento pieno dei fatti e delle responsabilita'. 6. - La prospettata questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 449/1992 appare dunque non manifestamente infondata, mentre la sua rilevanza, ai fini della definizione della presente controversia, discende da quanto considerato al precedente punto 2. La questione stessa va pertanto rimessa alla Corte costituzionale previa sospensione del giudizio in corso.