ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), promosso con ordinanza emessa il 14 dicembre 1998 dal Tribunale di sorveglianza di Roma, iscritta al n. 213 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1999. Udito nella camera di consiglio del 29 settembre 1999 il Giudice relatore Giuliano Vassalli. Ritenuto che, chiamato a decidere sull'istanza di affidamento in prova al servizio sociale proposta da un condannato per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, il Tribunale di sorveglianza di Roma, premesso che nel caso di specie non erano ravvisabili i requisiti ne' dell'utile collaborazione ne' della "impossibilita'" o "inesigibilita'" della condotta collaborativa, ma che il condannato era stato riammesso all'esperienza dei permessi premio in forza della sentenza costituzionale n. 504 del 1995 e, a seguito della successiva sentenza n. 445 del 1997, era stato ammesso al beneficio della semiliberta' e che dalle relazioni trasmesse dal carcere e dal Centro di Servizio Sociale per Adulti era risultato un "apprezzabile grado di risocializzazione", essendosi l'istante scrupolosamente attenuto alle prescrizioni impostegli con il programma di trattamento, cosi' da comprovare l'approdo ad un livello di risocializzazione pienamente adeguato alla richiesta misura alternativa, ha, con ordinanza del 14 dicembre 1998, denunciato, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 3, della Costituzione, l'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui preclude che l'affidamento in prova al servizio sociale possa essere applicato ai condannati che prima dell'entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di risocializzazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata; che, secondo il giudice a quo, la decisione da ultimo ricordata non puo' essere estesa sul piano interpretativo a ricomprendere istituti diversi dalla semiliberta' e, in particolare, l'istituto dell'affidamento in prova al servizio sociale "trattandosi di misura piu' ampia e strutturalmente diversa dalla semiliberta'"; in tal modo, l'esclusione cosi' risultante dalla norma adesso denunciata, "interrompendo la progressivita' del trattamento senza che vi sia una giustificazione derivante da una condotta colpevole del condannato o da collegamenti con la criminalita' organizzata", si rivela di dubbia compatibilita' con le rationes decidendi, non soltanto della sentenza n. 445 del 1997, ma anche delle precedenti sentenze n. 306 del 1993 e n. 504 del 1995, tutte protese ad affermare il principio della illegittimita' di interruzioni del trattamento rieducativo che gia' all'epoca dell'entrata in vigore della norma restrittiva fosse caratterizzato da adesioni comportamentali in se' sintomatiche di un percorso rieducativo difficilmente regredibile; che, in piu', sarebbe vulnerato l'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificata disparita' di trattamento fra chi si trova a fruire delle misure alternative alla detenzione unicamente perche' la loro concessione e' anteriore all'intervento preclusivo e chi, invece, non possa trovare accesso a tali misure solo perche' il provvedimento di concessione non e' potuto intervenire prima della legge preclusiva; che nel giudizio non si e' costituita la parte privata ne' ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. Considerato che prima della pronuncia dell'ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 137 del 1999, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso nei confronti di condannati che, prima della data di entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata l'esistenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata; che tale decisione, delineando il percorso compiuto da questa Corte, a partire dalla sentenza n. 306 del 1993, per mantenere il rispetto del principio rieducativo nella fase dell'esecuzione penale anche in presenza di leggi con cui e' stato ritenuto - per far fronte ai pericoli derivanti dalla criminalita' organizzata - di restringere l'accesso alle misure alternative alla detenzione o a determinati benefici penitenziari, ha indicato come punto di arrivo di tale percorso la regola in base alla quale non si puo' ostacolare il raggiungimento della finalita' rieducativa "con il precludere l'accesso a determinati benefici o a determinate misure alternative in favore di chi, al momento in cui e' entrata in vigore una legge restrittiva, abbia gia' realizzato tutte le condizioni per usufruire di quei benefici o di quelle misure"; che, di conseguenza, appare necessario che il giudice a quo rivaluti, anche tenuto conto del beneficio richiesto, se, alla stregua delle statuizioni contenute nella sopravvenuta sentenza della Corte, la questione sollevata sia tuttora rilevante.