ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito delle modifiche al codice di procedura civile relative alla proponibilita' delle domande giudiziali al Pretore, in funzione di giudice del lavoro, subordinatamente all'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, promosso dal Pretore di Brescia, con ricorso depositato il 30 marzo 1999 ed iscritto al n. 114 del registro ammissibilita' conflitti. Udito nella camera di consiglio del 29 settembre 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto. Ritenuto che il Pretore di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza emessa al di fuori di un processo il 25 marzo 1999, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Consiglio dei ministri, in relazione all'art. 69, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall'art. 19 del decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80), nonche' all'art. 412-bis, terzo comma, del codice di procedura civile, come modificato dal comma 9 dello stesso art. 19 del decreto legislativo n. 387 del 1998, i quali - la' dove condizionano, a giudizio del ricorrente, la stessa proponibilita' (e non gia', come prima di tali modifiche, la mera procedibilita') delle domande giudiziali in materia di lavoro al decorso del termine, rispettivamente di novanta e sessanta giorni, dalla data di proposizione del tentativo obbligatorio di conciliazione - lederebbero le sue attribuzioni costituzionali di Pretore in funzione di giudice del lavoro, creando un ostacolo temporale all'esercizio del diritto dell'interessato e rendendo quindi disagevole la tutela giurisdizionale; che, ad avviso del ricorrente - il quale sottolinea che sul suo ruolo sono pendenti molte controversie instaurate dopo l'entrata in vigore delle disposizioni contestate - "qualsiasi limitazione incongrua al pieno esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non solo determina la violazione dell'art. 24 Cost., ma e', altresi', idonea a causare anche una lesione delle attribuzioni dell'Autorita' giudiziaria", essendo peraltro "assai difficile, se non (forse) impossibile" sollevare in via incidentale questione di legittimita' costituzionale delle richiamate norme "che non eliminano la tutela giurisdizionale, ma solo ne rendono possibile l'esercizio dopo il decorso del termine legale che determina l'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione"; che, in conseguenza, dette disposizioni di legge sarebbero: a) viziate da difetto di competenza del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, avendo il Governo "esercitato la funzione legislativa oltre i limiti, criteri e principi - valutati nel loro complesso, come risultanti dall'insieme delle relative norme delle leggi n. 421 del 1992 e n. 59 del 1997 - fissati nella delega, non rispettando il criterio che gli imponeva di regolare il tentativo obbligatorio quale condizione di procedibilita' e non di proponibilita'"; b) lesive dell'art. 24 della Costituzione, in quanto, "a fronte di una scelta legislativa che ha regolato il processo del lavoro in modo tale da imporre (o, quantomeno, consentire) la definizione del giudizio entro un termine fisiologico di circa sessanta giorni dalla data del deposito del ricorso, l'imposizione del decorso del termine legale di espletamento del tentativo di conciliazione, fissato in sessanta/novanta giorni, ai fini della proponibilita' della domanda giudiziale, si pone come abnormemente defatigatorio e lo sarebbe, comunque, anche se il termine fosse di un solo giorno, perche' evidentemente incompatibile con le regole processuali dirette a determinare una rapida definizione delle cause dinanzi al giudice del lavoro"; c) lesive dell'art. 3 della Costituzione, in quanto, "mentre non (sono) idonee a rendere piu' efficace il tentativo di conciliazione obbligatorio, quale strumento deflazionistico del contenzioso giudiziario - perche' non sono state introdotte innovazioni, di struttura e di sostanza, tali da rendere il tentativo preprocessuale piu' vantaggioso per le parti interessate e tali da non farlo considerare come mero adempimento burocratico -, sicuramente crea(no) un ostacolo temporale all'esercizio del diritto, rendendo disagevole la tutela giurisdizionale, in danno della parte piu' debole e, comunque, di quella piu' interessata alla rapida definizione della controversia dinanzi al giudice del lavoro"; che, in via pregiudiziale, il ricorrente dichiara di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 3, del decreto legislativo n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 19 del decreto legislativo n. 387 del 1998, nonche' dell'art. 412-bis, terzo comma, cod. proc. civ., come modificato dall'art. 19, comma 9, del decreto legislativo n. 387 del 1998, "nelle rispettive parti che condizionano la proponibilita' delle domande giudiziali al decorso del termine (rispettivamente di novanta e sessanta giorni) dalla data di proposizione del tentativo obbligatorio di conciliazione", per violazione degli artt. 3, 24, 76 e 77, primo comma, della Costituzione; che, in conseguenza, chiede a questa Corte di sospendere il giudizio di ammissibilita' del ricorso per conflitto e di rimettere davanti a se' la questione pregiudizialmente sollevata. Considerato che, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte e' chiamata a deliberare in camera di consiglio e senza contraddittorio sull'ammissibilita' del ricorso, accertando se esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza; che l'art. 69, comma 3, del decreto legislativo n. 29 del 1993 e l'art. 412-bis, terzo comma, cod. proc. civ., come modificati dall'art. 19 del decreto legislativo n. 387 del 1998, sono palesemente inidonei per il loro contenuto a ledere la sfera delle attribuzioni costituzionali del giudice, recando una disciplina che riguarda unicamente le modalita' di esercizio dell'azione e, dunque, interessando solo il diritto di difesa delle parti (la cui prospettata violazione viene a torto assunta come necessariamente menomativa di tali attribuzioni); che in realta' il Pretore di Brescia, con un'ordinanza emessa fuori dall'a'mbito d'un processo, tende ad ottenere surrettiziamente la declaratoria d'illegittimita' costituzionale di detta normativa, sollevando in via pregiudiziale una questione concernente invece l'oggetto stesso del conflitto, laddove egli avrebbe correttamente dovuto utilizzare a tal fine - non potendosene di certo escludere l'attivabilita' in concreto - lo strumento del giudizio incidentale nei processi (a suo dire gia') instaurati davanti a lui dopo l'entrata in vigore delle disposizioni contestate; che, pertanto, il conflitto e' inammissibile.