IL TRIBUNALE
   Nella causa iscritta al n.r.o. 1994/97;
   Letti gli atti,  sciogliendo  la  riserva  che  precede,  vista  la
 sentenza  non  definitiva  emessa  in  pari  data,  ha pronunziato la
 seguente ordinanza;
                               F a t t o
   Con citazione notificata il  2  luglio  1997,  Longobardi  Pasquale
 conveniva in giudizio la B.N. Commercio e Finanza, S.p.a., in persona
 del legale rappresentante pro-tempore, per sentire accolta la propria
 opposizione  al  decreto  ingiuntivo  n.  13043 emesso dal pretore di
 Napoli il 29 aprile 1997 per la somma di L. 8.217.891 oltre interessi
 convenzionali al tasso dello 0,70 per mille al giorno a partire dal 3
 luglio 1996.
   Con sentenza non definitiva questo giudicante - che ancora opera in
 funzione di pretore ai sensi del combinato disposto degli artt.  42 e
 133, d.-l. n. 51/1998, essendo state gia' precisate al 2 giugno  1999
 le  conclusioni  e  non  essendo  ancora intervenuta la rimessione in
 istruttoria per le questioni non definite con sentenza -  ha  accolto
 parzialmente   l'opposizione  dichiarando  risolto  il  contratto  di
 locazione finanziaria e  condannando  Longobardi  Pasquale  -  previa
 compensazione  parziale del debito dello stesso con i crediti vantati
 nei confronti della B.N. Commercio e Finanza, S.p.a. -  al  pagamento
 della  somma  di  L.  6.332.480,  non  pronunciandosi  in  merito  al
 pagamento degli interessi convenzionali  al  tasso  del  25,5%  annuo
 pretesi dalla B.N.  Commercio e Finanza, S.p.a..
                             D i r i t t o
   Questione  incidentale  di  costituzionalita':  dovendo disporre ai
 sensi dell'art. 279 c.p.c. in ordine all'ulteriore istruzione, questo
 giudicante rileva, preliminarmente,  che  non  appare  manifestamente
 infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1815,
 comma 2, c.c. come modificato dalla legge n. 108/1996, in relazione
  all'art. 3 della Costituzione.
   L'art.  1815,  comma  2,  invero,  prevede,  che  se sono convenuti
 interessi usurari la clausola e' nulla e non sono dovuti interessi.
   Ai sensi dell'art. 644 c.p. l'interesse e' usurario  quando  supera
 il  limite  stabilito  dalla  legge ovvero quando, pur senza superare
 tale limite, e' sproporzionato rispetto alla controprestazione  avuto
 riguardo  alle  condizioni  indicate  dallo stesso art. 644, comma 3,
 c.p.. Il limite oltre il quale gli interessi sono sempre  usurari  e'
 stabilito  ai  sensi  dell'art.  2 della legge n. 108/1996 in base al
 tasso soglia, calcolato aumentando della  meta'  il  tasso  effettivo
 globale  medio,  su base annua, rilevato trimestralmente con d.m. per
 ciascuna categoria di operazioni finanziarie.
   La stessa  norma  sanziona  penalmente  non  soltanto  chi  "si  fa
 promettere"  ma  anche chi "si fa dare" interessi usurari, collegando
 sotto il profilo penalistico l'usurarieta' non  soltanto  al  momento
 genetico,  ma anche a quello attuativo della percezione, di guisa che
 colui il quale si faccia dare interessi, divenuti usurari per effetto
 del  sopravvenuto  superamento  dei  limiti  stabiliti  dalla  legge,
 risponde ugualmente del reato di usura.
   Alla  luce  della  lettura  combinata con il disposto dell'art. 644
 c.p., il secondo comma dell'art. 1815 c.c., puo' essere interpretato,
 ad avviso di questo pretore, unicamente nel  senso  che  la  sanzione
 civile  della non debenza di alcun interesse opera non soltanto nelle
 ipotesi in cui al momento della pattuizione  degli  interessi  questi
 siano  convenuti  ad un tasso usurario, ma anche in quelle in cui gli
 stessi superino il tasso soglia per  effetto  di  una  variazione  in
 diminuzione  del  predetto  tasso,  sopravvenuta  ad  una pattuizione
 orginariamente legittima - e  quindi  tanto  ai  contratti  stipulati
 prima  dell'entrata in vigore della legge n. 108/1996 per i quali non
 esisteva alcun tasso soglia quanto a quelli stipulati successivamente
 con tasso d'interesse divenuto  usurario  soltanto  a  seguito  della
 diminuzione del tasso soglia.
   La norma, pero', sembra porsi in contrasto con gli artt. 24, 3 e 47
 della Costituzione.
   Il  principio  del "dovuto processo legale", di cui l'art. 24 della
 Costituzione e' una delle espressioni normative, infatti,  impone  al
 legislatore, libero nella scelta di riconoscere e modellare sul piano
 sostanziale  una  posizione  di  vantaggio (nel rispetto, ovviamente,
 delle altre norme costituzionali), il  dovere  di  riconoscere,  alla
 posizione   creata,   un   procedimento   che   sia   adeguato   alle
 caratteristiche concrete della stessa e che le permetta di esplicarsi
 sul piano processuale entro gli stessi limiti in cui le e' consentito
 svilupparsi su quello sostanziale.
   In   questa   prospettiva   il  legislatore  dopo  aver  scelto  di
 riconoscere al creditore il diritto di  richiedere  interessi  ad  un
 tasso  convenzionale,  legittimo  al  momento  della  pattuizione, e'
 tenuto, ai sensi dell'art.  24 della Costituzione, ad assicurare  sul
 piano  processuale la adeguata realizzazione di quel diritto. Appare,
 pertanto, in contrasto con l'art. 24 della Costituzione l'art.  1815,
 comma  2,  c.c.  nella  parte  in cui, sanzionando con la non debenza
 degli interessi l'usurarieta' sopravvenuta degli stessi, per  effetto
 di  un  decreto  ministeriale,  limita  la facolta' di esplicare, sul
 piano processuale, la posizione attribuita  al  creditore  sul  piano
 sostanziale,  dal  momento  che quest'ultimo azionando in giudizio il
 proprio diritto, legittimamente sorto,  si  vede  sanzionato  con  la
 negazione della possibilita' di pretendere qualsiasi interesse.
   Tale  situazione  crea, inoltre, un'irragionevole ed ingiustificata
 disparita' di trattamento tra operatori che pur legittimamente  hanno
 concesso   finanziamenti  a  tassi  di  interesse  non  genericamente
 usurari, soltanto in funzione del dato accidentale  della  variazione
 in  diminuzione del tasso soglia, non prevedibile sia nel quantum che
 nell'an, posto che il predetto tasso puo' anche variare in aumento.
   Sotto tale profilo, inoltre, si crea una ingiustificata  disparita'
 anche  tra  posizioni  creditorie  e  debitorie  -  tanto  piu' se si
 considera che non sempre e non necessariamente nei rapporti economici
 il debitore e' il soggetto economicamente piu' debole -  nel  momento
 in cui a seguito di una variazione in diminuzione del tasso soglia al
 di  sotto degli interessi convenzionali il creditore si trova esposto
 alla sanzione della non debenza di  alcun  interesse,  senza  che  un
 successivo  aumento della soglia di usurarieta' al di sopra del tasso
 pattuito convenzionalmente possa incidere nuovamente sul rapporto.
   La norma, inoltre,  si  pone  in  contrasto  con  l'art.  47  della
 Costituzione,  non  incoraggiando il risparmio in tutte le sue forme,
 in quanto rischia di spingere gli operatori da un  lato  a  concedere
 crediti  con  maggiore  ritrosia,  alla  luce  del rischio di vedersi
 sanzionati indipendentemente  da  un  loro  colpevole  comportamento,
 dall'altro  -  dal  momento  che  gli  stessi operatori finanziari in
 virtu' del meccanismo previsto dalla legge  n.  108/1996  possono  di
 fatto  incidere  sulla  determinazione del tasso soglia - a mantenere
 tale tasso costantemente piu' alto di quanto  imporrebbe  la  realta'
 dei mercati.
   Ne',  del resto, per ovviare a tali profili di incostituzionalita',
 potrebbe interpretarsi l'art. 1815 c.c. nel  senso  di  un'automatica
 riconduzione  dei tassi divenuti usurari al tasso massimo consentito,
 ovvero al tasso legale,  come  pure  parte  della  giurisprudenza  di
 merito ha proposto.
   L'eterointegrazione   imperativa  della  volonta'  contrattualmente
 espressa dalle  parti  ai  sensi  dell'art.  1339  c.c.  e',  invero,
 impedita  dal  collegamento  che  lo  stesso  art. 1815 c.c. pone tra
 nullita' della clausola con la quale sono pattuiti interessi  usurari
 e la sanzione di non debenza di alcun interesse.
   Per   effetto   della   variazione   del   tasso   soglia,  invero,
 l'originaria  pattuizione  diviene  -   prospettandosi   nel   nostro
 ordinamento  la  figura  della  nullita' sopravvenuta - nulla. In tal
 caso intervenendo l'art.  1815 c.c. ad imporre la sostituzione  della
 clausola  nulla  con  la  sanzione  che  esclude  I'applicabilita' di
 qualsivoglia interesse, non viene lasciato alcuno spazio  al  giudice
 di  merito per sostituire al tasso divenuto usurario il tasso massimo
 consentito, ovvero il tasso legale.
   Se poi si volesse sostenere che la clausola originariamente  valida
 non   diviene   nulla   -   escludendosi  l'istituto  della  nullita'
 sopravvenuta - in quanto  si  sarebbe  soltanto  in  presenza  di  un
 comportamento  illecito  della  parte  la  quale  pretende  interessi
 divenuti usurari, non  troverebbe  ugualmente  spazio  l'integrazione
 della  volonta'  delle  parti ai sensi dell'art. 1339 c.c., in quanto
 tale norma presuppone, necessariamente,  una  nullita'  parziale  del
 contratto.
   L'eterointegrazione   imperativa  della  volonta'  contrattualmente
 espressa dalle parti in una clausola  originariamente  valida  -  che
 pure    ricondurrebbe   l'art.   1815,   comma   2,   nell'alveo   di
 costituzionalita',  in  quanto   determinerebbe   il   riallineamento
 progressivo di tutti i tassi creditori al di sotto dei limiti massimi
 consentiti,  senza  creare  disparita'  di  trattamento - non appare,
 dunque, a  questo  giudicante  sorretta  da  alcun  dato  testuale  e
 potrebbe legittimamente operare nell'ordinamento giuridico soltanto a
 seguito di intervento adeguatore del giudice delle leggi.
   La questione di costituzionalita' dell'art. 1815, comma 2, c.c.  e'
 altresi  rilevante  ai  fini  del  presente  giudizio in quanto dalla
 pronunzia della  Corte  costituzionale  dipende  la  possibilita'  di
 riconoscere   o  meno  alla  parte  che  aveva  ottenuto  il  decreto
 ingiuntivo  gli  interessi   nella   misura   pattuita   del   25,5%,
 obiettivamente oggi, divenuto superiore al tasso soglia.
   Questione   di   costituzionalita'   proposta   in   via  meramente
 subordinata:    non  ritiene  questo  pretore  che  ad  impedire   la
 declaratoria  di  incostituzionalita'  possa  richiamarsi una diversa
 lettura, che si pretenderebbe costituzionalmente corretta,  dell'art.
 1815 c.c., interpretato nel senso che lo stesso sanzionerebbe la sola
 pattuizione  con  la  quale  sono  convenuti  interessi  usurari, con
 conseguente applicabilita' alle sole ipotesi in cui, al momento della
 pattuizione degli interessi,  questi  siano  convenuti  ad  un  tasso
 usurario  e  non  anche  a quelle in cui gli stessi superino il tasso
 soglia per effetto di una  variazione  in  diminuzione  del  predetto
 tasso, sopravvenuta ad una pattuizione originariamente legittima.
   Premesso  che  per  le  ragioni  in  precedenza  esposte  e  per il
 necessario collegamento con l'art. 644 c.p., una tale interpretazione
 dell'art.    1815  c.c.  non  e,  ad  avviso  di  questo  giudicante,
 praticabile, anche tale interpretazione non sarebbe, comunque, scevra
 da   dubbi  di  costituzionalita',  in  relazione  all'art.  3  della
 Costituzione.
   Ove si volesse tentare una siffatta lettura della  norma,  infatti,
 la   stessa   finirebbe  col  sottoporre  irragionevolmente  analoghe
 situazioni ad una disciplina civilistica differenziata,  giacche'  da
 un  lato  non  considererebbe  come usurari interessi che per effetto
 dell'abbassamento  del  tasso  soglia  vengono  a  superare,  in   un
 determinato  momento  storico,  i  limiti  di usurarieta', dall'altro
 considererebbe usurari interessi che superano, nello  stesso  momento
 storico  e  nell'identica misura, il tasso soglia, e cio' soltanto in
 considerazione del diverso dato temporale della loro insorgenza.
   Del  resto,  poiche'  come  e  gia'  visto l'art. 644 c.p. sanziona
 penalmente non soltanto chi "si fa promettere" ma anche  chi  "si  fa
 dare"  interessi  usurari,  collegando  sotto  il profilo penalistico
 l'usurarieta' non soltanto al momento  genetico  ma  anche  a  quello
 attuativo  della percezione, colui il quale si facesse dare interessi
 divenuti usurari, per effetto del sopravvenuto superamento dei limiti
 stabiliti dalla legge, risponderebbe del reato di usura, ma potrebbe,
 secondo  tale  prospettiva,  legittimamente  pretendere   sul   piano
 civilistico gli interessi come originariamente pattuiti.
   Neanche  in  quest'ottica  interpretativa, poi, potrebbe sostenersi
 che nel caso di sopravvenuta usurarieta'  degli  interessi,  pur  non
 applicandosi  la  sanzione  della non debenza di alcun interesse, gli
 stessi andrebbero autoritativamente ricondotti al tasso legale ovvero
 a quello massimo consentito (c.d. tasso soglia).
   La premessa da cui muove l'interpretazione, che non  si  condivide,
 dell'art.  1815  c.c.,  infatti  sarebbe che la clausola con la quale
 sono stati convenuti  interessi,  divenuti  soltanto  successivamente
 usurari,  non  sia  nulla;  ma se la clausola contrattuale e' valida,
 gia' si e' detto come non potrebbe essere  la  stessa  sostituita  ai
 sensi  dell'art. 1339 c.c., che presuppone l'invalidita' parziale del
 contratto.
   Tanto premesso in fatto e diritto, va disposta la  sospensione  del
 presente   giudizio   e   la   trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale per la  decisione  sulla  questione  pregiudiziale  di
 legittimita'  costituzionale,  siccome rilevante e non manifestamente
 infondata.  Alla  cancelleria  vanno  affidati  gli  adempimenti   di
 competenza, ai sensi dell'art.  23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.