IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 18 giugno 1999 nell'affare contraddistinto al RAC n. 5170 per l'anno 1996, promosso da Melis Bruno + 1, col ministero dell'avv. S. Mameli, attore; Contro Melis Luigino, difeso dagli avvocati L. Boi e M. Onnis, convenuto; Ha emesso la seguente ordinanza; Con atto di citazione notificato il 13 giugno 1996 i signori Melis Bruno e Falchi Luisella convenivano in giudizio davanti la pretura di Cagliari, sezione distaccata di Carbonia (ora sezione distaccata del tribunale di Cagliari) il sig. Melis Luigino, per il giudizio di merito susseguente all'ordinanza resa in data 15 aprile 1996 dalla medesima autorita' che ordinava a Melis Luigino di cessare ogni turbativa nel possesso degli istanti e di astenersi dal porre in essere atti diretti ad impedire o comunque limitare l'esercizio di quel possesso. All'udienza del 9 ottobre 1998, il giudice designato assegnava, a mente dell'art. 184 c.p.c., i termini per le deduzioni istruttorie e per le relative repliche, pari rispettivamente a sessanta e trenta giorni. All'udienza del 18 giugno 1999, mentre il difensore di parte attrice insisteva per l'ammissione dei mezzi di prova dedotti, il convenuto produceva ulteriore documentazione (nella specie rappresentata da un contratto di compravendita del 30 ottobre 1991 intercorso tra Melis Basilio e Azara Quirica, e da una perizia grafica redatta da un tecnico di parte), chiedendone l'ammissione ex art. 184-bis, c.p.c., senza peraltro allegare i motivi che ne avevano impedito la produzione entro i termini prefissati. All'ammissione dei documenti prodotti si opponeva l'attore, il quale ne eccepiva l'inammissibilita' in quanto prodotti oltre il termine perentorio di cui all'art. 184 c.p.c. Il thema decidendum ruota quindi sull'art. 184 c.p.c. e sul sistema processuale nel quale questo si inserisce, cadenzato da una progressiva formazione delle allegazioni fattuali, delle deduzioni e delle eccezioni, per terminare poi con un rigoroso sbarramento per la formulazione dei mezzi istruttori. Il regime incasellato nell'articolo in disamina prevede infatti una preclusione assoluta per l'acquisizione in causa del materiale probatorio, preclusione che opera con la fissazione giudiziale di termini espressamente qualificati dalla legge come perentori, e quindi non prorogabili. Il legislatore della riforma ha poi accorpato prove precostituite e precostituende, assoggettandole alla stessa disciplina in tema di termini e preclusioni. La drastica e inequivocabile soluzione legislativa ha ricevuto unanime conferma dai commentatori della riforma, che, senza ventilare ipotesi di attenuazione dell'impianto normativo, si sono pacificamente attestati sull'opinione in virtu' della quale una volta spirato il termine perentoriamente stabilito dal giudice, si consuma indefettibilmente il potere della parte di allegare nuovi documenti (in linea con quanto sopra, Lazzaro, L'esordio del nuovo processo civile, Milano, 1997, p. 320 e 545, Tarzia, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 1996, p. 111 e Bartolini, il nuovo codice di procedura civile, Piacenza, 1995, p. 295). L'enunciato assetto a scansione del nuovo rito ordinario del processo civile registra un marcato scostamento rispetto a quelle limitazioni istruttorie, peraltro gia' granitiche, che valgono per il processo del lavoro. Malgrado infatti la celerita' e la speditezza tipicamente connaturate a quest'ultimo rito, per effetto dell'esplicita sanzione di decadenza comminata dagli artt. 414 n. 4, 416, comma 3, e 420, comma 5 , c.p.c., in caso di omessa indicazione negli atti introduttivi del giudizio dei mezzi di prova e dei documenti che si offrono in comunicazione, la Corte di legittimita' (Cass. Civ., sez. lav., 16 dicembre 1988, n. 6868, Cass. Civ., sez. lav., 25 giugno 1988, n. 5597 e Cass Civ., sez. lav., 30 maggio 1989, n. 2618, Cass. Civ., sez. lav., 16 aprile 1984 n. 2641 e Cass. Civ., sez. lav. 4 febbraio 1993, n. 1359) si e' schierata a favore di una lettura piu' tollerante e meno restrittiva dei meccanismi processuali che scandiscono l'ingresso delle prove nel giudizio del lavoro. La Suprema Corte e' quindi giunta ad affermare che, fino a quando non si apre la discussione orale, le prove documentali possono essere prodotte in qualsiasi momento del giudizio di primo grado (e anche in appello), dal momento che le prove precostituite non richiedono alcuna attivita' istruttoria e non intaccano quindi le esigenze di celerita' e di concentrazione del processo. La ricognizione sopra tratteggiata del contesto normativo che governa il metodo e i termini per il deposito di documenti nel processo civile ingenera non infondati dubbi circa la compatibilita' della sanzione di tardivita' suggellata dall' art. 184 c.p.c. con i parametri delineati dagli artt. 3 e 24 della Carta costituzionale, sotto i profili della compressione del diritto di difesa, dell'irrazionalita' e dell'ingiustificata disparita' di trattamento del regime delle prove, e, piu' specificatamente, nella parte in cui l'art. 184 in parola colpisce con l'inammissibilita' le produzioni documentali effettuate dopo scaduto il termine assegnato dal giudice, e peraltro senza la necessita' per la parte che e' incorsa in detta decadenza di invocare la rimessione in termini ex art. 184-bis, c.p.c. Quale premessa imprescindibile, questo giudicante non ignora l'ampio apprezzamento discrezionale che vanta il legislatore nella scelta della soluzione normativa da adottare nei singoli casi. Cio' non esclude pero' che il provvedimento legislativo possa essere inficiato sotto il profilo dell'eccesso di potere. Nel caso che ci occupa, non paiono essere soddisfatti appieno i criteri di logicita' e ragionevolezza dell'attivita' normativa. Tale assunto trova la sua chiave di lettura nella diversa ossatura del procedimento civile e del processo del lavoro. Quest'ultimo, pur presidiato da una netta limitazione delle deduzioni istruttorie (limitazione che si raccorda intuitivamente alle peculiari esigenze di celerita' e di concentrazione), si snoda attraverso una mitigazione del suo rigore probatorio per lasciare ampio spazio all'esibizione di prove precostituite sino all'udienza di discussione della causa; tale riconosciuta liberta' trova giustificazione nella scarsa incidenza che la produzione di nuovi documenti ha sulla speditezza del giudizio, del quale non ne viene compromesso ne' lo spirito ne' l'andamento. Paradossalmente, nel processo ordinario di cognizione, permeato da una sequenza di atti piu' graduale e diluita in progressive fasi processuali, il frazionamento di che trattasi incontra una barriera terminale, che (fermo il disposto dell'art. 184-bis, c.p.c.) arresta indeclinabilmente la possibilita' di espletare ulteriore attivita' istruttoria. E cio' a prescindere che si tratti di produrre documenti o di dedurre altri mezzi di prova, stante l'insuperabile dizione della norma oggetto di censura, ben testimoniata dalla posizione dottrinaria sopra richiamata. Pur dando per implicita la circostanza che il legislatore non ha certamente voluto uniformare le tracce dei due giudizi, non e' scevra di incongruenza l'opzione di assoggettare ad un regime piu' rigoroso l'impianto del processo civile, acclarato che, se alla base vi e' il principio che non va osteggiata l'attivita' difensiva inidonea ad incrinare la funzionalita' del processo, cio' vale, a maggior ragione, anche per quei modelli procedimentali dove il percorso di introduzione delle prove e' improntato su criteri piu' elastici. L'illogicita' e' inoltre acuita se si amplia la visuale di indagine alla disciplina del processo d'appello, per il quale e' pacifica e consolidata l'opinione in base alla quale e' pienamente ammissibile la produzione di documenti nuovi in fase di impugnazione (cosi' Lasagno, in AA.VV., Le riforme del processo civile, Bologna, 1992, p. 435 e Tarzia, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 1996, p. 249). Cio' si ripercuote inoltre sulla stessa economia dei giudizi, posto che non e' disconoscibile la prospettiva di un necessario giudizio di secondo grado solo per produrre prove precostituite (magari decisive) che non potevano piu' essere offerte in causa per l'ostacolo rappresentato dall' art. 184 c.p.c. Come corollario aggiuntivo, ne deriva una consistente lesione del diritto alla difesa, i cui contenuti risultano erosi senza una plausibile ragione., e quindi in insanabile contrasto con l'art. 24 della Costituzione. L'univoco tenore letterale della disposizione de quo esclude in radice una ricostruzione della tematica secondo un'ottica conforme al dettato costituzionale. La rilevanza della questione promana invece dal fatto che, attenendosi al precetto codicistico, questo giudicante dovrebbe statuire l'inammissibilita' delle produzioni effettuate fuori termine, senza inoltre poter decidere la questione ex art. 184-bis c.p.c., non avendo il richiedente dato contezza della causa che ha dato origine alla decadenza.