ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  14,  terzo
 comma,   della   legge  30  aprile  1969,  n.  153  (Revisione  degli
 ordinamenti pensionistici e norme in materia di  sicurezza  sociale),
 come  modificato  dall'art.    26  della  legge 3 giugno 1975, n. 160
 (Norme per il miglioramento di trattamenti pensionistici e  norme  in
 materia  di  sicurezza  sociale),  promosso con ordinanza emessa il 2
 febbraio 1998  dal  Tribunale  di  Bologna  nel  procedimento  civile
 vertente  tra  Alberani  Garagnani Laura e l'INPS, iscritta al n. 203
 del  registro  ordinanze  1998  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto l'atto di costituzione dell'INPS;
   Udito nell'udienza pubblica del 12 ottobre 1999 il giudice relatore
 Cesare Ruperto;
   Udito l'avv.to Carlo De Angelis per l'INPS.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un giudizio di appello avverso  la  sentenza  con
 cui il pretore di Bologna aveva respinto una domanda rivolta all'INPS
 per  il  ricalcolo  dell'importo  di una pensione di anzianita' sulla
 base della sola contribuzione obbligatoria, il Tribunale di  Bologna,
 in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, con ordinanza emessa
 il  2  febbraio  1998,  questione di legittimita' costituzionale - in
 riferimento agli artt. 3, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della
 Costituzione - dell'art. 14, terzo comma, della legge 30 aprile 1969,
 n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in  materia
 di  sicurezza  sociale),  come  sostituito dall'art. 26 della legge 3
 giugno 1975, n.  160  (Norme  per  il  miglioramento  di  trattamenti
 pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale).
   Il  rimettente  - esclusa la diretta rilevanza delle sentenze della
 Corte costituzionale n. 307 del 1989  e  n.  428  del  1992,  perche'
 riguardanti  norme diverse e successive rispetto a quella applicabile
 nella  specie  -  osserva  che,  secondo  la   denunciata   normativa
 (concernente  le  pensioni  con  decorrenza successiva, come nel caso
 concreto, al 31 dicembre 1975), la retribuzione annua pensionabile va
 calcolata in base ai tre gruppi di  52  settimane  con  contribuzione
 piu'  elevata  nell'a'mbito  delle  520  settimane  di  contribuzione
 precedenti la data di decorrenza della pensione. Poiche' nella specie
 l'assicurata, titolare di una  pensione  di  anzianita'  a  decorrere
 dall'agosto 1978, ha conseguito la prescritta anzianita' assicurativa
 e  contributiva trentacinquennale non gia' in costanza di rapporto di
 lavoro  (iniziato  nel  1939   e   cessato   nel   1967),   ma   solo
 successivamente,  a se'guito di una contribuzione volontaria (sino al
 1978) di importo  modesto  rispetto  ai  contributi  obbligatori,  ne
 deriva,  secondo  il  giudice  a  quo,  un  trattamento pensionistico
 inferiore - tenendo conto delle ultime 520  settimane  -  rispetto  a
 quello   liquidabile   conteggiando   esclusivamente   i   contributi
 assicurativi   obbligatori.   Donde   il   prospettato   dubbio    di
 illegittimita' costituzionale della denunciata norma sotto il profilo
 della violazione dei principi di uguaglianza, della tutela del lavoro
 e  delle garanzie previdenziali in favore dei lavoratori, in presenza
 di un trattamento pensionistico che risulti deteriore allorche'  alla
 contribuzione   obbligatoria  si  aggiunga  quella  volontaria,  che,
 invece, dovrebbe svolgere (anche) la  funzione  di  salvaguardia  dei
 contenuti   economici   della   retribuzione  pensionabile,  restando
 irrilevante - sempre secondo il rimettente - che alla maturazione del
 diritto alla pensione  di  anzianita'  da  parte  dell'assicurato  si
 giunga solo a se'guito della contribuzione volontaria successiva alla
 cessazione del rapporto di lavoro e non gia' in costanza di esso.
   2.  -  Si  e' costituito in giudizio l'INPS, il quale ha chiesto la
 declaratoria d'infondatezza della questione, osservando che l'a'mbito
 decennale (ultime 520 settimane) della contribuzione  da  considerare
 per   la   determinazione   dei   tre  periodi  piu'  favorevoli  per
 l'assicurato (di 52 settimane ciascuno), da un lato, e' piu' ampio di
 quello  previsto  dall'art.  3,  ottavo  comma, della legge 29 maggio
 1982, n. 297 (ultime 260 settimane) censurato  dalla  sentenza  della
 Corte  costituzionale n. 428 del 1992 e, dall'altro, e' frutto di una
 scelta discrezionale del legislatore.  Inoltre,  secondo  l'istituto,
 poiche'  l'assicurata,  con  la  contribuzione  volontaria, ha potuto
 conseguire  -  in  tale   contesto   normativo   -   un   trattamento
 pensionistico   anticipato   rispetto   all'eta'   pensionabile,   la
 circostanza contingente di una contribuzione  volontaria  di  modesto
 ammontare non inficia di illegittimita' la norma denunciata.
                         Considerato in diritto
   1. - Il Tribunale di Bologna ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale  - in riferimento agli artt. 3, 35, primo comma, e 38,
 secondo comma, della Costituzione - dell'art. 14, terzo comma,  della
 legge   30   aprile   1969,   n.  153  (Revisione  degli  ordinamenti
 pensionistici  e  norme  in  materia  di  sicurezza  sociale),   come
 sostituito dall'art.  26 della legge 3 giugno 1975, n. 160 (Norme per
 il  miglioramento dei trattamenti pensionistici e per il collegamento
 alla dinamica salariale), nella parte in cui non prevede -  nel  caso
 di    prosecuzione    volontaria   della   contribuzione   da   parte
 dell'assicurato  sino  a   raggiungere   la   prescritta   anzianita'
 contributiva  ed  assicurativa minima - che la pensione di anzianita'
 non possa essere liquidata in misura  inferiore  a  quella  spettante
 sulla base della sola contribuzione obbligatoria.
   Il  rimettente prospetta l'ipotesi di una assicurata che, dopo aver
 conseguito,  tramite  contribuzione  obbligatoria,   una   anzianita'
 contributiva  (28  anni)  inferiore  al  minimo  (35 anni), abbia poi
 versato  contributi  volontari  sufficienti  al   superamento   della
 prescritta    anzianita'    assicurativa   e   contributiva   minima.
 L'applicazione della norma denunciata, imponendo (per le pensioni con
 decorrenza successiva - come nel caso di  specie  -  al  31  dicembre
 1975)   la   considerazione,   ai   fini   dell'individuazione  della
 retribuzione  pensionabile,  dei  tre  gruppi  di  52  settimane  con
 contribuzione  piu'  elevata  nell'a'mbito  delle  520  settimane  di
 contribuzione  precedenti  la  data  di  decorrenza  della  pensione,
 comporterebbe  -  secondo  il  rimettente  stesso  - l'irrazionale ed
 ingiusto   risultato   della    determinazione    d'un    trattamento
 pensionistico  inferiore  a  quello  spettante sulla base della sola,
 piu' elevata, contribuzione obbligatoria (di per se' non sufficiente,
 tuttavia, a far maturare il diritto a pensione).
   2. - La questione e' solo parzialmente fondata.
   2.1. - Il giudice a quo muove da una erronea  considerazione  della
 ratio  delle  pronunce  di  questa Corte da lui invocate (sentenze n.
 428 del 1992,  n.  307  del  1989,  n.  574  del  1987),  nonche'  da
 un'individuazione inesatta delle finalita' stesse della contribuzione
 volontaria.
   Con  tali  sentenze,  infatti,  nonche'  con le sentenze n. 201 del
 1999, n. 427 del 1997, n. 388 del 1995, n. 264 del 1994 e n. 822  del
 1988,  questa  Corte  ha inteso enunciare la regola generale, secondo
 cui, dopo  il  perfezionamento  del  requisito  minimo  contributivo,
 l'ulteriore  contribuzione  (obbligatoria,  volontaria o figurativa),
 mentre vale ad incrementare il livello di pensione gia'  consolidato,
 non   deve   comunque   compromettere  la  misura  della  prestazione
 potenzialmente maturata sino a quel momento:  effetto,  quest'ultimo,
 che  sarebbe,  infatti, palesemente contrastante con gli artt. 3 e 38
 della Costituzione (v., in particolare, sentenze n. 201 del 1999 e n.
 388 del 1995).  Per cui e' da ritenere che il contrasto con gli artt.
 3  e  38  Cost.,  sotto  il  profilo  della  violazione  dei criteri,
 rispettivamente, della ragionevolezza  e  dell'adeguatezza,  sussista
 soltanto  quando  ad  un  maggiore apporto contributivo successivo al
 perfezionamento  dell'anzianita'  minima   contributiva   (anche   se
 raggiunta  con  contributi  non  solo  obbligatori)  corrisponda  una
 riduzione  della  pensione  maturata  sulla  base  della   precedente
 contribuzione.
   Dunque la menzionata giurisprudenza - lungi dal ritenere consentito
 all'assicurato  di  sterilizzare  a  suo  arbitrio ed in ogni caso le
 contribuzioni volontarie onde far  valutare,  a  fini  pensionistici,
 esclusivamente  i  piu'  elevati  contributi  obbligatori  -  ha solo
 affermato che a lui dev'essere comunque consentito di optare  per  il
 trattamento     previdenziale     risultante     dal    conseguimento
 dell'anzianita'   contributiva    minima,    allorche'    l'ulteriore
 contribuzione  comporti  una riduzione della pensione, ma senza poter
 ottenere,  ove  abbia  esercitato  tale  opzione,   che   gli   siano
 riconosciuti  in  aggiunta  eventuali  altri vantaggi derivanti dalla
 successiva contribuzione (v., in particolare,  sentenza  n.  388  del
 1995).
   2.2.  -  Da  quanto  premesso  discende  che, nella specie, occorre
 distinguere tra i versamenti volontari  necessari  al  raggiungimento
 dell'anzianita' contributiva minima e quelli ulteriori.
   I principi di cui alla citata giurisprudenza valgono pienamente con
 riguardo   alla   contribuzione  successiva  al  perfezionamento  del
 requisito minimo contributivo (anche se non  raggiunto  -  come  gia'
 osservato  -  con  la  sola contribuzione obbligatoria). La normativa
 denunciata  (precedente  a   quella   del   1982,   gia'   dichiarata
 incostituzionale  sotto il medesimo profilo) non si sottrae, percio',
 nei  limiti  gia'   precisati,   alla   censura   di   illegittimita'
 costituzionale  rispetto  agli  artt.  3  e  38, secondo comma, della
 Costituzione, mancando in essa una  clausola  di  salvaguardia  della
 posizione  acquisita  a  se'guito  del raggiungimento dell'anzianita'
 minima  contributiva,  che   "segna   un   limite   intrinseco   alla
 discrezionalita' del legislatore nella scelta, ad esso riservata, del
 criterio   di   individuazione   del  periodo  di  riferimento  della
 retribuzione pensionabile"  (sentenza  n.  388  del  1995);  restando
 assorbito   ogni   altro   prospettato   profilo   di  illegittimita'
 costituzionale sul punto.
   In senso contrario si deve concludere con  riguardo  ai  versamenti
 volontari  necessari  al  raggiungimento dell'anzianita' contributiva
 minima.
   Non si rinvengono, infatti,  (tanto  meno  negli  artt.  35,  primo
 comma,  e  38,  secondo  comma,  della    Costituzione,  indicati dal
 rimettente), principi costituzionali che impongano in ogni caso  e  a
 tutti  gli  effetti  l'equiparazione della contribuzione volontaria a
 quella obbligatoria.  E dunque e' da ritenersi che il legislatore non
 abbia   travalicato   i   limiti   della   propria   discrezionalita'
 nell'individuare  il  periodo  di  riferimento  per  la  retribuzione
 pensionabile non escludendo da esso la contribuzione  volontaria  nel
 caso  in  cui la pensione d'anzianita' venga a dover essere liquidata
 in  misura  inferiore  a  quella  calcolata  sulla  base  della  sola
 contribuzione obbligatoria.