ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
   nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 309, commi 5 e
 10, del codice di procedura penale, promossi con due ordinanze emesse
 il  15  dicembre 1998 dal Tribunale di Napoli, sezione per il riesame
 delle misure cautelari coercitive, iscritte ai  nn.  292  e  358  del
 registro  ordinanze  1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica nn. 21 e 32, prima serie speciale, dell'anno 1999.
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 27 ottobre 1999 il giudice
 relatore Valerio Onida.
   Ritenuto che, con due ordinanze di analogo contenuto (R.O. nn.  292
 e 358 del 1999) emesse nel corso di distinti giudizi il  15  dicembre
 1998,  pervenute a questa Corte, rispettivamente, il 30 aprile e il 3
 giugno 1999, il Tribunale di Napoli, sezione  per  il  riesame  delle
 misure  cautelari  coercitive, ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale, in  riferimento  agli  articoli  3,  13  e  24  della
 Costituzione,  dell'art.  309 (Riesame delle ordinanze che dispongono
 una misura coercitiva), commi 5 e 10, del codice di procedura penale,
 "nella  parte  in  cui  non  e'  prevista  la  perdita  di  efficacia
 dell'ordinanza  che  dispone  la  misura  coercitiva  in  caso di non
 immediato avviso  della  presentazione  della  richiesta  di  riesame
 all'autorita' giudiziaria procedente";
     che  il  giudice a quo prende atto della soluzione interpretativa
 adottata da questa Corte con la sentenza n. 232 del 1998, secondo cui
 il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti
 al tribunale del riesame decorre dal momento  in  cui  perviene  alla
 cancelleria  del medesimo la richiesta di riesame, e che dunque entro
 tale termine si deve collocare anche l'"immediato  avviso"  che  deve
 esserne   dato   all'autorita'  procedente  affinche'  provveda  alla
 tempestiva trasmissione degli atti; ma lo stesso giudice  ritiene  di
 doversi  discostare  da  tale  soluzione interpretativa, giudicata in
 contrasto con il tenore dell'art. 309, comma 5, cod. proc. pen.;
     che, su questa premessa, il Tribunale remittente ritiene  di  non
 avere  altra  alternativa  che  quella  di  sollevare  nuovamente  la
 questione   di   legittimita'   costituzionale   delle   disposizioni
 denunciate,   non   potendo   assegnare  alla  formula  normativa  un
 significato ritenuto incompatibile con la  Costituzione;  e  pertanto
 promuove l'incidente per le medesime ragioni gia' disattese da questa
 Corte,   all'uopo   richiamando  e  facendo  proprie  le  motivazioni
 dell'ordinanza di rimessione della Corte di cassazione del  9  giugno
 1997  (R.O.  n.  674  del  1997),  che  diede  luogo  al  giudizio di
 legittimita' costituzionale concluso con la sentenza n. 232 del 1998;
     che  in  entrambi  i  giudizi  e'  intervenuto  il Presidente del
 Consiglio dei Ministri, chiedendo che  la  questione  sia  dichiarata
 infondata,  sulla  base dell'interpretazione adottata da questa Corte
 nella citata sentenza n. 232 del 1998.
   Considerato che le due ordinanze  sollevano  la  stessa  questione,
 sicche'  puo' disporsi la riunione dei giudizi affinche' siano decisi
 con un'unica pronuncia;
     che, come ricorda il giudice a quo, questa Corte ha gia' in altra
 occasione deciso identica questione, dichiarandola non fondata  sulla
 base  di  una  ricostruzione  del  sistema  normativo in esame - pure
 ricordata dal remittente -  alla  luce  dei  principi  costituzionali
 relativi   alla  garanzia  giurisdizionale  in  materia  di  liberta'
 personale (sentenza n. 232 del 1998);
     che successivamente questa Corte, con ordinanza n. 269 del  1999,
 ha dichiarato la stessa questione manifestamente infondata, prendendo
 atto  che  la  Corte  di  cassazione a sezioni unite, con sentenza 18
 gennaio 1999, n. 25, aveva accolto  e  a  sua  volta  argomentato  la
 soluzione  interpretativa  adottata  da  questa  Corte nella predetta
 sentenza n.  232 del 1998;
     che il Tribunale solleva nuovamente la questione ritenendo di non
 condividere la predetta soluzione interpretativa;
     che le ordinanze di rimessione sono pero' anteriori alla sentenza
 delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 25  del  1999  sopra
 ricordata, e dunque non hanno potuto tenerne conto;
     che,  dopo  la  detta  pronuncia  del giudice di legittimita', la
 controversia interpretativa sul  dies  a  quo  della  decorrenza  del
 termine per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame puo',
 allo  stato,  ritenersi  risolta  nel  senso  dell'accoglimento della
 richiamata  interpretazione  ancorata  ai  principi   costituzionali:
 interpretazione  che  deve  essere  confermata,  e  alla  cui luce la
 questione ora nuovamente sollevata risulta manifestamente non fondata
 (ordinanza n. 269 del 1999).
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.