ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 20 della
 legge 21 dicembre 1978, n. 843 (Disposizioni per  la  formazione  del
 bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria); 14
 del  decreto-legge  30  dicembre  1979,  n.  663  (Finanziamento  del
 Servizio  sanitario nazionale nonche' proroga dei contratti stipulati
 dalle pubbliche amministrazioni in base alla legge 1 giugno 1977,  n.
 285, sulla occupazione giovanile), convertito con modificazioni nella
 legge 29 febbraio 1980, n. 33; 1 della legge 30 dicembre 1980, n. 895
 (Misure  urgenti  in  materia  previdenziale  e pensionistica); 1 del
 decreto-legge 29  luglio  1981,  n.  402  (Contenimento  della  spesa
 previdenziale  e  adeguamento  delle  contribuzioni),  convertito con
 modificazioni  nella  legge  26  settembre  1981,  n.  537;   7   del
 decreto-legge  12  settembre  1983, n. 463 (Misure urgenti in materia
 previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica,
 disposizioni  per  vari  settori  della  pubblica  amministrazione  e
 proroga  di taluni termini), convertito con modificazioni nella legge
 11 novembre 1983, n. 638;  5,  quinto  comma,  del  decreto-legge  30
 ottobre  1984,  n.  726  (Misure urgenti a sostegno ed incremento dei
 livelli occupazionali), convertito con modificazioni nella  legge  19
 dicembre  1984,  n. 863, promosso con ordinanza emessa il 24 novembre
 1997 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dall'INPS  contro
 l'Istituto   Facchetti  s.r.l.,  iscritta  al  n.  212  del  registro
 ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visti l'atto di costituzione dell'INPS nonche' l'atto di intervento
 del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 1999 il giudice relatore
 Cesare Ruperto;
   Uditi  l'avv. Antonino Sgroi per l'INPS e  l'avvocato  dello  Stato
 Giuseppe Fiengo per il Presidente del  Consiglio dei Ministri.
   Ritenuto  che,  nel corso di un giudizio di legittimita' - promosso
 dall'INPS avverso una sentenza d'appello, con la quale  il  Tribunale
 di  Bergamo  ha  ritenuto  che in caso di lavoro a tempo parziale cd.
 "verticale"  di  docenti  e  non  docenti  di  un  Istituto  privato,
 caratterizzato  dalla  prestazione  di  lavoro solo per alcuni giorni
 alla settimana e con orario ridotto, dovesse trovare applicazione  il
 minimale  giornaliero  retributivo e contributivo, non in cifra fissa
 (come ritenuto dal pretore in primo  grado),  bensi'  riproporzionato
 alla   quantita'  di  ore  effettivamente  lavorate  -  la  Corte  di
 cassazione, con ordinanza emessa il 24 novembre  1997,  ha  sollevato
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'intera disciplina dei
 contributi  previdenziali  minimi,  in  quanto  applicabile   ratione
 temporis   ai  rapporti  dedotti  in  giudizio  (svolti  nel  periodo
 1981-1986);
     che, in particolare, i dubbi di incostituzionalita' si appuntano,
 in  primo luogo, sul combinato disposto: a)  dell'art. 20 della legge
 21 dicembre 1978, n.  843;  b)  dell'art.  14  del  decreto-legge  30
 dicembre  1979,  n.  663, convertito con modificazioni nella legge 29
 febbraio 1980, n. 33; c) dell'art. 1 della legge 30 dicembre 1980, n.
 895; d) dell'art.  1  del  decreto-legge  29  luglio  1981,  n.  402,
 convertito  con  modificazioni nella legge 26 settembre 1981, n. 537;
 e) dell'art.    7  del  decreto-legge  12  settembre  1983,  n.  463,
 convertito  con  modificazioni  nella legge 11 novembre 1983, n. 638,
 nella parte in cui dette norme - prima della intervenuta eliminazione
 del denunciato meccanismo del minimale giornaliero ad opera dell'art.
 5,  quinto  comma,  del  decreto-legge  30  ottobre  1984,  n.   726,
 convertito  con  modificazioni nella legge 19 dicembre 1984, n. 863 -
 "non consentivano di ragguagliare a prestazioni  lavorative  a  tempo
 parziale  il  "limite  minimo  di retribuzione giornaliera" stabilito
 (...) in riferimento ai minimi  retributivi  previsti  dai  contratti
 collettivi di lavoro, per prestazioni di lavoro a tempo pieno, o alle
 tabelle indicate dalla legge";
     che,   a   giudizio  del  Collegio  rimettente,  le  disposizioni
 denunciate si pongono in contrasto: a) con  l'art.  3,  primo  comma,
 Cost.,  la'  dove  sanciscono un'uguale contribuzione per prestazioni
 lavorative quantitativamente  diverse  (con  un  effetto  distorsivo,
 tenuto  presente  ed  evitato  invece  dalla  regolamentazione  degli
 aspetti contributivi di altri settori, come  ad  esempio  quello  dei
 lavoratori  domestici, di cui al d.P.R. 3 dicembre 1971, n. 1403); b)
 con gli artt. 3, secondo comma, e 4, primo comma, Cost., avendo  tali
 previsioni  conseguentemente  scoraggiato  il  ricorso  alla forma di
 lavoro part-time a causa dell'imposizione ai  datori  di  lavoro  (e,
 seppure   in   misura   inferiore,  anche  ai  lavoratori)  di  costi
 sproporzionati   rispetto   al   valore   economico    dell'attivita'
 lavorativa;  c)  con l'art. 36 Cost., poiche', venendo trattenuta dal
 datore di lavoro una quota percentuale della retribuzione, in caso di
 prestazioni di lavoro molto ridotte vi e' la concreta possibilita' di
 una  incidenza  rilevante   delle   trattenute   contributive   sulle
 retribuzioni corrisposte;
     che  il giudice a quo censura inoltre l'art. 5, quinto comma, del
 decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito  con  modificazioni
 nella  legge  19  dicembre  1984,  n.  863  (nel testo anteriore alla
 modifica apportata dall'art. 1 della legge n. 389 del 1989), il quale
 - eliminato il minimale giornaliero - ha introdotto una diversa  base
 di   calcolo   dei   contributi  previdenziali  relativi  appunto  ai
 lavoratori a tempo parziale, stabilendola in un  sesto  del  minimale
 giornaliero previsto dall'art. 7 del decreto-legge 12 settembre 1983,
 n. 463, convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 1983, n.
 638;
     che,  a  giudizio  della  rimettente,  anche tale norma e' lesiva
 degli articoli della  Costituzione  come  sopra  evocati,  venendo  a
 penalizzare,  attraverso  costi contributivi maggiori, le prestazioni
 lavorative effettuate, in ipotesi, per piu' di sei ore giornaliere ma
 non per tutte le giornate lavorative (eventualmente in caso di cumulo
 di attivita' a tempo parziale), le quali rimangono cosi' assoggettate
 a contributi proporzionalmente maggiori rispetto a quelli previsti in
 generale per il contratto di lavoro a tempo pieno;
     che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  e  si  e'  costituito  l'INPS,  concludendo  entrambi  per la
 declaratoria di inammissibilita' o, comunque, di  infondatezza  della
 sollevata questione;
     che,   nell'imminenza   dell'udienza,   il   costituito  INPS  ha
 depositato memoria integrativa,  con  la  quale  ha  insistito  nelle
 rassegnate conclusioni.
   Considerato,   preliminarmente,   che   la  rimettente  ha  (seppur
 sinteticamente) descritto a sufficienza  la  fattispecie  oggetto  di
 lite   -  riguardante  rapporti  di  lavoro  a  tempo  parziale  c.d.
 "verticale", svolti, solo per alcuni giorni  della  settimana  e  con
 orario   ridotto,   durante   gli   anni   1981-1986   -  ed  ha  non
 implausibilmente  motivato  in  ordine   all'applicabilita'   ratione
 temporis delle singole norme impugnate a detti rapporti;
     che  percio'  non  ha  consistenza l'eccezione d'inammissibilita'
 dedotta ex adverso  dall'INPS  relativamente  alla  prima  questione,
 della  quale  va  dunque  esaminato  il  merito, riguardante l'intera
 disciplina del limite minimo di retribuzione giornaliera in  caso  di
 rapporto  di  lavoro  part-time, anteriore alla riforma attuata dalla
 legge 19 dicembre 1984, n. 863;
     che questa Corte, con le ordinanze n. 835 e n. 1157 del 1988,  ha
 escluso   che   la   parificazione  tra  datori  di  lavoro  i  quali
 corrispondano diverse retribuzioni - derivante dall'applicazione  del
 minimo retributivo imponibile non ulteriormente frazionabile - sia di
 per  se'  irrazionale  o  contrasti  con il principio di uguaglianza,
 apparendo essa, al contrario, giustificata dalla preminente finalita'
 di assicurare comunque una soglia  di  contribuzione  dei  datori  di
 lavoro  al  sistema  della  previdenza sociale, tale da consentire la
 tutela dei lavoratori in un contesto nel quale opera il principio  di
 solidarieta';
     che,  ribadite  tali  affermazioni,  va sottolineato come codesta
 assenza di  manifesti  aspetti  d'irragionevolezza  o  di  arbitraria
 discriminazione esclude l'incostituzionalita' del denunciato criterio
 di   computo  contributivo,  adottato  dal  legislatore  nell'a'mbito
 dell'ampio potere  discrezionale  di  cui  dispone  in  materia,  nel
 bilanciamento degli interessi contrapposti (cfr., da ultimo, sentenza
 n. 18 del 1998 ed ordinanza n. 92 del 1997);
     che  tale  criterio  si colloca, temporalmente e logicamente, nel
 contesto del graduale ed articolato processo di evoluzione  normativa
 in  cui  si inserisce la regolamentazione sostanziale e previdenziale
 del rapporto di lavoro a tempo  parziale  (v.  sentenza  n.  202  del
 1999), per cui esso e' da valutare in una prospettiva necessariamente
 diacronica,  alla  luce  della  quale  il previgente sistema non puo'
 venir sospettato di incostituzionalita' per il solo fatto  di  essere
 successivamente  intervenute  modificazioni ad opera della disciplina
 posteriore (cfr.  sentenza n. 301 del 1996 e  ordinanza  n.  125  del
 1998);
     che,  per  quanto  riguarda gli ulteriori profili prospettati dal
 Collegio rimettente, appare evidente: a) come la  specificita'  degli
 autonomi  e  disomogenei sistemi posti a comparazione (v. sentenze n.
 345 del 1999 e n. 97 del 1996) renda inappropriato il richiamo  quale
 tertium  comparationis  alla  diversa  regolamentazione degli aspetti
 contributivi del settore dei lavoratori domestici di  cui  al  d.P.R.
 n.  1403 del 1971; b) come al maggior obbligo contributivo posto - in
 modo,  peraltro,  assai piu' limitato - anche a carico del lavoratore
 (la  cui  legittimita'  deve   essere   parimenti   valutata   sempre
 nell'ottica   dei   menzionati   preminenti   principi  solidaristici
 ispiratori del sistema previdenziale) corrisponda comunque per  esso,
 all'esito, il vantaggio di un migliore trattamento  pensionistico;
     che,    pertanto,    tale    questione    dev'essere   dichiarata
 manifestamente infondata;
     che, relativamente all'altra  questione,  riguardante  l'art.  5,
 quinto    comma,   della   legge   n.   863   del   1984,   i   dubbi
 d'incostituzionalita' - rispetto alla  concreta  fattispecie  dedotta
 nel  giudizio a quo, caratterizzata, come si ricava dalla descrizione
 contenuta in motivazione,  dalla  "prestazione  di  lavoro  solo  per
 alcuni  giorni  della  settimana  e  con  orario  ridotto"  - vengono
 prospettati in via del tutto eventuale, in  quanto  riferiti  a  mere
 ipotesi  formulate a titolo d'esempio e riguardanti lamentati effetti
 distorsivi  della  nuova  normativa  in  specifici  casi   (attivita'
 lavorativa  espletata per piu' di sei ore giornaliere; cumulo di piu'
 attivita' lavorative  part-time),  che,  per  esplicita  affermazione
 della  stessa  rimettente,  si  configurano come estranei riguardo al
 processo in corso, la cui definizione  non  dipende  dalla  soluzione
 della  sollevata  questione,  la  quale  dunque non assume rilevanza,
 appunto sotto il profilo dell'ipoteticita'.