IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la seguente ordinanza su appello nell'interesse di Zara
 Alfredo avverso ordinanza 14 agosto 1998 della Corte di assise di  S.
 Maria  Capua  Vetere,  sezione feriale, con la quale veniva rigettata
 istanza di scarcerazione per  scadenza,  nella  fase  delle  indagini
 preliminari, del termine massimo della custodia cautelare;
                             O s s e r v a
   1.  -  Zara Alfredo e' sottoposto a custodia cautelare in carcere a
 far data dal 6 dicembre 1995 per reati di associazione mafiosa,  armi
 e  omicidio  in forza di ordinanza 25 novembre 1995 emessa dal g.i.p.
 del tribunale di Napoli nell'ambito del procedimento c.d.  Spartacus.
   In data 8 novembre 1996 fu rinviato a giudizio avanti alla Corte di
 assise di Napoli, la quale, pero',  con  sentenza  22  ottobre  1997,
 dichiaro' la propria incompetenza per territorio e rimise gli atti al
 p.m.  della  D.D.A.  di  Napoli  perche'  promuovesse l'azione penale
 avanti alla Corte di assise di S. Maria Capua Vetere.
   A tanto il p.m. ha poi provveduto e in data 4 aprile 1998 e'  stato
 emesso dal g.i.p. nuovo decreto di rinvio a giudizio.
   La   difesa   ha   formulato  istanza  di  scarcerazione  invocando
 l'applicazione del principio affermato dalla Corte costituzionale con
 sentenza n.  292/1998 e, con l'appello proposto  ai  sensi  dell'art.
 310 c.p.p.  avverso il provvedimento di rigetto della Corte di assise
 di S. Maria Capua Vetere, lamenta che erroneamente la citata sentenza
 e' stata ritenuta non vincolante e che del pari erroneamente e' stato
 escluso  dal  computo  della custodia cautelare il periodo ricompreso
 fra il primo decreto che disponeva  il  giudizio  e  la  sentenza  di
 incompetenza.
   2.  - Non e' dubbio che nel caso in esame, a seguito della sentenza
 di incompetenza pronunciata dalla Corte di assise di  Napoli,  si  e'
 verificata  la regressione del procedimento nella fase delle indagini
 preliminari  e  la  nuova  decorrenza  del  termine  della   custodia
 cautelare  relativo  a  tale  fase, secondo quanto previsto dall'art.
 303/2 c.p.p.
   La norma citata dispone, infatti, che "nel caso in cui,  a  seguito
 di  annullamento  con rinvio da parte della Corte di cassazione o per
 altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a  un  grado  di
 giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del
 provvedimento  che  dispone  il  regresso  o  il  rinvio ovvero dalla
 sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i
 termini previsti dal comma 1 relativamente a ciascuno stato  e  grado
 del procedimento".
   La  previsione  dell'art.  303/2  era  stata  piu' volte oggetto di
 questioni  di  incostituzionalita',  sempre  ritenute  manifestamente
 infondate dalla Corte di cassazione.
   Si  era  affermato,  in  particolare: che la norma, nel parificare,
 agli effetti dell'allungamento del termine di  fase,  la  regressione
 del  procedimento  per  nullita'  (anche  nel  caso  di gravi vizi di
 costituzione delle parti) alle altre ipotesi di regressione stabilite
 dalla  legge,  non  contrasta  con  i principi di ragionevolezza e di
 uguaglianza (art.   3 della Costituzione), poiche'  essa  intende  in
 ogni  caso  bilanciare le conseguenze negative del riprendere ex novo
 l'iter  processuale  con  il  permanere  delle  esigenze   cautelari,
 consentendo  l'allungamento del termine di fase, ma comunque entro il
 termine di durata  complessiva  della  custodia  stabilito  dall'art.
 303/4 (Cass., Sez. VI, n. 915/1993, Esposito);
     che  non  sussiste  violazione  dell'art.  13, ultimo comma della
 Costituzione, in quanto la norma costituzionale impone che  la  legge
 ordinaria  stabilisca, per il completamento dell'intero procedimento,
 il limite massimo alla carcerazione preventiva, ma  non  esige  anche
 che  sia  fissato  altro  limite parziale interno a ciascuna fase del
 procedimento stesso (Cass., Sez. VI, n. 3525/1993, Massidda);
     che  non  sussiste  violazione  degli  artt.  13   e   24   della
 Costituzione  perche',  da  un  lato,  e'  comunque previsto un tetto
 massimo della custodia  cautelare,  conformemente  a  quanto  dispone
 l'art.  13  della Costituzione, che riserva alla discrezionalita' del
 legislatore ordinario i casi e i modi della detenzione e, in  genere,
 di  ogni forma di restrizione della liberta' personale e, dall'altro,
 non puo' farsi commistione tra il diritto di  difesa  inviolabile  in
 ogni  stato  e  grado  del procedimento, che consente di eccepire una
 nullita', e i riflessi che il suo esercizio puo' avere in materia  di
 liberta',   essendo   rimessa   alla  discrezionalita'  difensiva  la
 valutazione della  convenienza  di  esercitare,  o  meno,  una  certa
 facolta', anche per le implicazioni, le conseguenze e le interferenze
 di  fatto in ogni direzione (Cass., Sez. I, n. 421/1994, Gigliotti ed
 altri; Cass., Sez.  I,  n.  1431/1996,  Affuso,  ha  poi  escluso  la
 sussistenza  di  una  violazione dell'art. 76 della Costituzione, per
 eccesso di delega rispetto alla direttiva n.  61  dell'art.  2  della
 legge 16 febbraio 1987, n. 81).
   Peraltro,  con  ordinanza  22  novembre 1996 il tribunale di Reggio
 Calabria, in funzione di giudice di appello de libertate, rilevava di
 ufficio "questione di costituzionalita' dell'art. 303/4 c.p.p., nella
 parte in cui non  prevede  che,  oltre  al  superamento  del  termine
 complessivo, possa essere causa di scarcerazione anche il superamento
 del  doppio del termine di fase, allorche' si verifichi la situazione
 descritta nel comma 2 di detto art. 303".
   Nel caso che dava occasione  alla  questione  vi  erano  state  due
 successive  regressioni  del  procedimento  nella fase delle indagini
 preliminari, a seguito di  sentenze  di  incompetenza,  e  la  difesa
 istante  aveva invocato l'applicazione dell'art. 304/6, rilevando che
 dalla data dell'arresto degli imputati alla data dell'ultimo rinvio a
 giudizio era decorso un periodo di  tempo  superiore  al  doppio  del
 termine di fase. Il g.i.p., competente a decidere, aveva rigettato la
 richiesta  di  scarcerazione  sul  rilievo  che  la  situazione degli
 imputati era disciplinata unicamente dai commi 2 e 4 dell'art. 303  e
 non anche dall'art. 304.
   Con  l'atto  di  appello la difesa aveva riproposto la questione al
 tribunale  e  nella  discussione  aveva  poi,  in  via   subordinata,
 denunciato  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 304/6 in quanto
 applicabile al solo caso di sospensione dei termini e  non  anche  ai
 casi  di  regressione,  con  conseguente  irragionevole disparita' di
 trattamento.
   Il  tribunale  di  Reggio  Calabria  con  l'ordinanza di rimessione
 rilevava che la questione era mal  posta  dalla  difesa,  poiche'  la
 fattispecie  del  regresso  "e'  disciplinata  dalle  norme contenute
 nell'art. 303 c.p.p., e non da quelle contenute nell'art. 304  c.p.p.
 e'  ...  ogni  riferimento  all'art.  304 c.p.p. e' ... inconferente,
 poiche'  disciplina  situazioni  affatto   differenti   ...   attiene
 all'istituto  della  sospensione del termine di custodia cautelare ed
 ai suoi limiti  cronologici".
   Peraltro, anche il tribunale riteneva irragionevole  la  disparita'
 di disciplina tra istituti - quali appunto la sospensione dei termini
 e  la  interruzione  dovuta a regressione o rinvio del procedimento -
 che presentano una  "sostanziale  omogeneita'"  in  quanto  "entrambi
 rappresentano  degli  accidenti  che  si  verificano  nel cammino del
 procedimento, perlopiu' indipendenti dalla  volonta'  dell'imputato";
 pertanto  sollevava  la  questione  di  costituzionalita' nei termini
 sopra riportati (v.   ord.  22  novembre  1996  tribunale  di  Reggio
 Calabria, Ardizzone ed altro in Gazzetta Ufficiale n. 45/1997 - prima
 serie speciale, n.  756).
   La  Corte  costituzionale con la sentenza n. 292/1998 ha dichiarato
 la  questione  non  fondata,  affermando   in   motivazione   che   -
 contrariamente  a quanto ritenuto dal giudice a quo - "il superamento
 di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la
 fase presa in considerazione, determina la perdita di efficacia della
 custodia anche se  quei  termini  ...  sono  cominciati  a  decorrere
 nuovamente a seguito della regressione del  processo".
   La  Corte,  infatti,  ha  ritenuto che il "limite finale" di durata
 della custodia cautelare nelle singole fasi, fissato dall'art.  304/6
 nel  doppio del termine di fase, trovi applicazione non solo nei casi
 di sospensione dei termini, come sembrerebbe indicare la collocazione
 della norma,  ma  anche  in  quelli  di  proroga  o  di  interruzione
 determinata  da  regressione  o  rinvio  del  procedimento  ad  altro
 giudice.
   3. - Contrariamente a quanto  sostiene  la  difesa  appellante,  la
 soluzione  interpretativa  adottata dalla Corte costituzionale non e'
 giuridicamente vincolante nel presente procedimento.
   Le sentenze interpretative di rigetto  della  Corte  costituzionale
 non  sono  infatti  munite  dell'efficacia  erga  omnes propria delle
 decisioni   con   le   quali   viene   dichiarata    l'illegittimita'
 costituzionale  di  una  disposizione  di  legge, per cui assumono il
 valore di mero precedente, certamente autorevole, ma  non  vincolante
 per il giudice (SS.UU. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri).
   Nel  caso della sentenza n. 292/1998, la soluzione interpretativa -
 ispirata  dall'intento  di  superare  la   denunciata   irragionevole
 disparita'  di  disciplina  tra  i casi di sospensione dei termini di
 custodia e quelli di interruzione dovuta  a  regresso  o  rinvio  del
 procedimento  -  finisce per creare una omogeneita' di disciplina tra
 tali casi, nei quali l'allungamento della durata  della  custodia  e'
 per lo piu' indipendente dalla volonta' dell'imputato, e quello della
 evasione,  nel  quale  l'allungamento deriva invece dal comportamento
 dell'imputato, per di piu' penalmente illecito.
   Nella sentenza n. 292/1998, in verita', non vi e' menzione del caso
 di evasione dell'imputato, ma anch'esso rientra tra i "i fenomeni che
 comunque possono interferire con la disciplina dei termini di  fase",
 ai  quali  tutti  si  riferirebbe  il "limite finale" di cui all'art.
 304/6,  e,  d'altro  canto,  l'art. 303/3 e' espressamente richiamato
 dall'art. 304/6.
   Anche prescindendo da tale rilievo, il collegio ritiene di  doversi
 discostare  dalla  soluzione interpretativa, pur cosi' autorevolmente
 indicata, per ragioni che attengono alla origine e alla ragione della
 norma di cui all'art. 304/3, alla sua  collocazione  e,  soprattutto,
 alla sua letterale formulazione.
   Invero, l'esigenza di introdurre un "limite finale" di durata della
 custodia  cautelare  e'  stata  avvertita  dal legislatore proprio in
 relazione all'istituto della sospensione dei termini, che  nelle  sue
 concrete  applicazioni  avrebbe potuto determinare la quiescenza sine
 die del decorso dei termini.
   Il "limite finale"  e'  stato  originariamente  introdotto  per  la
 durata   complessiva  della  custodia  cautelare  (art.  272/9  c.p.p
 abrogato; art. 304/4 nuovo c.p.p.  nel  testo  vigente  anteriormente
 alla  legge  n. 532/1995) e la sua collocazione (subito dopo le norme
 sulla  sospensione  dei  termini   e   nel   nuovo   codice   proprio
 nell'articolo  intitolato alla sospensione) rende chiara l'intenzione
 del legislatore nel senso sopra indicato.
   Prima dell'entrata in vigore della  legge  n.  532/1995,  non  pare
 fosse,  in  realta',  neppure ipotizzabile l'applicazione del "limite
 finale" ai casi del regresso o del  rinvio  del  procedimento  (salvo
 quando  -  beninteso  -  dopo tali vicende fosse intervenuta anche la
 sospensione   dei   termini):   infatti,    nel    codice    abrogato
 l'irragionevole  prolungamento della custodia nei casi di regressione
 o rinvio del procedimento, disciplinati dal comma  5  dell'art.  272,
 era  assicurato  dalla  specifica previsione del comma 6 dello stesso
 articolo che fissava  limiti  massimi  di  durata  complessiva  della
 custodia  inferiori  al  "limite finale" di cui al comma 9; nel nuovo
 codice, anteriormente alla legge n. 532/1995,  i  termini  di  durata
 complessiva della custodia previsti dall'art. 303/4 - applicabili nei
 casi  di  regressione  o rinvio del procedimento - risultavano sempre
 inferiori al "limite finale" di cui all'art. 304/4.
   Cade, quindi, l'argomento "storico" prospettato per  sostenere  che
 il  "limite  finale"  abbia  portata  non  circoscritta  ai  casi  di
 sospensione dei termini.
   L'art. 15/1 della legge  n.  532/1995,  nel  riformulare  il  testo
 dell'art.    304,  ha  introdotto  un "limite finale" di durata della
 custodia anche per le singole fasi (il doppio dei termini di fase)  e
 ha  piu'  favorevolmente  disciplinato  il  "limite finale" di durata
 complessiva della custodia, prevedendo che questa non puo' superare i
 termini di cui all'art.  303/4 aumentati della  meta'  e  richiamando
 comunque  il  previgente  "limite"  (due terzi del massimo della pena
 temporanea), da applicarsi pero' solo se piu' favorevole.
   Che tali previsioni riguardino unicamente i casi di sospensione dei
 termini  della  custodia  si  dovrebbe  desumere  dalla  scelta   del
 legislatore  di tener ferma la collocazione della norma nell'articolo
 dedicato appunto alla sospensione.
   Ne'  pare  che  l'uso  dell'avverbio  "comunque"  nell'art.   304/6
 confermi  l'ipotesi  che  i  "limiti finali" siano riferiti a tutti i
 fenomeni che possono interferire con la  disciplina  dei  termini,  e
 percio'  anche  ai  casi  di  proroga  dei  termini e regressione del
 procedimento.   Ben puo' ritenersi,  infatti,  che  l'avverbio  valga
 invece  a  sottolineare  la  correlazione  tra  la  norma sui "limiti
 finali" e tutte le varie ipotesi di sospensione dei termini  previste
 nei  cinque commi che precedono, nel senso cioe' che i limiti operano
 quale che sia la causa della sospensione.
   Ma vi e' una ragione ulteriore e decisiva che  induce  a  escludere
 che  il  "limite finale" di cui all'art. 304/6 sia riferibile ai casi
 di regressione o rinvio del procedimento.
   Occorre infatti  considerare  che  l'art.  304/6,  come  sostituito
 dall'art.    15/1  della  legge n. 332/1995, fissa il "limite finale"
 relativo alla fase disponendo che "la durata della custodia cautelare
 non puo' comunque superare il doppio dei termini  previsti  dall'art.
 303, commi 1, 2 e 3".
   La  norma,  dunque,  richiama espressamente i casi di regressione o
 rinvio del procedimento e il caso di evasione, nei  quali  i  termini
 decorrono ex novo, e la previsione risulta perfettamente giustificata
 anche  per  chi  ritenga,  come  qui si sostiene, che l'art. 304/6 si
 applichi solo in caso di sospensione dei termini: infatti,  ben  puo'
 darsi  il caso che il procedimento regredisca nella fase del giudizio
 e intervenga poi sospensione dei termini di custodia.
   Orbene, il significato del richiamo dell'art. 304/6 ai commi 2 e  3
 dell'art. 303 non puo' che essere quello di confermare, anche ai fini
 della  individuazione  del  "limite  finale" di durata della custodia
 nella fase, la diversa decorrenza dei termini nei casi del regresso o
 rinvio del procedimento e della evasione.
   Cio' comporta che, ad esempio, regredito il procedimento nella fase
 del giudizio di primo grado ed essendo stati poi sospesi  i  termini,
 la  custodia  cautelare  non potra' superare il doppio del termine di
 fase, calcolato pero' a partire dalla data del provvedimento  che  ha
 disposto  il  regresso  e  non  dall'emissione  del provvedimento che
 originariamente aveva disposto  il  giudizio  (in  tal  senso  si  e'
 pronunciata  la  I Sezione della Corte di cassazione, con sentenza n.
 1063/1996, Sarno, che ha confermato l'orientamento espresso da questo
 tribunale, IV Sezione, con ordinanza ex art. 310 c.p.p.  in  data  21
 dicembre 1995).
   Se  il legislatore del '95 avesse inteso invece equiparare, ai fini
 della individuazione del "limite finale"  di  durata  della  custodia
 nella  fase, le situazioni di regresso o rinvio del procedimento e di
 evasione alle altre, si sarebbe limitato a prevedere che  "la  durata
 della  custodia  cautelare  non  puo' comunque superare il doppio dei
 termini  previsti   dall'art.   303,   comma   1...",   eventualmente
 aggiungendo, per maggior chiarezza: "anche nei casi di cui ai commi 2
 e 3 dello stesso articolo".
   Il  dato  testuale  appare dunque chiaro e il collegio deve tenerne
 conto,  poiche'  "nell'applicare  la  legge  non  si  puo'  ad   essa
 attribuire  altro  senso  che  quello  fatto  palese  dal significato
 proprio delle  parole,  secondo  la  connessione  di  esse,  e  dalla
 intenzione del legislatore".
   Peraltro,    la   conclusione   cui   si   e'   pervenuti   esclude
 incontestabilmente che il "limite finale" di cui all'art.  304/6  sia
 riferibile  anche  ai casi di regressione o rinvio del procedimento e
 di evasione, per la semplice ragione che, se in tali casi il  "limite
 finale"  di durata della custodia nella fase va computato, come si e'
 detto, a partire dal momento di nuova decorrenza del termine indicato
 per ciascuna delle ipotesi dai commi 2 e 3 dell'art.  303,  e'  ovvio
 che  detto  "limite finale" giammai potra' essere superato (in quanto
 scadrebbe ben prima l'ordinario termine di fase), se  non  intervenga
 anche la sospensione dei termini.
   Il  che  appunto  conferma  che  il "limite finale" di cui all'art.
 304/6 e' riferibile unicamente ai casi  di  sospensione  dei  termini
 della custodia.
   4. - Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno ripetutamente
 affermato  che,  sebbene  la sentenza interpretativa di rigetto della
 Corte costituzionale non sia munita di efficacia erga  omnes  facendo
 essa  sorgere  un  vincolo  solo  nel giudizio a quo, non si puo' mai
 giungere a sostenere che per gli altri  giudici  la  decisione  della
 Corte costituzionale sia da ritenersi inutiliter data.
   Sicche' il giudice che, in un diverso giudizio, intenda discostarsi
 dall'interpretazione    proposta    nella    sentenza   della   Corte
 costituzionale non ha  altra  alternativa  che  quella  di  sollevare
 ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare
 alla  formula  normativa un significato ritenuto incompatibile con la
 Costituzione (SS.UU. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri).
   Il collegio, uniformandosi  a  tale  principio,  ritiene  di  dover
 sollevare  nuovamente  la  questione  di legittimita' dell'art. 303/4
 c.p.p. per le medesime ragioni gia' disattese, all'uopo richiamando e
 facendo proprie le motivazioni dell'ordinanza 22  novembre  1996  del
 tribunale di Reggio Calabria.