IL TRIBUNALE

    Visti  gli  atti  del  procedimento,  relativi  al  reato  di cui
  all'art. 595  c.p.,  13; legge n. 47/48, contestato all'on. Tiziana
  Parenti  per  aver  offeso  la  reputazione  di Piercamillo Davigo,
  mediante  attribuzione  di  fatto  determinato  a  mezzo  stampa  e
  segnatamente  attraverso  le  seguenti  affermazioni  che  venivano
  riprese dal giornalista Corazza Flavio sul quotidiano La Stampa del
  9  giugno  1997.  "Davigo afferma che la classe dirigente non vuole
  essere  sottoposta  alla  legge  come  le BR. Viene il sospetto che
  parli  di  se',  perche'  e' lui il primo a non accettare di essere
  sottoposto alla legge;
    Io  penso  che  si  stiano  dando  i numeri. Il paragone proposto
  denuncia  l'ignoranza  veramente preoccupante di Davigo e fa venire
  qualche  dubbio  sul suo equilibrio mentale, tanto che e' difficile
  persino replicare ad una tale affermazione;
      Credo  che occorra che qualcuno dia una regolata a qualcuno. La
  legge  permette certi strumenti e, quindi, e' giusto che quello che
  e'   permesso  sia  messo  in  atto.  Noto  tuttavia  una  costante
  escalation  per  fare  impressione  sulla  gente,  come  quando  si
  equiparano  i  tangentisti  alle  BR" (reato consumato in Torino in
  data 9 giugno 1997).
    Rilevato  che la Camera dei deputati nella seduta del 18 febbraio
  1999  ha  dichiarato  che  "i  fatti  per  i  quali  e' in corso il
  procedimento   (...)  concernono  opinioni  espresse  dal  deputato
  Parenti  nell'esercizio  delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68,
  primo comma, della Costituzione";
    Rilevato  che,  in  sedi  di  atti  preliminari  all'apertura del
  dibattimento,  pubblico  ministero e parte civile hanno chiesto che
  il  tribunale  sollevi  conflitto  di  attribuzione  ai sensi degli
  artt. 134 Cost e 37, legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Rilevato  che  la  difesa  si e' rimessa su tale richiesta, ma ha
  proposto   ritualmente   eccezione  di  incompetenza  territoriale,
  chiedendo  al  tribunale di valutare se la stessa fosse logicamente
  pregiudiziale al promuovimento del conflitto;
    Rilevato  che su tale eccezione pubblico ministero e parte civile
  hanno concluso, sostenendo che la stessa era infondata nel merito e
  che  in  ogni  caso  doveva  cedere  il  passo,  nell'ordine  delle
  questioni  proposte  al  tribunale,  a quella relativa al conflitto
  d'attribuzione;

                            O s s e r v a

    La  questione d'incompetenza territoriale dev'essere affrontata e
  risolta  prima  di  quella  relativa al conflitto d'attribuzione. E
  cio' per due ragioni.
      L'art.  37, legge n. 53/1987 indica come legittimati a proporre
  il  conflitto gli organi competenti a dichiarare definitivamente la
  volonta'  del  potere  cui  appartengono"  ed a tale affermazione -
  benche'  riferita,  evidentemente,  al  potere  inteso in generale,
  quindi,  in  ipotesi, al potere giurisdizionale - sembra non essere
  del  tutto  estraneo  anche il concetto di competenza territoriale,
  apparendo   del   resto   inutile  ed  inopportuno  che  un  organo
  territorialmente  incompetente  possa  mettere in moto il complesso
  meccanismo del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, se
  la  risoluzione positiva di tale conflitto non si riverberi poi nel
  concreto esercizio del relativo potere in capo all'organo che lo ha
  sollevato.
    In secondo luogo - e soprattutto - perche', sebbene si continui a
  definire  "autorizzazione  a  procedere"  anche  la delibera che le
  Camere sono chiamate a emettere in applicazione dell'art. 68, primo
  comma,  Costituzione,  tale  delibera  non  si  risolve in una mera
  questione    di    procedibilita'    dell'azione   penale,   bensi'
  nell'affermazione  di  un  immunita'  personale avvicinabile ad una
  condizione  sui  generis di non punibilita', operante nei confronti
  del   parlamentare   per  le  opinioni  espresse  ed  i  voti  dati
  nell'esercizio delle proprie funzioni: condizione che, dunque, ha a
  che  fare con il merito del procedimento e cioe' con una fase dello
  stesso  successiva  alla valutazione, neces-sariamente preliminare,
  della  competenza,  anche  territoriale, dell'organo che tale causa
  dovra' eventualmente dichiarare.
    Tanto  premesso,  la  questione  d'incompetenza  territoriale  e'
  basata   dalla   difesa   sul  rilievo  che  l'on. Parenti  avrebbe
  rilasciato  la propria dichiarazione all'agenzia ANSA di Roma e che
  pertanto la parte di condotta a lei riferibile si sarebbe consumata
  in  territorio  estraneo alla competenza di questo tribunale ovvero
  comunque  che  la prima diffusione della notizia sarebbe avvenuta a
  Roma,  sede dell'agenzia che la "lancio'" alle redazioni di diversi
  giornali.
    Premesso   che,   in   questa   sede,   ai   fini  dell'eccezione
  d'incompetenza  territoriale, il tribunale non puo' valutare se non
  in base agli atti a sua disposizione e - quindi - in sostanza, deve
  limitarsi  al  vaglio di quanto traspare dall'imputazione descritta
  nel  decreto  che  dispone il giudizio, null'altro di utile essendo
  contenuto  nel  fascicolo per il dibattimento e non essendo ammessa
  attivita'  probatoria  nella  fase  di  discussione delle questioni
  preliminari,  il  luogo  in cui l'intervista venne rilasciata ed il
  luogo  di  prima  diffusione del lancio d'agenzia sono dati ignoti,
  essendo mera allegazione difensiva - non provata e non suscettibile
  di  prova in questa fase processuale - il fatto che essi si debbano
  identificare necessariamente nella citta' di Roma.
    Bastera',  sul  punto,  osservare che l'agenzia ANSA ha piu' sedi
  sul  territorio  nazionale  e  che quindi non si puo' affermare con
  certezza in quali di essa l'intervista - raccolta in luogo ignoto a
  questo tribunale - abbia formato oggetto del "lancio" in questione.
    Sul  punto,  non  possono  essere  di  alcuna  utilita' - perche'
  processualmente  non  acquisibili  -  le diverse conclusioni cui e'
  giunto  il  g.i.p.  di Brescia nella sentenza prodotta dalla difesa
  (ai  soli  fini  di conforto giurisprudenziale alla tesi sostenuta)
  circa   il  luogo  dell'intervista  e  la  sede  dell'agenzia  ANSA
  interessata.
    Cio'  che  invece appare evidente - sulla base della mera lettura
  del  capo  d'imputazione  -  e' che la notizia e' stata diffusa dal
  quotidiano La Stampa e che, secondo le regole ampiamente codificate
  nella  giurisprudenza,  la  competenza territoriale a conoscere dei
  reati  eventualmente  commessi  con  tale  diffusione appartiene al
  tribunale  del luogo in cui il giornale e' stampato, poiche' quello
  e' il primo luogo in cui la notizia viene diffusa.
    Cio'  senza contare, poi, che - come gia' sostenuto dal g.i.p. di
  Torino  sulla  medesima  eccezione oggi ritualmente riproposta - la
  costante  giurisprudenza  della Corte di cassazione individua nella
  pluralita' di pubblicazioni e diffusioni della medesima notizia, in
  luoghi e tempi differenti, non un unico reato, ma una pluralita' di
  autonomi   reati;  sicche'  nell'ipotesi  di  pubblicazione  di  un
  medesimo  comunicato  su diversi giornali si realizzano distinte ed
  autonome  condotte,  attribuibili  non solo ai giornalisti che tali
  comunicati  pubblicano - ciascuno dei quali e' ovviamente portatore
  di  un  autonomo potere/dovere di analisi e di valutazione critica,
  anche  di  carattere  censorio,  sull'opportunita' di pubblicare la
  notizia  e  sui termini e modi con i quali pubblicarli - ma anche a
  colui che rende le dichiarazioni riportate nei singoli articoli, il
  quale  assume  su  di  se' la responsabilita' delle conseguenze che
  esse  siano riprese e pubblicate da diversi giornali: e cio', tanto
  piu',  quando  le dichiarazioni siano rese ad un'agenzia di stampa,
  la  cui  funzione  non  consiste  nella pubblicazione diretta della
  notizia  ma  nella  sua  trasmissione  alle  redazioni  dei singoli
  quotidiani  abbonati,  luoghi  nei quali la stessa viene stampata e
  diffusa.
    Il  tribunale,  ritenendo  la  propria  competenza  territoriale,
  respinge quindi l'eccezione della difesa.
    Ne  deriva  che la richiesta di pubblico ministero e parte civile
  in  ordine  al  conflitto  di  attribuzione  dev'essere valutata in
  questa sede.
      In  estrema  sintesi,  il  tribunale  ritiene  che  il  potere,
  spettante  alla Camera di appartenenza, di decidere sui presupposti
  di applicabilila' dell'art. 68, primo comma della Costituzione, non
  sia stato correttamente usato nel caso di specie e, pertanto, abbia
  arbitrariamente inciso sulle attribuzioni del potere giudiziario.
       E'   pacifico,   per   giurisprudenza   costante  della  Corte
  costituzionale,  che  la  prerogativa  di  insindacabilita'  non si
  estende  a  tutti  i  comportamenti  dei  membri  della  Camera, ma
  riguarda  solo  quelli  funzionali all'esercizio delle attribuzioni
  proprie  del  potere  legislativo  (Corte costituzionale n. 375 del
  1997  e  n. 379 del 1996), dove il nesso funzionale con l'esercizio
  di  tali  attribuzioni  costituisce  il discrimine tra l'indistinto
  insieme  di  critiche,  opinioni,  dichiarazioni  e  giudizi che un
  parlamentare  abitualmente  esprime e le manifestazioni di pensiero
  che  godono della particolare garanzia prevista dall'art. 68, primo
  comma della Costituzione.
    Alla  luce  di  tali  principi,  tale collegamento funzionale non
  appare  affatto  riscontrabile,  in  base  alla  stessa delibera di
  insindacabilita' ed alla relazione della Giunta in essa richiamata.
    In  essa  letteralmente  si  afferma  che "le frasi proferite dal
  deputato   in  questione  costituiscono  con  chiara  evidenza,  un
  giudizio ed una critica di natura sostanzialmente politica su fatti
  e   circostanze  che  all'epoca  erano  al  centro  dell'attenzione
  dell'opinione    pubblica    nonche'    del    dibattito   politico
  parlamentare",   ma   in   tale   affermazione   non  e'  possibile
  rintracciare  una connessione con atti tipici della funzione, ne' -
  in  ossequio  alla  giurisprudenza  della  Corte costituzionale che
  estende   la   prerogativa   anche  alle  attivita'  presupposto  o
  conseguenza   degli   atti   tipici   del   potere   legislativo  -
  l'individuazione  di  un  intento  divulgativo  di  una scelta o di
  un'attivita' parlamentare ad essa connessa.
    E cio' e' addirittura esplicitamente riconosciuto dalla relazione
  della  Giunta,  l'addove  si  ammette l'"assenza di un collegamento
  specifico  con  atti  e  documenti parlamentari", anche se poi tale
  collegamento  viene  ritenuto  "implicito,  attesa  l'ampiezza e la
  diffusione  che ebbe a suo tempo la discussione, tanto sugli organi
  di stampa quanto, in generale, nel dibattito politico".
    In definitiva, pare a questo tribunale che la conclamata mancanza
  di  un  collegamento  specifico  tra  le frasi pronunciate e atti o
  documenti parlamentari e l'affermazione, apodittica, dell'esistenza
  di  un dibattito parlamentare specifico che renderebbe implicito il
  collegamento  con l'attivita' parlamentare, siano, al contrario, il
  riconoscimento  della mancanza del nesso funzionale tra l'immunita'
  e  la  funzione  parlamentare:  con  la conseguenza, arbitraria, di
  estendere   la  prerogativa  all'intera  attivita'  in  senso  lato
  politica   del   parlamentare,  che  di  fatto  vanifica  il  nesso
  funzionale  dell'art. 68,  primo comma della Costituzione e rischia
  di trasformare la tutela costituzionale in un privilegio personale.
    Il  dissenso di questo tribunale in merito alla deliberazione con
  cui la Camera dei deputati ha dichiarato insindacabili, ex art. 68,
  primo  comma  della  Costituzione,  le espressioni oggetto del capo
  d'imputazione  puo' esprimersi solo sollecitando il controllo della
  Corte  costituzionale  su tale delibera, attraverso il conflitto di
  attribuzione previsto dall'art. 134 della Costituzione.
    Il  giudizio in corso dev'essere pertanto sospeso in attesa della
  pronuncia  della  Corte  costituzionale, cui gli atti devono essere
  immediatamente trasmessi.