IL TRIBUNALE A integrazione e motivazione della riserva di cui all'udienza del 23 settembre 1999, in relazione alla questione di legittimita' costituzionale sollevata dal difensore dell'imputato nel proc. n. 8315/1999 contro Canel Francesco e Ferrari Silvio; Rilevato che: gli odierni imputati, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, sono chiamati a rispondere del reato previsto dall'art. 22, terzo comma, legge n. 281/1963, in relazione all'art. 1, O.M. Sanita' del 28 luglio 1994, perche': "producevano ... mangime complementare per ruminanti risultato alle analisi contenente proteine derivanti da tessuti di mammiferi in violazione dell'art. 1, ord. 28 luglio 1994 Ministero sanita', relativa a misure di protezione per quanto concerne l'encefalopatia spongiforme bovina". L'art. 22 suddetto punisce invero la condotta di chi " ... mette in commercio ... prodotti dannosi per il bestiame e contenenti sostanze di cui e' vietato l'impiego ...". sollevava questione di legittimita' costituzionale di tale norma la difesa degli imputati, sulla base del rilievo secondo cui tale previsione violerebbe il principio di legalita' sancito dall'art. 25, secondo comma Cost., in base al quale le fattispecie penali devono trovare la propria regolamentazione nella legge statale, laddove invece in questo caso la norma secondaria richiamata dalla norma penale in bianco (in questo caso l'art. 1, O.M. Sanita' del 28 luglio 1994), non si limiterebbe a specificare nel dettaglio il precetto legislativo, ma individuerebbe essa stessa autonomamente, in assenza di criteri direttivi da parte della legge, alcuni termini strutturali dell'illecito, in violazione palese del principio della riserva di legge in materia penale; cio' principalmente in quanto l'art. 22, terzo comma, legge 281/63 non indicherebbe in alcun modo e neppure lontanamente quali siano i presupposti, il contenuto ed i limiti che le prescrizioni di rinvio devono rispettare nella individuazione delle sostanze di cui e' vietato l'impiego e nella precisazione delle caratteristiche di tale impiego. La questione non e' manifestamente infondata e va pertanto portata all'attenzione della Corte costituzionale. Gia' da tempo, abbandonato ormai definitivamente il criterio della riserva assoluta di legge in materia penale sostenuto da parte della dottrina, la Corte ha ritenuto che il principio della riserva di legge nel diritto penale e' rispettato ".... quando sia una legge o un atto equiparato dello Stato, non importa se proprio la medesima legge che prevede la sanzione penale o un'altra legge, a indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell'autorita' non legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire la pena ..." (Corte cost. n. 113/1972); in altre parole, quindi, quando il precetto amministrativo che integra la norma penale in bianco si ponga solo e non piu' che come uno svolgimento di una disciplina gia' trattata dalla legge. Alla luce di tali criteri, dunque, nel caso di specie dovra' valutarsi se il precetto di cui all'art. 22, terzo comma sia sufficientemente specifico nel delineare gli elementi suddetti laddove punisce la condotta di chi "vende, pone in vendita, mette altrimenti in commercio o prepara per conto terzi, o comunque per la distribuzione per il consumo, prodotti dannosi per il bestiame o contenenti sostanze di cui e' vietato l'impiego". Entrambe le prescrizioni della norma relative all'elemento materiale (cioe' all'oggetto della condotta punibile) appaiono senz'alcun dubbio eccessivamente generiche e non sufficientemente determinate, relativamente non solo alla individuazione dei limiti e dei presupposti entro i quali deve intervenire la norma extrapenale (cioe' nella specificazione delle sostanze vietate o i prodotti dannosi da individuare), ma anche e soprattutto nella stessa individuazione della norma extrapenale (chi, quando, come e in base a cosa deve emanare la norma o il regolamento contenente i dati tecnici). Appare evidente infatti che limitare l'indicazione delle sostanze che non si possono impiegare nella produzione dei mangimi ad un genericissimo sostanze vietate (in base a cosa, perche' ed in che limiti non e' dato di sapere) non costituisce un rinvio della specificazione dei soli elementi tecnici ad una norma extrapenale, ma costituisce un'inutile indicazione meramente lessicale del precetto: il destinatario della norma, cioe', sapeva gia' che non si possono impiegare sostanze vietate (per assurdo, in tale concetto puo' farsi rientrare anche qualsiasi tipo di veleno); la norma penale ha invece il "dovere" di specificare quantomeno la categoria di tali sostanze, cosi' come fa in altri casi (sostanze stupefacenti o psicotrope... di cui al d.P.R. 309/90); identico concetto deve esprimersi per cio' che riguarda la dizione "prodotti dannosi per il bestiame". Tali assolute genericita' del precetto penale appaiono poi ancor piu' palesi laddove si evidenzi come la norma non contenga alcuna indicazione o alcun rinvio, nemmeno sintetico, alle norme o ai regolamenti (cioe' alle autorita' che devono emanarli, ai tempi entro cui devono essere emanati o, se esistono gia', quali siano) da cui dipende la categorizzazione, indicazione e catalogazione delle sostanze vietate e dei prodotti dannosi: prova che sia che per cio' che riguarda altri precetti penali contenuti nella stessa legge (quali quelli contenuti al primo e secondo comma dello stesso articolo) il richiamo e' specifico ed indefettibile ai criteri determinati nella stessa legge o nei rispettivi allegati, in quanto trattasi di "mangimi" o prodotti di cui e' data specifica categorizzazione e definizione, mentre nel terzo comma si fa riferimento solo a prodotti e sostanze di cui nulla e' dato sapere. Sulla base di tali considerazioni deve dunque ritenersi che la norma di cui all'art. 22, terzo comma, legge n. 281/1963 violi il principio di legalita' e di riserva di legge del diritto penale ai sensi dell'art. 25 Cost.