IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza  nella  causa  civile  di  1  grado
 iscritta  al  n.  46145 del ruolo generale per gli affari contenziosi
 dell'anno 1996 trattenuta in decisione in  data  28  gennaio  1999  e
 vertente  tra Leandro Grottola elettivamente domiciliato in Roma, via
 Panama  n.    96  presso  lo  studio  dell'avvocato  Franco  Ongaro e
 Alessandro Ongaro, che lo rappresentano e  difendono  per  procura  a
 margine dell'atto di citazione, attore e Maria Raquele Silva De Lima,
 elettivamente  domiciliata  in  Roma,  via  Cremona n. 15/B presso lo
 studio dell'avvocato Giuseppe Neri,  che  la  rappresenta  e  difende
 unitamente  agli  avvocati  Romano  Gori  e  Andrea  Gori del Foro di
 Bologna  per  procura  in  calce  alla  comparsa   di   costituzione,
 convenuta;
   Oggetto: azione di revocazione di donazione; Conclusioni
   All'udienza di precisazione delle conclusioni del 9 novembre 1998 i
 procuratori delle parti concludevano come da verbale di udienza.
   Rilevate  le  seguenti  circostanze, in ordine allo svolgimento del
 processo:
     che, con atto di citazione notificato in data 16  novembre  1996,
 Leandro Grottola esponeva che in data 17 ottobre 1989 aveva contratto
 matrimonio  con  Maria  Raquele Silva De Lima e, in data 30 settembre
 1991, aveva donato alla moglie la nuda  proprieta'  dell'appartamento
 sito  in  Roma,  via  Pier  Alessandro  Guglielmi n. 19, con atto per
 notaio Fazio di Roma, regolarmente trascritto;
     che la moglie si era quindi allontanata dalla casa coniugale e ne
 era conseguita la separazione personale dei coniugi;
     che nelle more del  giudizio  per  la  cessazione  degli  effetti
 civili  del matrimonio, il giorno 8 novembre 1996 era nata la piccola
 Giulia Grottola, figlia dell'esponente e di  Catia  Cilene  Carvalho,
 sua convivente;
     che,  cio' premesso, citava in giudizio la predetta Maria Raquele
 Silva  De  Lima,  per  sentire  revocata,  ex  art.  803  c.c.,   per
 sopravvenienza  della  figlia  Giulia Grottola, la suddetta donazione
 effettuata in favore della Silva De Lima, con ordine di cancellazione
 della trascrizione di quell'atto  e  di  annotazione  della  emananda
 sentenza;
     che,  costituendosi in lite, la convenuta resisteva alla domanda,
 deducendo che il Grottola  aveva  gia'  tentato  di  revocare  quella
 donazione  con una distinta domanda per indegnita' della moglie e per
 incapacita' temporanea di intendere e di volere; nel merito, eccepiva
 comunque l'impossibilita' di esperire utilmente l'azione ex art.  803
 c.c.,  in quanto il riconoscimento di figlio naturale era intervenuto
 oltre i due anni dalla donazione e chiedeva, quindi, il rigetto della
 domanda e, in subordine, in via riconvenzionale, il pagamento  di  un
 indennizzo per la perdita della nuda proprieta' del villino;
     che,  respinta  la  richiesta di CTU avanzata dalla convenuta per
 l'accertamento della paternita' del Grottola, le parti precisavano le
 conclusioni nei termini sopra  indicati  e  la  causa  era  presa  in
 decisione  all'udienza del 9 novembre 1998, concedendosi i termini di
 legge per conclusionali e repliche;
     che  la  convenuta  resiste  alla  domanda  dell'attore,  in  via
 principale,   manifestando   dubbi  sulla  effettiva  paternita'  del
 Grottola,  che  tuttavia  non  possono  trovare  ingresso  in  questo
 giudizio,  per  l'impossibilita' di emettere una pronuncia incidenter
 tantum sulla questione di stato della minore Giulia Grottola;
     che, subordinatamente, la convenuta eccepisce  la  impossibilita'
 della   revocazione   per   il   superamento   del   biennio  tra  il
 riconoscimento di figlio naturale e la  donazione,  che  l'art.  803,
 primo  comma  c.c.    pone  come  limite alla facolta' di revocare la
 donazione stessa;
     che,  pertanto,  e'  indispensabile  applicare tale norma ai fini
 della decisione della presente controversia;
     che, anche a prescindere dal rilievo piuttosto generico circa  la
 legittimita'  costituzionale della norma, esposto dalla parte attrice
 solo in sede di  comparsa  conclusionale,  il  tribunale  ritiene  di
 sollevare  la  questione  di  ufficio,  ai  sensi dell'art. 23, terzo
 comma,  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  ritenendo  la  stessa   non
 risolvibile  per  via  interpretativa,  alla luce del chiaro disposto
 della norma medesima;
     che la disciplina dettata dall'art. 803 c.c. sembra in  contrasto
 con   la  norma  di  cui  agli  artt.  3  e  30,  terzo  comma  della
 Costituzione, in quanto, nella prima parte, consente  la  revocazione
 della  donazione  in  presenza  di  due  presupposti, quello negativo
 dell'assenza di figli o discendenti legittimi viventi al tempo  della
 donazione  e  quello positivo della sopravvenienza o della conoscenza
 dell'esistenza di un figlio o discendente legittimo, senza limiti  di
 tempo,  mentre,  nella  seconda  parte  del  primo comma, consente la
 revoca della donazione effettuata da chi  non  aveva  o  ignorava  di
 avere figli o discendenti legittimi all'epoca della donazione, dunque
 sulla  base  dello  stesso  presupposto  negativo,  e del presupposto
 positivo del riconoscimento di un figlio naturale nel termine di  due
 anni  dalla  donazione,  a  meno  che non si provi che al tempo della
 donazione il donante fosse a conoscenza dell'esistenza del figlio;
     che  la  dottrina  degli  anni  piu'  recenti,  pur  con   alcune
 oscillazioni, ha abbandonato la ricostruzione teorica che individuava
 la  ratio  della  norma  nel  rispetto  di  una presunta volonta' del
 donante, ed ha invece identificato il fondamento politico-legislativo
 della disposizione nell'esigenza di tutela degli interessi familiari,
 ed  in  particolare  dei  figli,  in  quanto   lo   ius   poenitendi,
 riconosciuto  al  donante  in  presenza  di  quei fatti sopravvenuti,
 consente di far rientrare nel patrimonio del  donante  medesimo  quei
 beni  che,  ove  ancora  presenti  al momento della morte, formeranno
 l'asse  ereditario  sul  quale  figli  legittimi  e  figli   naturali
 eserciteranno gli stessi diritti;
     che non vi e' dubbio che lo strumento tecnico di cui si avvale la
 legge  sia  quello  di  stabilire  un  potere di modifica eccezionale
 rispetto al carattere irrevocabile della donazione, come  evidenziato
 anche  nella  relazione  al progetto definitivo del codice civile, in
 cui si fa riferimento ai mutamenti che la nascita di un  figlio  puo'
 provocare nell'animo del donante;
     che,  tuttavia,  se  il  fatto  sopravvenuto  che  giustifica  la
 possibilita' di revoca e' solo e proprio quello della  sopravvenienza
 o  la successiva conoscenza ovvero il riconoscimento di figli - oltre
 alla  diversa  ipotesi  dell'ingratitudine  -  la   disposizione   e'
 evidentemente  dettata  a  vantaggio  dei discendenti legittimari del
 donante;
     che, allora, la restrizione temporale imposta solo  in  relazione
 al  riconoscimento  di  figli  naturali  appare  in  contrasto con il
 principio della tutela giuridica e sociale dei figli nati  fuori  dal
 matrimonio  assicurata  dall'art. 30, terzo comma della Costituzione,
 che  la  Corte  costituzionale  ha  giudicato,  con  pronunce   anche
 piuttosto risalenti nel tempo, e dunque, con contenuto fortunatamente
 anticipatorio della riforma del diritto di famiglia introdotta con la
 legge  n.  151  del 1975, quale "norma ispiratrice di un orientamento
 legislativo a favore della filiazione illegittima, inteso appunto  ad
 eliminare  posizioni giuridicamente e socialmente deteriori dei figli
 illegittimi" (cfr.  Corte costituzionale sent. del 30 aprile 1973, n.
 50, Corte costituzionale sent. del 27 marzo 1974, n. 82, e,  dopo  la
 legge  n.  151/1975,  Corte costituzionale sent. 4 luglio 1979 n. 55,
 citata nel testo);
     che il precetto  costituzionale,  come  letto  ed  autorevolmente
 interpretato proprio dalla Corte costituzionale, impone di assicurare
 ai figli naturali una tutela adeguata alla posizione di figlio, ossia
 simile  a  quella assicurata ai figli legittimi, e che tale parametro
 costituzionale  non  puo'  non  valere,  oltre  che   nei   casi   di
 discriminazione  palese e diretta tra le posizioni assicurate a figli
 legittimi e figli naturali, anche nel caso come quello  in  esame  in
 cui  la  ratio  della norma e' la tutela dei discendenti legittimari,
 ancorche' quella tutela si realizzi  per  via  indiretta,  allargando
 l'ambito dei poteri negoziali riconosciuti al genitore;
     che,  dunque,  quella disposizione si pone anche in contrasto con
 l'art.  3  della   Costituzione,   perche'   crea   un'ingiustificata
 disparita' di trattamento in fattispecie del tutto omogenee, quali la
 sopravvenienza  di  figli legittimi ed il sopravvenuto riconoscimento
 di figli naturali, ed in questo viola il principio di uguaglianza  ed
 il principio di razionalita' e coerenza interna dell'ordinamento;