IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza,  sul ricorso n. 473/1999,
 proposto dal comune di Trieste, rappresentato e difeso  dall'avvocato
 Giovanni  Battista  Verbari  e  domiciliato  presso il suo studio, in
 Trieste, piazza Tommaseo n. 4;
   Contro, la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in  persona  del
 presidente  in  carica,  rappresentata  e difesa dall'avvocato Renato
 Fusco e domiciliata presso l'avvocatura regionale, sita  in  Trieste,
 via  Milano  n.  1,  per  l'annullamento  della delibera della Giunta
 regionale, datata 23 aprile 1999, n. 1278, avente ad oggetto la legge
 regionale n. 8 del 1999,  art.  2,  comma  1,  e  art.  6,  comma  3,
 determinazione delle superfici degli esercizi commerciali;
   Visto  il  ricorso, notificato il 3 agosto 1999 e depositato presso
 la segreteria generale il 6 agosto 1999 con i relativi allegati;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio della regione,  depositato
 il 13 agosto 1999;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Data  per  letta  alla  pubblica  udienza  del  5  novembre 1999 la
 relazione del consigliere  Umberto  Zuballi  ed  uditi  altresi'  gli
 avvocati Verbari per il comune e Fusco per la Regione;
   Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Il  ricorrente  comune di Trieste fa presente che la regione, sulla
 base dell'art. 2 del d.lgs. 31  marzo  1998  n.  114,  relativo  alla
 disciplina del commercio, avrebbe dovuto dare applicazione al decreto
 stesso entro il 24 aprile 1999.
   La  regione  approvava  la  legge regionale 19 aprile 1999 n. 8, la
 quale, ad avviso del comune, non solo non rispetterebbe i principi di
 cui al d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114, ma dilazionerebbe gli adempimenti
 regionali, rinviando le decisioni a regolamenti regionali.
   Secondo  il  comune,  la  regione  era  tenuta   ad   assumere   le
 determinazioni di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114 con
 legge,  e  cio'  a  norma  dello  statuto; infatti, nella regione non
 potrebbe trovare applicazione l'istituto della legge delegata.
   Inoltre, la citata legge regionale n. 8 del 1999 non delinea  alcun
 quadro o criterio generale, per cui - ad avviso del ricorrente comune
 -  i regolamenti che essa demanda alla Giunta regionale non sarebbero
 regolamenti di  esecuzione,  ma  indipendenti,  non  consentiti  alla
 Regione sulla base dello statuto di autonomia.
   In  particolare,  la regione avrebbe derogato ai principi di cui al
 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114,  prorogando  la  vigenza  dei  piani  di
 sviluppo e violando il termine di cui all'art. 6 di detto decreto.
   Sarebbero  inoltre  censurabili sotto il medesimo profilo gli artt.
 6, 7 e 8 della legge regionale 8  del  1999;  altre  difformita'  dal
 d.lgs.  31  marzo  1998  n. 114 si riscontrerebbero nelle definizioni
 delle tipologie commerciali.
   Infine,  la  riduzione  dei  parametri  e  delle  dimensioni  delle
 tipologie commerciali operata dalla regione comporterebbe - ad avviso
 del  comune  -  una  violazione del principio delle pari opportunita'
 delle attivita' economiche, ponendosi in tal modo  in  contrasto  con
 gli artt. 3 e 41 della Costituzione.
   Il  comune,  a  sostegno delle sue argomentazioni, riproduce poi il
 testo  sia  delle  osservazioni  formulate  dal  Governo  alla  legge
 regionale 8 del 1999, sia della replica regionale.
   Il  comune  precisa  poi  il  suo  interesse al ricorso, che mira a
 rivendicare  le  proprie  competenze   in   materia   di   commercio,
 affidategli  sulla  base  del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114, anche alla
 luce dell'articolo 8 dello statuto regionale.
   Inoltre, il comune agisce  a  tutela  della  comunita'  locale,  in
 quanto,  con  un atto amministrativo, la regione regola la disciplina
 del commercio in maniera difforme  e  piu'  restrittiva  rispetto  al
 resto del Paese.
   In  sostanza,  secondo  il  comune,  non sarebbe ammissibile che la
 materia del commercio venga regolata dalla Regione  in  maniera  piu'
 restrittiva  rispetto  a  quanto  indicato dal decreto legislativo 31
 marzo 1998 n. 114, tanto piu' ad opera di un atto amministrativo.
   Inoltre, il d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114 - ad avviso del comune - e'
 volto non solo a porre principi fondamentali, ma anche a far valere i
 principi comunitari, tra cui  la  liberta'  di  commercio,  la  quale
 costituisce quindi un principio fondamentale dell'ordinamento.
   Riassumendo, il comune ricorrente solleva in primis la questione di
 conformita'  alla  Costituzione  e allo statuto regionale della legge
 regionale 19 aprile 1999 n. 8, che  non  rispetterebbe  le  norme  di
 grande  riforma  economico sociale contenute nel d.lgs. 31 marzo 1998
 n. 114, e in tal modo si  porrebbe  in  contrasto  altresi'  con  gli
 articoli 3 e 41 della Costituzione.
   Un'altra  violazione  dello statuto regionale da parte della citata
 legge regionale n. 8 del 1999 deriverebbe dal fatto che essa  demanda
 ad  un regolamento la definizione di alcuni parametri, in particolare
 quelli relativi  alle  superfici  e  alle  tipologie  degli  esercizi
 commerciali,  in difformita' con i principi di cui al d.lgs. 31 marzo
 1998 n. 114, istituendo  nel  contempo  una  sorta  di  inammissibile
 delega  alla  Giunta regionale e consentendo altresi' l'emanazione di
 regolamenti indipendenti.
   Il comune contesta  altresi'  l'impugnata  delibera  regionale,  la
 quale si discosterebbe sia dal d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114, sia dalla
 stessa legge regionale n. 8 del 1999.
   La resistente regione, ricostruita in diritto la vicenda, eccepisce
 l'inammissibilita'  del  ricorso per carenza di legittimazione attiva
 del comune, a fronte di un atto regolamentare;  rileva  poi  che  non
 sarebbe   ammesso   sollevare  una  sorta  di  atipico  conflitto  di
 attribuzione tra comune e regione.
   Non  sarebbe  nemmeno  ammissibile  un  ricorso  volto  a  tutelare
 genericamente la totalita' dei cittadini.
   Venendo  al  merito, la regione osserva che il d.lgs. 31 marzo 1998
 n. 114, all'art. 1, comma 2, fa espressamente salva la potesta' piena
 della regione in materia di commercio, per cui  le  modifiche  e  gli
 adattamenti  alla  realta' regionale risultano consentiti. Rileva poi
 come le disposizioni relative alle superfici di vendita  non  possono
 essere  considerate  quali norme di principio, come tali inderogabili
 da parte della regione.
   Conclusivamente,  nell'esercitare  la  sua   potesta'   legislativa
 primaria,  la  regione  ha  rispettato i principi di cui al d.lgs. 31
 marzo 1998 n. 114, pur discostandosene legittimamente nel dettaglio.
   Nel corso della discussione svoltasi in pubblica udienza, le  parti
 hanno ribadito le rispettive posizioni.
                             D i r i t t o
   Va innanzi tutto esaminata l'eccezione di carenza di legittimazione
 attiva  del  ricorrente  comune, sollevata dalla regione nell'assunto
 che non sarebbe ammissibile una sorta di conflitto di attribuzione  e
 che in ogni caso la tutela generica dei cittadini non sarebbe tale da
 giustificare la legittimazione ad agire.
   Questo  collegio  ritiene  invece  che il comune sia legittimato ad
 agire in giudizio, anche alla luce della legge 8 giugno 1990 n. 142 e
 successive  modifiche  e   integrazioni,   in   quanto,   nella   sua
 prospettazione,  la  legge  regionale  19  aprile  1999  n.  8  e  il
 regolamento attuativo impugnato  violano  le  competenze  e  potesta'
 attribuite  al  comune,  sia  dal d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114, sia da
 norme di  principio  con  particolare  riferimento  al  principio  di
 sussidiarieta', di cui alla legge 15 marzo 1997 n. 59.
   Venendo  al  merito, va esaminata in via logicamente prioritaria la
 questione di costituzionalita' della legge regionale 19  aprile  1999
 n. 8, sollevata dal ricorrente comune.
   Va  innanzi  tutto  rilevato  che  il  d.lgs.  31 marzo 1998 n. 114
 costituisce  una  grande  riforma  economico  sociale,  sia  per   la
 liberalizzazione  del  commercio,  che  esso  realizza  in attuazione
 dell'art. 41 della Costituzione e dei principi comunitari, sia per  i
 contenuti che concretamente attuano detta liberalizzazione.
   L'art.  1, comma 2 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114 fa espressamente
 salve  le  potesta'  delle  regioni  a  statuto  speciale  e  quindi,
 implicitamente,  anche  la  potesta'  piena  della  regione  autonoma
 Friuli-Venezia Giulia in materia di commercio;  ne  consegue  che  la
 regione  deve uniformarsi ai principi del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114
 e quindi non solo al principio della liberalizzazione del  commercio,
 ma  anche  alle  norme  legate  ai  principi stessi da un rapporto di
 coessenzialita' e di necessaria integrazione, come  indicato  da  una
 costante    giurisprudenza    della   Corte   costituzionale   (Corte
 costituzionale, 15 novembre 1988 n. 1033; 24 luglio 1998 n. 323).
   Correlativamente, la regione, nelle norme di sua  competenza,  puo'
 discostarsi  dal  contenuto  del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114, purche'
 non ne violi i  principi  e  le  disposizioni  che  a  tali  principi
 risultano strettamente collegate.
   Sennonche', alcune disposizioni del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114, in
 particolare   quelle  relative  alle  tipologie  commerciali  e  alle
 superfici  di  vendita  (le   quali   ultime   interferiscono   anche
 nell'aspetto qualitativo), sono state derogate dalla regione non gia'
 con la citata legge regionale 19 aprile 1999 n. 8, ma con la delibera
 impugnata,  cioe'  con  un  atto  regolamentare  cui  detta  legge ha
 demandato l'introduzione di norme integrative ed attuative.
   A proposito va rammentato che, a mente dell'art. 46  dello  statuto
 di  autonomia,  approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963 n.
 1,  la  Giunta  regionale  puo'  emanare  unicamente  regolamenti  di
 esecuzione delle leggi regionali.
   Orbene,  ad  avviso  del  collegio,  il meccanismo utilizzato dalla
 regione con la legge 19 aprile 1999 n. 8, cioe' la delega alla Giunta
 regionale del potere di definire  con  regolamento  alcuni  parametri
 decisivi  per  l'attuazione  del  d.lgs.  31  marzo  1998  n. 114, in
 modifica  al  decreto  stesso,  lungi  dal  costituire  una  semplice
 delegificazione, contrasta con il riparto di competenze tra consiglio
 e  Giunta  regionale come definito dallo statuto regionale, in quanto
 in sostanza demanda - senza definire i parametri  di  riferimento,  e
 quindi  senza  previa  indicazione  del rapporto di coessenzialita' o
 meno  delle  norme  di  dettaglio  rispetto  ai  principi  -  ad   un
 provvedimento  amministrativo  la  deroga ad alcune norme del decreto
 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114, norme derogabili - nei limiti suindicati
 - dalla Regione stessa unicamente utilizzando la  potesta'  piena  di
 cui  all'art. 4 dello Statuto, esercitabile esclusivamente attraverso
 lo strumento legislativo.
   Ne consegue che risulta non manifestamente infondata  la  questione
 di  legittimita'  costituzionale degli artt. 2, comma 1,  lettere d),
 e), ed f) e dell'art. 6, comma 3, della  legge  regionale  19  aprile
 1999 n. 8, per violazione degli artt. 4 e 46 dello statuto regionale.
   Quanto   alla   rilevanza   della   questione,  essa  emerge  dalla
 circostanza  che  la  lesione  delle  attribuzioni  comunali   deriva
 direttamente  dall'impugnato  regolamento  e  in  particolare dal suo
 contenuto derogatorio rispetto al d.lgs. 31 marzo 1998 n.  114  e  in
 considerazione che detto regolamento e' stato emanato in virtu' delle
 citate  norme  della  legge  regionale  19  aprile  1999  n.  8,  che
 attribuiscono tale potesta' alla Giunta regionale.
   In base a quanto fin qui esposto, essendo la dedotta  questione  di
 costituzionalita' rilevante ai fini della decisione del ricorso e non
 manifestamente  infondata,  il  Collegio deve disporre la sospensione
 del giudizio e la remissione degli atti  alla  Corte  costituzionale,
 affinche' si pronunci in proposito.