ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 555, comma 2, del codice di procedura penale, nel testo modificato dall'art. 2 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d'ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), promossi con n. 2 ordinanze emesse il 12 ottobre 1998 dal pretore di Alba sezione distaccata di Bra, nei procedimenti penali a carico di Giuseppe Revello ed altro e di Giovanni Aimasso ed altro, iscritte ai nn. 288 e 289 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1999. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 27 ottobre 1999 il giudice relatore Gustavo Zagrebelsky. Ritenuto che con due ordinanze di contenuto corrispondente tra loro, emesse il 12 ottobre 1998, il pretore di Alba - sezione distaccata di Bra - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 555, comma 2, cod. proc. pen., nel testo modificato dall'art. 2 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'articolo 323 del codice penale, in materia di abuso d'ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio emesso dal giudice per le indagini preliminari a seguito dell'opposizione a decreto penale sia nullo qualora non sia preceduto dall'invito all'imputato a presentarsi per rendere l'interrogatorio, a norma dell'art. 375, comma 3, cod. proc. pen; che il rimettente e' chiamato a pronunciarsi su eccezioni di nullita' dei decreti di citazione a giudizio sollevate dagli imputati nei procedimenti principali per l'omissione dell'invito a presentarsi; che il Pretore, richiamando analoga questione gia' rimessa da altro organo giudiziario all'esame della Corte (r.o. n. 572 del 1998, sollevata dal pretore di Montepulciano), ravvisa una disparita' di trattamento tra imputati nell'iter processuale del giudizio conseguente all'opposizione a decreto penale, nel quale il previo invito a norma dell'art. 375, comma 3, cod. proc. pen. non e' effettuato, rispetto al differente svolgimento del giudizio ordinario, nel quale invece detto invito, a seguito delle modifiche apportate dalla citata legge n. 234 del 1997, e' formulato; che tale differenziazione, ritenuta dal pretore non giustificata dalla specificita' del rito per decreto - giacche' comunque nei casi anzidetti il processo sfocia nel giudizio dibattimentale -, sarebbe inoltre lesiva delle garanzie difensive dell'imputato, poiche' la mancata effettuazione dell'interrogatorio susseguente all'invito potrebbe sottrarre all'imputato stesso la facolta' di addurre immediatamente le proprie difese, in modo da ottenere un provvedimento di archiviazione ed evitare cosi' la celebrazione del giudizio dibattimentale; che e' intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, richiamando l'atto di intervento depositato in relazione all'analoga questione sollevata dal pretore di Montepulciano, ha concluso per l'inammissibilita' o l'infondatezza delle questioni. Considerato che con due identiche ordinanze di rinvio il pretore rimettente solleva un'unica questione di costituzionalita' e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi congiuntamente; che, chiamata a pronunciarsi su questioni analoghe e riferite ai medesimi parametri costituzionali, questa Corte ne ha gia' dichiarato, con l'ordinanza n. 325 del 1999, la manifesta infondatezza, rilevando a) che la richiesta di assimilazione del procedimento per decreto a quello "ordinario" e' contrastata dalla eterogeneita' degli atti per i quali la nullita', in caso di omissione del previo invito, rispettivamente e' prevista (il decreto di citazione a giudizio) e si richiede che sia prevista (il decreto che dispone il giudizio), trattandosi di atti diversi per riferibilita' (al pubblico ministero e al giudice, rispettivamente) e per natura (atto di esercizio dell'azione penale e vocatio in ius rispettivamente); b) che e' pertanto da escludersi, alla stregua del principio di uguaglianza, la riconduzione a unita' delle due discipline, mancandone l'indispensabile presupposto, cioe' l'omogeneita' dei dati normativi; c) che, inoltre, la prospettazione oggi nuovamente in esame produrrebbe, se accolta, effetti distorsivi nel sistema, collocando un atto proprio della fase delle indagini preliminari - l'invito a presentarsi ex art. 375, comma 3, cod. proc. pen. - nell'ambito della fase successiva all'esercizio dell'azione penale, con cio' stesso contraddicendo l'obiettivo assunto dal rimettente, cioe' la finalita' di evitare il giudizio; d) che neppure e' ravvisabile la menomazione delle garanzie difensive, posto che nel procedimento per decreto lo svolgimento dei mezzi di difesa si ha nella fase del giudizio susseguente all'opposizione al decreto penale, il quale costituisce semplicemente lo strumento di contestazione dell'addebito; che, in mancanza di argomenti e profili nuovi o diversi che possano indurre a un diverso orientamento (v. altresi', su questioni affini, le ordinanze nn. 326 del 1999 e 432 del 1998), le questioni sollevate devono essere dichiarate manifestamente infondate. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.