IL PRETORE

    Ha  pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta
  al  n. 69/98 del ruolo generale vertente tra Mileto Francesca, nata
  a S. Giorgio Morgeto il 4 luglio 1959, ed elettivamente domiciliata
  in Polistena, via On. L. Longo n. 35, presso lo studio dell'avv. S.
  Nasso  che  la  rappresenta  e  difende  per  procura a margine del
  ricorso,  ricorrente,  e Berlingeri Albina, residente in S. Giorgio
  Moreto,  codice  fiscale  numero BRLLBN5M46H889T  ed  elettivamente
  domiciliata  in  Polistena,  via  Croce  n. 30,  presso  lo  studio
  dell'avv.  Clelia Condello che la rappresenta e difende per procura
  a  margine  della  comparsa  di costituzione e riposta, resistente,
  avente ad oggetto la reiterazione nel possesso.
                       Conclusioni delle parti
    I  procuratori  delle  parti  costituite  hanno  concluso come da
  verbale  di  precisazione  delle conclusioni o, in difetto, come in
  atti.

                      Svolgimento del processo

    Esponeva la ricorrente:
        di  essere comproprietaria, unitamente alle sorelle Daniela e
  Maria,  di  un  edificio  sito in San Giorgio Morgeto, via Castello
  n. 15,  con  antistante  cortile,  distinto in catasto alla partita
  n. 1630,  foglio  n. 18,  part.  n. 806,  con  antistante  cortile,
  confinante  tra  gli  altri,  con  l'abitazione di proprieta' della
  sig.ra Berlingeri Albina, residente in San Giorgio Morgeto alla via
  Altano n. 21;
        che  nella  scorsa  estate 1997, la sig.ra Berlingeri Albina,
  approfittando  del  suo  breve periodo di assenza, si faceva lecito
  occupare   l'area  sovrastante  il  cortile  della  sua  proprieta'
  mediante  la  realizzazione di quattro tettucci in ferro e tegole a
  copertura della finestre dell'edificio confinante che si affacciano
  su detto cortile;
        che   dette   opere  ledono  gravemente  i  suoi  diritti  di
  proprieta'  e  quelli  delle  sue  sorelle  costituendo occupazione
  illegittima del cortile di loro proprieta' e illegittima servitu' i
  scolo  delle  acque  piovane  che  defluiscono liberamente da dette
  tettoie  sul  detto  cortile e, particolarmente sulla scala esterna
  che da' accesso alla sua abitazione creando particolari difficolta'
  nell'uso  e  nel godimento del passaggio soprattutto nelle giornate
  di pioggia.
    Chiedeva  pertanto  di  essere reintegrata nel possesso ordinando
  alla   residente  la  eliminazione  delle  opere  realizzate  e  la
  riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
    Si  costituiva  in  giudizio  la  resistente chiedendo il rigetto
  della domanda avversaria.
    Venivano sentite le parti personalmente e l'11 giugno 1998 veniva
  emanato il provvedimento cautelare richiesto.
    Precisate le conclusioni all'udienza del 9 febbraio 1999 la causa
  veniva  trattenuta  in decisione con termine di giorni sessanta per
  il  deposito  delle  comparse  conclusionali  e di ulteriori giorni
  venti per il deposito delle memorie di replica.

                       Motivi della decisione

    Questo  pretore  si trova ad affrontare, a conclusione della fase
  di  merito,  le  stesse  questioni  che  aveva esaminato nella fase
  cautelare.
    Infatti  le  sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione  con la
  sentenza  n. 1984  del  24 febbraio  1998 ponendo fine ai contrasti
  giurisprudenziali manifestatisi in tema di procedimento possessorio
  hanno   affermato   che   quest'ultimo   anziche'  concludersi  con
  l'ordinanza emessa al termine della fase cautelare come ritenuto da
  taluni  (c.d. concezione monofasica) si articola in due fasi quella
  cautelare e quella di merito (c.d. concezione bifasica).
    Le  sezioni  unite  hanno  ritenuto  che  "il ricorso ex art. 703
  c.p.c.,  proposto  a  tutela  del  possesso,  introduce, anche dopo
  l'entrata  in  vigore della legge n. 353/1990, sia la fase sommaria
  che  quella  di  merito.  Pertanto, al termine della prima fase, il
  pretore  emana  un'ordinanza  con  la  quale accoglie o respinge la
  richiesta  dell'interdetto  e  fissa un'udienza per la prosecuzione
  del  giudizio  di  merito  che viene definito con sentenza soggetta
  alle impugnazioni ordinarie".
    Il  procedimento  possessorio si articola quindi in due fasi: una
  fase  cautelare  concludentesi  con un'ordinanza cui segue, in ogni
  caso, una fase di merito.
    Ritiene  quindi  questo pretore di dover sollevare, d'ufficio, la
  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 51 c.p.c., per
  contrasto con l'art. 24 della Costituzione laddove limita il dovere
  di  astensione  del  giudice all'ipotesi di previa conoscenza della
  causa  in altro grado del possesso e non anche nel caso in cui egli
  ne  abbia  conosciuto per aver adottato un provvedimento nella fase
  cautelare di un procedimento possessorio.
    La  ragione dell'incompatibilita' e' ravvisata nel rischio che il
  giudice  della fase sommaria venga chiamato a ripetere, una seconda
  volta, un giudizio che ha gia' espresso nella fase cautelare.
    Nondimeno  tale  situazione  non  puo'  essere  ricompresa  nella
  previsione  dell'art.  51, n. 4, c.p.c., che si riferisce alla sola
  ipotesi in cui il giudice abbia conosciuto della causa in un "altro
  grado".
    Quindi   il  nostro  codice  di  procedura  civile  prevede  solo
  un'incompatibilita'  extraprocessuale,  mentre  il caso in esame si
  riferisce  ad  un'incompatibilita' endoprocessuale, dal momento che
  la  fase sommaria (o cautelare) e quella di merito formano un unico
  procedimento, semmai diviso in momenti diversi.
    Di  conseguenza  la  questione  appare  rilevante  non potendo il
  giudice  esimersi,  in  base  all'art. 51, c.p.c., dall'esame della
  controversia pur trovandosi in una situazione di incompatibilita'.
    Venendo  al  merito  della questione deve osservarsi che la Corte
  costituzionale  e' intervenuta piu' volte sull'art. 34, c.p.p., per
  dichiararne  l'incostituzionalita'  in  tutti  i  casi  in  cui non
  prevedeva  un'incompatibilita'  tra  il  magistrato  che adotta una
  misura cautelare e quello che decide nel merito.
    Il  fondamento  di  tali  pronunzie  va  ricercato  nell'esigenza
  dell'imparzialita'  e  terzieta'  del  giudice  che  costituisce la
  premessa per avere un "giusto processo".
    E'  infatti  evidente  che  il  giudice  il  quale  si  sia  gia'
  pronunziato  su  un  certo  oggetto  subisca  la  c.d. "forza della
  prevenzione" individuata dalla Corte in "quella naturale tendenza a
  mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto
  in  altri  momenti  decisionali  dello  stesso procedimento" (cosi'
  Corte costituzionale n. 432/1995).
    Tale forza della prevenzione, secondo la Corte costituzionale, si
  produce quando un magistrato ha adottato un provvedimento basato su
  una  "valutazione  contenutistica  e  non  formale del merito della
  questione" (Corte costituzionale n. 432/1995).
    Sussiste  quindi,  ad  avviso  di  questo  pretore, un profilo di
  illegittimita'  dell'art. 51, c.p.c., nella parte in cui prevede la
  sola  incompatibilita' del giudice che abbia conosciuto il processo
  in "altro grado".
    Questo  pretore  e'  a  conoscenza  della  sentenza  n. 326 del 7
  novembre  1997  della  Corte  costituzionale  che  ha  respinto  la
  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  51, c.p.c.,
  nella  parte in cui non prevede l'obbligo di astensione nella causa
  di  merito  per  il giudice che abbia concesso una misura cautelare
  ante  causam  in  riferimento  all'art.  24  della  Costituzione  e
  dell'ordinanza   n. 0315  del  9  luglio  1998  con  cui  e'  stata
  dichiarata  manifestamente  infondata, con riferimento all'art. 24,
  secondo  comma,  della  Costituzione,  la questione di legittimita'
  costituzionale  dell'art.  51,  cod. proc. civ., "laddove limita il
  dovere  di astensione del giudice alla ipotesi di previa conoscenza
  della causa in altro grado del processo e non anche nel caso in cui
  egli  ne  abbia  conosciuto  per  aver  adottato  un  provvedimento
  d'urgenza nella fase cautelare".
    Le  pronuncie della Corte si fondano su duplice rilievo della non
  estensibilita'   alla  giurisdizione  civile  della  giurisprudenza
  formatasi  sul  processo penale e della assenza di identita' di res
  iudicanda  tra  il giudizio di merito ed il giudizio espresso sulla
  domanda cautelare.
    Pertanto  la  presente  censura  di  legittimita'  costituzionale
  sembrerebbe la mera riproposizione di una questione gia' decisa.
    In  realta'  il procedimento possessorio presenta caratteristiche
  peculiari che lo distinguono dai procedimenti cautelari.
    Infatti,  gia'  sotto il profilo procedurale, puo' osservarsi che
  la fase di merito segue, secondo l'impostazione accolta dalla Corte
  di  cassazione,  anche  in  caso  di  rigetto  della  richiesta  di
  provvedimento cautelare.
    Le  azioni  possessorie  mirano poi a cautelare una situazione di
  fatto  per assicurare la pace sociale ed evitare che ciascuno possa
  farsi  giustizia da se' mentre alla base dei procedimenti cautelari
  c'e' un diritto che rischia di subire un danno irreparabile durante
  il tempo necessario allo svolgimento del giudizio ordinario.
    Ne  consegue che, al contrario di quanto avviene nei procedimenti
  cautelari,  in  quelli  possessori  non  ce' alcuna valutazione del
  fumus boni iuris e del periculum in mora.
    Inoltre  la res iudicanda e' la medesima sia nella fase cautelare
  che  in  quella di merito e si identifica nella situazione fattuale
  di cui il ricorrente lamenta la lesione e l'eventuale provvedimento
  di  accoglimento  conclusivo  della  fase  cautelare  e' pienamente
  satisfattivo  delle  ragioni del ricorrente e privo di connotati di
  strumentalita'.
    Infine  l'istruttoria  si esaurisce, nella grande maggioranza dei
  casi,  nella  fase  cautelare nella quale vengono sentite le parti,
  acquisiti i documenti e sentiti gli informatori.
    Quindi  tutto  il  materiale  raccolto  nella  fase  cautelare e'
  destinato  a  refluire nella fase di merito ed ad essere utilizzato
  per la decisione.
    Del resto essendo identico l'oggetto delle due fasi (accertamento
  della    lesione    del    possesso)    ne   consegue   l'identita'
  dell'istruzione.
    Quindi  l'incompatibilita'  si  verifica quando il giudice che ha
  gia'  conosciuto  la  causa  per  aver  adottato  un  provvedimento
  possessorio si trova a decidere la fase di merito del procedimento,
  essendo  inevitabile il condizionamento delle valutazioni e giudizi
  gia' operati nella prima fase con riferimento a tutti i presupposti
  che saranno oggetto di giudizio nella seconda.
    Emblematico in tal senso e' il caso in esame.
    Sono  state  sentite le parti in sede di interrogatorio libero ed
  acquisito il materiale fotografico rappresentante i luoghi di causa
  e quindi e' stato emesso il provvedimento cautelare richiesto.
    Nessuna attivita' istruttoria o ulteriore si e' svolta nella fase
  di  merito  cosicche'  questo  pretore  si  trova  ad affrontare la
  medesima questione gia' affrontata e decisa sulla base del medesimo
  materiale probatorio.
    Quindi  non  una mera valutazione del fumus boni iuris inteso nel
  senso  di  indagine  superficiale  della  questione  ma esame dello
  stesso  oggetto  gia'  affrontato  negli  stessi  termini in cui si
  presentava in occasione del primo giudizio.
    L'attuale  formulazione dell'art. 51, c.p.c., pertanto non appare
  rispettosa   del  principio  dell'imparzialita'  del  giudice  come
  individuato  nelle  decisioni  della  Corte  costituzionale  citate
  riguardanti  prevalentemente  il  processo  penale,  come  elemento
  essenziale  della  funzione  giurisdizionale,  e presupposto per un
  giusto processo (Corte costituzionale 24 aprile 1996, n. 131; Corte
  costituzionale  15  settembre  1995,  n. 432),  come tale garantito
  dagli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Il procedimento va quindi sospeso e gli atti vanno trasmessi alla
  Corte costituzionale.