IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al
 n.  2578/1994  r.g.  promossa  da  Innse    Cilindri  S.r.l., con gli
 avvocati Sergio M. Carbone del foro di Genova e Raffaele Mistura  del
 foro  di Brescia, attrice, nei confronti del Ministero delle finanze,
 con l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia, convenuto;
   Rilevato che:
                               In fatto
 Con atto notificato il 2 marzo 1994 la Innse Cilindri  S.r.l.  citava
 il Ministero delle finanze a comparire dinanzi a questo tribunale per
 sentirlo  condannare  alla  restituzione di quanto pagato a titolo di
 imposta addizionale sul consumo di energia elettrica  (istituita  con
 d.-l.  n. 511/1988 convertito nella legge n. 20/1989, e con d.-l.  n.
 332/1989  convertito  nella  legge  n.  384/1989)   sul   presupposto
 dell'indebito  pagamento  di  tale  imposta,  per  essere  il consumo
 dell'attrice,  esercente  attivita'  industriale   siderurgica,   non
 soggetto  a  imposta  di  consumo  sull'energia  elettrica  ai  sensi
 dell'art. 2, ultimo comma, legge n. 940/1966, e che  a  tale  domanda
 non  ostava  il  disposto di cui all'art.   3 del d.-l. n. 511/1988 e
 all'art. 4 del d.-l. n. 332/19898, secondo cui "le esenzioni  vigenti
 per  l'imposta  erariale  sul  consumo  dell'energia elettrica non si
 estendono alle addizionali ...", dovendosi distinguere, sulla  scorta
 della  prevalente giurisprudenza, le ipotesi di esenzione dal tributo
 (di cui alle lettere da A a M del citato art. 2, legge  n.  940/1966)
 da  quelle  di  non  soggezione al tributo stesso.   Si costituiva il
 Ministero  convenuto  contestando  la  pretesa  attorea  sulla   base
 dell'asserita  identita'  tra ipotesi di esenzione di non soggezione.
 In corso di causa sopravveniva l'art. 4, d.-l. n. 250/1995 convertito
 in legge n. 349/1995 che dettava un'interpretazione  autentica  delle
 disposizioni  sull'addizionale  al  consumo  di energia elettrica nel
 senso che vi era assoggettata  anche  l'energia  elettrica  impiegata
 come riscaldamento negli usi indispensabili al compimento di processi
 industriali  veri  e  propri, aggiungendo che non vi era assoggettata
 quella  utilizzata  come  materia  prima  nei  processi   industriali
 elettrochimici  ed  elettrometallurgici  ivi  comprese le lavorazioni
 siderurgiche e  delle  fonderie.    Dopo  un'iniziale  tentantivo  di
 sostenere  che  solo  la  prima  parte dell'articolo da ultimo citato
 dettava un'interpretazione autentica, e poteva quindi  avere  effetto
 retroattivo,   mentre  la  seconda  (esclusione  dall'addizionale  di
 particolari  tipi  di  lavorazione  tra  cui  quelli  delle   imprese
 siderurgiche)   aveva   carattere  innovativo  e  dunque  non  poteva
 applicarsi al caso di specie (comparsa  conclusionale  del  7  maggio
 1996),  l'amministrazione convenuta, con la comparsa conclusionale in
 data 3 ottobre  1999,  ha  dichiarato  di  uniformarsi  all'indirizzo
 giurisprudenziale della Corte di cassazione che, anche per il periodo
 anteriore   alle   legge   n.  349/1995,  ha  ritenuto  esenti  dalle
 addizionali in questione i consumi tra i quali rientrano  quelli  per
 cui  e' causa.  Tuttavia la stessa convenuta, sviluppando l'eccezione
 gia' formulata precisando le conclusioni,  ha  chiesto  la  reiezione
 della  domanda  ai  sensi dell'art. 19, d.-l. n. 688/1982, convertito
 nella legge n. 873/1982, in quanto parte attrice non avrebbe dato  la
 prova ivi prevista, e consiste nella dimostrazione documentale di non
 aver  in  qualsiasi  modo  trasferito  l'onere dell'imposta pagata su
 altri soggetti.  In memoria di replica depositata il 27 ottobre 1999,
 parte attrice ha sostenuto che la norma invocata dall'amministrazione
 non sarebbe applicabile alle addizionali  poiche'  non  espressamente
 richiamate  queste ultime tra le imposte cui la ridetta disposizione,
 di carattere chiaramente  eccezionale,  si  applica,  e  comunque  ha
 segnalato  l'ordinanza  29  giugno 1998 con cui la Corte d'appello di
 Trieste ha sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  del
 citato art. 19 (in Gazzetta Ufficiale 14 ottobre 1998).
                              In diritto
 La  questione  di  legittimita'  costituzionale, gia' sollevata dalla
 Corte giuliana, e'  rilevante  e  non  manifestamente  infondata;  La
 citata  disposizione  risulta infatti decisiva nel processo in corso,
 essendo pacifica l'entita' dell'addizionale versata  dall'attrice  in
 relazione   a   consumi   produttivi   che   la  farebbero  rientrare
 nell'ipotesi di non soggezione di cui all' art. 4, d.-l. n. 250/1995,
 che oggi la stessa amministrazione  convenuta  riconosce  applicabile
 anche retroattivamente, ed essendo altrettanto pacifico che l'attrice
 non  ha  fornito  la prova documentale richiesta dall'art. 19, il cui
 difetto, peraltro tempestivamente sollevato in sede  di  precisazione
 delle conclusioni, sarebbe comunque rilevabile anche d'ufficio stante
 il  carattere  inderogabile della disposizione.  Non e' d'altra parte
 condivisibile  l'opinione della Corte d'appello di Milano, richiamata
 dall'attrice, secondo cui tale disposizione non  sarebbe  applicabile
 al  caso  di  specie,  opinione  che  muove  dalla considerazione del
 carattere eccezionale della disposizione, poiche' a parere di  questo
 giudicante  l'imposta addizionale sul consumo di energia elettrica e'
 una species del genus imposte di consumo, e cio' in quanto  l'imposta
 addizionale  ha  per definizione il medesimo presupposto dell'imposta
 base, e nulla nella disposizione in questione autorizza ad  escludere
 dalla   nozione   di   imposte  di  consumo  le  imposte  addizionali
 limitandone  l'applicazione  alle  imposte  base,  cosi'  come  nulla
 avrebbe autorizzato ad escludere dalle imposte dirette le addizionali
 Irpef   o   il   contributo   straordinario   per  l'Europa,  sicche'
 l'interpretazione che  qui  si  sostiene  non  puo'  essere  ritenuta
 analogica,  ma, a tutto voler concedere, estensiva.  D'altra parte il
 contrasto dell'art. 19, d.-l. n. 688/1982 con gli artt. 24 e 53 della
 Costituzione  appare  di  immediata  evidenza,  nonostante   che   la
 questione   sia   stata   risolta   in  senso  negativo  dalla  Corte
 costituzionale con ordinanza 16 giugno 1988, n. 651, e cio'  sia  per
 la  diversita'  della  fattispecie concreta che aveva dato origine al
 processo  a quo rispetto al caso di specie, sia perche' la  questione
 merita  di  essere  riproposta  con  ulteriori  argomenti.   La Corte
 costituzionale, con la citata ordinanza, aveva infatti affermato  che
 "presunzione  ispiratrice  della  norma"  e' quella "secondo la quale
 l'operatore  economico  percosso   da   alcuni   tipi   di   imposta,
 normalmente,  la  riversa  sui  soggetti che da lui acquistano beni o
 servizi" e che "tale presunzione ... non appare irragionevole"; ed  a
 riprova  citava  la fattispecie oggetto del giudizio a quo, in cui il
 comitato provinciale prezzi aveva consentito la maggiorazione per una
 certa aliquota del  prezzo  del  prodotto  fino  al  totale  recupero
 dell'imposta di cui si chiedeva il rimborso.  Orbene, non risulta che
 nel  caso  di  specie i beni prodotti dall'attrice fossero soggetti a
 prezzi amministrati o controllati, ne' che tali  prezzi  siano  stati
 aumentati  in  conseguenza delle imposte di cui trattasi, e gia' tale
 differenza imporrebbe una nuova considerazione della questione.   Ma,
 piu'  ancora,  pare  a  questo giudicante che proprio la "presunzione
 ispiratrice  della  norma",   cosi'   ben   delineata   dalla   Corte
 costituzionale  nella  motivazione dell'ordinanza n. 651/1988 citata,
 esprima una  concezione  semplicistica  ed  autarchica  dei  fenomeni
 economici,  e  prescinda  totalmente  dalla  nozione di mercato e dal
 comportamento da esso imposto a chi vi operi; sostenere  infatti  che
 qualsiasi  costo (di origine fiscale o meno) possa essere "scaricato"
 sui prezzi di prodotti finali, e' una verita' solo apparente, che non
 tiene in alcun  conto  la  circostanza  che  un  aumento  dei  prezzi
 determina, di regola, una diminuzione della domanda, e quindi gia' di
 per  se'  espone  il  produttore  ad  una  flessione  del complessivo
 fatturato (e conseguentemente del profitto),  ma  soprattutto  espone
 tale  produttore,  che  operi in un'economia aperta, alla concorrenza
 dei produttori stranieri cui non siano imposti gli  stessi  costi,  e
 pertanto riduce vieppiu' il ricavo fino a costringere, in pratica, il
 suddetto  produttore  a praticare un prezzo prossimo a quello di tale
 concorrenza, cosi' riducendo il proprio profitto  in  proporzione  ai
 costi  aggiuntivi  da  lui sostenuti, che pertanto devono dirsi su di
 lui, in ultima analisi, ricadere.  Che poi la  prova  contraria  alla
 presunzione  cosi'  irragionevolmente  fatta  propria dal legislatore
 debba  addirittura  essere  data  esclusivamente  in via documentale,
 appare a tal punto limitare il diritto di agire  del  contribuente  -
 che  in tesi abbia corrisposto un'imposta non dovuta - da sopprimerlo
 totalmente.    Ed  infatti  non  si   riesce   ad   immaginare   come
 concretamente  possa  essere  data,  con  documenti, la prova del non
 trasferimento su terzi dell'onere fiscale (che nel caso di specie, si
 osserva, non concerne un prodotto semplicemente commercializzato,  ma
 una  fonte  di  energia  utilizzata come materia prima in un processo
 produttivo il cui prodotto finito  e'  tutt'altra  cosa  dall'oggetto
 dell'imposta.    In  proposito  la  gia' citata ordinanza n. 651/1988
 osservava che la difficolta' probatoria ritenuta dal  giudice  a  quo
 sarebbe  eslcusa  dall'obbligo  di  conservazione  dei  libri e delle
 scritture contabili; si osserva tuttavia in  contrario  che  la  mera
 lettura  delle  scritture  contabili  non  consente  di discernere le
 componenti   economiche   dei   prezzi   praticati,   essendo   assai
 problematico  imputare  un  eventuale  aumento di prezzi dei prodotti
 all'una  o  all'altra  componente  di  costo,  cio'  implicando   una
 valutazione  che  la  scrittura  contabile da sola non e' in grado di
 offrire.  E, prima ancora, tale mera lettura, nella maggior parte dei
 casi, neppure consente di  effettuare  dei  validi  raffronti  tra  i
 prezzi  praticati  prima  e  quelli praticati dopo un dato evento (in
 ipotesi, una  nuova  imposta  sui  consumi  di  energia),  poiche'  i
 prodotti di un processo produttivo possono essere piu' d'uno, possono
 avere varie
  denominazioni,  tali  denominazioni  possono  mutare nel tempo cosi'
 come  nel  tempo  (e  magari  con  rapidita')   possono   mutare   le
 caratteristiche  qualitative  dei  prodotti stessi, e dalle scritture
 contabili non e' dato inferire le caratteristiche chimico-fisiche dei
 prodotti venduti e meno che mai l'incidenza specifica su di essi  dei
 singoli  costi di   produzione.  A non migliori risultati condurrebbe
 poi l'analisi aggregata dei dati economici  ricavabili  dai  bilanci,
 poiche'   da   essi   potrebbe  evincersi  soltanto  l'aumento  o  la
 diminuzione del volume complessivo dei ricavi, senza neppure  potersi
 immediatamente  comprendere se tali variazioni derivino o meno da una
 variazione dei prezzi per unita' di prodotto  o  delle  quantita'  di
 prodotto  venduto.    La  risposta  al  quesito  che  sta  a cuore al
 legislatore del 1982 non potrebbe dunque che trarsi,  a  voler  tutto
 concedere,  da  una consulenza tecnica fondata sui dati contabili che
 il contribuente che agisca in ripetizione d'imposta indebita potrebbe
 offrire, il che peraltro non pare consentito dalla disposizione,  che
 sembra   pretendere  una  risposta  immediata  dai  documenti  e  non
 consentire  altro  mezzo  di  prova,  mentre,  se  i  dati  contabili
 dovessero essere analizzati attraverso un'indagine peritale, essi non
 rileverebbero  che mediatamente, come elementi indiziari, e comunque,
 nella  pur  denegata  ipotesi  della  possibilita'  di  una  siffatta
 indagine,  il  diritto  del  contribuente sarebbe esposto all'estrema
 alea di una valutazione quantomai soggettiva, con riflessi  oltremodo
 negativi sulla certezza dei rapporti giuridici che, specie in materia
 fiscale, appare doversi garantire.  La disposizione denunciata sembra
 dunque  ledere  irrimediabilmente  e  al contempo tanto il diritto di
 agire in giudizio per la tutela  dei  diritti,  di  cui  all'art.  24
 Cost.,  quanto  la  disposizione  sostanziale  sottostante, garantita
 dall'art. 53 Cost.