IL TRIBUNALE 1. Fatto e svolgimento del processo. A seguito di citazione «diretta» del pubblico ministero, B.D. veniva tratto a giudizio a avanti a questo giudice monocratico del dibattimento per rispondere dei reati in epigrafe indicati (come da capo di imputazione). Alla prima udienza (c.d. «filtro»), l'imputato - non comparso senza addurre alcun legittimo impedimento - veniva dichiarato contumace. Il giudice dichiarava aperto il dibattimento e, a seguito delle richieste delle parti, pronunciava ordinanza (ex artt. 190 e 495 c.p.p.) con cui ammetteva le prove dichiarative e documentali. Infine, disponeva il rinvio del processo - per l'istruttoria dibattimentale - all'udienza del 1° ottobre 2013 ore 9,15 avanti al Tribunale di Torino (ufficio che accorpera' il Tribunale di Pinerolo dopo il 13 settembre 2013, per effetto del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155). Il giudice disponeva peraltro che non fossero citati i testimoni ammessi, non essendo possibile individuare l'aula (del Tribunale di Torino) in cui si dovrebbe celebrare il processo, in assenza fino ad ora di qualunque indicazione - pur gia' formalmente richiesta dal Presidente di questo Tribunale - da parte dell'ufficio accorpante. A questo punto, subito dopo l'indicazione della data e dell'ufficio giudiziario di rinvio del processo il difensore dell'imputato chiedeva un breve differimento del processo per proporre questione di legittimita' costituzionale. All'odierna udienza del 19 marzo 2013, dopo che il Giudice confermava il provvedimento di rinvio del processo all'udienza del 1° ottobre 2013 ore 9,15 avanti al Tribunale di Torino, l'avv. Francesca Chialva formulava oralmente (e mediante deposito di memoria scritta) «eccezione di incostituzionalita' dell'art. 1 legge n. 148/2011 e degli artt. 1 e segg. decreto legislativo n. 155/2002 (laddove e' stato tra l'altro prevista la soppressione del Tribunale e della Procura della Repubblica di Pinerolo e il loro accorpamento dopo il 13 settembre 2013 al Tribunale e alla Procura della Repubblica di Torino), per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 70, 72, 76, 77, 81, 97 e 108 della Costituzione». Il Pubblico Ministero si associava all'eccezione proposta. Il giudice scrivente si ritirava in camera di consiglio e, all'esito, pronunciava la seguente ordinanza. 2. Le disposizioni impugnate. Il giudice scrivente, in accoglimento delle eccezioni proposte ma in ogni caso anche d'ufficio (stante la manifesta fondatezza ictu oculi, per come si dira'), ritiene che siano rilevanti e non manifestamente infondate la questione di legittimita' di quelle disposizioni del decreto legislativo n. 155/2012 e della legge-delega n. 148/2011 che comportano la soppressione - dal 13 settembre 2013 - degli uffici giudiziari (Tribunale e Procura) di Pinerolo, e il loro accorpamento agli omologhi uffici giudiziari di Torino (e che impongono altresi' il rinvio dei processi, dopo il 13 settembre 2013, avanti al Tribunale di Torino): 1) la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 9 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, relativamente all'inclusione del Tribunale di Pinerolo e della Procura della Repubblica di Pinerolo nell'elenco di cui alla tabella A) allegata, con conseguente soppressione di tali uffici e loro accorpamento al Tribunale e alla Procura della Repubblica di Torino, e relativamente all'obbligo di fissare le udienze successive al 13 settembre 2013 avanti al Tribunale di Torino: per contrasto con gli artt. 76, 3, 24, 25 e 97 della Costituzione; 2) la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 14 settembre 2011, n. 148, di conversione, con modificazioni del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, per essere stata emanata la legge-delega in violazione degli artt. 70, 72, 76, 77 e 81 della Costituzione. 3. La non manifesta infondatezza delle questioni. A) Illegittimita' degli artt. 1, 2 e 9 del decreto legislativo delegato 7 settembre 2012, n. 155. Art. 1, relativamente all'inclusione del Tribunale e della Procura della Repubblica di Pinerolo nell'elenco di cui alla tabella A) allegata al medesimo decreto legislativo n. 155/2012, laddove si prevede che tali uffici vengano soppressi e accorpati al Tribunale e alla Procura della Repubblica di Torino; e art. 9 comma 1 (in relazione all'art. 2) decreto legislativo n. 155/2012, laddove si prevede che le udienze fissate dopo la data di efficacia del medesimo decreto legislativo delegato (13 settembre 2013) siano fissate avanti all'accorpante Tribunale di Torino: per contrarieta' di entrambe le disposizioni all'art. 76 della Cost. [in relazione al disposto dell'art. 1 comma 2° lett. b), d) ed e) legge delega n. 148 del 14 settembre 2011] e per contrarieta' agli artt. 3, 24, 25 1° comma, 97 2° comma Cost. L'art. 1 del decreto legislativo n. 155 del 7 settembre 2012 prevede che «Sono soppressi i tribunali ordinari, le sezioni distaccate e le procure della Repubblica di cui alla tabella A allegata al presente decreto»; nell'elenco della tabella A e' compreso il Tribunale di Pinerolo, che viene accorpato al Tribunale metropolitano di Torino. L'art. 9 comma 1 periodo decreto legislativo n. 155/2012 recita: «Le udienze fissate dinnanzi ad uno degli uffici destinati alla soppressione per una data compresa fra l'entrata in vigore del presente decreto e la data di efficacia di cui all'art. 11 comma 2 [quest'ultima «...decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore»: id est 13 settembre 2013] sono tenute presso i medesimi uffici. Le udienze fissate per una data successiva sono tenute dinnanzi all'ufficio competente a norma dell'art. 2». Il provvedimento di soppressione del Tribunale di Pinerolo e di accorpamento al Tribunale di Torino - e le disposizioni connesse circa l'obbligo di fissare le udienze post 13 settembre 2013 avanti al Tribunale di Torino - appare allo scrivente in clamoroso contrasto con le disposizioni della stessa legge delega ed in particolare con l'art. 1 comma 2° lett. b), d), e) legge n. 148/2011: contrasto che - per come si vedra' - emerge tra l'altro non solo sulla base dei «lavori preparatori» e segnatamente dei numerosissimi pareri di organi politici e tecnici che a vario titolo sono stati consultati durante l'iter (e prima) dell'approvazione del decreto legislativo n. 155/2012; ma anche, si badi bene, incredibilmente, sulla base della stessa «interpretazione autentica» (peraltro obbligata) che e' stata fornita dallo stesso Ministro della Giustizia nella Relazione ufficiale di accompagnamento del decreto legislativo n. 155/2012. L'art. 1 comma 2 lettera b) della legge delega n. 148/2011 prevede che la ridefinizione delle circoscrizioni giudiziarie avvenga «secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificita' territoriale dei bacini di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso di impatto della criminalita' organizzata, nonche' della necessita' di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane»; la lett. d) indica al Governo di «procedere alla soppressione ovvero alla riduzione delle sezioni distaccate di tribunale, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi, nel rispetto dei criteri di cui alla lett. b)»; la lett. e) indica come «prioritaria linea di intervento» [nell'attuazione di quanto previsto anche dalle lett. b) e d)] «il riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni». Avuto riguardo all'art. 1 comma 2 lett. b) e d), il principio «direttivo» di primaria importanza nella revisione della geografia giudiziaria (il «primo» principio, addirittura gerarchicamente sovraordinato a tutti gli altri tanto da essere indicato dal delegante al delegato come «prioritaria linea di intervento») e' dunque quello della razionalizzazione del servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane (Roma, Milano, Napoli, Torino e Palermo), che deve essere necessariamente realizzato (e cosi' e' stato, tranne che nel caso di Pinerolo) mediante decogestionamento del tribunale metropolitano (nel caso di specie di Torino), con trasferimento di carichi sugli uffici giudiziari limitrofi della stessa provincia e aumento delle dimensioni di questi (Pinerolo si trova infatti in provincia di Torino). Il principio di decongestionamento dei grandi Tribunali metropolitani (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo) - unanimemente (e dalla legge-delega) ritenuto obiettivo «prioritario» da perseguirsi nell'ottica della razionalizzazione del servizio giustizia - affonda le proprie radici gia' nel decreto legislativo 491 del 3 dicembre 1999 (in esecuzione dell'art. 1 legge delega 155 del 5 maggio 1999), a seguito del quale era derivato, nella provincia di Torino, l'ampliamento (con sgravio del Tribunale di Torino) dei due Tribunali sub-provinciali/sub-metropolitani di Ivrea e Pinerolo, i quali costituiscono i due pilastri per realizzare lo scopo legislativo, perseguito da molti anni ed oggi incomprensibilmente disatteso, di ridurre il contenzioso che grava sul Tribunale metropolitano di Torino. L'obiettivo della riforma di cui oggi ci occupiamo e' reso palese in tal senso dalla lettera della legge ed ulteriormente esplicitato nella relazione finale al 12 marzo 2012 del Gruppo di lavoro istituito il 13 ottobre 2011 dal Ministero della Giustizia per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie (doc. 3 memoria parte civile) , laddove (pag. 34 e ss.) e' data contezza alla «specificita' delle grandi aree metropolitane, che impone al fine di decongestionare i relativi uffici giudiziari, la ridefinizione dei territori, mediante sdoppiamento degli uffici troppo grandi ed accorpamento delle aree che attualmente gravano sui Tribunali metropolitani agli uffici limitrofi». Detta necessita', che la commissione ministeriale riconosce esser stata da tempo tenuta presente dal legislatore, potrebbe efficacemente (sempre secondo la commissione stessa) esser rispettata «mantenendo i Tribunali sub-provinciali adiacenti alle grandi aree metropolitane, sia pure intervenendo con accorpamenti di territorio a vantaggio dei tribunali sub-provinciali. Una diversa soluzione con soppressione dei suddetti uffici imporrebbe di riversare sull'unico tribunale metropolitano il carico di lavoro dell'ufficio soppresso, con cio' determinando un ulteriore congestionamento di uffici gia' oltremodo gravati; cio' sarebbe chiaramente in contrasto con gli obiettivi della legge-delega che, tra l'altro, si propone appunto di razionalizzare il servizio delle grandi aree metropolitane» (pag. 36). Ma non basta. Le finalita' perseguite dalla legge n. 148/2011 sono definitivamente acclarate dalla relazione ministeriale allo schema del decreto legislativo licenziato dal Consiglio dei ministri lo scorso 10 agosto 2012 (disponibile sul sito del Ministero: giustizia.it/strumenti/attivita' normative: doc. 1 parte civile). Nella detta relazione si legge icasticamente (pag. 7, cap. 1.4, appunto denominato «Le grandi aree metropolitane»): «La necessita' prioritaria in tutte le grandi aree metropolitane e' senza dubbio quella di procedere ad un decongestionamento dei carichi. Tale obiettivo, in ottemperanza a quanto specificamente indicato dalla legge delega (art. 1 comma 2 lett. b: "razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane") e' stato perseguito attraverso tre fondamentali scelte operative: a) impedire accorpamenti di Tribunali sub-provinciali alle 5 grandi aree metropolitane (Roma, Napoli, Milano, Torino e Palermo); b) favorire, ove possibile e ragionevole l'accorpamento di territori delle sezioni distaccate metropolitane ai tribunali limitrofi». c) ... (omissis). Rispetto a tali enunciati, verrebbe da dire ... In claris non fit interpretatio... Non vi sono invece parole per descrivere - di fronte a siffatte affermazioni scritte del Ministro della Giustizia assolutamente inequivoche (perche' inequivoco era il tenore del principio «specificamente indicato» dalla legge-delega) - lo stupore che si prova nel rinvenire, nella lista dei soppressi (tabella A allegata al decreto n. 155/2012) il Tribunale di Pinerolo, che (non si comprende come cio' possa essere inopinatamente sfuggito al Consiglio dei ministri) e' uno dei due Tribunali submetropolitani che si trovano nella medesima provincia (Torino) del Tribunale metropolitano di Torino. Ed appare ancora piu' sorprendente e' che il Governo abbia agito in spregio di tale principio direttivo delle legge-delega (pur dallo stesso Ministro giustamente sottolineato nel suo carattere «specifico» e «vincolante») e abbia deciso la soppressione degli uffici giudiziari di Pinerolo e il loro accorpamento a quelli di Torino ignorando (oltre al gia' richiamato parere della Commissione consultiva ministeriale) una serie impressionante di pareri contrari alla scelta che qui si censura, essendosi espressi contro la soppressione del Tribunale di Pinerolo (non per apprezzamento di opportunita' ma appunto richiamando il Governo al rispetto del principio di decongestionamento delle aree metropolitane): 1) Consiglio Giudiziario presso la Corte di Appello di Torino, adunanza 17 luglio 2012, su richiesta e in funzione del parere della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, e recependo integralmente le osservazioni del Presidente del Tribunale di Pinerolo (docc. 4 e 5 memoria parte civile); 2) implicitamente lo stesso CSM, plenum 26 luglio 2012, in particolare ove si richiamano pareri CSM 22 dicembre 1998 e 18 ottobre 1999, in relazione alla necessita' di decongestionare i tribunali metropolitani, tra i quali si annovera Torino, con cessione di territorio ai tribunali sub metropolitani, e segnatamente a Pinerolo; 3) Procura della Repubblica di Torino e dalla Procura Generale della Repubblica di Torino (intervento predisposto per le Commissioni Giustizia della Camera dal Procuratore aggiunto dott. Vittorio Nessi; missiva del Procuratore Generale del Piemonte e Valle d'Aosta dott. Marcello Maddalena alla Commissione Giustizia della Camera: citato a punto 3 lett. a) del parere Commissione Giustizia della Camera dei deputati 1° agosto 2012); 4) ANM, v. intervento predisposto per l'audizione in Commissione Giustizia, riportante indicazione criticita' della scelta operata con la predisposizione dello schema governativo in ordine alla soppressione del Tribunale di Pinerolo (paragrafo n. 8 pag. 10); 5) CNF v. intervento rassegnato alla Commissione Giustizia Senato, in fase di audizione il 19 luglio 2012 (paragrafo n. 6: «mancato esercizio della legge delega nelle grandi aree metropolitane»); 6) Commissione Giustizia del Senato: parere espresso circa lo schema di decreto legislativo governativo in data 31 luglio 2012 (doc. 13 parte civile); 7) Commissione Giustizia della Camera: parere espresso circa lo schema di decreto legislativo governativo in data 1° agosto 2012 (doc. 12 parte civile). Ad es., un organo tecnico particolarmente qualificato quale il Consiglio Giudiziario della Corte di appello di Torino (si rammenta composto dal Presidente della Corte di appello di Torino e dal Procuratore Generale presso la medesima Corte di appello) ha espresso, in data 17 luglio 2012, su richiesta della Commissione Giustizia della Camera, parere favorevole sulle scelte operate in relazione alla soppressione di tutti i restanti uffici giudiziari del Piemonte (ben sei: Alba, Saluzzo, Mondovi', Acqui Terme, Tortona e Casale Monferrato), e ha espresso parere contrario soltanto in relazione alla soppressione degli uffici giudiziari di Pinerolo «in quanto contraria ai criteri informatori della legge delega» relativi al decongestionamento delle aree metropolitane, recependo sul punto integralmente le osservazioni dei Dirigenti del Tribunale e della Procura di Pinerolo. La Commissione Giustizia della Camera, nel gia' citato parere 1° agosto 2012, scrive testualmente: «3) Tribunali non suscettibili di essere soppressi in quanto necessari per decongestionare le aree metropolitane: La Commissione ha altresi' rilevato che il criterio di delega secondo cui la ridefinizione della geografia giudiziaria doveva essere realizzato, anche mediante trasferimento di territori dall'attuale circondario a circondari limitrofi, anche al fine di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane, non e' stato adeguatamente attuato. In particolare si e' rilevato che: a) nel distretto del Piemonte e Valle d'Aosta e' necessario il mantenimento del Tribunale di Pinerolo, previo accorpamento dei territori limitrofi ed omogenei». Infine, anche dopo la pubblicazione del decreto legislativo n. 155/2012, sono state presentate numerose mozioni parlamentari con invito al Governo ad adottare un decreto correttivo urgente ex art. 1 comma 5 decreto legislativo n. 155/2012, con immediato ripristino del Tribunale di Pinerolo illegittimamente soppresso in violazione della legge-delega e segnatamente del principio di decongestionamento del tribunale metropolitano (Docc. 18, 19, 20 e 21 memoria parte civile): nella mozione 1/01148 del 25 settembre 2012 (Gruppo Popolo della Liberta') si invita il Governo a dare attuazione all'appena testualmente citato parere 1° agosto 2012 della Commissione Giustizia della Camera, dove si affermava che era obbligatorio il mantenimento del Tribunale di Pinerolo (doc. 19); nella mozione 1/01178 del 23 ottobre 2012 (Gruppo Popolo e Territorio), si legge che il decreto legislativo n. 155/2012 non ha rispettato - con riferimento alla soppressione del Tribunale di Pinerolo - il principio di decongestionamento delle aree metropolitane sancito dalla legge delega e ribadito nella gia' citata Relazione di accompagnamento del Ministro della Giustizia; nella mozione 1/01207 del 20 dicembre 2012 (Gruppo Partito Democratico), si legge testualmente: «La soppressione degli uffici giudiziari di Pinerolo, a differenza delle scelte operate in tutte le altre aree dei tribunali metropolitani - ove si sono mantenuti e in alcuni casi ampliati gli uffici giudiziari submetropolitani - non solo contrasta con i principi della legge-delega con riguardo ai criteri previsti in relazione alla necessita' di razionalizzare il servizio giustizia nelle «grandi aree metropolitane», ma e' incoerente con tutti i parametri indicati dalla stessa relazione ministeriale che accompagna il provvedimento» (relazione ministeriale il cui contenuto si e' gia' riportato nella presente ordinanza). In definitiva, lo scrivente, confortato da tutte le unanimi interpretazioni fornite da tutti coloro che si sono pronunciati sull'applicazione del principio «prioritario» della legge delega relativo alle grandi -aree metropolitane - e soprattutto confortato da quanto affermato nella stessa relazione governativa di accompagnamento - e in assenza anche soltanto di un pronunciamento di segno contrario (in ipotesi favorevole alla scelta soppressiva), ritiene che la prevista soppressione del Tribunale di Pinerolo e della Procura della Repubblica di Pinerolo (con accorpamento al Tribunale e alla Procura della Repubblica di Torino) si ponga in chiaro contrasto con le lett. B) e D) dell'art. 1 comma 2 legge-delega n. 148/2011. Al fine di perseguire il decongestionamento del Tribunale metropolitano di Torino, il Governo era obbligato - per effetto del vincolo ineludibile di legge-delega - al mantenimento del Tribunale di Pinerolo e ad aumentarne il bacino di utenza, mentre poteva esercitare la sua discrezionalita' soltanto in ordine al tipo di incremento (di competenza, territori e popolazione) e in particolare all'eventuale accorpamento di territori gia' facenti parte delle sezioni distaccate del Tribunale di Torino: come afferma la relazione ministeriale, la legge delega prevede un criterio rigido e vincolante che «impedisce» l'accorpamento al tribunale metropolitano - nella specie Torino - del tribunale submetropolitano della stessa provincia (Pinerolo); ed un criterio soltanto elastico e discrezionale («ove possibile e ragionevole») di accorpamento al tribunale submetropolitano delle sezioni distaccate ora «in carico» al tribunale metropolitano. In ogni caso, posto che il quantum di incremento puo' formare oggetto soltanto di scelta discrezionale del legislatore (delegato), questo giudice deve limitarsi a censurare (chiedendo una pronuncia di accoglimento parziale) la sola scelta ablativa degli uffici giudiziari di Pinerolo, di per se' incontrovertibilmente in contrasto con la legge-delega. La previsione legislativa di soppressione degli uffici giudiziari di Pinerolo, avvenuta in contrasto con le citate disposizioni della legge-delega, viola dunque l'art. 76 della Costituzione circa l'obbligo di rispetto dei principi direttivi posti nell'esercizio della funzione legislativa delegante (c.d. Incostituzionalita' per eccesso o violazione di legge- delega «norma interposta»). Le impugnate disposizioni del decreto legislativo n. 155/2012 si pongono altresi' in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, essendo stata operata una illegittima e irragionevole disparita' di trattamento fra situazioni identiche, che si traduce tra l'altro nella violazione di altro criterio della legge-delega (e, per effetto, dell'art. 76 della Costituzione), e in particolare dell'art. 1 comma 2 lett. B) legge n. 148/2011 laddove e' imposto che l'assetto territoriale degli uffici giudiziari venga ridefinito secondo «criteri oggettivi ed omogenei», fra cui «numero di abitanti, carichi di lavoro, indice delle sopravvenienze»: criteri ritenuti, a buon diritto, preminenti nella relazione del gruppo di studio ministeriale (v. pag. 23) per le loro caratteristiche di «pubblicita', incontrovertibilita' e pre-elaborazione» (e nei quali e' lapalissiana la preoccupazione del delegante che il delegato si attenga, prima di tutto, al rispetto del supremo principio costituzionale di eguaglianza). Pinerolo e' infatti l'unico ufficio giudiziario sub-provinciale di area metropolitana (Torino) soppresso in Italia, laddove il decreto legislativo n. 155/2012, facendo giusta applicazione dei criteri e dei principi direttivi della legge delega (cosi' come esplicitati e concretizzati nella stessa relazione ministeriale) ha mantenuto e/o addirittura ampliato (mediante accorpamento delle sezioni distaccate) tutti i restanti Tribunali subprovinciali contigui alle altre grandi aree metropolitane (Roma, Milano, Napoli, Palermo). Per di piu', la situazione di totale irragionevolezza del «servizio giustizia» nella provincia di Torino - conseguenza dell'illegittima scelta dell'esecutivo - appare immediatamente apprezzabile da una facile lettura dei numeri. In primo luogo si deve rilevare come la provincia di Torino abbia un bacino di utenza pari a circa la meta' della popolazione della Regione Piemonte: 2.209.593 abitanti su una complessiva utenza su base regionale di 4.494.375 (i dati menzionati - cosi' come gli altri di seguito indicati relativi alla popolazione - sono tratti dalla scheda analitica del distretto di Torino allegata alla relazione accompagnatoria dello schema di decreto legislativo oggi censurato: doc. 2 allegazioni parte civile). Ed invero, l'attuale «fotografia» (pre-riforma) degli uffici giudiziari della provincia di Torino in considerazione del bacino di utenza e' la seguente: Tribunale di Torino Sede centrale - 1.103.660 Sez. distaccata di Chivasso - 175.965 Sez. distaccata di Cirie' - 169.911 Sez. distaccata di Moncalieri - 236.173 Sez. distaccata di Susa - 118,064 Popolazione totale - 1.803.773 Tribunale di Pinerolo Popolazione totale - 216.415 Tribunale di Ivrea Popolazione totale - 189.405 Sulla base della tabella A allegata al decreto delegato, la nuova «fotografia» degli uffici giudiziari provinciali sarebbe invece: Tribunale di Torino sede unica centrale (con accorpamento Pinerolo e sezioni distaccate di Moncalieri e Susa) Popolazione totale - 1.692.631 Tribunale di Ivrea (con accorpamento sezioni distaccate di Chivasso e Cirie') Popolazione totale - 516.962 La proposta del Governo, dunque, contempla non soltanto, in linea con la scelta «omogenea» operata sul territorio nazionale, la soppressione delle quattro sedi distaccate del Tribunale di Torino, ma sopprime il secondo Tribunale provinciale per numero di abitanti (attualmente il quarto nel distretto per popolazione dopo Torino, Alessandria e Novara) prevedendo che meta' della numerosa popolazione residente nella Regione Piemonte sia ripartita su due soli uffici giudiziari, tra cui uno di dimensioni eccezionali (Torino) che, nella sede centrale, vedrebbe confluire un incremento di contenzioso relativo ad un bacino di utenza aggiuntivo di circa 590.000 abitanti, e comunque (pur dovendosi tenere conto delle materie gia' oggi trattate in sede centrale con riferimento alle competenze delle due sezioni distaccate oggi accorpate) un significativo aumento di lavoro rispetto alla situazione esistente. Trovandosi il Tribunale di Pinerolo nella stessa provincia del Tribunale metropolitano di Torino (con il quale intercorre una rilevantissima differenza di dimensioni), una corretta attuazione della delega avrebbe imposto invece il potenziamento del Tribunale sub-metropolitano di Pinerolo mediante riequilibrio della competenza territoriale (e, soprattutto, della popolazione servita) rispetto al Tribunale di Torino (operazione possibile anche mediante semplice accorpamento - parziale o totale - di comuni di sezioni distaccate del Tribunale «limitrofo» di Torino, come previsto dall'art. 1, comma 2, lett. d), della legge-delega). Fermo restando il divieto legislativo di soppressione del Tribunale di Pinerolo, nell'ipotesi piu' radicale consentita dalla legge-delega e oggetto del parere del Consiglio Giudiziario 17 luglio 2012 (accorpamento al Tribunale di Pinerolo delle sezioni distaccate di Susa e Moncalieri facenti parti del Tribunale di Torino), si sarebbero verificati i seguenti «risultati»: Tribunale di Torino Popolazione totale - 1.121.979 Tribunale di Pinerolo (con ex sezioni distaccate Moncalieri e Susa) Popolazione totale - 570.652 Tribunale di Ivrea (con ex sezioni distaccate Chivasso e Cirie') Popolazione totale - 516.962 Col mero mantenimento di Pinerolo (come detto quarto ufficio giudiziario dell'intero distretto), il Tribunale di Torino sezione unica centrale sarebbe passato «soltanto» alle - pur sempre mastodontiche dimensioni - di 1.476.226 abitanti. In sintesi, con l'irrazionale e discriminatoria scelta soppressiva di Pinerolo (si ribadisce l'unica di ufficio submetropolitano in Italia) si e' clamorosamente frustrato l'obiettivo di razionalizzare il servizio giustizia nella provincia e nell'area metropolitana di Torino. Non solo. Tutti gli studi del CSM hanno sempre individuato come dimensione ottimale di pianta organica per un Tribunale, in quanto idonea a garantire maggiori livelli di «produttivita'» e di adeguata specializzazione, proprio quella di circa 500.000 abitanti e 21-30 giudici (quale potrebbe appunto essere, al pari di Ivrea, la dimensione degli uffici giudiziari di Pinerolo); la stessa Commissione Ministeriale (relazione Gruppo di Lavoro 12 marzo 2012 pagg. 18 e 26), citando appunto gli studi del CSM, individua nei Tribunali attuali con organico fra 21 e 30 magistrati giudici quelli con maggiore produttivita', evidenziando per contro un crollo di produttivita' per i tribunali con organici superiori a 80 unita'. Detta impostazione e' stata da ultimo ribadita nella relazione ministeriale allo schema di decreto legislativo (pag. 3) ove il crollo di produttivita' susseguente allo sforare delle 100 unita' viene definito «vertiginoso crollo». Sulla base di tali premesse (si ribadisce frutto di studi del CSM e del Governo), risulta difficile negare una possibile violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) del cittadino che sarebbe costretto a rivolgersi ad un Tribunale ove l'efficienza e' vertiginosamente compromessa dalla conclamata improduttivita' dei tribunali con megaorganici, non essendosi proceduto alla riorganizzazione territoriale degli uffici giudiziari con l'osservanza dei principi e criteri direttivi indicati dalla legge delega, che pone come precipuo fine la realizzazione dell'efficienza giudiziaria. Ad es. e' un fatto notorio che da anni gli uffici giudiziari di Torino (anche perche' gravati di competenze esclusive «centralizzate»: si pensi a quelle in tema di «tribunale del riesame», di processi con numerosi imputati per criminalita' organizzata, di marchi e brevetti, ora anche di tribunale delle imprese, ecc.) non riescono a trattare - a differenza di quanto avviene oggi a Pinerolo - tutti i processi penali (sono state codificate direttive di trattazione prioritaria per tipologia di reato: ad es. «Circolare del dott. Marcello Maddalena») e che una percentuale rilevante si conclude con declaratorie di prescrizione (addirittura gia' in fase delle indagini, proprio perche' tali procedimenti non vengono «mandati avanti»). Da qualche giorno e' stata licenziata la proposta governativa relativa alle nuove piante organiche del Ministro di Giustizia (v. all. n. 14), sottoposta al CSM per l'obbligatorio parere, che, incurante della previsione circa la ridefinizione dei nuovi organici con l'accorpamento degli organici dei tribunali soppressi agli accorpanti, introducendo parametri del tutto nuovi e non previsti dal legislatore, prevede per il Tribunale di Torino post riforma 152 magistrati, ovvero un numero circa doppio rispetto alla soglia (80) indicata critica per il citato crollo della produttivita'. Si badi, poi, che in organico presso il Tribunale di Torino gia' ante riforma, considerato che i magistrati presso le sezioni distaccate (Susa, Chivasso, Cirie', Moncalieri) erano in numero di 9, si avevano 153 magistrati (dei 162 previsti per il Tribunale nel suo complesso); pertanto, e' di tutta evidenza che con le nuove disposizioni non si raggiunga nemmeno il prefissato risultato di razionalizzazione ed aumento dell'efficienza, posto che in alcun modo e' posto rimedio alla disfunzionalita' che reca con se' la previsione di un mega organico, che inevitabilmente reca con se' sacche di scarsa produttivita'. Occorre poi aggiungere che la proposta di piante organiche e' tale che - all'esito dei rilievi dei Consigli Giudiziari e del CSM - potra' essere variata in aumento (non certo sottraendo ulteriori risorse al Tribunale di Torino), posto che i Dirigenti degli Uffici distrettuali di Torino hanno gia' levato (giustamente) il loro forte grido di protesta per la sottrazione di risorse nel distretto di Torino (25 magistrati giudicanti) che si riverbera anche sul Tribunale di Torino: sottrazione di giudici non giustificata dal carico di lavoro e dal bacino d'utenza, aumentato per l'accorpamento del Tribunale di Pinerolo ed il mantenimento della competenza in capo alle sezioni distaccate di Moncalieri e Susa. Sempre con riferimento ai criteri di legge-delega (in questo caso «estensione del territorio»), va evidenziato che il territorio ricompreso nel circondario del Tribunale di Pinerolo e' di 152.045 hmq e spazia da Sestriere (altitudine n. 2035) ad Orbassano (altitudine m. 245); tutti i cittadini dei 58 comuni ivi compresi raggiungono con (piu' o meno relativa) facilita' Pinerolo, mentre molti comuni montani distano circa 100 km da Torino; diverse estese vallate alpine hanno sbocco nella pianura dei pinerolese in particolare (Valle Chisone, Val Germanasca e Val Pellice i cui territori giungono sino al confine con la Francia). Alla situazione del Tribunale di Pinerolo si attaglia dunque in pieno la raccomandazione contenuta nella relazione del CSM al Parlamento sullo stato della Giustizia del 15 luglio 1996 (richiamata nella delibera del 13 gennaio 2010 sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie e nel cui solco si muove sia la relazione del Gruppo di studio sia lo stesso testo della legge n. 148/2011), affinche' nei territori montani caratterizzati da particolari difficolta' di accesso - come «ad esempio nei Tribunali siti nell'arco alpino» - l'ufficio giudiziario sia «conservato comunque...dotandolo di adeguate strutture». Dal momento che una giustizia inefficiente ed al cui accesso siano frapposti ostacoli rischia di risolversi in denegata giustizia, sussiste parimenti un consistente fumus di violazione, da parte delle norme oggi censurate, dell'art. 24 Cost., baluardo del fondamentale diritto alla difesa in giudizio. Si deve poi rammentare come, ai sensi dell'art. 97 2° comma Cost. i pubblici uffici debbano essere organizzati in modo che sia assicurato il buon andamento dell'amministrazione ed in tal senso si pone lo stesso art. 1 comma 2° della legge delega, laddove, come si e' visto, pone tra gli obiettivi primari la realizzazione di risparmi di spesa ed efficienza. E' di tutta evidenza il fallimento dell'obiettivo nel caso di specie, laddove viene soppresso un Tribunale che sta in questi giorni terminando i lavori di ampliamento degli uffici giudiziari, finanziati dallo stesso Ministero di Giustizia che oggi lo vuole sopprimere per euro 774.685,35 (cui vanno aggiunti circa 70.000,00 spesi dal Comune di Pinerolo) e che consentirebbero di ospitare almeno 50 nuove unita' di personale e magistrati, con possibilita' di sfruttamento di ulteriori locali nella medesima sede. La frustrazione dei piu' elementari principi di buon andamento della pubblica amministrazione appare lampante sol che si vogliano sommare i costi del trasferimento a quelli necessari ad adeguare (ampliandolo) l'ufficio accorpante onde consentire l'accoglimento del personale e dei fascicoli dell'accorpato, le cui nuove strutture rimarranno inutilizzate. Emerge, da ultimo, una clamorosa e ulteriore irragionevole disparita' di trattamento (che si risolve nell'ennesima violazione dell'art. 3 Cost.) essendo stato violato - oltre che qualsivoglia criterio «omogeneo» - quel fondamentale corollario del principio costituzionale di eguaglianza che impone di trattare alla stessa stregua situazioni giuridiche identiche. In particolare, non si comprende assolutamente (sul piano del diritto) perche', nella provincia di Torino, sia stato soppresso il Tribunale di Pinerolo e mantenuto invece quello (con minor popolazione e minori sopravvenienze) di Ivrea. Per meglio apprezzare l'irrazionalita' della scelta si riportano alcuni dati comparativi «ufficiali» (estratti dagli allegati alle Relazioni del Presidente della Corte di appello per gli ultimi due anni giudiziari). A) Tribunale di Pinerolo Popolazione residente - 203.804 abitanti (fonte Cosmag censimento 2001) e 216.415 (censimento 2011) Magistrati Trib. 10 Magistrati Procura 4 Giudici/abitanti 1/20.380 Cause civili (sopravv.) 6.076 (2009-10) 5.879 (2010-11) Cause penali noti (sopravv.) 2.689 (2009-10) 2.529 (2010-11) Totale procedimenti 8.765 - 8.408 B) Tribunale di Ivrea Popolazione residente 184.084 abitanti (fonte Cosmag censimento 2001 e 189.405/censimento 2011) Magistrati Trib. 11 Magistrati Procura 4 Giudici/abitanti 1/16.735 Cause civili (sopravv.) 5.655 (2009-10) 5493 (2010-11) Cause penali (sopravv.) 2.907 (2009-10) 2.748 (2010-11) Totale procedimenti 8.562 - 8.241 Da tali dati ufficiali emerge che Pinerolo ha, infatti, un maggiore bacino di utenza per popolazione (oltre 27.000 abitanti) e maggiori indici di sopravvenienze ed un'edilizia giudiziaria maggiormente confacente all'ampliamento. A tal proposito si segnala come gli uffici giudiziari di Ivrea (gia' sottodimensionati rispetto alle attuali esigenze) siano del tutto inidonei ad essere ampliati (se non a prezzo di ingentissimi costi) per ospitare le sezioni distaccate accorpate di Cirie' e Chivasso, che, in spregio a quanto disposto dalla legge delega sub art. 1 comma 2° lettera d), dovrebbero rimanere in vita quali sezioni «dislocate» del Tribunale di Ivrea (v. dichiarazioni stampa Presidente dott. Garbellotto - doc. n. 5 parte civile). Dalla lettura di quanto sopra emerge inconfutabile l'irragionevolezza di un provvedimento che sopprime il primo Tribunale della provincia di Torino (dopo il capoluogo), con uffici dotati di strutture in grado di ospitare l'ampliamento suggerito dal legislatore e mantiene il secondo Tribunale provinciale, del tutto privo di idonea edilizia giudiziaria. Questa e' razionalita? Questo e' risparmio di spesa? Questa e' osservanza dei principi e criteri direttivi (nonche' delle finalita') della legge delega? L'art. 3 della Costituzione avrebbe dunque imposto a fortiori - unitamente al mantenimento del Tribunale di Ivrea - anche quello del piu' grande - piu' popoloso e con maggiori sopravvenienze - Tribunale di Pinerolo. In ogni caso, se la legge-delega fosse per assurdo interpretabile nel senso di consentire la sopprimibilita' di un tribunale submetropolitano (ma si e' detto che cio' e' da escludersi in assoluto), sfugge appunto, e si risolve nell'ennesima violazione del disposto di cui all'art. 3 Cost., il criterio sottostante la scelta di mantenere il Tribunale di Ivrea in luogo di quello di Pinerolo, posto che, in ragione dei criteri di cui alla legge n. 148/2011 prescelti dallo stesso gruppo di studio incaricato della scrittura del provvedimento (pag. 23, ove si da atto della scelta di valori «incontrovertibili, pubblici e pre-elaborati,» quali il numero degli abitanti, le sopravvenienze e i carichi di lavoro) sarebbe stato semmai il primo a dover esser falcidiato. La violazione della legge delega e degli artt. 76, 3 e 24 della Costituzione pone un dubbio di legittimita' costituzionale anche per il contrasto con il disposto di cui all'art. 25 1° comma Cost., in quanto l'applicazione del provvedimento che oggi si censura distoglie il cittadino del Giudice naturale precostituito per legge, che viene soppresso e sostituito in forza di provvedimento illegittimo. La violazione e' ancor piu' evidente alla luce dell'art. 9 del decreto legislativo n. 155/2012 (disposizione anche questa applicata dal Giudice scrivente nel rinviare il processo al 1° ottobre 2013 avanti al Tribunale di Torino), laddove prevede che le cause pendenti avanti ad un ufficio destinato alla soppressione alla data di entrata in vigore (rectius: efficacia) del provvedimento, siano devolute al Tribunale accorpante e, conseguentemente, i rinvii di udienza (quali quello di specie) a data successiva al 13 settembre 2013 siano effettuati - come e' stato fatto nel caso di specie - avanti al nuovo Giudice competente in quanto accorpante. La disposizione appare presa disattendendo la necessita', sancita dall'art. 25 1° comma Cost., di precostituzione del Giudice investito del processo, che comporta che il legislatore detti la disciplina della competenza prima del fatto da giudicare e non con come norma sopravveniente addirittura al processo gia' iniziato. E' noto al riguardo che la giurisprudenza costituzionale ha contribuito alla migliore interpretazione dell'art. 25 comma 1 della Costituzione con sentenze che hanno talvolta richiamato l'attenzione sul «diritto alla certezza che a giudicare non sara' un Giudice creato a posteriori in relazione ad un fatto gia' verificatosi» (sentenza n. 88 del 1962), e in qualche altro caso hanno manifestato una particolare sensibilita' nei confronti degli interventi legislativi che incidono sulla competenza (sentenza n. 452 del 1997) a condizione pero' che si riesca a contemperare «obiettivita' ed imparzialita' con continuita' e prontezza delle funzioni» (sentenza n. 272 del 1998). Qui non si vuole opporre resistenza ad una qualsiasi novella che articoli diversamente la competenza tra gli uffici giudiziari; si contesta, pero', un percorso che in piu' occasioni ha violato diverse disposizioni costituzionali (artt. 3, 24, 76, comma 1, 97) e che nei fatti e' irragionevole anche perche' incide negativamente sulla «continuita' e sulla prontezza delle funzioni» (Corte costituzionale n. 272 del 1998) degli uffici giudiziari senza produrre alcun beneficio per i cittadini ne' dal punto di vista dell'accesso alla giustizia ne' per quel che concerne la riduzione dei costi degli apparti giudiziari ne' in relazione al tema della durata ragionevole del processo. La costituzione di un nuovo giudice a mezzo di norme non rispettose del dettato costituzionale viola la riserva di legge di cui all'art. 25 1° comma Cost. che e' una disposizione costituzionale destinata «a garantire la certezza del cittadino di veder tutelati i propri diritti e interessi da un organo gia' preventivamente stabilito dall'ordinamento e indipendente da ogni influenza esterna» (Corte costituzionale, sentenza n. 272 del 1998). Conclusivamente va rilevato che tutte le censure mosse al decreto legislativo n. 155/2012 relative alla soppressione del Tribunale di Pinerolo sono automaticamente estensibili alla soppressione dell'Ufficio di Procura e al suo accorpamento alla Procura della Repubblica di Torino: basti rilevare che per nessun ufficio giudiziario e' stata operata la scelta del mantenimento di un tribunale senza il corrispondente ufficio di Procura. Il mancato rispetto di tale «simmetria» creerebbe altrimenti un'ulteriore ingiustificabile disparita' di trattamento, lesiva dell'art. 3 Cost.. B) Illegittimita' costituzionale del decreto-legge n. 138 del 2011 e la legge di conversione n. 148 del 2011 art. 1 comma 2°: violazione artt. 70, 76 e 77 2° comma Cost. Con legge 14 settembre 2011, n. 148, e' stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo ed e' stata conferita la «delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari». In particolare, l'art. 1 della citata legge ha previsto: 1) al primo comma, la conversione in legge del decreto-legge n. 138/2011; 2) al secondo comma, che «il Governo, anche ai fini del perseguimento delle finalita' di cui all'art. 9 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e' delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, con l'osservanza di taluni «principi e criteri direttivi», che sono dettagliatamente indicati nelle lettere da a) a q) del medesimo comma secondo. I commi successivi prevedono che: 3) la riforma realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti; 4) gli schemi dei decreti legislativi previsti dal comma 2 sono adottati su proposta del Ministro della Giustizia e successivamente trasmessi al Consiglio Superiore della Magistratura e al Parlamento ai fini dell'espressione dei pareri da parte del Consiglio e delle Commissioni competenti per materia. I pareri, non vincolanti, sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri stessi. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal comma 2, o successivamente, la scadenza di quest'ultimo e' prorogata di sessanta giorni; 5) il Governo, con la procedura indicata nel comma 4, entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega di cui al comma 2 e nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati, puo' adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi. Il comma 6 dispone, infine, che la legge di conversione entri in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Successivamente, in attuazione della delega, e nel termine fissato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 148 del 2011, sono stati emanati - come detto - il decreto legislativo 7 settembre 2012 , n. 155 (in Suppl. ordinario n. 185 alla Gazzetta Ufficiale, 12 settembre 2012, n. 213), recante la «Nuova organizzazione dei Tribunali ordinari e degli uffici del Pubblico Ministero, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», e il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (in Suppl. ordinario n. 185 alla Gazzetta Ufficiale, 12 settembre 2012, n. 213), recante la «revisione delle circoscrizioni giudiziarie - Uffici dei Giudici di Pace, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148» (provvedimento quest'ultimo che ovviamente non interessa il presente giudizio). Ritiene il giudicante che i principi costituzionali relativi all'esercizio della funzione legislativa parlamentare, alla eccezionale attribuzione della funzione legislativa al Governo e ai presupposti degli atti aventi forza di legge del Governo, evidenzino che il decreto-legge n. 138 del 2011 e l'art. 1 comma 2 della legge di conversione n. 148 del 2011 si pongano in verosimile contrasto con gli artt. 70, 76 e 77 2° comma Cost. Con la sentenza n. 29 del 1995 e' stata riconosciuta la possibilita' per la Corte costituzionale di giudicare sui vizi dei presupposti del decreto-legge, almeno nei casi di «evidente mancanza», anche dopo l'intervento della legge di conversione. Secondo tale orientamento, la legge di conversione non ha «efficacia sanante» e il difetto dei presupposti della straordinaria necessita' ed urgenza (vera e propria carenza di potere) concreta un vizio formale del procedimento normativo, trasmissibile dal decreto-legge alla legge di conversione. Il predetto orientamento e' stato confermato in numerose sentenze (v. Corte Cost. nn. 341 del 2003; 6, 178, 196, 285, 299 del 2004; 2, 62 e 272 del 2005): si e' andato dunque consolidando l'indirizzo favorevole alla possibilita' del sindacato della Corte costituzionale nei casi di «evidente mancanza» dei presupposti di necessita' ed urgenza del decreto-legge, anche dopo l'intervento della legge di conversione. Sul punto e' poi intervenuta la sentenza n. 171/2007 ove la Corte statuisce che «il difetto dei requisiti del "caso straordinario di necessita' e d'urgenza" che legittimano l'emanazione del decreto-legge, una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge. Il suddetto principio e' funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza la configurazione del sistema costituzionale nel suo complesso. Infatti, l'opposto orientamento, secondo cui la legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto, comporta l'attribuzione in concreto al legislatore ordinario del potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie. Inoltre, in considerazione del fatto che in una Repubblica parlamentare, quale quella italiana, il Governo deve godere della fiducia delle Camere e che il decreto-legge comporta una sua particolare assunzione di responsabilita', si deve concludere che le disposizioni della legge di conversione in quanto tali nel limiti, cioe', in cui non incidano in modo sostanziale sul contenuto normativo delle disposizioni del decreto - non possono essere valutate, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, autonomamente da quelle del decreto stesso. Infatti, l'immediata efficacia del decreto-legge condiziona l'attivita' del Parlamento, che si trova a compiere le proprie valutazioni e deliberare con riguardo ad una situazione modificata da norme poste da un organo cui di regola, quale titolare del potere esecutivo, non spetta emanare disposizioni aventi efficacia di legge». Orientamento confermato, sempre dal Giudice delle Leggi, con la pronuncia n. 128/2008 di conforme contenuto, ed esteso con la sentenza n. 355/2010 anche agli emendamenti «aggiunti» in sede di conversione dal Parlamento. La giurisprudenza costituzionale e' quindi assai rigorosa nell'accertare l'avvenuto rispetto dell'art. 77, comma 2, della Costituzione con particolare riguardo ai presupposti che nel nostro sistema costituzionale legittimano la decretazione d'urgenza del Governo. E' significativo che la legge n. 400 del 1988 all'art. 15, comma 1, richieda all'esecutivo di indicare nel preambolo le «circostanze straordinarie di necessita' ed urgenza che ne giustificano l'adozione». Orbene: la lettura della clausola che accompagna l'adozione del decreto-legge n. 138 del 2011 (che testualmente recita: «ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni per la stabilizzazione finanziaria e per il contenimento della spesa pubblica al fine di garantire la stabilita' del Paese con riferimento all'eccezionale situazione di crisi internazionale e di instabilita' dei mercati e per rispettare gli impegni assunti in sede di Unione Europea, nonche' di adottare misure dirette a favorire lo sviluppo e la competitivita' del Paese e il sostegno dell'occupazione») fa emergere ictu oculi che non si e' dato per nulla conto dell'esistenza dei presupposti di cui all'art. 77, comma 2 Cost. rispetto al tema della riforma della geografia giudiziaria, originariamente del tutto estraneo nella genesi del provvedimento di urgenza [e che e' stato introdotto solo successivamente all'approvazione parlamentare di un emendamento governativo proposto in sede di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011]. E' pertanto, evidente il mancato rispetto sostanziale della disciplina costituzionale della decretazione d'urgenza. Infatti non e' sufficiente un'indicazione generica di un qualsiasi presupposto, ma vi deve essere un nesso, un collegamento fra presupposti e disciplina del decreto-legge. Diversamente opinando il Governo potrebbe giustificare il ricorso al decreto-legge su presupposti generici e quindi non idonei a giustificare la legittimita' costituzionale della disciplina d'urgenza. E' di tutta evidenza che nel momento dell'adozione del decreto-legge n. 138 del 2011 il preambolo implicitamente rinvia alle competenze legislative statali indicate nell'art. 117 della Costituzione. Gli ambiti materiali in cui il decreto-legge opera sono il coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma 3), o quelli indicati alla lettere a) ed e) dell'art. 117, comma 2; non vi e' alcun cenno alla materia indicata alla lettera l) del suddetto comma («giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa»). In altre parole: la c.d. «geografia giudiziaria» non e' minimamente connessa con i presupposti di necessita' ed urgenza del decreto-legge n. 138 del 2011, salvo a voler ammettere che quei presupposti possano legittimare l'approvazione in sede di conversione di una qualsiasi disposizione solo perche' esiste una grave crisi finanziaria che affligge il nostro Paese. Con riferimento, infatti, ad altro decreto-legge, la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che «il principio salus rei pubblicae suprema lex oste non puo' essere invocato al fine di sospendere le garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali stabilite dalla Costituzione. Lo Stato, pertanto, deve affrontare l'emergenza finanziaria predisponendo rimedi che siano consentiti dall'ordinamento costituzionale» (Corte costituzionale sentenza n. 151 del 2012). In ogni caso la disciplina della «geografia giudiziaria» non riguarda una manovra che si prefigge la stabilizzazione finanziaria ed il contenimento della spesa pubblica, che paradossalmente non ottiene alcun risparmio dalla paventata soppressione di sedi giudiziarie e che, al contrario assume nuovi costi per traslochi, indennita' per trasferimento magistrati, nuova edilizia giudiziaria ed incrementa disagi e costi per i cittadini (non a caso il Ministro della Giustizia in piu' occasioni ha ribadito che falsamente si ascrive il tema della revisione delle circoscrizioni alla spending review, perche' in realta' si tratta soprattutto di guadagno d'efficienza, a cui si accompagnera' un risparmio). Ne consegue che l'omessa indicazione dei presupposti di necessita' ed urgenza determina un vizio in procedendo della legge di conversione e conferma l'assunto dell'illegittimita' delle disposizioni aggiunte in sede di conversione che sono estranee alla struttura originaria del decreto-legge ed approvate in dispregio di quanto disposto dagli articoli 70, 72 e 77 della Costituzione. Appare, cosi', palese, il vulnus inflitto alla norma procedimentale prevista dalla Costituzione che limita l'adozione del decreto-legge ai soli casi di straordinaria necessita' ed urgenza (si badi la delega concerne una riforma di sistema tanto da indurre il Governo a definirla «riforma strutturale» e a prevedere un tempo di un anno per l'emanazione del decreto legislativo - tempo che, ovviamente, e' stato completamente utilizzato dall'Esecutivo e che peraltro pare difficilmente compatibile con la natura di provvedimento emergenziale straordinario e urgente) e sancisce la perdita di efficacia dello stesso decreto in caso di mancata conversione parlamentare entro i 60 gg. successivi alla pubblicazione. Ma vi e' di piu'. La delega al riordino della geografia giudiziaria e' stata introdotta ex novo con un emendamento in sede di conversione dell'originario decreto-legge, e appare ictu oculi del tutto eterogenea rispetto al corpo del decreto-legge convertito, tale da potersi definire una «norma intrusa», ovvero che introduce una nuova disciplina (e, propriamente, una delega al Governo a legiferare con successivi decreti legislativi in materia di riorganizzazione della distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio), evidentemente estranea all'insieme delle altre disposizioni del decreto-legge che il primo comma dell'art. 1 legge n. 148/2011 provvede a convertire. Sul punto specifico si e' recentemente espressa la Corte costituzionale con la sentenza n. 22 del 16 febbraio 2012. Il giudice delle leggi ha testualmente affermato: «La semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per cio' solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalita'. Ai sensi del II comma dell'art. 77 Cost., i presupposti per l'esercizio senza delega della potesta' legislativa da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo. L'inserimento di norme eterogenee all'oggetto o alla finalita' del decreto, spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza del provvedere ed i «provvedimenti provvisori con forza di legge», di cui alla norma costituzionale citata. Il presupposto del «caso» straordinario di necessita' e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno. La scomposizione atomistica della condizione di validita' prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualita' temporale... I cosiddetti decreti «mille proroghe», che vengono convertiti in legge dalle Camere, sebbene attengano ad ambiti materiali diversi ed eterogenei, devono obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti - pur attinenti ad oggetti e materie diversi - che richiedono interventi regolatori di natura temporale. Del tutto estranea a tali interventi e' la disciplina «a regime» di materie o settori di materie, rispetto alle quali non puo' valere il medesimo presupposto della necessita' temporale e che possono quindi essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa, di cui all'art. 71 Cost. Ove le discipline estranee alla ratio unitaria del decreto presentassero, secondo il giudizio politico del Governo, profili autonomi di necessita' e urgenza, le stesse ben potrebbero essere contenute in atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati. Risulta invece in contrasto con l'art. 77 Cost. la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalita' eterogenei, in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei. La necessaria omogeneita' del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione all'apprezzamento politico operato dal Governo e controllato dal Parlamento, del singolo caso straordinario di necessita' e urgenza, deve essere osservata dalla legge di conversione di un decreto-legge e' pienamente recepito dall'art. 96-bis, comma 7 del regolamento della Camera dei Deputati, che dispone: «Il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge». Pertanto, e' costituzionalmente illegittimo l'art. 2 comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito in legge, con modifiche, dall'art. 1 comma 1 della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), in quanto le norme impugnate, inserite nel corso del procedimento di conversione del decreto-legge n. 225/2010, sono del tutto estranee alla materia e alle finalita' del medesimo». In definitiva i giudici costituzionali escludono che il Parlamento possa utilizzare un procedimento legislativo di conversione in legge di un decreto-legge per inserire contenuti normativi non aventi gli stessi presupposti di necessita' ed urgenza dell'originario provvedimento. Dell'illegittimita' del procedimento de quo si sono resi conto anche i tecnici della stessa Assemblea legislativa al punto che, nel dossier della Camera dei Deputati n. 317 dell'8 settembre 2012 (Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimita' costituzionale), e' stato precisato come il Comitato per la legislazione abbia costantemente ritenuto che «l'inserimento in un disegno di legge di conversione di disposizioni di carattere sostanziale, soprattutto se recanti disposizioni di delega, non appare corrispondente ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato da tale tipologia di legge»; e, nel Parere reso dallo stesso Comitato per la legislazione nella seduta dell'8 settembre 2011, proprio con riferimento al testo della legge n. 148/2011, era stata avanzata la condizione che «siano soppresse le disposizioni di cui ai commi da 2 a 5 - volte a conferire una delega al Governo in materia di riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari - in quanto non appare corrispondente ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato dal disegno di legge di conversione di un decreto-legge, l'inserimento al suo interno di una disposizione di carattere sostanziale, in particolare se recante disposizioni di delega, integrandosi in tal caso, come precisato in premessa, una violazione del limite di contenuto posto dal gia' citato art. 15, comma 2, lett. a) della legge n. 400 del 1988». In conclusione, nella fattispecie appare evidente come sia stato compiuto un vero e proprio «stravolgimento» dei procedimenti di produzione di atti aventi forza di legge, indicati nella Costituzione, che qui sono «invertiti» e «piegati» per giustificare esigenze certamente diverse da quelle di straordinaria necessita' ed urgenza che invece sono le sole che legittimano il ricorso al decreto-legge. Appare cosi' palese la violazione, da parte del decreto-legge n. 138/2011 e della legge di conversione n. 148/2011, degli artt. 70, 76 e 77 Cost. attraverso l'utilizzo di un procedimento parlamentare particolare (la conversione in legge del decreto-legge) per raggiungere finalita' prive di qualsiasi riferimento all'urgenza del provvedere che avrebbe dovuto realizzarsi attraverso il procedimento legislativo ordinario ponderato, visto anche il carattere di riforma di sistema che connota il provvedimento de quo, inerente la riorganizzazione degli uffici giudiziari del Paese. Tra l'altro, l'illegittimita' della procedura adottata nel caso di specie e' stata piu' volte censurata dai Presidenti della Repubblica. Ultima in ordine cronologico la lettera inviata nel febbraio 2011 dal Presidente Napolitano ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio, nella quale il «Garante della Costituzione» ha assunto una posizione netta circa l'approvazione di leggi di conversione che riscrivono i decreti-legge: «molte di queste disposizioni aggiunte in sede di conversione sono estranee all'oggetto quando non alla stessa materia del decreto, eterogenee e di assai dubbia coerenza con i principi e le norme della Costituzione. E' appena il caso di ricordare che questo modo di procedere, come ho avuto modo in diverse occasioni di far presente fin dall'inizio del settennato ai Presidenti delle Camere e ai Governi che si sono succeduti a partire dal 2006, si pone in contrasto con i principi sanciti dall'art. 77 della Costituzione e dall'art. 15, comma 3 della legge di attuazione costituzionale n. 400 del 1988 recepiti dalle stesse norme dei regolamenti parlamentari. L'inserimento nei decreti di disposizioni non strettamente attinenti ai loro contenuti, eterogenee e spesso prive dei requisiti di straordinarieta' necessita' e urgenza, elude il vaglio preventivo spettante al Presidente della Repubblica in sede di emanazione dei decreti-legge. Inoltre l'eterogeneita' e l'ampiezza delle materie non consentono a tutte le commissioni competenti di svolgere l'esame referente richiesto dal primo comma dell'art. 72 della costituzione e costringono la discussione da parte di entrambe le camere nel termine tassativo di 60 giorni. Si aggiunga che il frequente ricorso alla posizione della questione di fiducia realizza una ulteriore pesante compressione del ruolo del Parlamento». C) Illegittimita' costituzionale della legge di conversione n. 148 del 2011, art. 1 comma 2 e ss.: per violazione art. 70 e 72 commi 1° e 4° Cost.. Com'e' noto, l'art. 72 4° comma Cost. impone per i disegni di legge di delegazione legislativa il ricorso alla «procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera», che, ai sensi del 1° comma della norma consiste nel previo esame in commissione (sede referente) e successivo passaggio in Aula, dove il disegno viene approvato «articolo per articolo e con votazione finale». Sul punto appare di pregnante rilievo la Circolare del Presidente del Senato in data 10 gennaio 1997, ove, in tema di istruttoria legislativa nelle commissioni, ha affermato: «l'art. 72 della Costituzione prevede che ogni disegno di legge sia esaminato da una Commissione prima di esser sottoposto al vaglio dell'Assemblea. La procedura in sede referente insieme con l'attivita' consultiva ad essa collegata costituisce percio' la fase istruttoria obbligatoria del procedimento legislativo. I principi che regolano tale fase sono differenziati da quelli propri delle procedure deliberanti, le quali sono dirette alla definitiva approvazione del testo legislativo. La fase istruttoria e', invece, finalizzata alla acquisizione degli elementi utili alla decisione e alla conseguente elaborazione del testo per consentire la deliberazione dell'Assemblea. In vista dell'adempimento di tale compito, l'esame in sede referente e' caratterizzato dalla flessibilita' e dalla informalita' della procedura in contrapposizione con la rigidita' propria delle fasi deliberanti». Sul punto autorevole dottrina ha insegnato che «rimane fermo, comunque, che sarebbe violata una norma costituzionale sul procedimento legislativo se venisse omessa l'attivita' preparatoria sul procedimento legislativo» (cosi' L. Elia, Commissioni parlamentari, in Enc. Dir. 1960, Milano Giuffre', pag. 899). La delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari e' stata approvata in prima lettura al Senato della Repubblica il 7 settembre 2011, durante l'iter del procedimento di conversione in legge del decreto-legge n. 138/2011; il procedimento legislativo si e' poi concluso con la successiva deliberazione della Camera dei Deputati ed entrambi i passaggi parlamentari sono stati caratterizzati dal fatto che il Governo ha posto la questione di fiducia. In particolare, al Senato, il Governo ha presentato l'emendamento 1900 interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge n. 2887 ponendovi la questione di fiducia; nel detto emendamento e' stato stravolto il testo del decreto-legge originario, e' stato modificato il titolo dell'originario disegno di legge ed e' stata introdotta la delega al Governo in tema di geografia giudiziaria. Orbene, una semplice lettura del resoconto stenografico della seduta d'aula del Senato del 7 settembre 2011 consente di censurare come non conforme al disposto dell'art. 72 1° e 4° comma Cost. l'iter legislativo seguito dalla Camera de qua. In particolare dal resoconto della seduta della commissione Bilancio del 7 settembre 2011, emerge inconfutabilmente come l'emendamento in questione sia stato presentato in Aula per la discussione senza previo passaggio nella competente Commissione in sede referente (Giustizia), ivi sia stato votato unitamente alla fiducia e sia stato successivamente trasmesso alla sola commissione Bilancio per il parere circa i profili di copertura finanziaria. Si legge infatti nel predetto resoconto come il Presidente della Commissione abbia informato che «durante la discussione in Assemblea del disegno di legge n. 2887, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, il Governo ha presentato l'emendamento n. 1900 sul quale ha posto la questione di fiducia. L'emendamento stesso e' stato trasmesso dal Presidente del Senato affinche', in relazione all'art. 81 della Costituzione e nel rispetto delle prerogative costituzionali del Governo la commissione bilancio possa informare l'assemblea circa i profili di copertura finanziaria». Il procedimento cosi' delineato viola le previsioni dell'art. 72 1° comma Cost. In tema di legge ordinaria e si risolve altresi' in una violazione dell'art. 72 4° comma Cost., che impone, come si detto, l'iter ordinario per i disegni di legge contenenti deleghe legislative al Governo. Una diversa conclusione finirebbe svuotare di contenuto lo stesso art. 72 4° comma Cost. consentendo di aggirare ad libitum la riserva di legge formale e di fatto consentendo un'indebita sovrapposizione tra delegante e delegato (in dottrina v. A. Manzella, Il Parlamento, Bologna, il Mulino, 2003, 353, G. Piccirilli, L'emendamento nel processo di decisione parlamentare, Padova, Cedam 2008, 292). Sul punto si era espresso anche l'allora Presidente della Repubblica Ciampi, in occasione del suo messaggio di rinvio alle Camere della legge delega sulla riforma dell'ordinamento giudiziario (16 dicembre 2004), ove ritenne opportuno «richiamare l'attenzione del Parlamento su un modo di legiferare - invalso da tempo - che non appare coerente con la ratio delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo e, segnatamente, con l'art. 72 della Costituzione, secondo cui ogni legge deve essere approvata articolo per articolo e con una votazione finale». D) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 co. 2 della legge di conversione e di delega n. 148 del 2011: violazione artt. 3 e 24 Cost. Il decreto-legge n. 138/2011 (come modificato dalla L. 148/2011) pone un procedimento di revisione integrale della spesa pubblica che concerne anche la «razionalizzazione dell'organizzazione giudiziaria civile, penale, amministrativa, militare e tributaria a rete», e la previsione dell'ampia delega sulla geografia giudiziaria prescinde completamente da quel procedimento previsto e disciplinato dalla stessa L. 148/2011 (e da questa introdotto nel decreto-legge n. 138/2011). In realta' lo scopo del previsto risparmio della spesa pubblica con la riduzione della geografia giudiziaria appare irrazionalmente perseguito con la previsione di risparmi ondivaghi che non tengono conto dei costi diretti e indiretti (recentemente riconosciuti dallo stesso Ministero) ben maggiori derivanti dall'operazione posta in essere con la chiusura d'ogni singolo ufficio giudiziario (spese per traslochi, indennita' magistrati, reperimento nuove sedi, ...). Un'altra distorsione insita nella disposizione normativa, riguarda il dato prettamente sostanziale di uno dei fondamentali criteri sottesi alla manovra, tale da porsi in verosimile contrasto sia con i profili di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. sia con i principi tesi ad assicurare l'effettivita' dell'esercizio del diritto difensivo ex art. 24 Cost.. Difatti, il legislatore (rectius: il Governo) ha scelto di concentrare il riordino degli uffici giudiziari sulle citta' capoluogo di provincia (art. 1 lettera a), dimenticando tuttavia che tali centri non assicurano la necessaria «centralita'» rispetto al territorio di riferimento, accentuando il rischio (anzi, la certezza) che grandi territori possano venire a trovarsi completamente sprovvisti di uffici giudiziari. Una concentrazione nel solo capoluogo di provincia porta inevitabilmente alla produzione di fenomeni di grave disagio per i cittadini, con conseguente «denegata giustizia», considerato che, secondo la giurisprudenza costituzionale, l'oggettiva difficolta' di esercizio di un diritto equivale a negazione del medesimo. Sempre sul criterio di cui all'art. 1 comma 2° lettera a) sia consentito, ancora, censurare l'ondivago e irrazionale comportamento del legislatore, laddove impone di mantenere in vita i Tribunali di capoluoghi di province che con lo stesso decreto si vanno a sopprimere (definitivamente sancita con il decreto-legge n. 188 del 5 novembre 2012) e non a caso menzionati nella disposizione teste' censurata con espresso riferimento alla data del 30 giugno 2011. Altrettante censurabili conseguenze sono derivate dal criterio indicato nell'art. 1 lett. f) legge-delega, secondo cui la manovra deve «garantire che, all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di Corte d'Appello, incluse le sue sezioni distaccate, comprenda non meno di tre degli attuali Tribunali con relative Procure della Repubblica». La presenza di almeno tre Tribunali a prescindere dall'estensione del Distretto, della Regione e dalla relativa popolazione nonche' dei carichi di lavoro e delle sopravvenienze, pone una palese e potenziale disparita' di trattamento, laddove una qualsiasi Regione avente nel relativo distretto di Corte d'Appello tre Tribunali mantiene tale numero di Uffici a prescindere dalla sua estensione, popolazione, cause pendenti e dove il medesimo numero potrebbe coincidere anche per Regioni piu' estese e con maggiore popolazione, ledendo i principi di uguaglianza e proporzionalita' che avrebbero dovuto sottendere l'esplicazione dei criteri direttivi. Gli effetti nefasti ed irrazionali dell'applicazione della norma non possono esser taciuti. Si pensi a casi estremi, come il Piemonte, che sconta il fatto di avere una sola Corte di Appello in uno con la Valle d'Aosta, a fronte di una popolazione complessiva di 4.585.856 abitanti (dati censimento Istat 2011) e si ritrova, conseguentemente a spartire la Provincia di Torino (popolazione circa 2.210.000) in soli due Tribunali (di cui Torino, tribunale metropolitano con circa 1.700.000 utenti). A contrariis si pensi alla Sicilia, che con quattro Corti di Appello mantiene ben 16 tribunali o al Molise che (sempre grazie alla cd. «regola del tre») spartisce in tre tribunali un territorio di soli 319.780 abitanti. Da ultimo si evidenzia come il criterio di cui alla lettera f), le cui incongruenze sono immediatamente percepibili alla sola lettura dei Tribunali rimasti in vita comprendenti realta' di poche migliaia di abitanti a fronte di soppressioni clamorose quali quella degli Uffici Giudiziari di Pinerolo e lo stesso criterio di cui alla lettera a) - che consente il «salvataggio» in maniera aprioristica i Tribunali sede di capoluogo di provincia indipendentemente dalle loro dimensioni come sopra considerate - si ponga in contrasto con altri ben piu' razionali principi contenuti nella legge stessa che impongono di «ridefinire... l'assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificita' territoriale del bacino di utenza anche con riguardo alla situazione infrastrutturale e del tasso di criminalita' organizzata ecc...». L'incongruenza tra le disposizioni della delega rende (ed ha di fatto reso) impossibile per il delegato il perseguimento dello scopo principale, ovvero una giusta riorganizzazione sul territorio degli uffici giudiziari «al fine di realizzare risparmi di spesa e incrementi di efficienza». In ultima analisi la legge medesima, nel dettare criteri tra loro incompatibili, evidenzia la sua intrinseca irragionevolezza e il conseguente vulnus del diritto di difesa del cittadino. E) Illegittimita' costituzionale dell'art. co. 2 della legge di conversione e di delega L. n. 148 del 2011 e del decreto legislativo n. 155/2012: violazione ed elusione dell'art. 81 Cost.. L'art. 81 della Costituzione, prima della riforma intervenuta con legge costituzionale 20 aprile 2012 n. 1, stabiliva che «ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte» (4° comma). L'art. 81 della Costituzione nuova stesura prescrive: «ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte». La normativa costituzionale si preoccupava e si preoccupa che il Parlamento, quando approvi una legge, consideri ed indichi i mezzi per dare ad essa attuazione, per il necessario equilibrio di bilancio, oggi richiesto in modo piu' rigoroso a seguito delle prescrizioni dell'Unione europea, tradotte nella legge costituzionale 20 aprile 2012 n. 1 che ha sostituito, con l'art. 1, il precedente testo dell'art. 81. E' in possibile violazione o, comunque, elusione delle disposizioni costituzionali una legge la quale affermi che non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, pur essendo tali spese necessarie per l'attuazione della legge e, quindi, non provvedendo sui mezzi per farvi fronte. L'art. 1, comma 2, lett. q), della L. 14 settembre 2011, n. 148 prevede: «dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». L'art. 10 del decreto legislativo n. 155/2012, («Clausola di invarianza»), recita: «Dal presente provvedimento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. All'attuazione si provvede nell'ambito delle risorse umane strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente». Quest'ultima previsione gia' in se' appare contrastare e non osservare le prescrizioni della delega. In ogni caso sussiste un apprezzabile fumus di violazione o, comunque, di elusione dell'art. 81 della Costituzione da parte della L. n. 148/2011 e del decreto legislativo n. 155/2012, sia per il precedente 4° comma che per l'attuale 3° comma, ovvero con riguardo alla primigenia che attuale formulazione. E cio' perche': a) il solo spostamento dei fascicoli dai Tribunali soppressi (nel caso di specie da Pinerolo a Torino) ai Tribunali accorpanti richiede l'utilizzo, quanto meno, di mezzi di trasporto e di personale, che non sono in dotazione agli uffici giudiziari, con conseguente esternalizzazione ed appalto del servizio; b) bisogna trasferire mobili, computer, suppellettili, altri oggetti d'ufficio necessari per le cancellerie e per i magistrati ed anche qui il trasporto dei beni non potra' avvenire con il personale presente negli uffici giudiziari ed i mezzi in loro dotazione, ma corrispondendo l'importo per lo svolgimento di questo servizio; l'alternativa e' procedere a nuovi acquisti che, evidentemente, richiedono nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica; c) sono indispensabili interventi edilizi sulle strutture che devono ricevere il personale degli uffici giudiziari soppressi ovvero l'individuazione di altre strutture edilizie; d) sara' necessario operare interventi per mettere in rete tutti i computer e procedere alla messa in rete di tutti i dati, potenziando il sistema informatico; e) occorrera' che le finanze pubbliche sopportino (in aggiunta a quanto spese sino ad ora) le indennita' di trasferimento dovute ex lege ai magistrati che entrano a far parte dell'organico degli Uffici Giudiziari accorpanti, qualora ricorrano le condizioni di legge; l'art. 5 del decreto legislativo n. 155/2012 prevede infatti: «I magistrati assegnati agli uffici giudiziari soppressi entrano di diritto a far parte dell'organico dei tribunali e delle procure della Repubblica cui sono trasferite le funzioni, anche in soprannumero riassorbibile con le successive vacanze. I magistrati che esercitano le funzioni, anche in via non esclusiva, presso le sezioni distaccate soppresse si intendono assegnati alla sede principale del tribunale. I magistrati gia' assegnati a posti di organico di giudice del lavoro, nei tribunali divisi in sezioni fanno parte della sezione incaricata della trattazione delle controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie. 2. L'assegnazione prevista dal comma 1 non costituisce assegnazione ad altro ufficio giudiziario o destinazione ad altra sede ai sensi dell'art. 2, terzo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, ne' costituisce trasferimento ad altri effetti e, in particolare, agli effetti previsti dall'art. 194 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e dall'art. 13 della legge 2 aprile 1979, n. 97, come sostituito dall'art. 6 della legge 19 febbraio 1981, n. 27. Sono tuttavia fatti salvi i diritti attribuiti dalla legge 18 dicembre 1973, n. 836, e dalla legge 26 luglio 1978, n. 417, alle condizioni ivi stabilite, nel caso di fissazione della residenza in una sede di servizio diversa da quella precedente determinata dall'applicazione delle disposizioni del presente decreto». La relazione tecnica che accompagna lo schema di decreto legislativo non puo' non menzionare del tutto tale aspetto, pertanto nel suo ultimo periodo si legge: «Per quanto riguarda le spese per indennita' di trasferimento si applicano le norme che a legislazione vigente regolano i trasferimenti a richiesta dell'Amministrazione e pertanto alle stesse si fa fronte nel limite degli ordinari stanziamenti di bilancio che recano adeguate disponibilita'». Locuzione che riconosce le spese aggiuntive per le indennita' (e solo per tale voce di spesa), i cui costi non vengono nemmeno preventivati, tanto che l'indicazione generica innanzi riportata non puo' certo ritenersi realmente indicante i mezzi per farvi fronte, secondo quanto previsto dall'art. 81 Cost., riferendosi agli ordinari stanziamenti di bilancio che recano adeguate disponibilita' (?!). Ma la L. n. 148/2012 non aveva imposto: «dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»? La domanda e' retorica. La risposta impone di dichiarare il mancato rispetto dei principi della legge delega, con palese violazione dell'art. 76 Cost., e nel contempo la violazione dell'art. 81 c.4a' Cost., posto che con il provvedimento di revisione della geografia giudiziaria s'impongono nuove e maggiori spese senza provvedere ai mezzi per farvi fronte. Questi sono costi e spese che si rilevano in via di primo acchito e ad un esame anche solo superficiale, ma certamente vi sono altre voci che facilmente un esperto potra' individuare e che certo il ministero avrebbe dovuto individuare e conteggiare, rendendo trasparente (e veritiera) l'operazione. Per il caso di Torino si pensi che l'attuale Palazzo di Giustizia «Bruno Caccia» non e' in grado di ospitare tutti gli uffici gia' presenti ante riforma decreto legislativo n. 155/2012, tanto da aver gia' trasferito gli uffici UNEP e parte dell'archivio presso locali reperiti presso gli immobili Ex Carceri Nuove, traslochi eseguiti proprio nel 2012. E' di tutta evidenza che l'allocazione del personale amministrativo e dei magistrati della Procura ed il Tribunale di Pinerolo, cosi' come dei fascicoli degli arredi e delle strumentazioni, alle quali si sommano magistrati, personale amministrativo, fascicoli, arredi e strumentazioni delle sezioni distaccate di Susa e di Moncalieri soppresse ed aggregate a Torino, comportera' necessariamente il reperimento di nuovi locali (con i relativi costi) e/o l'esecuzione di lavori che consentano effettivamente l'accorpamento d'organico, dei fascicoli e dei beni strumentali. Come ha potuto la legge delega affermare che non derivino «nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»? L'analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR), allegata alla relazione del Governo alle commissioni parlamentari, a pag. 5, sezione n. 5 lett. E) (v. all. n. 10), rileva che «l'attuazione del provvedimento non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e di possibili fattori incidenti sulla regolare attuazione del provvedimento (essenzialmente quelli concernenti le possibili carenze di adeguamento logistico degli uffici accorpanti) possono essere superati nel tempo, anche grazie ai risparmi di spesa ed alla ottimizzazione delle risorse, e comunque sono fronteggiabili nell'immediato con l'attuazione di specifiche disposizioni in materia di edilizia giudiziaria». Anche l'analisi eseguita dal Ministero della Giustizia non puo' nascondere che ci saranno spese legate all'adeguamento logistico degli uffici accorpanti, che richiedono specifico impegno nella legge, tuttavia non si capisce cosa possa significare che tali oneri vengano affrontati «con l'attuazione di specifiche disposizioni in materia di edilizia giudiziaria», ne' e' accettabile sul piano costituzionale che maggiori oneri possano essere coperti con previsti e non certi risparmi di spesa, legati a una serie di elementi. L'analisi dell'impatto della regolamentazione, pero', nemmeno accenna e trascura del tutto le indispensabili spese necessarie per gli adempimenti innanzi indicati sub lettere a), b), d) ed e). Ma v'e' di piu! L'analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR) (oltre a tralasciare tutti gli aspetti di esternalizzazione dei costi che ricadranno direttamente sui cittadini, sul personale amministrativo e sul ceto forense per i disagi e le spese aggiuntive che dovranno affrontare) afferma che comportera' maggiori vantaggi in termini di economicita' secondo il dettaglio riportato dalla relazione tecnica allegata allo schema di decreto legislativo. Tale dettaglio nella menzionata relazione e' del tutto inesistente (v. all. 11). Sempre nell'AIR si legge nel paragrafo B) che i complessivi risparmi di spesa saranno pari a: € 2.889.597 per l'anno 2012, € 17.337.581 per l'anno 2013, € 31.358.999 per l'anno 2014, determinati con riferimento alle sole spese di gestione e delle strutture, con esclusione delle spese incomprimibili del personale dell'amministrazione giudiziaria, personale per il quale e' prevista la riallocazione in uffici di maggiori dimensioni. Le somme indicate senza riscontro alcuno appaiono incomprensibili. Non solo. Vien spontaneo domandare da dove derivino i risparmi di spesa per il 2012 posto che la riforma avra' efficacia dal 13 settembre 2013 (!!!) e come possano conteggiarsi i risparmi di gestione considerato che anche per questa voce di spesa non puo' giungersi ad un azzeramento (posto che il personale dovra' utilizzare strumentazioni comportanti spese per utenze insopprimibili - energia elettrica, linee telefoniche ecc. -), per non parlare poi dell'insufficiente edilizia giudiziaria delle sedi accorpanti e comunque della necessita' d'adeguamento delle stesse con i relativi costi. La violazione dell'art. 81 della Costituzione (nelle due formulazioni) apre a spese non previste e alle voragini nei conti pubblici. Anche sotto questi aspetti, la legge delega e quella delegata paiono verosimilmente incostituzionali. In conclusione, va rilevato che tutti i profili di possibile illegittimita' costituzionale della legge delega (art. 1 legge n. 148/2011) si riverberano sul decreto legislativo delegato n. 155 del 7 settembre 2012) che da tale provvedimento trae esistenza [e che tuttavia presenta specifici vizi suoi propri relativi alla soppressione degli uffici giudiziari di Pinerolo] alla luce delle osservazioni svolte. 4. Rilevanza delle questioni. Le questioni sollevate appaiono rilevanti nel giudizio a quo, dal momento che le stesse investono la normativa dalla quale dipende l'individuazione del giudice (Tribunale di Torino ovvero Tribunale di Pinerolo) avanti al quale dovrebbe essere rinviato il processo penale per la sua prosecuzione. In particolare lo scrivente - come risulta dal verbale di udienza - deve fare applicazione dell'art. 9 del decreto legislativo n. 155/2012 in combinato disposto con l'art. 1 in relazione alla tabella A) per rinviare il processo avanti al Tribunale di Torino; secondo l'art. 9, infatti, le udienze successive al 13 settembre 2013 devono tenersi avanti al nuovo giudice competente, nello specifico, il Tribunale di Torino, risultando il Tribunale di Pinerolo, a tale data, soppresso in base all'art. 1; se, invece, se le disposizioni della legge delega e del decreto legislativo non saranno riconosciute conformi alla Costituzione, l'udienza dovrebbe essere celebrata avanti a questo ufficio giudiziario. Le questioni di costituzionalita' sollevate, pertanto, si pongono in rapporto di pregiudizialita' rispetto all'individuazione del giudice chiamato a definire l'attuale processo penale e davanti al quale il processo deve essere rinviato all'individuata udienza del 1° ottobre 2013.