IL TRIBUNALE Nella persona del Giudice unico dott. Alessio Liberati, nel procedimento iscritto al numero 2759/2009 RG e proposto dalla sig.ra Simonetta Pandolfi, nata a Tivoli (RM) il 17 febbraio 1963 e dal sig. Rocco Margiotta, nato a Forenza (PZ) il 5 marzo 1949, rappresentati e difesi dall'avv. Felice Fazio ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Enzo Esposito e dall'avv. Luigi Di Angelis in Guidonia Montecelio (RM), via Maremmana Inferiore n. 199, giusta delega in atti, attore; Nei confronti della sig.ra Claudia Ciavarella (CF CVR CLD 67842 L182U), rappresentata e difesa dall'avv. Vittorio Messa ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Guidonia Montecelio (RM), via Mario Calderara n. 4 (fax 0774.300200), giusta delega in atti, convenuta ed attrice in via riconvenzionale; Del sig. Luca Ancona (c.f. NCN LCU 62R09 L1825), rappresentato e difeso dall'avv. Vittorio Messa ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Castel Madama (RM), via Mario Calderara n. 4 (fax 0774.300200), giusta delega in atti, convenuta ed attrice in via riconvenzionale; Ha pronunciato la seguente ordinanza con la quale si solleva di ufficio questione di legittimita' costituzionale. Fatto Parte attrice ha citato con atto ritualmente notificato (a seguito di autorizzazione al rinnovo della notifica) innanzi al tribunale di Tivoli le parti convenute, per ottenere sentenza declaratoria della risoluzione del contratto preliminare di compravendita stipulato in data 5 marzo 2008 ed integrato in data 30 luglio 2008 e, conseguentemente, ottenere la restituzione della somma di euro 150.000,00 complessivamente consegnata. Invoca in proposito la propria irresponsabilita' nel mancato acquisto dell'immobile dei convenuti, sito in Tivoli, via delle Piagge n. 3 (gia' IB) e della autorimessa annessa, distinti al NCEU fg. 64, part. 980, sub 501, cat. A2 e fg. 64, part. 980, sub. 501, cat. A/6, classe 4, in ragione della mancata erogazione del mutuo da parte della banca cui era stato richiesto, qualificando come indebita la somma trattenuta dai convenuti, in quanto costituente mero anticipo sul prezzo di vendita. I convenuti si sono costituiti con due distinti atti, eccependo che la somma di euro 150.000,00 era stata consegnata (come risulta dalla proposta irrevocabile e dal contratto preliminare) espressamente a titolo di caparra confirmatoria (su un importo complessivo di vendita pari a 510.000,00 euro), che la parte attrice avesse inadempiuto al proprio obbligo contrattuale e che conseguentemente avessero diritto alla ritenzione della caparra, come previsto dall'art. 1385 del codice civile. Hanno altresi' richiesto in via riconvenzionale il risarcimento dei maggiori danni derivanti dal fatto che sono stati costretti ad acquistare l'immobile per il quale si erano impegnati all'acquisto in vista della vendita dell'immobile per cui e' controversia attraverso la erogazione di un mutuo oneroso e con la procedura (piu' costosa) relativa all'acquisto delle seconde case, quantificando il danno subito in euro 15.155,87 complessivi. E' stata svolta attivita' istruttoria e nel corso dell'interrogatorio formale della attrice (convenuta in via riconvenzionale) la stessa ha affermato che il contratto era gia' stato predisposto dalla agenzia immobiliare al momento del suo arrivo nella sede e che non conoscesse il significato della locuzione "caparra confirmatoria", avendo inteso semplicemente dare un anticipo. Alla udienza del 30 maggio 2012 la causa e' stata trattenuta in decisione, con concessione dei termini di legge per comparse conclusionali e memorie di replica. Diritto Ritiene il tribunale che dagli atti di causa emerga con chiarezza che la somma fosse stata consegnata a titolo di caparra confirmatoria, come espressamente stabilito sia nella proposta irrevocabile che nel contratto preliminare. A nulla giova la giustificazione addotta dalla parte attrice in merito alla mancata conoscenza del termine "caparra confirmatoria", in quanto non dimostrabile obiettivamente e comunque costituente "ignorantian" addebitabile. La domanda di risoluzione del contratto e restituzione dell'asserito indebito non possono dunque essere accolte. Sussistono invece ad avviso del tribunale gli estremi per la ritenzione della caparra confirmatoria ex art. 1385, comma 2 del codice civile da parte degli alienanti convenuti. La norma in questione e la sua interpretazione. Impossibilita' di una interpretazione costituzionalmente orientata. L'art. 1385 del codice civile dispone che "Se al momento della conclusione del contratto una parte da' all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantita' di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Se la parte che ha dato la caparra e' inadempiente, l'altra puo' recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente e' invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra puo' recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. Se pero' la parte che non e' inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno e' regolato dalle norme generali". Diversamente dall'istituto della clausola penale, disciplinato dall'art. 1384 del codice civile, in ipotesi di caparra non e' dunque consentito al giudice di operare la riduzione dell'importo (ipotesi che con riferimento alla clausola penale la giurisprudenza dopo un lungo dibattito ermeneutico ha ritenuto essere esperibile anche ex officio), atteso che il carattere eccezionale della disposizione contenuta nell'art. 1384 del codice civile ne esclude una applicazione analogica. La giurisprudenza e' granitica sul punto e non sussistono precedenti di senso opposto. Del resto la tranciante argomentazione del carattere eccezionale della disposizione contenuta nell'art. 1384 del codice civile, derivante dalla natura di fattore limitante la liberta' negoziale delle parti (ex plurimis Cass. civ., sez. II, 1° dicembre 2000, n, 15391), non consente una diversa interpretazione dell'articolato normativo, escludendo altresi' l'ipotesi di una interpretazione diversa e costituzionalmente compatibile. La quaestio nella fattispecie in oggetto. Nel caso di specie, come meglio precisato in fatto, la controversia concerne un'azione intentata per contestare l'asserita ritenzione di un indebito, pari a 150.000,00, che il convenuto Ritiene essere stato anticipato a titolo di caparra confirmatoria e di avere legittimamente trattenuto a seguito di inadempimento dell'attore all'obbligo di controparte. Chiede altresi' il convenuto, in via riconvenzionale, il risarcimento del maggior danno derivante dall'aver dovuto stipulare un successivo mutuo con il tasso e la procedura prescritta per le case diverse dalla prima (che godono di condizioni agevolate). Cio', diversamente da quanto dedotto dall'attore non integra gli estremi del comma 3 dell'art. 1385 del codice civile atteso che non e' stata domandata ne' l'esecuzione ne' la risoluzione del contratto (che giustificherebbero l'applicazione delle norme generali sul risarcimento), ma semplicemente un danno maggiore ed aggiuntivo rispetto a quello relativo all'affare per cui e' stata prevista la caparra. Dagli atti emerge con assoluta chiarezza che l'importo di 110.000,00 e' stato consegnato a titolo di caparra confirmatoria - espressamente qualificata come tale - in sede di proposta di acquisto irrevocabile dell'11 febbraio 2008, regolarmente accettata dal venditore convenuto in data 12 febbraio 2008, come letteralmente ed espressamente dichiarato. Anche il successivo contratto preliminare del 5 marzo 2008 definisce espressamente l'importo ulteriore di 40.000,00 euro versato da parte attrice (promissaria acquirente) quale importo da addebitare a titolo di caparra confirmatoria. Nessun dubbio, dunque, puo' sorgere in merito alla natura ed alla qualificazione giuridica della dazione, che l'attore sostiene, senza fornire alcuna prova a sostegno, sarebbero state un anticipo sulla vendita e non un versamento a titolo di caparra, giustificando sostanzialmente solo con la propria ignoranza del termine tecnico. Ne deriva che l'importo complessivo della caparra confirmatoria e' di 150.000,00 euro, a fronte di un prezzo di acquisto di 510.000,00 euro. Nessun dubbio, poi, vi e' sulla circostanza che il promissario acquirente non si sia presentato all'atto della stipula, anche a seguito di concessione di ulteriore termine con atto integrativo del contratto preliminare, come attesta la dichiarazione del notaio che dichiara la mancata stipula per assenza dell'acquirente. Non e' infine contestato che la stipula non sia andata a buon fine in ragione della mancata erogazione del mutuo da parte dell'istituto bancario (in realta' tre) cui si sono rivolti gli attori. Giova in proposito rammentare che l'acquirente avrebbe potuto condizionare il contratto al rilascio del finanziamento, circostanza che non e' stata esplicitata. In sede di interrogatorio formale la parte attrice ha dichiarato che si trattava del suo primo acquisto immobiliare e di aver semplicemente sottoscritto il modulo gia' predisposto e compilato dalla agenzia immobiliare che si occupava della mediazione. Va anche rilevato che gli istituti bancari non seguono regole precise e conoscibili ex ante in merito alla dazione di mutui ipotecari e che, anzi, a seconda dei periodi storici (ed anche al minore o maggiore vantaggio dell'istituto bancario in ragione del tasso applicabile in un preciso periodo storico) le banche erogano o meno i mutui, variando - di fatto a proprio piacimento - i criteri di erogabilita', con modifiche anche consistenti e repentine dell'importo erogabile rispetto al valore dell'immobile, del parametro relativo al rapporto tra reddito percepito ed importo del mutuo, delle garanzie richieste. Cio' non consente alla parte acquirente di immobile una certa e piena valutazione aprioristica della effettiva possibilita' di ottenere il finanziamento. Nel caso di specie, pertanto, sussistono due opposte e valide ragioni: da un lato il diritto del venditore a percepire la caparra confirmatoria ai sensi dell'art. 1385, comma 2 del codice civile, dall'altro quella dell'acquirente a non perdere un capitale notevole per le proprie risorse finanziarie in ragione di un adempimento che, seppur colposo, certamente non e' stato voluto e rispetto al quale si e' adoperato in ogni modo per trovare una soluzione, e conseguente ad attivita' svolta in situazione di debolezza contrattuale (si dira' piu' ampiamente oltre). Ne' puo' nemmeno farsi ricorso all'istituto della presupposizione (cioe' di una condizione non esplicitata, del resto non invocata dalla parte convenuta), atteso che la stessa non ricorrerebbe comunque in termini obiettivi nei confronti di entrambe le parti, ma solo della parte acquirente (esulando cosi' il presupposto della comune volonta'), sicche' non si puo' comunque ritenere che nella fattispecie vi sia stata una situazione di fatto, considerata ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione dell'accordo contrattuale quale presupposto imprescindibile della volonta' negoziale, il cui successivo verificarsi o venire meno sia dipeso da circostanze non imputabili alle parti stesse. Cio' Premesso, resta un'evidente sproporzione dell'importo pattuito rispetto alla prassi in uso per analoghe operazioni commerciali che impone a questo giudice di valutare se vi siano spazi applicativi per una eventuale riduzione ex officio (che, come ricordato, e' oggi ammessa dalla giurisprudenza nella ipotesi di clausola penale ex art. 1384 del codice civile). In tale riflessione non si possono nemmeno trascurare le peculiari caratteristiche della fattispecie, in cui, come detto, ricorre la circostanza della mancata erogazione del mutuo da parte dell'istituto bancario quale causa determinante l'inadempimento e il tentativo palesato in ogni modo dal promissario acquirente di adempiere all'impegno preso con la formulazione della proposta irrevocabile e ribadito in sede preliminare. La riduzione della penale, tuttavia, per quanto gia' evidenziato, e' soluzione impraticabile allo stato della normativa (e per costante giurisprudenza) stante la impossibilita' di applicare in via analogica una disposizione di carattere eccezionale che deroga alla liberta' negoziale delle parti. Vi sono dunque elementi per dubitare della compatibilita' costituzionale della norma di cui all'art. 1385, comma 2 del codice civile, sotto il profilo della ragionevolezza, nella parte in cui non prevede la possibilita' per il Giudice di ridurre la somma da restituire a titolo di caparra confirmatoria consegnata dall'acquirente (o il doppio della caparra in caso di inadempimento del venditore) ove manifestamente eccessiva o ove ricorrano giustificati motivi. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1385, comma 2 del codice civile. Si ritiene dunque di dover sollevare di ufficio, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 1385, comma 2 del codice civile in materia di caparra confirmatoria, nella parte in cui non dispone che - nelle ipotesi in cui la parte che ha dato la caparra e' inadempiente, l'altra puo' recedere dal contratto, ritenendo la caparra e nella ipotesi in cui, se inadempiente e' invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra puo' recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra - il giudice possa equamente ridurre la somma da ritenere o il doppio da restituire in ipotesi di manifesta sproporzione o ove, tenuto conto della natura dell'affare e delle prassi commerciali, sussistano giustificati motivi. Va ricordato, a riguardo del parametro della irragionevolezza, che la giurisprudenza della Corte costituzionale, in passato, era orientata nel senso di ricondurre il principio di ragionevolezza all'interno della previsione dell'art. 3 della Costituzione che afferma - come noto - il principio di uguaglianza; di modo che la norma irragionevole era costituzionalmente illegittima in quanto apportatrice di irragionevoli discriminazioni. Come conseguenza di siffatta impostazione era necessario, per accertare l'irragionevolezza della norma, che fosse individuato il c.d. tertium comparationis. Nel tempo la Corte ha affrancato il principio di ragionevolezza sia dal principio di uguaglianza, sia dalla ricerca del tertium comparationis, e ne ha poi affermato la violazione anche in assenza di una sostanziale disparita' di trattamento tra fattispecie omogenee, allorche' la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorieta' od illogicita' rispetto al contesto normativo preesistente o rispetto alla complessiva finalita' perseguita dal legislatore. Tale ipotesi appare ricorrere nel caso di specie, per quanto detto sopra. Sotto altro profilo non puo' poi non evidenziarsi come, rispetto all'impianto complessivamente disegnato nel codice del 1942, la materia contrattualistica abbia subito profondi mutamenti negli ultimi anni, soprattutto per le influenze subite dal diritto comunitario. In particolare si sono susseguiti interventi volti ad assicurare una equita' oggettiva delle prestazione e del complessivo equilibrio contrattuale (anche attraverso la declaratoria di inefficacia delle c.d. clausole abusive) Anche se nel caso di specie non si e' di fronte all'ipotesi di contratto stipulato da professionista e consumatore, non vi e' dubbio che la parte alienante sia stata assistita da un professionista (l'agenzia immobiliare) il cui interesse dell'alienante alla conclusione dell'affare coincideva con il proprio interesse alla provvigione, incamerata ancor prima della conclusione del definitivo. Puo' quindi affermarsi che sotto tale profilo l'acquirente fosse in una posizione di debolezza contrattuale meritevole di tutela, alla luce dei principi generali vigenti oggi nella materia. Anche per questa ragione si dubita della ragionevolezza, nei termini sopra indicati, di una disposizione che non consente di tutelare attraverso rimedi ripristinatori del giudice (oggi ammessi in forma sempre piu' estesa) una evidente sproporzione determinata (come emerso dalla istruttoria) dalla posizione di contraente debole da un lato (inesperienza, predisposizione del contratto da parte della agenzia ancorche' sottoscritto da privati consumatori), da fatti non previsti e non interamente prevedibili dall'altro (mancata erogazione del mutuo bancario). Per completezza, si consideri anche che, in mancanza di qualsivoglia limite normativa alla regola della cui costituzionalita' si dubita, si potrebbe addirittura arrivare al risultato paradossale che, ove la parte inadempiente fosse il venditore e l'importo accettato a titolo di caparra confirmatoria fosse di poco inferiore al totale del prezzo, l'acquirente potrebbe ottenere addirittura la restituzione di un duplum di molto superiore al valore del bene da acquistare. Sulla rilevanza della questione nella fattispecie alla attenzione del tribunale. Va precisato che la questione che si sottopone alla attenzione del Giudice delle Leggi e' di assoluta rilevanza per la fattispecie in oggetto. Nel caso di specie la questione di diritto appena descritta appare infatti di imprescindibile soluzione per la decisione, dovendosi determinare la quantificazione della somma da incamerare in base a disposto normativo la cui compatibilita' costituzionale e' messa in discussione per le ragioni che precedono.