IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 768 del 2011, proposto da: 
        Comune di Pescina in persona del Sindaco P.T.,  rappresentato
e difeso dagli avv. Fausto Corti, Pasquale Mito, con domicilio eletto
presso Fausto Avv. Corti in L'Aquila, via Garibaldi n. 62; 
    Contro: 
        Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai
disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo; 
        Regione Abruzzo in persona del Presidente P.T; 
entrambi rappresentati e difesi  dall'Avvocatura  distrettuale  dello
Stato, presso la sede della stessa in L'Aquila, Complesso Monumentale
S. Domenico, domiciliati per legge; 
        ASL n. 1 Avezzano-Sulmona-L'Aquila,  rappresentata  e  difesa
dall'avv. Fabio Alessandroni, con domicilio eletto presso  lo  stesso
in L'Aquila (Scoppito), Ss17 - Km 24,650 n.1; 
    Per  l'ottemperanza  della  sentenza  del  TAR   dell'Aquila   n.
335/2011; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Commissario ad acta
per l'attuazione del piano  di  rientro  dai  disavanzi  del  settore
sanita' della Regione Abruzzo e di Regione  Abruzzo  in  persona  del
Presidente P.T. e di Asl 101 - Avezzano/Sulmona; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 febbraio 2012 il
dott. Alberto Tramaglini e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    1. - Il  Comune  ricorrente  chiede  l'esecuzione,  ex  art.  112
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, della sentenza indicata in
epigrafe con cui sono state annullate, nella parte in cui disponevano
la «disattivazione» dell'ospedale di Pescina e la sua  trasformazione
in  «presidio  territoriale  di  assistenza»,  le  deliberazioni  del
Commissario ad  acta  per  l'attuazione  del  Piano  di  rientro  dai
disavanzi del settore sanitario della regione Abruzzo 3 agosto  2010,
n. 44  e  5  agosto  2010,  n.  45,  costituenti  rispettivamente  il
«programma operativo» di cui all'art. 2, comma  88,  della  legge  23
dicembre 2009, n. 191 e la «approvazione  dei  provvedimenti  tecnici
attuativi delle Azioni 1 e 3». Tale seconda deliberazione  conteneva,
tra l'altro, la «disattivazione dei presidi per  acuti  non  coerenti
col   fabbisogno   individuato   e    cronoprogramma    delle    loro
riconversioni». 
    Espone  il  Comune  che  i  suddetti  provvedimenti  erano  stati
eseguiti nel corso del giudizio, con  l'unica  eccezione  del  pronto
soccorso,  sicche'  il  loro  annullamento  comportava  l'obbligo  di
riattivare integralmente la struttura  ospedaliera,  adempimento  che
tuttavia non e' stato assicurato dalle amministrazioni resistenti. 
    La  sentenza  e'  stata  infatti  separatamente  appellata  dalla
Regione Abruzzo e dal Commissario ad acta, che ne  hanno  chiesto  la
sospensione dell'esecutivita'. 
    Con ordinanze 30 settembre 2011, n. 4290 e 4292, il Consiglio  di
Stato (sez. III) ha dichiarato improcedibili le domande cautelati sul
rilievo che «con il decreto-legge n. 98/2011 come convertito in legge
n. 11/2011 (art. 17, comma  4,  lett.  c),  gli  atti  amministrativi
oggetto del giudizio sono stati trasfusi (e  trovano  legittimazione)
in una fonte di  rango  legislativo,  donde  deriva  quanto  meno  la
carenza di interesse attuale dell'appellante alla  concessione  della
richiesta misura cautelare...». 
    E' infatti nel frattempo intervenuto l'art. 17,  comma  4,  lett.
c), primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito
(sul punto che interessa senza modificazioni)  con  legge  15  luglio
2011, n. 111, che  ha  disposto  che  «il  Commissario  ad  acta  per
l'attuazione del piano  di  rientro  dal  disavanzo  sanitario  della
regione Abruzzo da' esecuzione al programma operativo per l'esercizio
2010, di cui all'articolo 2, comma 88, della legge 23 dicembre  2009,
n. 191, che e' approvato con il presente decreto, ferma  restando  la
validita' degli atti e dei provvedimenti gia' adottati e la  salvezza
degli effetti e dei rapporti giuridici sorti  sulla  base  della  sua
attuazione». 
    Con la norma in parola si e' quindi inteso dare veste legislativa
ai medesimi atti  amministrativi  (parzialmente)  annullati  in  sede
giurisdizionale, fornendo altresi' una generale copertura alle misure
attuative nel frattempo adottate. Nella parte in cui tale «sanatoria»
legislativa interferisce con la sentenza di annullamento,  il  Comune
ricorrente ne deduce il contrasto con gli artt.  5,  31,  117  e  120
Cost., per cui ha concluso che questo TAR sospenda preliminarmente il
giudizio e rimetta alla Corte costituzionale le questioni relative al
richiamato art. 17 decreto-legge n. 98/2011 ed assuma  nel  merito  i
provvedimenti necessari per l'ottemperanza della sentenza n. 335  del
2011. 
    2. - Nel costituirsi in giudizio  le  amministrazioni  resistenti
hanno rilevato: 
        che le suddette ordinanze del Consiglio di Stato  evidenziano
l'inefficacia della sentenza di primo  grado,  che  pertanto  non  e'
eseguibile; 
        che le misure dirette  alla  disattivazione  e  riconversione
dell'ospedale di Pescina sono state portate a compimento; 
        che le questioni di legittimita' costituzionale sono  l'unico
e diretto oggetto del giudizio, tale da impedire l'individuazione  di
una domanda principale con un  petitum separato e distinto da esse. 
    Deriverebbe da quanto evidenziato l'inammissibilita' del ricorso. 
    3.  -  Vanno  preliminarmente  disattese   le   eccezioni   delle
amministrazioni  resistenti,  che  mettono  in  buona   sostanza   in
discussione la rilevanza della questione di costituzionalita'. 
    Va osservato che con la domanda in esame e' chiesta (ex art. 112,
2° comma,  lett.  b)  del  decreto  legislativo  n.  104  del  2010),
l'esecuzione di sentenza appellata e tuttavia esecutiva ex  art.  33,
2° comma,  decreto  legislativo  cit.,  in  quanto  non  sospesa.  Il
carattere esecutivo della decisione non  viene  meno  in  conseguenza
della  dichiarazione  di  improcedibilita'  delle  domande  cautelati
proposte dalle amministrazioni  appellanti,  visto  che  le  suddette
ordinanze del Consiglio di Stato si sono  limitate  a  prendere  atto
della normativa sopravvenuta che, conferendo una nuova veste  formale
agli atti annullati, e' tale da impedire l'esecuzione della  sentenza
di primo grado. Ma e' proprio in  tale  circostanza  che  risiede  la
rilevanza della dedotta questione di costituzionalita', visto che  la
possibilita'  di  dettare  misure  dirette   all'ottemperanza   della
decisione   presuppone    la    dichiarazione    di    illegittimita'
costituzionale  delle  norme  sopravvenute,  evenienza,  questa,  che
farebbe parallelamente recuperare l'interesse delle amministrazioni a
chiedere nuovamente al giudice di appello la sospensione cautelare. 
    In altri termini, la sentenza non puo' essere allo stato eseguita
non gia' per effetto  delle  pronunce  del  Consiglio  di  Stato,  ma
unicamente  a  causa  dell'intervento  legislativo.  Il   che   rende
evidentemente rilevante la questione di legittimita'  costituzionale,
posto che la  rimozione  della  normativa  sopravvenuta  rimuoverebbe
anche l'ostacolo all'esecuzione della decisione. 
    Ne' e' di ostacolo all'adozione delle misure idonee ad assicurare
l'attuazione della  sentenza  la  circostanza  che  le  deliberazioni
annullate siano state nel  frattempo  eseguite.  Tale  situazione  va
infatti considerata  alla  luce  del  citato  art.  112  del  decreto
legislativo n. 104 del 2010 che, dopo aver disposto (1° comma) che «i
provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla
pubblica amministrazione e dalle altre parti», stabilisce (2°  comma)
che «l'azione di ottemperanza puo'  essere  proposta  per  conseguire
l'attuazione  ...  b)  delle  sentenze  esecutive  ...  del   giudice
amministrativo». L'azione di ottemperanza diretta  ad  assicurare  il
ripristino della situazione preesistente  all'intervenuta  esecuzione
del provvedimento annullato e' quindi proponibile  non  solo  per  le
sentenze passate in giudicato,  ma  anche  per  quelle  semplicemente
esecutive, e tale e' quella  in  questione  ex  art.  33,  2°  comma,
decreto  legislativo  cit.  («le  sentenze  di   primo   grado   sono
esecutive»). D'altronde il successivo art. 34, 1°  comma,  lett.  e),
stabilisce che il giudice, accogliendo il ricorso, «dispone le misure
idonee ad assicurare l'attuazione del giudicato e delle pronunce  non
sospese», il che conduce a rinvenire una completa  assimilazione,  ai
fini esecutivi, tra le sentenze passate in giudicato e quelle per  le
quali pende appello laddove non siano  state  sospese.  L'intervenuta
attuazione dei provvedimenti annullati  non  e'  quindi  di  ostacolo
all'ammissibilita' della domanda,  ma  potra'  semmai  costituire  un
elemento di valutazione nell'ambito dell'individuazione delle  misure
dirette a dare concreta attuazione alla decisione qualora cio'  fosse
consentito in conseguenza della decisione della Corte costituzionale. 
    Va anche disattesa la  ulteriore  eccezione  di  inammissibilita'
dedotta dalla medesima difesa, attinente alla  ritenuta  mancanza  di
incidentalita' della questione di  costituzionalita'.  Ove,  infatti,
fosse  rimosso  l'elemento  sopravvenuto,  costituito  dal  censurato
intervento legislativo che impedisce allo stato  raccoglimento  della
domanda di ottemperanza, il potere del giudice amministrativo ex art.
112 riprenderebbe la sua originaria consistenza, il che evidenzia  la
incidentalita',  rispetto  al  giudizio  principale,  di  quello   di
legittimita' costituzionale. 
    Da tali considerazioni emerge l'infondatezza delle eccezioni e la
rilevanza delle prospettate questioni. 
    4. - Prima di entrare nel merito  delle  quali  appare  opportuno
premettere  brevemente  la  complessa  situazione  in  cui  la  norma
sopravvenuta si inserisce, secondo quanto riportato nella  precedente
sentenza 292 del 2011, alla cui motivazione la  sentenza  di  cui  e'
chiesta l'esecuzione rinvia. 
    Lo  stato  di  squilibrio   economico-finanziario   della   spesa
sanitaria regionale aveva portato alla stipula tra la Regione Abruzzo
ed i Ministri della salute e  dell'economia  e  finanze  dell'Accordo
previsto dall'art. 1, comma 180, legge  30  dicembre  2004,  n.  311,
nonche' dall'art. 8 Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005. Con  tale
Accordo, sottoscritto in  data  6  marzo  2007,  la  Regione  si  era
impegnata ad attuare il Piano di rientro dal disavanzo, «elaborato  a
seguito della  ricognizione  delle  cause  che  hanno  comportato  il
mancato   adempimento   degli   adempimenti   previsti    dall'Intesa
Stato-Regioni del 23 marzo 2005  per  l'anno  2005,  dell'Accordo  16
dicembre 2004 per l'anno 2004 ... ed in base a quanto previsto  dalla
legislazione vigente con particolare riferimento  a  quanto  disposto
dall'art. 1, comma 796, lett. b), della legge 27  dicembre  2006,  n.
296» (art. 1, comma 2), ed in particolare «ad attuare le  ...  misure
contenute nel Piano». 
    L'Accordo era stato  quindi  approvato  con  deliberazione  della
Giunta regionale  13  marzo  2007,  n.  224,  e  si  componeva  (come
precisato nel provvedimento) di  tre  elaborati:  1.  Articolato;  2.
Piano di risanamento del Sistema sanitario  regionale  2007-2009;  3.
Appendici al Piano di risanamento. 
    Con nota del 30 luglio  2008  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri aveva quindi attivato la procedura di  cui  all'articolo  4,
comma  1,  del  decreto-legge  n.  159  del  2007,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007, che prevede  che  qualora
nel procedimento di verifica e monitoraggio si prefiguri  il  mancato
rispetto da parte della Regione degli adempimenti previsti dal  Piano
di rientro, la Regione viene diffidata  ad  adottare  entro  quindici
giorni tutti gli  atti  normativi,  amministrativi,  organizzativi  e
gestionali  idonei  a  garantire  il  conseguimento  degli  obiettivi
previsti. Riscontrata la  persistenza  dei  presupposti  che  avevano
condotto alla diffida, con deliberazione CdM 11  settembre  2008,  ai
sensi dell'art. 4, decreto-legge n. 159 del  2007,  anche  alla  luce
della grave crisi istituzionale in cui versava  la  Regione  Abruzzo,
determinata dalle dimissioni dell'allora  Presidente  della  Regione,
tale  da  compromettere   l'ordinato   svolgimento   delle   funzioni
assistenziali, la tutela dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
sanitarie   e   l'attuazione   degli   interventi   di   risanamento,
riequilibrio economico-finanziario e di riorganizzazione del  sistema
sanitario regionale previsti dal Piano di rientro,  era  nominato  un
primo Commissario ad acta, successivamente  dimissionario  a  seguito
dell'elezione dei nuovi organi istituzionali. 
    Con deliberazione del Consiglio  dei  ministri  dell'11  dicembre
2009 il  Presidente  p.t.  della  Regione  Abruzzo  e'  stato  quindi
nominato «Commissario ad acta per l'attuazione del vigente  Piano  di
rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo». 
    Con deliberazione del 3 agosto 2010, n.  44,  il  Commissario  ad
acta, richiamato, tra l'altro, l'art. 2, comma  88,  della  legge  23
dicembre 2009, n. 191 - che  stabilisce  che,  per  le  regioni  gia'
sottoposte ai piani di rientro e gia' commissariate alla  data  della
sua  entrata  in  vigore,  resta  fermo  l'assetto   della   gestione
commissariale previgente per la prosecuzione del  Piano  di  rientro,
secondo programmi operativi, coerenti con  gli  obiettivi  finanziari
programmati - e dato atto  che  la  Regione  Abruzzo,  alla  data  di
entrata in vigore della legge, si trova nelle predette condizioni, ha
deliberato  «di  approvare  il  Programma  Operativo  2010   di   cui
all'allegato "A", che costituisce parte integrante e sostanziale  del
presente provvedimento, con il quale s'intende dare  prosecuzione  al
Piano di Rientro 2007/2009, secondo gli interventi  e  le  azioni  in
esso previste». 
    Tra tali interventi (Asse 2; Intervento 6; Azione 1: pag. 24 ss.)
vi e' il «Piano della rete ospedaliera», ispirato ad una  «ottica  di
razionalizzazione e di riqualificazione del SSR», in base alla  quale
«occorre individuare  le  strutture  ospedaliere  che  non  risultano
coerenti ... con il fabbisogno di  prestazioni  della  popolazione  e
prevedere una riconversione  dell'impiego  delle  risorse  ...  verso
forme di assistenza alternative a quella ospedaliera». 
    Faceva seguito la deliberazione 5 agosto 2010, n. 45 con cui,  in
attuazione delle metodologie indicate nel precedente  atto,  venivano
identificati i presidi ospedalieri «non coerenti con il fabbisogno  e
caratterizzati da inefficienza e inappropriatezza», individuandosi  5
strutture che, non presentando piu' «le caratteristiche dell'ospedale
per acuti e che richiedono una riconversione a forme  alternative  di
assistenza», erano «da disattivare da ospedali per  acuti»  (all.  B,
pag. 3). Si tratta  dei  presidi  di  Pescina,  Tagliacozzo,  Casoli,
Guardiagrele, Gissi, con l'aggiunta di San Valentino  quale  presidio
di riabilitazione «di dimensioni non ottimali» (ivi). 
    Tali atti sono stati in questa parte separatamente  impugnati  da
diversi soggetti e quindi annullati con le sentenze  263  e  292  del
2011  (rispettivamente  relative  agli  ospedali  di  Guardiagrele  e
Casoli), a cui hanno fatto seguito sentenze in forma semplificata  ex
art. 74 decreto legislativo n.  104  del  2010  in  riferimento  agli
ospedali di Tagliacozzo e Pescina. 
    La sentenza  di  cui  e'  chiesta  l'esecuzione  ha  ritenuto  la
fondatezza dei motivi di ricorso con cui si sosteneva  che  i  poteri
del Commissario erano  limitati  (ex  art.  2,  comma  88,  legge  n.
191/2009) alla «prosecuzione del piano di rientro», il cui  contenuto
(del. G.R. 13 marzo 2007, n. 224 e  relativi  allegati,  tra  cui  le
Linee guida per  la  redazione  del  Piano  sanitario  regionale  poi
approvate con legge regionale 5 aprile 2007, n. 6) non  contempla  la
disattivazione bensi' la riconversione dei c.d. piccoli  ospedali  in
«ospedali di territorio», il che implica il mantenimento  della  loro
natura ospedaliera che invece viene meno con la trasformazione in PTA
(presidi territoriali di assistenza), strutture prive di  reparti  di
degenza e di pronto soccorso, quest'ultimo sostituito da  PPI  (punto
di primo intervento). 
    Veniva ulteriormente precisato - anche alla luce della  normativa
statale (art. 1, comma 796, lett. b), della legge 27  dicembre  2006,
n. 296 e art. 2, comma 95, legge 23 dicembre 2009, n. 191;  art.  13,
6° comma, Intesa  Stato-Regioni  3  dicembre  2009)  secondo  cui  la
regione sottoposta a piano di rientro  e'  vincolata  a  rimuovere  i
provvedimenti, anche legislativi, incompatibili con l'attuazione  del
medesimo - che il commissario, quale organo straordinario  a  cui  e'
conferita  l'esclusiva  funzione  attuativa,  non  ha  il  potere  di
derogare specifici contenuti di atti  legislativi  (P.S.R.  approvato
con legge regionale n. 8/2005 e relative linee  guida  approvate  con
legge regionale n. 6/2007), non solo non motivatamente assunti  quali
«ostacolo alla piena realizzazione del piano  di  rientro»,  ma  essi
stessi parte integrante dell'Accordo e per  altro  verso  costituenti
misure  di   attuazione   delle   relative   previsioni.   Gli   atti
commissariali, quindi, finivano per incidere  su  atti  varati  dalla
Regione allo specifico scopo di adempiere gli  obblighi  assunti  con
l'Accordo,  e  percio'  suscettibili  di  essere  superati  solo  con
l'approvazione di un nuovo piano di rientro. 
    5. - Come sopra premesso, allo  stato  tale  decisione  non  puo'
essere  eseguita,  essendo   a   cio'   di   ostacolo   l'intervenuta
«approvazione» legislativa del  Programma  operativo  e  la  generale
formula  di  salvezza  degli  effetti  dallo  stesso   prodotti.   La
disattivazione dell'ospedale di Pescina e la  sua  trasformazione  in
«Presidio territoriale di assistenza» trovano quindi  ora  fondamento
non gia' negli atti amministrativi  annullati,  ma  nelle  previsioni
della norma in questione. 
    Cio'  premesso,  il  collegio  ritiene  che   le   questioni   di
legittimita' costituzionale del richiamato art. 17, 4°  comma,  lett.
c), primo periodo, decreto-legge n.  98/2011,  oltre  che  rilevanti,
come sopra evidenziato, siano altresi' non manifestamente infondate. 
    5.1 - La legificazione delle scelte operate  dal  Commissario  ad
acta con il Programma operativo  persegue  lo  scopo  (evidente,  per
quanto non dichiarato) di eludere  l'intervenuto  annullamento  degli
atti amministrativi in cui le stesse erano originariamente contenute.
La ratio della norma che «approva» il Programma  Operativo  e  ne  fa
salve  le  conseguenze  gia'  prodotte,  tra  cui  la  disattivazione
dell'ospedale di Pescina, va rinvenuta nell'intento di  salvaguardare
gli atti suddetti dall'annullamento giurisdizionale.  Ne  e'  indizio
evidente  il  fatto  che,  a  fianco  di   nuove   disposizioni   che
disciplinano in  via  generale  ed  astratta  questioni  che  avevano
costituito oggetto di quelle  decisioni  [lettere  a)  e  b)  del  4°
comma], solo per la regione Abruzzo viene invece varata una normativa
particolare e concreta: la ragione di tale speciale  trattamento  non
puo' che  essere  rinvenuta  nell'intento  di  fronteggiare  con  una
norma-provvedimento l'intervenuto annullamento giurisdizionale. 
    Nel  compiere  tale   operazione   il   legislatore   «resuscita»
provvedimenti annullati, ossia eliminati dall'ordinamento  (sia  pure
con la precarieta' tipica della sentenza di primo grado, pur tuttavia
esecutiva ed al cui comando, salvo sospensione degli effetti da parte
del giudice di appello, l'ordinamento e' tenuto  ad  adeguarsi),  con
cio' interferendo direttamente con l'attivita' giurisdizionale. 
    Va sul punto richiamato a conforto l'orientamento della Corte. 
    Su un piano generale, con sentenza n. 267  del  2007  si  ricorda
«che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte,  non  e'
preclusa alla legge  ordinaria  la  possibilita'  di  attrarre  nella
propria sfera di disciplina oggetti o  materie  normalmente  affidati
all'autorita' amministrativa, non sussistendo un divieto di  adozione
di   leggi   a   contenuto   particolare   e   concreto,   ossia   di
leggi-provvedimento (sentenza n. 347 del 1995). [...] La legittimita'
di questo tipo di leggi deve, quindi, essere valutata in relazione al
loro  specifico  contenuto.  In  considerazione   del   pericolo   di
disparita' di trattamento insito in previsioni di tipo particolare  o
derogatorio  (sentenze  n.  185  del  1998,  n.  153  del  1997),  la
legge-provvedimento e', conseguentemente, soggetta ad  uno  scrutinio
stretto di costituzionalita' (sentenze n. 429 del 2002,  n.  364  del
1999, nn. 153 e 2 del 1997), essenzialmente sotto i profili della non
arbitrarieta'  e  della  non  irragionevolezza   della   scelta   del
legislatore. Ed un tale sindacato deve  essere  tanto  piu'  rigoroso
quanto piu' marcata  sia  ...  la  natura  provvedimentale  dell'atto
legislativo sottoposto a  controllo  (sentenza  n.  153  del  1997)»,
principi tra l'altro ribaditi con sentenze 289 del  2010  e  241  del
2008. Riguardo ai rapporti  con  la  giurisdizione,  Corte  cost.,  2
aprile 2009, n. 94 (punto 7.6 in diritto) osserva che «non e' vietata
l'attrazione alla legge ... della disciplina  di  oggetti  o  materie
normalmente  affidati  all'autorita'  amministrativa,  purche'  siano
osservati  i  principi  di  ragionevolezza  e  non  arbitrarieta'   e
dell'intangibilita' del giudicato e non  sia  vulnerata  la  funzione
giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso (tra le
molte, sentenze n. 288 e n. 241 del 2008, n. 267 e n. 11 del 2007, n.
282 del 2005). 
    «In  riferimento  all'eventuale  interferenza  delle  norme   con
provvedimenti giurisdizionali, questa Corte,  anche  di  recente,  ha
escluso che all'adozione di una determinata disciplina con  norme  di
legge sia di ostacolo la circostanza che,  in  sede  giurisdizionale,
sia  stata  ritenuta  illegittima  quella  contenuta  in  una   fonte
normativa secondaria o in un atto amministrativo. Anche in  tal  caso
e' escluso che sia compromessa la funzione  giurisdizionale,  poiche'
legislatore e giudice continuano a  muoversi  su  piani  diversi:  il
primo  fornisce  regole  di  carattere  tendenzialmente  generale   e
astratto; il secondo applica il  diritto  oggettivo  ad  una  singola
fattispecie (ordinanze n. 32 del 2008, n. 352 del 2006,  sentenze  n.
211 del 1998, n. 263 del 1994). «Sono, invece, censurabili  le  norme
il cui intento non sia quello di stabilire una regola astratta, ma di
incidere su di un giudicato,  non  potendo  ritenersi  consentito  al
legislatore di  risolvere,  con  la  forma  della  legge,  specifiche
controversie  e  di  vanificare  gli   effetti   di   una   pronuncia
giurisdizionale divenuta intangibile, violando i principi relativi ai
rapporti  tra  potere  legislativo   e   potere   giurisdizionale   e
concernenti  la  tutela  dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi
(sentenza n. 374 del 2000)». 
    La richiamata sentenza 374 del 2000 osserva che non  e'  lesa  la
funzione giurisdizionale «solo ove risulti che l'intento  legislativo
non e' la "correzione" concreta  dell'attivita'  giurisdizionale,  ma
piuttosto la creazione di una regola astratta. Il legislatore  pero',
nella  specie,  oltre  a   creare   una   regola   astratta,   prende
espressamente  in  considerazione  anche  le  sentenze   passate   in
giudicato  ...  precludendo  sostanzialmente  la   esecuzione   delle
sentenze stesse. Proprio questa incidenza, diretta ed esplicita,  sul
giudicato esclude che la disposizione in questione operi soltanto sul
piano normativo, poiche' rivela in  modo  incontestabile  il  preciso
intento legislativo di interferire - senza che vi sia un rapporto  di
conseguenzialita' necessaria tra creazione della  norma  e  incidenza
sui giudicati - su questioni coperte da giudicato  ...  Sotto  questo
profilo sussiste quindi la prospettata lesione dei principi  relativi
ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale,  nonche'
delle disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e
degli interessi legittimi». 
    Applicati  al  caso  di  specie,  tali  principi  evidenziano  il
prospettato  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  della   norma:
«Censurabili sono ... quelle leggi di sanatoria il cui unico  intento
e' quello di incidere su uno o piu'  giudicati,  non  potendo  essere
consentito al legislatore di risolvere direttamente, con la forma  di
legge, concrete controversie» (ord. 352 del 2006). 
    Mentre le lettere a) e b) del richiamato quarto  comma  dell'art.
17 delineano una disciplina pur sempre generale ed astratta,  che  si
colloca,  pertanto,  su  un   piano   diverso   rispetto   a   quello
dell'esercizio della giurisdizione, la disposizione censurata di  cui
alla lett. c) e' invece ispirata  all'«unico  intento»,  seppure  non
esplicitato, di incidere direttamente  sulle  decisioni  del  giudice
amministrativo. Non appare in proposito significativa la  circostanza
che la sentenza di cui si chiede  l'esecuzione  non  sia  passata  in
giudicato: da un lato l'intervento legislativo impedisce  proprio  il
formarsi della cosa giudicata, sovrapponendo la propria disciplina  a
quella derivante dalla sentenza, mentre va per altro verso  ricordata
l'equiparazione operata, ai  fini  dell'ottemperanza,  dall'art.  112
decreto legislativo n. 104  del  2010  tra  le  sentenze  passate  in
giudicato  e  quelle  esecutive,  il  che  rende   costituzionalmente
rilevante  la  dedotta  interferenza,  avendo  essa  l'effetto  (come
affermato dalle richiamate  ordinanze  del  Consiglio  di  Stato)  di
rendere non eseguibile la sentenza in questione. 
    Va d'altra parte considerato che  le  richiamate  sentenze  della
Corte (in tal senso anche n. 492 del  1995)  ricordano  che  uno  dei
limiti imposti alla  legificazione  di  scelte  che  di  regola  sono
compiute dall'amministrazione attiva e' dato  proprio  dal  «rispetto
della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione  delle  cause
in corso». La norma, in quanto espressione di tale interferenza, pone
pertanto il dubbio di legittimita' costituzionale in  relazione  agli
artt. 24, 103, 113 e 117 Cost. Quest'ultimo aspetto (art. 117,  primo
comma, Cost.) va  considerato  in  connessione  con  l'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre  1950  (ratificata
dalla legge 4 agosto 1955, n. 848), che impedisce al  legislatore  di
intervenire con norme ad hoc per la risoluzione  di  controversie  in
corso. 
    Non emergendo profili di ragionevolezza idonei a giustificare  il
regime speciale  riservato  alla  regione  Abruzzo,  nel  cui  ambito
finiscono per essere inapplicabili le disposizioni  introdotte  dalla
lettera a) del citato quarto comma,  emerge  altresi'  il  dubbio  di
costituzionalita' in relazione all'art. 3 Cost. 
    5.2 - Il richiamato 4° comma dell'art. 17 decreto-legge cit.  tra
l'altro dispone: «Al fine di assicurare, per gli anni  2011  e  2012,
l'effettivo rispetto dei piani di  rientro  dai  disavanzi  sanitari,
nonche'  dell'intesa  Stato-Regioni  del  3   dicembre   2009,   sono
introdotte le seguenti disposizioni: 
        a) all'articolo 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n.
191, dopo il secondo periodo sono inseriti i seguenti: «A tale scopo,
qualora, in corso di attuazione del piano o dei  programmi  operativi
di cui al comma 88, gli ordinari organi di attuazione del piano o  il
commissario ad acta rinvengano ostacoli  derivanti  da  provvedimenti
legislativi  regionali,  li  trasmettono  al   Consiglio   regionale,
indicandone puntualmente i  motivi  di  contrasto  con  il  Piano  di
rientro o con i programmi operativi. Il Consiglio regionale, entro  i
successivi sessanta giorni,  apporta  le  necessarie  modifiche  alle
leggi regionali in contrasto, o le sospende, o le abroga. Qualora  il
Consiglio regionale non provveda ad apportare le necessarie modifiche
legislative entro i termini indicati,  ovvero  vi  provveda  in  modo
parziale o comunque tale da non rimuovere gli ostacoli all'attuazione
del piano o  dei  programmi  operativi,  il  Consiglio  dei  Ministri
adotta, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione, le  necessarie
misure, anche normative, per il superamento dei predetti ostacoli.». 
    Come  gia'  rilevato,  tale  disposizione   non   e'   ovviamente
applicabile alla regione Abruzzo a causa  della  norma  di  carattere
provvedimentale di cui alla censurata lett. c), che  ha  direttamente
risolto ogni possibile conflitto tra  il  programma  operativo  e  la
legislazione  regionale,  per   di   piu'   senza   alcuna   puntuale
considerazione dei motivi di contrasto. L'irragionevole estromissione
degli organi regionali dalla funzione di rivedere le proprie leggi ed
eventualmente rimuoverle laddove siano  considerate  di  ostacolo  al
perseguimento degli obiettivi di risanamento rende non manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  anche  in
relazione agli artt. 117 e 120 Cost. 
    5.3 - Sotto  tale  secondo  profilo  non  sembrano  rispettati  i
parametri  di  cui  alla  legge  5  giugno  2003,  n.  131,   recante
«Disposizioni per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3»  ed  in  particolare
del suo art. 8 (Attuazione dell'articolo 120 della  Costituzione  sul
potere sostitutivo). Infatti: 
        non si scorge alcuna proporzionalita' tra le  (non  chiarite)
finalita'  dello   specifico   intervento   legislativo   e l'effetto
abrogativo  implicito che  ne  deriva   su   ogni   legge   regionale
incompatibile con il programma operativo; 
        si impone alla Regione Abruzzo una normativa composta da  una
serie di minute disposizioni  senza  alcun  coinvolgimento  dei  suoi
organi in palese contrasto con i  principi  di  sussidiarieta'  e  di
leale collaborazione; 
        non si precisano i presupposti ex art.  120  sulla  base  dei
quali  il  Governo,  facendo  proprio  il  programma  operativo,   si
sostituisce alla Regione; 
        non e' stata assicurata alcuna delle garanzie  procedimentali
di cui all'art. 8, legge n. 131 del 2003, essendo rimasta la  Regione
del tutto estranea al procedimento  ed  in  tal  modo  privata  della
possibilita'  di  evitare  la  sostituzione   attraverso   l'autonomo
adempimento (sent. 153/1986; 416/1995; ord. 53/2003), che - ai  sensi
dell'art. 2, comma 88, della richiamata  legge  n.  191  del  2009  -
implica anche «la possibilita' ... di presentare un  nuovo  piano  di
rientro ai sensi della disciplina recata dal presente articolo»; 
        il «fine di assicurare, per gli anni 2011 e 2012, l'effettivo
rispetto  dei  piani  di  rientro  dai  disavanzi  sanitari,  nonche'
dell'intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009» (incipit art.  17,  4°
co.), laddove riconducibile alle esigenze di  assicurare  «la  tutela
dell'unita' giuridica o dell'unita' economica  e  in  particolare  la
tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili  e  sociali"  di  cui  all'art.  120,  appare  del  tutto   in
contraddizione con il conferimento della forza di legge  ad  un  atto
amministrativo che - come accertato in giudizio - contrasta con  quel
piano di rientro. 
    5.4 - Con la norma censurata il legislatore interviene in materia
di organizzazione sanitaria, e quindi di tutela della salute, nonche'
in materia di «armonizzazione dei bilanci  pubblici  e  coordinamento
della finanza pubblica» che,  ex  art.  117,  3°  comma,  Cost.  sono
materie di legislazione concorrente, rispetto alle quali «spetta alle
Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione  dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». 
    Il    carattere    provvedimentale    della    norma    manifesta
l'impossibilita' di ricondurla alla funzione di  «determinazione  dei
principi fondamentali» ed evidenzia la  violazione  delle  competenze
legislative   regionali,   accentuata   dall'immotivata   abrogazione
implicita delle leggi regionali incompatibili. 
    Considerato, d'altra parte, che la  legificazione  del  programma
operativo lo fa prevalere anche sull'Accordo di cui in  premessa  tra
lo Stato e la regione Abruzzo,  e  quindi  sul  Piano  di  rientro  e
relativi allegati, a cui la Regione ha dato esecuzione con  le  leggi
regionali n. 8 del 2005 e n. 6 del 2007, ne emerge anche  sotto  tale
profilo il contrasto con l'art. 117 (Corte cost. 123 e 163 del  2011;
141 del 2010). Il programma operativo  era  stato  infatti  annullato
proprio perche' ritenuto in contrasto con atti di natura  legislativa
di cui la regione Abruzzo si era dotata per dare attuazione al  Piano
di rientro. La lett. a) dell'art. 17, 4° comma, sembra ora confermare
tale orientamento, visto che la competenza ad eliminare gli  ostacoli
di natura legislativa che si frappongano all'attuazione del piano  di
rientro e' espressamente attribuita  al  Consiglio  regionale,  salvo
intervento del Consiglio dei ministri ex art. 120  Cost.,  mentre  al
Commissario spetta unicamente l'iniziativa diretta a  provocare  tali
interventi. Per cui - pur nella  piu'  ampia  estensione  assunta  ex
lett. b), che ha introdotto il comma 88-bis all'art. 2 della legge n.
191 del 2009 - viene in via  generale  confermato  che  il  programma
operativo non ha  automatici  effetti  abrogativi  o  modificativi  o
sospensivi di leggi regionali, a maggior ragione se emanate per  dare
attuazione all'Accordo e quindi al  Piano  di  rientro.  La  speciale
disciplina  dettata  per   l'Abruzzo   incide   invece   direttamente
sull'assetto normativo scaturente dall'Accordo e fa  quindi  emergere
il contrasto con l'art. 117, 3° comma, Cost.  Contrasto  che  per  il
collegio  sussiste  comunque,  pur   a   prescindere   da   qualunque
considerazione in ordine  al  contenuto  dei  rispettivi  atti:  come
osservato dalla Corte nella sentenza 123 del 2011, «la norma  di  cui
all'art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre  2006,  n.
296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale  dello  Stato  -  legge   finanziaria   2007»   considera
espressamente vincolanti, per le Regioni che li abbiano sottoscritti,
«gli   interventi   individuati   dai    programmi    operativi    di
riorganizzazione,  qualificazione  o   potenziamento   del   servizio
sanitario  regionale,  necessari  per  il  perseguimento   economico»
oggetto degli accordi per la riduzione dei disavanzi. Essa, pertanto,
secondo un'ormai  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  «puo'
essere qualificata come  espressione  di  un  principio  fondamentale
diretto al contenimento della spesa  pubblica  sanitaria  e,  dunque,
espressione di un correlato principio di coordinamento della  finanza
pubblica» (sentenza n. 141 del 2010; analogamente, gia'  la  sentenza
n. 2 del 2010, nonche', da ultimo, la sentenza n. 77  del  2011),  il
che rende costituzionalmente illegittimo ogni intervento  unilaterale
idoneo ad incidere sull'accordo assunto. 
    La forza  di  legge  conferita  al  programma  operativo  finisce
infatti per farlo prevalere sull'accordo sottoscritto, creando in tal
modo rilevanti interferenze su un  atto  che  nasce  da  un  processo
co-decisionale  e  che  non  e'  pertanto  suscettibile   di   essere
modificato da  provvedimenti  unilaterali  di  una  delle  parti,  in
assenza di coinvolgimento della regione interessata e senza  che  sia
chiarita l'imprescindibile esigenza di  conferire  un  diverso  rango
formale a specifici contenuti dell'Accordo medesimo. 
    5.5 - La norma censurata  opera  una  generica  approvazione  del
«programma operativo», rendendo  del  tutto  incerto  l'ambito  della
legificazione, visto che l'attivita' del Commissario ad  acta  si  e'
esplicata in una serie di atti, tra cui le deliberazioni 44 e 45  del
2010, e tuttavia  solo  la  prima  e'  intitolata  «approvazione  del
programma operativo 2010», mentre  la  successiva  (che  contiene  la
specifica misura della disattivazione dell'ospedale  di  Pescina)  e'
riferita alla «approvazione dei provvedimenti tecnici attuativi delle
azioni 1 e 3»,  e  percio'  si  pone  come  misura  attuativa  di  un
provvedimento presupposto. Il che rende incerto se  la  legificazione
si riferisca al solo atto presupposto o  anche  a  quelli  attuativi,
dubbio  accentuato  dal  fatto  che   l'atto   «approvato»   non   e'
contraddistinto  da  alcun  estremo  identificativo,  ne'   tantomeno
risulta pubblicato in Gazzetta Ufficiale. 
    Il che rende dubbia la normativa anche in rapporto agli artt.  72
e 73, u.c., Cost. 
    Sotto questo secondo profilo, deve ritenersi che il  conferimento
di forza e valore di legge ad un atto  amministrativo  ne  impone  la
pubblicazione, in modo da offrire all'interprete gli elementi  idonei
ad individuarne la portata normativa. 
    D'altra parte l'esigenza di certezza del diritto  impone  che  la
formulazione del testo legislativo risponda a criteri di  univocita',
chiarezza e  semplicita'  del  dato  normativo,  che  ad  avviso  del
collegio deve ritenersi  sottesa  all'art.  72,  1°  comma,  che  nel
prevedere l'approvazione articolo  per  articolo  della  proposta  di
legge  presuppone  che  emerga  ben  chiaro  il  contenuto  normativo
dell'atto. 
    6. - Essendo quindi rilevante e non manifestamente  infondata  in
relazione agli artt. 3, 24, 72, 73, 103, 113,  117  e  120  Cost.  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 4, lett.
c), primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito
con legge 15 luglio 2011, n. 111, il giudizio va sospeso e  gli  atti
trasmessi alla Corte costituzionale.