IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente sentenza sul ricorso numero di registro generale 946 del 2012, proposto dalla Societa' il Bagatto Sas di Valiani Alessandro & C, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Paolo Mazzoli, presso il cui studio' e' elettivamente domiciliato in Roma, viale Parioli n. 44, contro: il Ministero dell'Economia e delle Finanze - Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato e il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con la quale sono domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi n. 12; sul ricorso numero di registro generale 6509 del 2012, proposto dalla. societa' il Bagatto Sas di Valiani Alessandro & C, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Paolo Mazzoli, presso il cui studio e' elettivamente domiciliato in Roma, viale Parioli n. 44, contro: il Ministero dell'Economia e delle Finanze - Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato e il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con la quale sono domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi n. 12; A.S.S.I., in persona del suo legale rappresentante pro tempore; per l'annullamento: quanto al ricorso n. 946 del 2012, della determinazione dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato prot. n. 2011/51060/Giochi/SCO/ Conc. 1019 in data 23 dicembre 2011, con la quale e' stato richiesto alla societa' ricorrente il pagamento della somma di euro 68.683,74, a titolo di integrazione dovuta fino al raggiungimento del minimo annuo garantito di cui al decreto interdirigenziale 10 ottobre 2003, per gli anni 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010, nonche' di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso; quanto al ricorso n. 6509 del 2012, della determinazione dirigenziale dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato prot. n. 2012/27171/Giochi/SCO/ Conc. 1019 in data 15 giugno 2012, con il quale e' stato richiesto alla societa' ricorrente il pagamento della somma di euro 81.094,21, a titolo di integrazione dei minimi annui garantiti relativi agli esercizi 2006, 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011, nonche' di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso; Visti i ricorsi ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e del Ministero dell'Economia e delle Finanze; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2012 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. Fatto 1. La societa' Il Bagatto - titolare (in forza di contratto di cessione di ramo di azienda stipulato con la societa' S.P.A.T.I. S.p.a.) della concessione c.d. "storica" per la raccolta di scommesse ippiche n. 1019 (ossia di una concessione rilasciata dal Ministero delle Finanze nel 1999) - con il ricorso n. 946/2012 in punto di fatto riferisce quanto segue: A) nell'anno 2006 il mercato del gioco e' stato rivoluzionato dall'apertura del canale della raccolta del gioco a distanza, sia per le scommesse su base ippica che per quelle sportive, perche' in forza del decreto legge n. 223/2006, convertito dalla legge n. 248/2006, sono stati indetti bandi di gara (c.d. "gare Bersani") per l'assegnazione di nuove concessioni, con conseguente aumento esponenziale dei concessionari della raccolta del gioco; B) la nuova disciplina ha significativamente inciso sul mercato, determinando una notevole diminuzione delle entrate per i concessionari storici, pur permanendo invariate le condizioni di cui alla convenzione di concessione dagli stessi sottoscritta; C) tale situazione ha indotto il legislatore a prevedere l'adozione delle c.d. misure di salvaguardia cui all'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto legge n. 223/2006; D) la mancata adozione di tali misure di salvaguardia ha inizialmente indotto l'Amministrazione dei Monopoli (di seguito A.A.M.S.) a sospendere il versamento delle somme relative all'integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2009, perche' il giudice amministrativo ( T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 9 luglio 2009, n. 6521; idem, 28 luglio 2009, n. 7641) ha ribadito, in piu' di un'occasione che i provvedimenti di riscossione delle somme dovute a titolo di minimi garantiti non possono essere adottati prima della definizione delle misure di salvaguardia; E) sebbene quadro normativo sia rimasto invariato, l'A.A.M.S. con l'impugnata determinazione dirigenziale in data 23 dicembre 2011 ha richiesto il versamento dei minimi garantiti dovuti per gli anni dal 2006 al 2010, motivando tale richiesta con la considerazione che «non e' possibile individuare, allo stato, misure di salvaguardia ulteriori rispetto a quelle gia' individuate secondo i criteri delle procedure selettive indette nel corso del 2006»; 2. Di tale provvedimento la societa' ricorrente chiede l'annullamento deducendo le seguenti censure: I) Violazione dell'art 7 e ss. della legge n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria. La presente censura e' incentrata sul fatto che il provvedimento impugnato non sia sto preceduto dalla comunicazione dell'avvio del procedimento. II) Violazione e falsa applicazione dell'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto legge n. 223/2006, convertito dalla legge n. 248/2006, nonche' dell'art. 1-bis, comma 6, del decreto legge n. 149/2008, convertito dalle legge n. 184/2008; eccesso di potere per difetto di istruttoria. La presente censura e' incentrata, da un lato, sul fatto che l'A.A.M.S. abbia omesso di individuare le misure di salvaguardia previste dall'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto legge n. 223/2006; dall'altro, sul fatto che le gia' minime garanzie (ossia vincolo delle distanze) previste dal decreto legge n. 223/2006 per i concessionari di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 169/1998 siano state eliminate dall'art. 1-bis, comma 6, del decreto legge n. 149/2008. In particolare, quanto al primo aspetto, la ricorrente deduce che dall'art. 38, comma 4, lettera D, del decreto legge n. 223/2006 si evince che al mutato assetto normativo connesso all'entrata in vigore del decreto legge n. 223/2006 consegue l'obbligo di definire le modalita' di salvaguardia dei concessionari storici, come dimostra il fatto che il T.A.R. del Lazio con la sentenza n. 8520/2011 abbia affermato l'inapplicabilita' del decreto interministeriale del 10 ottobre 2003, con il quale era stato stabilito (prima dell'entrata in vigore del decreto legge n. 223/2006) il metodo di calcolo dei minimi garantiti. Quanto poi al secondo aspetto, la ricorrente deduce che l'obbligo, per i nuovi concessionari che si aggiudicavano i diritti del cd. "bando Bersani", di ubicare i propri punti di vendita nel rispetto delle distanze (rispetto ai punti vendita preesistenti) previste dall'art. 38, comma 4, lettere f) e g), del decreto legge n. 223/2006, costituiva di fatto una garanzia previsto a tutela dei concessionari storici; tuttavia tale obbligo e' stato eliminato dall'art. 1-bis, comma 6, del decreto legge n. 149/2008 e, quindi, allo stato non sussistono vincoli in tema di distanze, ne' diverse forme di tutela per i concessionari storici; III) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, erroneita' nei presupposti, difetto di motivazione, illogicita' minifesta e lesione del principio del legittimo affidamento. La societa' ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato non e' stato preceduto da una adeguata istruttoria perche': A) le somme richieste sono state quantificate in base ai criteri individuati con il decreto interdirigenziale del 10 ottobre 2003, sebbene lo stesso sia stato dichiarato inapplicabile dal T.A.R. del Lazio con la predetta sentenza n. 8520/2011; B) la stessa Amministrazione riconosce nella motivazione che neppure a seguito della conferenza di servizi del 30 novembre 2011 e' stato possibile individuare le misure di salvaguardia; C) l'Amministrazione non ha tenuto conto degli. affidamenti ingenerati nei concessionari dall'art. 38, comma 4, lettera 1), del decreto legge n. 223/2006; IV) Violazione dell'art. 3, della legge n. 241/1990; eccesso di potere per contraddittorieta' ed apoditticita' della motivazione La presente censura riguarda la motivazione del provvedimento impugnato, nella parte in cui si afferma che «non e' possibile, allo stato, individuare misure di salvaguardia ulteriori rispetto a quelle gia' individuate secondo i criteri delle procedure selettive indette nel corso del 2006». In particolare, secondo la ricorrente, il ragionamento dell'AA.M.S. e' palesemente illogico perche' - pur partendo dalla duplice premessa che le richieste di versamento dei minimi garantiti sono state sospese per effetto di alcune sentenze del giudice amministrativo e che e' stato avviato il procedimento per l'individuazione di tali misure - si perviene comunque alla conclusione che, non essendo stato possibile individuare le misure di salvaguardia, i minimi garantiti devono essere comunque versati. 3. Questa Sezione, con l'ordinanza n. 1033 in data 22 marzo 2012, nelle more della conversione del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, ha accolto la domanda cautelare proposta con il ricorso n. 946/2012, evidenziando in motivazione che: A) analoghi provvedimenti sono stati annullati da questa Sezione, con sentenze passate in giudicato (T.A.R. Lazio; Sez. II Sezione, 28 luglio 2009 n. 7641; T.A.R. Lazio, Sez. II, 21 dicembre 2010 n. 37894 e, da ultimo, 13 gennaio 2011, n. 865), in ragione del condivisibile rilievo per cui i provvedimenti di riscossione di cui trattasi non avrebbero potuto essere adottati prima della definizione delle cd. misure di salvaguardia, di cui all'art. 38, comma 4, lett. l), del decreto legge n. 223/2006, convertito dalla legge n. 248/2006; B) non appare sufficiente a differenziare la fattispecie in esame la circostanza che nei provvedimenti impugnati l'Amministrazione affermi che: a) «in attuazione della sentenza del TAR Lazio n. 6520 in data 31 luglio 2009 e' stato avviato il procedimento per l'individuazione di possibili misure di salvaguardia, mediante provvedimento interministeriale, per il quale era necessario acquisire il preventivo avviso dei Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali»; b) «alla data del deposito della successiva sentenza del T.A.R. Lazio n. 7400 del 2011 il procedimento precedentemente avviato non era concluso e che, pertanto, in data 30 novembre 2011 si e' tenuta una conferenza di servizi con il Ministero delle politiche, agricole, alimentari e forestali»; c) «all'esito della predetta istruttoria, non e' possibile individuare, allo stato, misure di salvaguardia ulteriori rispetto a quelle gia' individuate secondo i criteri delle procedure selettive indette nel corso del 2006». Infatti, come evidenziato nel secondo motivo di ricorso, questa Sezione nella suddetta sentenza n. 7400 del 2011 ha affermato che l'art. 38, comma 4, lettera D, del decreto legge n. 223/2006, convertito dalla legge n. 248/2006 «ha imposto che l'Amministrazione si impegni ad adottare le misure in questione (dovendosi pertanto escludere che cio' costituisca una,sua facolta', esercitabile a discrezione)», sicche' la laconica motivazione dei provvedimenti impugnati non consente neppure di comprendere le effettive ragioni che hanno determinato la mancata adozione delle predette misure. 4. Nelle more della definizione del giudizio introdotto con il ricorso n. 946/2012: A) la legge 26 aprile 2012, n. 44, ha convertito il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, il quale all'art. 10, comma 5, dispone che, "al fine di perseguire maggiore efficienza ed economicita' dell'azione nei settori di competenza, il Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico - ASSI, procedono alla definizione, anche in via transattiva, sentiti i competenti organi, con abbandono di ogni controversia pendente, di tutti i rapporti controversi nelle correlate materie e secondo i criteri di seguito indicati: ... b) relativamente alle quote di prelievo di cui all'art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica 8 aprile 1998, n. 169 ed alle relative integrazioni, definizione, in via equitativa, di una riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora dovute dai concessionari di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 1998 con individuazione delle modalita' di versamento delle relative somme e adeguamento delle garanzie fideiussorie. Conseguentemente, all'art. 38, comma 4, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, la lettera l) e' soppressa»; B) sulla scorta del mutato quadro normativo, l'A.A.M.S. ha notificato alla societa' Il Bagatto la determinazione dirigenziale in data 15 giugno 2012, con la quale ha richiesto il versamento dei minimi garantiti dovuti per gli anni dal 2006 al 2011, applicando la riduzione equitativa prevista dall'art. 10, comma 5, decreto-legge n. 16/2012 ed evidenziando in motivazione che tale riduzione, da un lato, deve essere intesa come attuativa dell'obbligo di individuazione delle misure di salvaguardia e, dall'altro, ha comportato l'abrogazione espressa dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge n. 223/2006. 5. La societa' Il Bagatto con il ricorso n. 6509/2012 ha impugnato la suddetta determinazione dirigenziale in data 15 giugno 2012, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi: I) Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, in relazione agli articoli 3 e 97 Cost. La societa' ricorrente, dopo aver ricordato che le concessioni storiche sono state stipulate sulla base di una situazione di mercato ben diversa da quella determinatasi per effetto dell'aumento del numero dai concessionari e della conseguente esponenziale crescita della concorrenza nel mercato, evidenzia che attualmente le concessioni storiche, caratterizzate dall'applicazione del meccanismo dei minimi garantiti, coesistono con le nuove concessioni «caratterizzate da oneri decisamente meno gravosi e tali da rendere i titolari soggetti piu' agili rispetto alla attuale realta' economica». L'abrogazione delle misure di salvaguardia, disposta dall'art. 10, comma 5, decreto-legge n. 16/2012, introduce, quindi, un ulteriore ostacolo ed un ulteriore elemento di differenziazione tra i concessionari storici ed i nuovi concessionari, che pure si trovano ad operare nel medesimo segmento di mercato. Infatti «e' facilmente intuibile che la riscossione degli importi dovuti per i minimi garantiti portera' al collasso delle vecchie concessioni col conseguente fallimentare risultato di contrarre un settore gia' fortemente in crisi e che, paradossalmente, la riforma si proponeva di razionalizzare e rilanciare. Un equo intervento, ai sensi dell'art. 3, comma 2, della Costituzione avrebbe dovuto uguagliare i concessionari e sottoporli ad analoghe condizioni economiche in considerazione dell'uguaglianza della. loro posizione sul mercato»; II) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, erroneita', difetto nei presupposti, erroneita' nella motivazione, illogicita' manifesta; violazione degli artt. 1326 e 1965 e ss. del codice civile. La societa' ricorrente si duole del fatto che l'A.A.M.S. con il provvedimento impugnato abbia pedissequamente applicato la disposizione dell'art. 10, comma 5, decreto-legge n. 16/2012, senza considerare la natura transattiva del meccanismo introdotto dal legislatore, da cui discende la necessita' di attendere l'accettazione della proposta stessa, con conseguente inibizione della pretesa del pagamento finche' raccordo non e' concluso. Inoltre la societa' ricorrente si duole del fatto che l'A.A.M.S., nell'ingiungere il pagamento, abbia previsto la possibilita' di dilazionarlo in sei rate trimestrali, subordinandola pero' alla prestazione di una fideiussione pari all'importo del dovuto e, quindi, aggiungendo ulteriori oneri economici derivanti dalla stipula della fideiussione. 6. Questa Sezione, con l'ordinanza n. 3290 in data 13 settembre 2012, ha respinto la domanda cautelare proposta con il ricorso n. 6509/2012, evidenziando in motivazione «la natura non provvedimentale dell'atto impugnato... atteso che, in virtu' del chiaro dettato normativo che si pone a presupposto della comunicazione di AAMS, quest'ultima si sostanzia in una mera proposta transattiva rivolta al soggetto destinatario della stessa, senza che nessuna conseguenza pregiudizievole possa legalmente conseguire a cagione della eventuale non (tempestiva) accettazione di quanto in essa contenuto». 7. La Difesa erariale con memoria depositata in data 31 ottobre 2012 ha eccepito che la disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 non e' lesiva di interessi della societa' ricorrente, ne' limitativa della tutela giurisdizionale, perche' definisce la problematica in questione, stabilendo una misura economica delle somme dovute e non versate (che, in base alla giurisprudenza del giudice amministrativo, non potevano essere richieste prima della individuazione delle c.d. misure di salvaguardia) e abrogando la disposizione fonte delle ed. misure di salvaguardia, in linea con i principi enunciati nella sentenza della Corte di Giustizia del 16 febbraio 2012 medio tempore depositata. In particolare la Difesa erariale richiama il punto 57 della predetta sentenza della Corte di Giustizia, ove si afferma che il principio di parita' di trattamento impone che «tutti i potenziali offerenti dispongano di uguali opportunita', ed implica dunque che costoro siano assoggettati alle medesime condizioni. Cio' vale a maggior ragione in una situazione quale quella in esame nei procedimenti principali, in cui una violazione del diritto dell'Unione da parte dell'autorita' aggiudicatrice interessata ha gia' avuto come conseguenza una disparita' di trattamento in danno di alcuni operatori», ed il punto 59 della medesima sentenza., ove si afferma che il principio di parita' di trattamento impone che «ragioni di natura economica - come l'obiettivo di garantire agli operatori aggiudicatari di concessioni dopo la gara del 1999 la continuita', la stabilita' finanziaria o una giusta remunerazione degli investimenti realizzati - non possono essere riconosciute quali motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una restrizione di una liberta' fondamentale garantita dal Trattato (sentenza Commissione/Italia, cit., punto 35 e la giurisprudenza ivi citata, nonche' sentenza dell'11 marzo 2010, Attanasio Group, G-384/08, Racc. pag. I-2055, punti 53-56». 8. Alla pubblica udienza del 5 dicembre 2012 il ricorso e' stato chiamato e trattenuto per la decisione. Diritto 1. In via preliminare il Collegio ritiene che - stanti gli evidenti profili di connessione soggettiva ed oggettiva tra i due ricorsi in epigrafe indicati, aventi entrambi ad oggetto richieste di pagamento dei c.d. minimi garantiti inviate dall'A.A.M.S. alla societa' Il Bagatto - sussistano i presupposti per disporre la riunione degli stessi. 2. Sempre in via preliminare il Collegio ritiene che il ricorso n. 946/201.2 debba essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, alla luce delle seguenti considerazioni: A) la presente controversia rientra tra le "controversie pendenti" alle quali si riferisce la disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. - 16/2012; B) a prescindere da ogni considerazione in merito alla legittimita' costituzionale di tale disposizione, si deve ritenere che la stessa abbia imposto alle Amministrazioni interessate un vero e proprio obbligo di procedere alla definizione, anche in via transattiva, delle controversie relative all'integrazione dei c.d. minimi garantiti, attraverso la "definizione, in via equitativa, di una riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora dovute dai concessionari ... con individuazione delle modalita' di versamento delle relative somme e adeguamento delle garanzie fideiussorie"; C) stante quanto precede, si deve ritenere altresi' che l'insorgenza di tale obbligo abbia determinato l'inefficacia delle precedenti richieste di pagamento delle somme dovute a titolo di integrazione dei minimi garantiti, perche' la riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora dovute dai concessionari storici e' evidentemente prevista in connessione con l'abrogazione espressa della disposizione dell'art. 38, comma 4, la lettera l), del decreto-legge n. 223/2006, che prevedeva l'obbligo di individuare misure di salvaguardia per i predetti concessionari, ma che non ha mai avuto attuazione da parte delle Amministrazione interessate (come si evince dal verbale della conferenza di servizi del 30 novembre 2011). 2. Passando al ricorso n. 6509/2012 - avente ad oggetto la determinazione dirigenziale in data 15 giugno 2012 con la quale l'A.A.M.S. ha richiesto alla societa' Il Bagatto il pagamento delle somme dovute a titolo di integrazione dei minimi annui garantiti ricalcolate con una riduzione del 5% ai sensi della predetta disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 - il Collegio osserva che non puo' essere confermato in questa sede quanto affermato da questa Sezione, nella suddetta ordinanza cautelare n. 3290 in data 13 settembre 2012, in merito alla «natura non provvedimentale dell'atto impugnato». Infatti, come gia' evidenziato in precedenza, l'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 ha imposto all'Amministrazione l'obbligo di procedere alla definizione, anche in via transattiva, delle controversie relative all'integrazione dei c.d. minimi garantiti, attraverso la «definizione, in via equitativa, di una riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora dovute dai concessionari ... con individuazione delle modalita' di versamento delle relative somme e adeguamento delle garanzie fideiussorie". Inoltre, da un attento esame della determinazione dirigenziale in data 15 giugno 2012 si desume che l'A.A.M.S. ha ritenuto di dare applicazione a tale disposizione richiedendo nuovamente alla societa' ricorrente il pagamento delle somme dalla stessa dovute a titolo di minimi garantiti applicando nella misura massima (ossia nella misura del 5 per cento) la riduzione ivi prevista. Pertanto non puo' ritenersi che la predetta determinazione dirigenziale contenga una «mera proposta transattiva rivolta al soggetto destinatario della stessa», perche' a tale conclusione si sarebbe potuti pervenire solo se l'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 non avesse abrogato la disposizione dell'art. 38, comma 4, la lettera l), del decreto-legge n. 223/2006. Invece proprio dall'abrogazione dell'obbligo di prevedere apposite misure di salvaguardia per i concessionari storici e dalla contestuale previsione dell'obbligo di procedere alla definizione delle controversie relative all'integrazione dei c.d. minimi garantiti, mediante la possibilita' di applicare una riduzione (nella misura massima del 5 per cento) delle somme ancora dovute dai concessionari, si desume che la suddetta determinazione dirigenziale costituisce un nuovo provvedimento (sostitutivo di quello precedentemente adottato con la determinazione dirigenziale del 23 dicembre 2011) finalizzato al recupero delle somme ancora dovute. 3. Posta tale premessa, il Collegio ritiene necessario evidenziare che - secondo la condivisibile interpretazione fornita dall'A.A.M.S. nella motivazione del provvedimento impugnato - la riduzione equitativa prevista dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012, da un lato, deve essere intesa come attuativa dell'obbligo di individuazione delle misure di salvaguardia e, dall'altro, la comportato l'abrogazione espressa dell'articolo 38, comma 4, la lettera p, del decreto-legge n. 223/2006. In altri termini, il Collegio condivide la tesi (su cui si fonda la nuova richiesta di pagamento formulata dall'A.A.M.S.), secondo la quale - a fronte della mancata definizione in via amministrativa delle misure di salvaguardia previste dall'art. 38, comma 4, la lettera 1), del decreto-legge n. 223/2006 e delle numerose controversie insorte a seguito delle richieste di pagamento dei minimi garantiti formulate dall'A.A.M.S. all'inizio del 2012 nonostante la mancata definizione in via amministrativa delle predette misure di salvaguardia - il legislatore e' intervenuto con una legge-provvedimento (l'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012) destinata ad incidere sulle controversie-pendenti, abrogando il meccanismo di salvaguardia previsto dall'art. 38, comma 4, la lettera D, del decreto-legge n. 223/2006 sostituendolo con un diverso meccanismo, costituito essenzialmente da una riduzione, predeterminata per legge in misura non superiore al 5 per cento, delle somme ancora dovute dai concessionari a titolo di minimi garantiti. Ne consegue che risulta manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla societa' ricorrente - incentrata sulla disparita' trattamento, tra i concessionari storici (tenuti al pagamento dei minimi garantiti) ed i nuovi concessionari (non tenuti al pagamento dei minimi garantiti), derivante dall'abrogazione delle misure di salvaguardia, disposta dall'art. 10, comma 5, decreto-legge n. 16/2012 perche' in realta' il legislatore ha manifestato la volonta' di tener conto della peculiare posizione dei concessionari storici introducendo il diverso meccanismo costituito dalla riduzione, in misura non superiore al 5 per cento, delle somme ancora dovute a titolo di minimi garantiti. Cio' non toglie pero' che appaia rilevante e non manifestamente infondata la diversa questione di legittimita' costituzionale della disposizione dell'art. 10, comma 5, decreto-legge 16/2012 (per violazione degli articoli 3, 24, comma 1, 103, comma 1, e 113 della Costituzione) che il Collegio intende sollevare, d'ufficio, nei termini di seguito indicati. 4. Innanzi tutto, in punto di rilevanza della questione, occorre ribadire che l'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012, ha abrogato la disposizione dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge n. 223/2006, che aveva introdotto - in favore dei concessionari storici (ivi compresa la societa' ricorrente), in quanto tenuti al pagamento dei minimi garantiti - l'obbligo di definire in via amministrativa misure di salvaguardia volte a garantire l'equilibrio economico di tali soggetti ed ha previsto a tutela di costoro soltanto la possibilita' di ottenere una riduzione, peraltro non superiore al 5 per cento, delle somme ancora dovute a titolo di minimi garantiti. Infatti questa stessa Sezione nella sentenza n. 8520 in data 7 novembre 2011 (puntualmente richiamata dai ricorrenti) ha da ultimo ribadito che la disposizione dell'art. 38, comma 4, lett. l), della legge n. 223 del 2006 e' stata introdotta a garanzia dei concessionari storici, essendo l'obbligo di definire le modalita' di salvaguardia di tali soggetti finalizzato «a consentire il riequilibrio delle obbligazioni consacrate nelle concessioni per la raccolta di scommesse ippiche gia' rilasciate, in ragione del mutato assetto del mercato delle scommesse ippiche e della riconfigurazione dell'assetto distributivo territoriale dell'offerta di gioco, come ridisegnati dalla riforma introdotta dall'art. 38 del decreto legge «Bersani», che ha determinato l'apertura del mercato dei giochi pubblici e l'attivazione di .nuove concessioni secondo una diffusione capillare sul territorio e con piu' favorevoli condizioni di esercizio e di reddivita', ed ha evidenziato, nel contempo, come l'introduzione dell'obbligo di definire tali modalita' di salvaguardia rendesse «inapplicabile il contenuto del decreto interministeriale del 10 ottobre 2003 che aveva stabilito, sotto la vigenza della precedente normativa, il metodo di calcolo per individuare il c.d. minimo garantito». Risulta, quindi, evidente che, per effetto dell'abrogazione della disposizione dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge n. 223/2006, la ricorrente non puo' beneficiare delle modalita' di salvaguardia previste da tale disposizione. 6. Passando ora al profilo della non manifesta infondatezza della questione, il Collegio preliminarmente rammenta che (come rilevato da questa stessa Sezione nella recente ordinanza n. 685 in data 26 luglio 2012) la questione della compatibilita' costituzionale delle c.d. leggi-provvedimento (e cioe' di quegli atti formalmente legislativi che tengono luogo di provvedimenti amministrativi in quanto dispongono, in concreto, su casi e rapi; orti specifici) e' ormai definitivamente risolta dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e dei Giudici amministrativi con l'affermazione di principi ormai consolidati. In particolare: A) la Consulta ha riconosciuto l'ammissibilita' di tali atti normativi in base al rilievo dell'insussistenza di una "riserva di amministrazione", ossia evidenziando che la Costituzione non garantisce ai pubblici poteri l'esclusivita' delle pertinenti attribuzioni gestorie e non configura per il legislatore limiti diversi da quelli (formali) dell'osservanza del procedimento di fon-nazione delle leggi, omettendo di prescrivere il contenuto sostanziale ed i caratteri essenziali dei precetti legislativi (ex multis, sentenza n. 347 del 1995); B) una volta ammessa la compatibilita' delle leggi in sostituzione di provvedimento con il vigente assetto costituzionale, la prevalente giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 marzo 2012, n. 1349) ritiene che, a fronte di una legge-provvedimento, i diritti di difesa del soggetto leso non vengano ablati, ma si trasferiscano dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale. Il corollario di tale ricostruzione dogmatica dell'assetto della tutela delle posizioni incise dalla legge-provvedimento e', dunque, la valorizzazione della pregnanza del sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge, sino a renderlo anche piu' incisivo di quello giurisdizionale sull'eccesso di potere, e cio' in modo da riconoscere al privato, seppur nella forma indiretta della rimessione della questione alla Consulta parte del giudice amministrativo, una forma di protezione ed un'occasione di difesa pari a quella offerta dal sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi; C) con particolare riferimento al rapporto tra la legge-provvedimento di approvazione di un provvedimento amministrativo gia' adottato e la pendenza di un procedimento giurisdizionale avente ad oggetto tale provvedimento, merita di essere condivisa la tesi (T.A.R. Puglia Bari, Sez. I, 19 aprile 2006, n. 1362) secondo la quale: a) la mera pendenza di un ricorso non impedisce l'approvazione della legge-provvedimento, in quanto, diversamente opinando, si finirebbe con l'ammettere un unlus delle prerogative delle assemblee legislative, mediante l'introduzione di un inammissibile nuovo limite, non codificato, all'esercizio della relativa funzione; b) solo la. formazione del giudicato puo' paralizzare un intervento legislativo contrastante con il dictum giurisdizionale, in modo da evitare (in coerenza con l'assetto dei poteri delineato dalla Costituzione) l'irrimediabile sacrificio delle garanzie di tutela giurisdizione; c) la pendenza di un ricorso avente ad oggetto proprio il provvedimento amministrativo da approvare con la legge non si rivela, comunque, del tutto indifferente ai fini del corretto esercizio della funzione legislativa, proprio perche' l'eventuale e comprovata esclusiva finalizzazione della legge alla sottrazione dell'oggetto del sindacato giurisdizionale (ed alla conseguente privazione della stessa possibilita' di tutela giurisdizionale per l'interessato) costituirebbe un indice sintomatico dell'irragionevolezza della legge-provvedimento. 7. Tenuto conto di quanto precede, nonche' del fatto che - secondo quanto affermato non solo da questa stessa Sezione nella gia' richiamata sentenza n. 8520 in data 7 novembre 2011 e nelle ulteriori sentenze invocate dalle parti ricorrenti (ex multis, sentenze n. 6520 in data 7 luglio 2009 e n. 7632 in data 28 luglio 2009), ma anche dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato (ordinanza 31 agosto 2011, n. 3849) - i provvedimenti di riscossione di somme per il raggiungimento dei minimi garantiti richiedevano la previa definizione delle c.d. misure di salvaguardia di cui all'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223/2006, il Collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 - per contrasto con il principio di ragionevolezza, desumibile dall'art. 3 della Costituzione (ex multis, Corte Cost. 9 marzo 2012, n. 53), e con i principi costituzionali in materia di tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti dell'Amministrazione, sanciti dagli articoli 24, comma 1, 103, comma 1, e 113 della Costituzione - alla luce delle seguenti considerazioni: A) la disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 appare illogica ed irrazionale, perche' il Legislatore - nel sostituire ad un meccanismo flessibile, come quello indicato dall'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223/2006 (che affidava all'Amministrazione il compito di individuare le concrete misure di salvaguardia per i concessionari storici, senza fissare tetti massimi, ma dando per scontata l'esigenza di parametrare le misure di salvaguardia all'andamento del mercato delle scommesse, in modo da impedire che il pagamento dei minimi garantiti, in presenza di una maggiore concorrenza nel mercato, dovuta all'ingresso di nuovi concessionari, potesse pregiudicare l'equilibrio economico dei concessionari storici) con un meccanismo che consente solo una riduzione forfettaria, fino ad un massimo del 5%, dei minimi garantiti dovuti in base "vecchio" decreto interministeriale del 10 ottobre 2003 - ha agito al (dichiarato) fine di perseguire maggiore efficienza ed economicita' dell'azione amministrativa mediante la definizione stragiudiziale di ogni controversia pendente, ma non ha considerato che la predetta riduzione forfettaria non appare adeguata per garantire l'equilibrio economico dei concessionari storici. Infatti al «mutato assetto del mercato delle scommesse ippiche e della riconfigurazione dell'assetto distributivo territoriale dell'offerta di gioco, come ridisegnati dalla riforma introdotta dall'art. 38 del decreto legge "Bersani" che ha determinato l'apertura del mercato dei giochi pubblici e l'attivazione di nuove concessioni secondo una diffusione capillare sul territorio e con piu' favorevoli condizioni di esercizio e di reddivita'» (evidenziato nella gia' richiamata sentenza n. 8520 in data 7 novembre 2011), si sono aggiunti gli effetti del «mercato parallelo» gestito dai c.d. CTD (centri trasmissione dati), ossia gli effetti della presenza nel mercato italiano delle sommesse di operatori economici di altri stati membri che agiscono attraverso i predetti CTD, in assenza di concessione, nell'esercizio delle liberta' di stabilimento e prestazione dei servizi transfrontalieri, garantite dagli articoli 49 e ss. e 29 e ss. TFUE (si veda al riguardo la sentenza della Corte di Giustizia Costa-Cifone del 16 febbraio 2012, emessa nelle cause riunite G-72/10 e G-77/10); B) la disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 appare effettivamente finalizzata al solo scopo di sottrarre il provvedimento dell'AAM.S. impugnato con il ricorso n. 946 del 2012 (gia' sospeso da questo Tribunale) al sindacato giurisdizionale (e, quindi, a vanificare il diritto alla tutela giurisdizionale delle parti ricorrenti), perche' - a fronte di quanto affermato non solo da questa stessa Sezione, ma anche dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato nelle pronunce innanzi citate - il legislatore e' intervenuto introducendo una nuova disciplina che non consente oramai alcuna forma di sindacato giurisdizionale sulla mancata adozione, da parte dell'Amministrazione competente, delle misure di salvaguardia previste dall'articolo 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223/2006. Ne consegue che la predetta disposizione vanifica il diritto dei concessionari storici di agire in giudizio per tutelare il proprio equilibrio economico a fronte del mutato assetto del mercato delle scommesse;