IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha  pronunciato  la  presente  sentenza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 946 del 2012, proposto dalla  Societa'  il  Bagatto
Sas di Valiani Alessandro & C, in persona del  legale  rappresentante
pro tempore, rappresentato  e  difeso  dall'avvocato  Paolo  Mazzoli,
presso il cui studio' e' elettivamente  domiciliato  in  Roma,  viale
Parioli n. 44, contro: 
        il Ministero dell'Economia e delle Finanze -  Amministrazione
Autonoma Monopoli di Stato e il Ministero  delle  Politiche  Agricole
Alimentari   e   Forestali   in   persona   dei   rispettivi   legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura
Generale dello Stato, con la quale  sono  domiciliati  per  legge  in
Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    sul ricorso numero di registro generale 6509 del  2012,  proposto
dalla. societa' il Bagatto Sas di Valiani Alessandro & C, in  persona
del  rappresentante  legale  pro  tempore,  rappresentato  e   difeso
dall'avvocato Paolo Mazzoli, presso il cui  studio  e'  elettivamente
domiciliato in Roma, viale Parioli n. 44, contro: 
        il Ministero dell'Economia e delle Finanze -  Amministrazione
Autonoma Monopoli di Stato e il Ministero  delle  Politiche  Agricole
Alimentari   e   Forestali   in   persona   dei   rispettivi   legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura
Generale dello Stato, con la quale  sono  domiciliati  per  legge  in
Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
        A.S.S.I.,  in  persona  del  suo  legale  rappresentante  pro
tempore; 
    per l'annullamento: 
        quanto al ricorso  n.  946  del  2012,  della  determinazione
dell'Amministrazione  Autonoma  dei  Monopoli  di  Stato   prot.   n.
2011/51060/Giochi/SCO/ Conc. 1019 in data 23 dicembre  2011,  con  la
quale e' stato richiesto alla societa' ricorrente il pagamento  della
somma di euro 68.683,74, a titolo  di  integrazione  dovuta  fino  al
raggiungimento  del  minimo  annuo  garantito  di  cui   al   decreto
interdirigenziale 10 ottobre 2003, per gli  anni  2006,  2007,  2008,
2009 e 2010, nonche' di ogni altro atto  presupposto,  conseguente  o
comunque connesso; 
        quanto al ricorso n.  6509  del  2012,  della  determinazione
dirigenziale dell'Amministrazione  Autonoma  dei  Monopoli  di  Stato
prot. n. 2012/27171/Giochi/SCO/ Conc. 1019 in data  15  giugno  2012,
con il quale e' stato richiesto alla societa' ricorrente il pagamento
della somma di euro 81.094,21, a titolo di  integrazione  dei  minimi
annui garantiti relativi agli esercizi 2006, 2007, 2008, 2009, 2010 e
2011, nonche' di ogni altro atto presupposto, conseguente o  comunque
connesso; 
    Visti i ricorsi ed i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  del  Ministero  delle
Politiche  Agricole  Alimentari   e   Forestali   e   del   Ministero
dell'Economia e delle Finanze; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  5  dicembre  2012  il
dott.  Carlo  Polidori  e  uditi  per  le  parti  i  difensori   come
specificato nel verbale; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    1. La societa' Il Bagatto - titolare (in forza  di  contratto  di
cessione di ramo di azienda  stipulato  con  la  societa'  S.P.A.T.I.
S.p.a.) della concessione c.d. "storica" per la raccolta di scommesse
ippiche n. 1019 (ossia di una concessione  rilasciata  dal  Ministero
delle Finanze nel 1999) - con il ricorso  n.  946/2012  in  punto  di
fatto riferisce quanto segue: 
        A) nell'anno 2006 il mercato del gioco e' stato rivoluzionato
dall'apertura del canale della raccolta del gioco a distanza, sia per
le scommesse su base ippica che per quelle sportive, perche' in forza
del decreto legge n. 223/2006, convertito dalla  legge  n.  248/2006,
sono  stati  indetti  bandi  di  gara  (c.d.  "gare   Bersani")   per
l'assegnazione  di  nuove  concessioni,   con   conseguente   aumento
esponenziale dei concessionari della raccolta del gioco; 
        B) la  nuova  disciplina  ha  significativamente  inciso  sul
mercato, determinando una notevole diminuzione delle  entrate  per  i
concessionari storici, pur permanendo invariate le condizioni di  cui
alla convenzione di concessione dagli stessi sottoscritta; 
        C) tale situazione ha  indotto  il  legislatore  a  prevedere
l'adozione delle c.d. misure di salvaguardia cui all'art.  38,  comma
4, lettera l), del decreto legge n. 223/2006; 
        D) la mancata adozione di  tali  misure  di  salvaguardia  ha
inizialmente  indotto  l'Amministrazione  dei  Monopoli  (di  seguito
A.A.M.S.)  a  sospendere   il   versamento   delle   somme   relative
all'integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal 2006 al  2009,
perche' il giudice amministrativo ( T.A.R. Lazio  Roma,  Sez.  II,  9
luglio 2009, n. 6521; idem, 28 luglio 2009, n. 7641) ha ribadito,  in
piu' di un'occasione che i provvedimenti di riscossione  delle  somme
dovute a titolo di minimi garantiti non possono essere adottati prima
della definizione delle misure di salvaguardia; 
        E) sebbene quadro normativo sia rimasto invariato, l'A.A.M.S.
con l'impugnata determinazione dirigenziale in data 23 dicembre  2011
ha richiesto il versamento dei minimi garantiti dovuti per  gli  anni
dal 2006 al 2010, motivando tale richiesta con la considerazione  che
«non e' possibile individuare, allo  stato,  misure  di  salvaguardia
ulteriori rispetto a quelle gia' individuate secondo i criteri  delle
procedure selettive indette nel corso del 2006»; 
    2.  Di  tale  provvedimento   la   societa'   ricorrente   chiede
l'annullamento deducendo le seguenti censure: 
    I) Violazione dell'art 7 e ss. della legge n.  241/1990;  eccesso
di  potere  per  difetto  di  istruttoria.  La  presente  censura  e'
incentrata sul fatto che  il  provvedimento  impugnato  non  sia  sto
preceduto dalla comunicazione dell'avvio del procedimento. 
    II) Violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.  38,  comma  4,
lettera l), del decreto legge n. 223/2006, convertito dalla legge  n.
248/2006, nonche' dell'art. 1-bis, comma  6,  del  decreto  legge  n.
149/2008, convertito dalle legge n. 184/2008; eccesso di  potere  per
difetto di istruttoria. La presente  censura  e'  incentrata,  da  un
lato, sul fatto che l'A.A.M.S. abbia omesso di individuare le  misure
di salvaguardia previste dall'art.  38,  comma  4,  lettera  l),  del
decreto legge n. 223/2006; dall'altro, sul fatto che le  gia'  minime
garanzie (ossia vincolo delle distanze) previste dal decreto legge n.
223/2006 per i concessionari di cui al decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 169/1998 siano state eliminate dall'art.  1-bis,  comma
6, del decreto legge n. 149/2008. In  particolare,  quanto  al  primo
aspetto, la ricorrente deduce che dall'art. 38, comma 4,  lettera  D,
del decreto legge  n.  223/2006  si  evince  che  al  mutato  assetto
normativo  connesso  all'entrata  in  vigore  del  decreto  legge  n.
223/2006 consegue l'obbligo di definire le modalita' di  salvaguardia
dei concessionari storici, come dimostra il fatto che il  T.A.R.  del
Lazio con la sentenza n. 8520/2011 abbia affermato l'inapplicabilita'
del decreto interministeriale del 10 ottobre 2003, con il  quale  era
stato stabilito (prima dell'entrata in vigore del  decreto  legge  n.
223/2006) il metodo di calcolo dei minimi garantiti.  Quanto  poi  al
secondo aspetto, la ricorrente deduce  che  l'obbligo,  per  i  nuovi
concessionari che si aggiudicavano i diritti del cd. "bando Bersani",
di ubicare i propri punti di  vendita  nel  rispetto  delle  distanze
(rispetto ai punti vendita preesistenti) previste dall'art. 38, comma
4, lettere f) e g), del decreto  legge  n.  223/2006,  costituiva  di
fatto una garanzia  previsto  a  tutela  dei  concessionari  storici;
tuttavia tale obbligo e' stato eliminato dall'art.  1-bis,  comma  6,
del decreto legge n. 149/2008 e, quindi, allo  stato  non  sussistono
vincoli in tema di distanze,  ne'  diverse  forme  di  tutela  per  i
concessionari storici; 
    III) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, erroneita' nei
presupposti, difetto di motivazione, illogicita' minifesta e  lesione
del principio del legittimo affidamento. 
    La societa' ricorrente sostiene che  il  provvedimento  impugnato
non e' stato preceduto da una adeguata istruttoria perche': 
        A) le somme richieste sono  state  quantificate  in  base  ai
criteri individuati con il decreto interdirigenziale del  10  ottobre
2003, sebbene lo stesso sia stato dichiarato inapplicabile dal T.A.R.
del Lazio con la predetta sentenza n. 8520/2011; 
        B) la stessa Amministrazione riconosce nella motivazione  che
neppure a seguito della conferenza di servizi del 30 novembre 2011 e'
stato possibile individuare le misure di salvaguardia; 
        C) l'Amministrazione non ha tenuto conto  degli.  affidamenti
ingenerati nei concessionari dall'art. 38, comma 4, lettera  1),  del
decreto legge n. 223/2006; 
    IV) Violazione dell'art. 3, della legge n. 241/1990;  eccesso  di
potere per contraddittorieta' ed apoditticita' della  motivazione  La
presente censura riguarda la motivazione del provvedimento impugnato,
nella parte in cui si afferma che  «non  e'  possibile,  allo  stato,
individuare misure di salvaguardia ulteriori rispetto a  quelle  gia'
individuate secondo i criteri delle procedure selettive  indette  nel
corso  del  2006».  In  particolare,  secondo   la   ricorrente,   il
ragionamento dell'AA.M.S.  e'  palesemente  illogico  perche'  -  pur
partendo dalla duplice premessa che le richieste  di  versamento  dei
minimi garantiti sono state sospese per effetto  di  alcune  sentenze
del giudice amministrativo e che e' stato avviato il procedimento per
l'individuazione  di  tali  misure  -  si  perviene   comunque   alla
conclusione che, non essendo stato possibile individuare le misure di
salvaguardia, i minimi garantiti devono essere comunque versati. 
    3. Questa Sezione, con l'ordinanza n. 1033 in data 22 marzo 2012,
nelle more della conversione del decreto legge 2 marzo 2012,  n.  16,
ha accolto la domanda cautelare proposta con il ricorso n.  946/2012,
evidenziando in motivazione che: A) analoghi provvedimenti sono stati
annullati da  questa  Sezione,  con  sentenze  passate  in  giudicato
(T.A.R. Lazio; Sez. II Sezione, 28 luglio 2009 n. 7641; T.A.R. Lazio,
Sez. II, 21 dicembre 2010 n. 37894 e, da ultimo, 13 gennaio 2011,  n.
865), in ragione del condivisibile rilievo per cui i provvedimenti di
riscossione di cui trattasi  non  avrebbero  potuto  essere  adottati
prima della definizione delle cd.  misure  di  salvaguardia,  di  cui
all'art. 38, comma 4,  lett.  l),  del  decreto  legge  n.  223/2006,
convertito dalla legge n.  248/2006;  B)  non  appare  sufficiente  a
differenziare  la  fattispecie  in  esame  la  circostanza  che   nei
provvedimenti  impugnati  l'Amministrazione  affermi  che:   a)   «in
attuazione della sentenza del TAR Lazio n. 6520  in  data  31  luglio
2009  e'  stato  avviato  il  procedimento  per  l'individuazione  di
possibili   misure   di    salvaguardia,    mediante    provvedimento
interministeriale,  per  il  quale  era   necessario   acquisire   il
preventivo avviso dei Ministero delle politiche agricole,  alimentari
e forestali»; b) «alla data del deposito  della  successiva  sentenza
del T.A.R. Lazio n. 7400 del  2011  il  procedimento  precedentemente
avviato non era concluso e che, pertanto, in data 30 novembre 2011 si
e' tenuta una conferenza di servizi con il Ministero delle politiche,
agricole, alimentari  e  forestali»;  c)  «all'esito  della  predetta
istruttoria, non e' possibile  individuare,  allo  stato,  misure  di
salvaguardia ulteriori rispetto a quelle gia' individuate  secondo  i
criteri delle  procedure  selettive  indette  nel  corso  del  2006».
Infatti, come evidenziato  nel  secondo  motivo  di  ricorso,  questa
Sezione nella suddetta sentenza n. 7400 del  2011  ha  affermato  che
l'art. 38, comma  4,  lettera  D,  del  decreto  legge  n.  223/2006,
convertito dalla legge n. 248/2006 «ha imposto che  l'Amministrazione
si impegni ad adottare le misure  in  questione  (dovendosi  pertanto
escludere che  cio'  costituisca  una,sua  facolta',  esercitabile  a
discrezione)», sicche'  la  laconica  motivazione  dei  provvedimenti
impugnati non consente neppure di comprendere  le  effettive  ragioni
che hanno determinato la mancata adozione delle predette misure. 
    4. Nelle more della definizione del giudizio  introdotto  con  il
ricorso n. 946/2012: A) la legge 26 aprile 2012, n. 44, ha convertito
il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, il quale all'art. 10, comma  5,
dispone  che,  "al  fine  di  perseguire   maggiore   efficienza   ed
economicita' dell'azione nei  settori  di  competenza,  il  Ministero
dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli
di  Stato,  il  Ministero  delle  politiche  agricole  alimentari   e
forestali e l'Agenzia per lo sviluppo  del  settore  ippico  -  ASSI,
procedono alla definizione,  anche  in  via  transattiva,  sentiti  i
competenti organi, con abbandono di ogni  controversia  pendente,  di
tutti i rapporti controversi nelle  correlate  materie  e  secondo  i
criteri di seguito indicati:  ...  b)  relativamente  alle  quote  di
prelievo  di  cui  all'art.  12  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 8 aprile 1998,  n.  169  ed  alle  relative  integrazioni,
definizione, in via equitativa, di una riduzione non superiore  al  5
per cento delle somme ancora  dovute  dai  concessionari  di  cui  al
citato decreto del Presidente della Repubblica n. 169  del  1998  con
individuazione delle modalita' di versamento delle relative  somme  e
adeguamento delle garanzie fideiussorie.  Conseguentemente,  all'art.
38, comma 4, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, la  lettera  l)  e'
soppressa»; B) sulla scorta del mutato quadro  normativo,  l'A.A.M.S.
ha notificato alla societa' Il Bagatto la determinazione dirigenziale
in data 15 giugno 2012, con la quale ha richiesto il  versamento  dei
minimi garantiti dovuti per gli anni dal 2006 al 2011, applicando  la
riduzione equitativa prevista dall'art. 10, comma 5, decreto-legge n.
16/2012 ed evidenziando in motivazione  che  tale  riduzione,  da  un
lato,   deve   essere   intesa   come   attuativa   dell'obbligo   di
individuazione  delle  misure  di  salvaguardia  e,  dall'altro,   ha
comportato  l'abrogazione  espressa  dell'art.  38,  comma   4,   del
decreto-legge n. 223/2006. 
    5. La  societa'  Il  Bagatto  con  il  ricorso  n.  6509/2012  ha
impugnato la suddetta determinazione dirigenziale in data  15  giugno
2012, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi: 
        I) Questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10,
comma 5, del decreto-legge 2 marzo  2012,  n.  16,  convertito  dalla
legge 26 aprile 2012, n. 44, in relazione agli articoli 3 e 97  Cost.
La societa'  ricorrente,  dopo  aver  ricordato  che  le  concessioni
storiche sono state stipulate sulla base di una situazione di mercato
ben diversa da quella  determinatasi  per  effetto  dell'aumento  del
numero dai concessionari e della  conseguente  esponenziale  crescita
della  concorrenza  nel  mercato,  evidenzia   che   attualmente   le
concessioni storiche, caratterizzate dall'applicazione del meccanismo
dei  minimi  garantiti,   coesistono   con   le   nuove   concessioni
«caratterizzate da oneri decisamente meno gravosi e tali da rendere i
titolari  soggetti  piu'  agili   rispetto   alla   attuale   realta'
economica». L'abrogazione  delle  misure  di  salvaguardia,  disposta
dall'art. 10, comma 5, decreto-legge n. 16/2012,  introduce,  quindi,
un ulteriore ostacolo ed un ulteriore  elemento  di  differenziazione
tra i concessionari storici ed i nuovi  concessionari,  che  pure  si
trovano ad operare nel medesimo  segmento  di  mercato.  Infatti  «e'
facilmente intuibile che la riscossione degli importi  dovuti  per  i
minimi garantiti portera' al collasso delle vecchie  concessioni  col
conseguente fallimentare  risultato  di  contrarre  un  settore  gia'
fortemente in crisi e che, paradossalmente, la riforma  si  proponeva
di  razionalizzare  e  rilanciare.  Un  equo  intervento,  ai   sensi
dell'art. 3, comma 2, della Costituzione avrebbe dovuto uguagliare  i
concessionari e  sottoporli  ad  analoghe  condizioni  economiche  in
considerazione dell'uguaglianza della. loro posizione sul mercato»; 
        II) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, erroneita',
difetto nei presupposti, erroneita'  nella  motivazione,  illogicita'
manifesta; violazione degli artt.  1326  e  1965  e  ss.  del  codice
civile. La societa' ricorrente si duole del fatto che l'A.A.M.S.  con
il  provvedimento  impugnato  abbia  pedissequamente   applicato   la
disposizione dell'art. 10, comma 5, decreto-legge n.  16/2012,  senza
considerare la  natura  transattiva  del  meccanismo  introdotto  dal
legislatore,   da   cui   discende   la   necessita'   di   attendere
l'accettazione della  proposta  stessa,  con  conseguente  inibizione
della pretesa del pagamento finche' raccordo non e' concluso. Inoltre
la  societa'  ricorrente  si  duole   del   fatto   che   l'A.A.M.S.,
nell'ingiungere il  pagamento,  abbia  previsto  la  possibilita'  di
dilazionarlo in  sei  rate  trimestrali,  subordinandola  pero'  alla
prestazione di  una  fideiussione  pari  all'importo  del  dovuto  e,
quindi, aggiungendo ulteriori oneri economici derivanti dalla stipula
della fideiussione. 
    6. Questa Sezione, con l'ordinanza n. 3290 in data  13  settembre
2012, ha respinto la domanda cautelare proposta  con  il  ricorso  n.
6509/2012, evidenziando in motivazione «la natura non provvedimentale
dell'atto impugnato... atteso  che,  in  virtu'  del  chiaro  dettato
normativo che si pone a  presupposto  della  comunicazione  di  AAMS,
quest'ultima si sostanzia in una mera proposta transattiva rivolta al
soggetto destinatario della stessa,  senza  che  nessuna  conseguenza
pregiudizievole possa legalmente conseguire a cagione della eventuale
non (tempestiva) accettazione di quanto in essa contenuto». 
    7. La Difesa erariale con memoria depositata in data  31  ottobre
2012 ha eccepito che la  disposizione  dell'art.  10,  comma  5,  del
decreto-legge n. 16/2012 non e' lesiva di  interessi  della  societa'
ricorrente, ne'  limitativa  della  tutela  giurisdizionale,  perche'
definisce  la  problematica  in  questione,  stabilendo  una   misura
economica delle somme  dovute  e  non  versate  (che,  in  base  alla
giurisprudenza  del  giudice  amministrativo,  non  potevano   essere
richieste  prima  della   individuazione   delle   c.d.   misure   di
salvaguardia) e abrogando la disposizione fonte delle ed.  misure  di
salvaguardia, in linea con i principi enunciati nella sentenza  della
Corte di Giustizia del 16 febbraio 2012 medio tempore depositata.  In
particolare la Difesa erariale richiama il punto  57  della  predetta
sentenza della Corte di Giustizia, ove si afferma che il principio di
parita' di trattamento  impone  che  «tutti  i  potenziali  offerenti
dispongano di uguali opportunita',  ed  implica  dunque  che  costoro
siano assoggettati alle medesime  condizioni.  Cio'  vale  a  maggior
ragione in una situazione quale  quella  in  esame  nei  procedimenti
principali, in cui una violazione del diritto  dell'Unione  da  parte
dell'autorita'  aggiudicatrice  interessata  ha   gia'   avuto   come
conseguenza  una  disparita'  di  trattamento  in  danno  di   alcuni
operatori», ed il punto 59 della medesima sentenza., ove  si  afferma
che il principio di parita' di trattamento  impone  che  «ragioni  di
natura economica -  come  l'obiettivo  di  garantire  agli  operatori
aggiudicatari di concessioni dopo la gara del 1999 la continuita', la
stabilita' finanziaria o una giusta remunerazione degli  investimenti
realizzati - non possono essere riconosciute quali motivi  imperativi
di interesse generale idonei a giustificare una  restrizione  di  una
liberta'    fondamentale    garantita    dal    Trattato    (sentenza
Commissione/Italia, cit., punto 35 e la  giurisprudenza  ivi  citata,
nonche' sentenza dell'11 marzo 2010, Attanasio Group, G-384/08, Racc.
pag. I-2055, punti 53-56». 
    8. Alla pubblica udienza del 5 dicembre 2012 il ricorso e'  stato
chiamato e trattenuto per la decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. In via preliminare  il  Collegio  ritiene  che  -  stanti  gli
evidenti profili di connessione soggettiva ed  oggettiva  tra  i  due
ricorsi in epigrafe indicati, aventi entrambi ad oggetto richieste di
pagamento  dei  c.d.  minimi  garantiti  inviate  dall'A.A.M.S.  alla
societa' Il Bagatto  -  sussistano  i  presupposti  per  disporre  la
riunione degli stessi. 
    2. Sempre in via preliminare il Collegio ritiene che  il  ricorso
n. 946/201.2 debba essere dichiarato improcedibile, per  sopravvenuta
carenza di interesse, alla luce delle seguenti considerazioni: 
        A) la presente  controversia  rientra  tra  le  "controversie
pendenti" alle quali si riferisce la disposizione dell'art. 10, comma
5, del decreto-legge n. - 16/2012; 
        B) a  prescindere  da  ogni  considerazione  in  merito  alla
legittimita' costituzionale di tale disposizione,  si  deve  ritenere
che la stessa abbia imposto alle Amministrazioni interessate un  vero
e proprio  obbligo  di  procedere  alla  definizione,  anche  in  via
transattiva, delle controversie relative  all'integrazione  dei  c.d.
minimi garantiti, attraverso la "definizione, in via  equitativa,  di
una riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora  dovute
dai  concessionari  ...  con  individuazione   delle   modalita'   di
versamento  delle  relative  somme  e  adeguamento   delle   garanzie
fideiussorie"; 
        C) stante quanto  precede,  si  deve  ritenere  altresi'  che
l'insorgenza di tale obbligo abbia  determinato  l'inefficacia  delle
precedenti richieste di pagamento delle  somme  dovute  a  titolo  di
integrazione dei minimi garantiti, perche' la riduzione non superiore
al 5 per cento delle somme ancora dovute dai concessionari storici e'
evidentemente prevista  in  connessione  con  l'abrogazione  espressa
della  disposizione  dell'art.  38,  comma  4,  la  lettera  l),  del
decreto-legge n. 223/2006, che  prevedeva  l'obbligo  di  individuare
misure di salvaguardia per i predetti concessionari, ma  che  non  ha
mai avuto attuazione da parte delle Amministrazione interessate (come
si evince dal verbale della conferenza di  servizi  del  30  novembre
2011). 
    2. Passando al ricorso  n.  6509/2012  -  avente  ad  oggetto  la
determinazione dirigenziale in data  15  giugno  2012  con  la  quale
l'A.A.M.S. ha richiesto alla societa' Il Bagatto il  pagamento  delle
somme dovute a titolo di  integrazione  dei  minimi  annui  garantiti
ricalcolate  con  una  riduzione  del  5%  ai  sensi  della  predetta
disposizione dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012 - il
Collegio osserva che non puo' essere confermato in questa sede quanto
affermato da questa Sezione, nella suddetta  ordinanza  cautelare  n.
3290  in  data  13  settembre  2012,  in  merito  alla  «natura   non
provvedimentale dell'atto impugnato». Infatti, come gia'  evidenziato
in precedenza, l'art. 10, comma 5, del decreto-legge  n.  16/2012  ha
imposto all'Amministrazione l'obbligo di procedere alla  definizione,
anche   in   via    transattiva,    delle    controversie    relative
all'integrazione   dei   c.d.   minimi   garantiti,   attraverso   la
«definizione, in via equitativa, di una riduzione non superiore al  5
per cento  delle  somme  ancora  dovute  dai  concessionari  ...  con
individuazione delle modalita' di versamento delle relative  somme  e
adeguamento delle garanzie  fideiussorie".  Inoltre,  da  un  attento
esame della determinazione dirigenziale in data  15  giugno  2012  si
desume che  l'A.A.M.S.  ha  ritenuto  di  dare  applicazione  a  tale
disposizione  richiedendo  nuovamente  alla  societa'  ricorrente  il
pagamento  delle  somme  dalla  stessa  dovute  a  titolo  di  minimi
garantiti applicando nella misura massima (ossia nella misura  del  5
per cento) la riduzione ivi prevista. Pertanto non puo' ritenersi che
la predetta determinazione dirigenziale contenga una  «mera  proposta
transattiva rivolta al soggetto destinatario della stessa», perche' a
tale conclusione si sarebbe potuti pervenire solo se l'art. 10, comma
5, del decreto-legge n. 16/2012 non avesse abrogato  la  disposizione
dell'art. 38, comma 4, la lettera l), del decreto-legge n.  223/2006.
Invece proprio dall'abrogazione dell'obbligo  di  prevedere  apposite
misure  di  salvaguardia  per  i  concessionari   storici   e   dalla
contestuale previsione dell'obbligo  di  procedere  alla  definizione
delle  controversie  relative  all'integrazione   dei   c.d.   minimi
garantiti, mediante la possibilita' di applicare una riduzione (nella
misura massima del  5  per  cento)  delle  somme  ancora  dovute  dai
concessionari, si desume che la suddetta determinazione  dirigenziale
costituisce   un   nuovo   provvedimento   (sostitutivo   di   quello
precedentemente adottato con la determinazione  dirigenziale  del  23
dicembre 2011) finalizzato al recupero delle somme ancora dovute. 
    3.  Posta  tale  premessa,   il   Collegio   ritiene   necessario
evidenziare che - secondo la  condivisibile  interpretazione  fornita
dall'A.A.M.S. nella motivazione  del  provvedimento  impugnato  -  la
riduzione  equitativa   prevista   dell'art.   10,   comma   5,   del
decreto-legge n.  16/2012,  da  un  lato,  deve  essere  intesa  come
attuativa dell'obbligo di individuazione delle misure di salvaguardia
e, dall'altro, la comportato l'abrogazione espressa dell'articolo 38,
comma 4, la lettera  p,  del  decreto-legge  n.  223/2006.  In  altri
termini, il Collegio condivide la tesi (su  cui  si  fonda  la  nuova
richiesta di pagamento formulata dall'A.A.M.S.), secondo la quale - a
fronte della mancata definizione in via amministrativa  delle  misure
di salvaguardia previste dall'art. 38, comma 4, la  lettera  1),  del
decreto-legge n. 223/2006 e delle  numerose  controversie  insorte  a
seguito delle richieste di pagamento dei minimi  garantiti  formulate
dall'A.A.M.S. all'inizio del 2012 nonostante la  mancata  definizione
in via amministrativa delle predette  misure  di  salvaguardia  -  il
legislatore e' intervenuto con una  legge-provvedimento  (l'art.  10,
comma 5, del decreto-legge n. 16/2012) destinata  ad  incidere  sulle
controversie-pendenti,  abrogando  il  meccanismo   di   salvaguardia
previsto dall'art. 38, comma 4, la lettera D,  del  decreto-legge  n.
223/2006  sostituendolo  con  un   diverso   meccanismo,   costituito
essenzialmente da una riduzione, predeterminata per legge  in  misura
non  superiore  al  5  per  cento,  delle  somme  ancora  dovute  dai
concessionari a titolo di minimi garantiti. Ne consegue  che  risulta
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
sollevata dalla societa' ricorrente  -  incentrata  sulla  disparita'
trattamento, tra i concessionari storici  (tenuti  al  pagamento  dei
minimi garantiti) ed i nuovi concessionari (non tenuti  al  pagamento
dei minimi garantiti), derivante  dall'abrogazione  delle  misure  di
salvaguardia,  disposta  dall'art.  10,  comma  5,  decreto-legge  n.
16/2012 perche' in realta' il legislatore ha manifestato la  volonta'
di tener conto della peculiare posizione  dei  concessionari  storici
introducendo il diverso meccanismo  costituito  dalla  riduzione,  in
misura non superiore al 5 per cento,  delle  somme  ancora  dovute  a
titolo  di  minimi  garantiti.  Cio'  non  toglie  pero'  che  appaia
rilevante e non manifestamente  infondata  la  diversa  questione  di
legittimita' costituzionale della disposizione dell'art. 10, comma 5,
decreto-legge 16/2012 (per violazione degli articoli 3, 24, comma  1,
103, comma 1, e 113  della  Costituzione)  che  il  Collegio  intende
sollevare, d'ufficio, nei termini di seguito indicati. 
    4. Innanzi tutto, in punto di rilevanza della questione,  occorre
ribadire che l'art. 10, comma 5, del  decreto-legge  n.  16/2012,  ha
abrogato la disposizione dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge  n.
223/2006, che aveva introdotto - in favore dei concessionari  storici
(ivi compresa la societa' ricorrente), in quanto tenuti al  pagamento
dei minimi garantiti - l'obbligo di definire  in  via  amministrativa
misure di salvaguardia volte a garantire  l'equilibrio  economico  di
tali soggetti  ed  ha  previsto  a  tutela  di  costoro  soltanto  la
possibilita' di ottenere una riduzione, peraltro non superiore  al  5
per cento, delle somme ancora dovute a titolo  di  minimi  garantiti.
Infatti questa stessa Sezione  nella  sentenza  n.  8520  in  data  7
novembre 2011 (puntualmente richiamata dai ricorrenti) ha  da  ultimo
ribadito che la disposizione dell'art. 38, comma 4, lett.  l),  della
legge  n.  223  del  2006  e'  stata  introdotta   a   garanzia   dei
concessionari storici, essendo l'obbligo di definire le modalita'  di
salvaguardia  di  tali  soggetti   finalizzato   «a   consentire   il
riequilibrio delle obbligazioni consacrate nelle concessioni  per  la
raccolta di scommesse ippiche gia' rilasciate, in ragione del  mutato
assetto del mercato delle scommesse ippiche e della  riconfigurazione
dell'assetto distributivo territoriale dell'offerta  di  gioco,  come
ridisegnati dalla riforma introdotta dall'art. 38 del  decreto  legge
«Bersani», che ha  determinato  l'apertura  del  mercato  dei  giochi
pubblici e l'attivazione di .nuove concessioni secondo una diffusione
capillare  sul  territorio  e  con  piu'  favorevoli  condizioni   di
esercizio e di reddivita', ed  ha  evidenziato,  nel  contempo,  come
l'introduzione   dell'obbligo   di   definire   tali   modalita'   di
salvaguardia  rendesse  «inapplicabile  il  contenuto   del   decreto
interministeriale del 10 ottobre 2003 che aveva stabilito,  sotto  la
vigenza  della  precedente  normativa,  il  metodo  di  calcolo   per
individuare il c.d. minimo garantito». Risulta, quindi, evidente che,
per effetto dell'abrogazione della disposizione dell'art.  38,  comma
4, del decreto-legge n. 223/2006, la ricorrente non puo'  beneficiare
delle modalita' di salvaguardia previste da tale disposizione. 
    6. Passando ora al profilo della non manifesta infondatezza della
questione, il Collegio preliminarmente rammenta che (come rilevato da
questa stessa Sezione nella recente  ordinanza  n.  685  in  data  26
luglio 2012) la questione della compatibilita'  costituzionale  delle
c.d.  leggi-provvedimento  (e  cioe'  di  quegli   atti   formalmente
legislativi che tengono  luogo  di  provvedimenti  amministrativi  in
quanto dispongono, in concreto, su casi e rapi;  orti  specifici)  e'
ormai  definitivamente  risolta  dalla  giurisprudenza  della   Corte
costituzionale e dei Giudici  amministrativi  con  l'affermazione  di
principi ormai consolidati. In particolare: 
        A) la Consulta ha riconosciuto l'ammissibilita' di tali  atti
normativi in base al rilievo dell'insussistenza di  una  "riserva  di
amministrazione",  ossia  evidenziando  che   la   Costituzione   non
garantisce  ai  pubblici  poteri  l'esclusivita'   delle   pertinenti
attribuzioni gestorie e  non  configura  per  il  legislatore  limiti
diversi da  quelli  (formali)  dell'osservanza  del  procedimento  di
fon-nazione  delle  leggi,  omettendo  di  prescrivere  il  contenuto
sostanziale ed i caratteri essenziali dei  precetti  legislativi  (ex
multis, sentenza n. 347 del 1995); 
        B)  una  volta  ammessa  la  compatibilita'  delle  leggi  in
sostituzione di provvedimento con il vigente assetto  costituzionale,
la prevalente giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV,
9  marzo  2012,   n.   1349)   ritiene   che,   a   fronte   di   una
legge-provvedimento, i  diritti  di  difesa  del  soggetto  leso  non
vengano   ablati,   ma   si   trasferiscano    dalla    giurisdizione
amministrativa alla giustizia costituzionale. Il corollario  di  tale
ricostruzione dogmatica dell'assetto  della  tutela  delle  posizioni
incise dalla legge-provvedimento e', dunque, la valorizzazione  della
pregnanza del sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge,
sino  a  renderlo  anche  piu'  incisivo  di  quello  giurisdizionale
sull'eccesso di potere, e cio' in modo  da  riconoscere  al  privato,
seppur nella forma indiretta della rimessione  della  questione  alla
Consulta parte del giudice amministrativo, una forma di protezione ed
un'occasione  di  difesa  pari  a  quella   offerta   dal   sindacato
giurisdizionale sugli atti amministrativi; 
        C)  con  particolare   riferimento   al   rapporto   tra   la
legge-provvedimento   di    approvazione    di    un    provvedimento
amministrativo  gia'  adottato  e  la  pendenza  di  un  procedimento
giurisdizionale avente  ad  oggetto  tale  provvedimento,  merita  di
essere condivisa la tesi (T.A.R. Puglia Bari, Sez. I, 19 aprile 2006,
n. 1362) secondo la quale: a) la mera  pendenza  di  un  ricorso  non
impedisce  l'approvazione  della  legge-provvedimento,   in   quanto,
diversamente opinando, si finirebbe con l'ammettere  un  unlus  delle
prerogative delle assemblee legislative, mediante  l'introduzione  di
un inammissibile nuovo limite, non  codificato,  all'esercizio  della
relativa  funzione;  b)  solo  la.  formazione  del  giudicato   puo'
paralizzare un intervento  legislativo  contrastante  con  il  dictum
giurisdizionale, in modo da evitare (in coerenza  con  l'assetto  dei
poteri delineato dalla Costituzione) l'irrimediabile sacrificio delle
garanzie di tutela giurisdizione; c) la pendenza di un ricorso avente
ad oggetto proprio il provvedimento amministrativo da  approvare  con
la legge non si rivela, comunque, del tutto indifferente ai fini  del
corretto  esercizio  della  funzione  legislativa,  proprio   perche'
l'eventuale e comprovata esclusiva finalizzazione  della  legge  alla
sottrazione  dell'oggetto  del  sindacato  giurisdizionale  (ed  alla
conseguente  privazione   della   stessa   possibilita'   di   tutela
giurisdizionale   per   l'interessato)   costituirebbe   un    indice
sintomatico dell'irragionevolezza della legge-provvedimento. 
    7. Tenuto conto di  quanto  precede,  nonche'  del  fatto  che  -
secondo quanto affermato non solo da questa stessa Sezione nella gia'
richiamata sentenza n. 8520 in data 7 novembre 2011 e nelle ulteriori
sentenze invocate dalle parti ricorrenti (ex multis, sentenze n. 6520
in data 7 luglio 2009 e n. 7632 in data 28  luglio  2009),  ma  anche
dalla Quarta Sezione del Consiglio  di  Stato  (ordinanza  31  agosto
2011, n. 3849) - i provvedimenti  di  riscossione  di  somme  per  il
raggiungimento  dei   minimi   garantiti   richiedevano   la   previa
definizione delle c.d. misure di salvaguardia  di  cui  all'art.  38,
comma 4, lettera l),  del  decreto-legge  n.  223/2006,  il  Collegio
ritiene non manifestamente infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16/2012  -
per  contrasto  con  il  principio  di   ragionevolezza,   desumibile
dall'art. 3 della Costituzione (ex multis, Corte Cost. 9 marzo  2012,
n. 53),  e  con  i  principi  costituzionali  in  materia  di  tutela
giurisdizionale avverso i provvedimenti dell'Amministrazione, sanciti
dagli articoli 24, comma 1, 103, comma 1, e 113 della Costituzione  -
alla luce delle seguenti considerazioni: 
        A) la disposizione dell'art. 10, comma 5,  del  decreto-legge
n. 16/2012 appare illogica ed irrazionale, perche' il  Legislatore  -
nel sostituire ad un  meccanismo  flessibile,  come  quello  indicato
dall'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223/2006 (che
affidava all'Amministrazione il compito di  individuare  le  concrete
misure di salvaguardia per i  concessionari  storici,  senza  fissare
tetti massimi, ma dando per scontata  l'esigenza  di  parametrare  le
misure di salvaguardia all'andamento del mercato delle scommesse,  in
modo da impedire che il pagamento dei minimi garantiti,  in  presenza
di una maggiore concorrenza nel mercato, dovuta all'ingresso di nuovi
concessionari,  potesse  pregiudicare  l'equilibrio   economico   dei
concessionari storici)  con  un  meccanismo  che  consente  solo  una
riduzione  forfettaria,  fino  ad  un  massimo  del  5%,  dei  minimi
garantiti dovuti in base "vecchio" decreto interministeriale  del  10
ottobre 2003 - ha agito al (dichiarato) fine di  perseguire  maggiore
efficienza ed economicita'  dell'azione  amministrativa  mediante  la
definizione stragiudiziale di ogni controversia pendente, ma  non  ha
considerato che la predetta riduzione forfettaria non appare adeguata
per  garantire  l'equilibrio  economico  dei  concessionari  storici.
Infatti al «mutato assetto del  mercato  delle  scommesse  ippiche  e
della   riconfigurazione   dell'assetto   distributivo   territoriale
dell'offerta di gioco,  come  ridisegnati  dalla  riforma  introdotta
dall'art.  38  del  decreto  legge  "Bersani"  che   ha   determinato
l'apertura del mercato dei giochi pubblici e l'attivazione  di  nuove
concessioni secondo una diffusione capillare  sul  territorio  e  con
piu' favorevoli condizioni di esercizio e di reddivita'» (evidenziato
nella gia' richiamata sentenza n. 8520 in data 7 novembre  2011),  si
sono aggiunti gli effetti del «mercato parallelo»  gestito  dai  c.d.
CTD (centri trasmissione dati), ossia gli effetti della presenza  nel
mercato italiano delle sommesse di operatori economici di altri stati
membri  che  agiscono  attraverso  i  predetti  CTD,  in  assenza  di
concessione,  nell'esercizio  delle  liberta'   di   stabilimento   e
prestazione dei servizi transfrontalieri, garantite dagli articoli 49
e ss. e 29 e ss. TFUE (si veda al riguardo la sentenza della Corte di
Giustizia Costa-Cifone del  16  febbraio  2012,  emessa  nelle  cause
riunite G-72/10 e G-77/10); 
        B) la disposizione dell'art. 10, comma 5,  del  decreto-legge
n.  16/2012  appare  effettivamente  finalizzata  al  solo  scopo  di
sottrarre il provvedimento dell'AAM.S. impugnato con  il  ricorso  n.
946  del  2012  (gia'  sospeso  da  questo  Tribunale)  al  sindacato
giurisdizionale (e, quindi,  a  vanificare  il  diritto  alla  tutela
giurisdizionale delle parti ricorrenti), perche' - a fronte di quanto
affermato non solo da questa stessa Sezione, ma  anche  dalla  Quarta
Sezione del Consiglio di Stato nelle pronunce  innanzi  citate  -  il
legislatore e' intervenuto introducendo una nuova disciplina che  non
consente oramai  alcuna  forma  di  sindacato  giurisdizionale  sulla
mancata adozione, da  parte  dell'Amministrazione  competente,  delle
misure di salvaguardia previste dall'articolo 38,  comma  4,  lettera
l), del decreto-legge  n.  223/2006.  Ne  consegue  che  la  predetta
disposizione vanifica il diritto dei concessionari storici  di  agire
in giudizio per tutelare il proprio equilibrio economico a fronte del
mutato assetto del mercato delle scommesse;