IL TRIBUNALE 
 
    Ha  pronunciato  e   pubblicato,   mediante   lettura   integrale
all'udienza del 6 dicembre 2012, la seguente ordinanza nella causa in
materia di lavoro, iscritta al n. 36602/2011 r.a.c.c., cui sono state
riunite le cause nn. 36603/2011, 36905/2011, 36913/2011,  36919/2011,
36925/2011 e 37177/2011, vertenti tra  Caravassilis  Daniele,  Ciucci
Roberto, Balducci Tiziano, Castelli Andrea, Di Carlo  Tania,  Fagiani
Riccardo e Patrone Simone, elettivamente  domiciliati  in  Roma,  Via
Luigi Calamatta 16, presso lo studio degli avv.ti Fernando Gallone  e
Iole Urso, che li rappresentano e difendono in  forza  di  procura  a
margine   della   memoria   difensiva,   ricorrenti   e:    Ministero
dell'Interno,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro-tempore,
elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso  gli
uffici  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che  per  legge  lo
rappresenta e difende, resistente. 
    Con distinti atti depositati tra il 14.10.2011 e  il  18.10.2011,
ritualmente  notificati  e  successivamente  riuniti,  i  ricorrenti,
iscritti negli elenchi del Personale Volontario del Dipartimento  dei
Vigili del Fuoco del Ministero convenuto, hanno  chiesto  dichiararsi
la nullita' e l'inefficacia dei termini apposti ai contratti a  tempo
determinato  stipulati  con  il  Ministero  convenuto,   nonche'   la
sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
determinato; hanno chiesto  inoltre  la  conversione  dei  rispettivi
rapporti di lavoro in  rapporti  di  lavoro  a  tempo  indeterminato,
ovvero l'accertamento del loro diritto alla  stabilizzazione,  ovvero
la conversione del rapporto ex art. 5 D.Lgs. n.  368/200,  ovvero  la
condanna del Ministero convenuto alla loro immissione in ruolo  e  al
pagamento in loro favore dell'indennita'  sostitutiva  della  mancata
conversione; in ogni caso hanno chiesto  la  condanna  del  Ministero
convenuto al risarcimento del danno da  illegittima  reiterazione  di
contratti a  tempo  determinato,  in  misura  pari  a  12  mensilita'
dell'ultima retribuzione globale di fatto. 
    Si e' costituito in  giudizio  il  Ministero  convenuto,  che  ha
contestato la fondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto. 
    All'udienza  odierna,  all'esito  della  discussione,  e'   stata
pronunciata  e  letta  la  presente  ordinanza  di  promovimento   di
questione di legittimita' costituzionale. 
1 - Normativa applicabile al  personale  volontario  dei  Vigili  del
Fuoco 
    Il personale volontario del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco,
non legato  all'Amministrazione  da  vincolo  d'impiego,  chiamato  a
prestare servizio durante i periodi di richiamo previsti dagli  artt.
6 e 8 D.Lgs. 139/06, integra  un  sotto-sistema  peculiare,  inserito
nell'organizzazione del Corpo medesimo. 
    I Vigili del fuoco volontari costituiscono un nucleo  di  persone
"qualificate e specificamente addestrate e attrezzate a  disposizione
dell'Amministrazione, che se ne avvale in caso di emergenza e con  la
quale esso ha un rapporto di  dipendenza  funzionale"  (Cons.  Stato,
sez. I, parere 20.6.2001 n. 640). 
    La loro attivita' non e'  dunque  riconducibile  al  volontariato
regolato dalla L. 266/91, ne' al volontariato di protezione civile ex
art. 8 L. 225/92, ne' all'associazionismo di promozione sociale ex L.
383/00. 
    Essa da' viceversa luogo ad un rapporto di lavoro,  senza  dubbio
inquadrabile nel genus della  subordinazione,  come  si  evince,  tra
l'altro, dalla norma  che  espressamente  assoggetta  tale  personale
"volontario" alle disposizioni "in materia di doveri, attribuzioni  e
responsabilita'   previste   per   il   personale    permanente    di
corrispondente qualifica"  (art.  8  comma  3  D.Lgs.  139/06  cit.),
nonche' ad un sistema disciplinare paragonabile a quello proprio  del
lavoro dipendente (artt. 11 D.Lgs. 139/06 cit.). 
    In tale contesto, assume diretto rilievo l'art. 10 D.Lgs.  139/06
cit., che recita: 
        "1.  Al   personale   volontario   richiamato   in   servizio
temporaneo,  per  l'intera  durata  di  tale  richiamo,   spetta   il
trattamento  economico   iniziale   del   personale   permanente   di
corrispondente qualifica, il  trattamento  di  missione,  i  compensi
inerenti alle prestazioni di lavoro straordinario. 
        2. Il personale volontario e' assicurato contro gli infortuni
in servizio e le infermita' contratte per causa diretta ed  immediata
di servizio (...)". 
    Non puo' inoltre sottacersi  che  il  Ministero  dell'Interno  ha
avviato le procedure selettive per la stabilizzazione  del  personale
volontario dei Vigili del Fuoco ai sensi dell'art. 1 commi 519 e  526
della L. n. 296/2006,  che,  riferendosi  espressamente  al  medesimo
personale, ha riconosciuto  il  carattere  subordinato  del  relativo
rapporto di lavoro. 
    Ne' puo' rilevare in contrario la circostanza che il richiamo  in
servizio  del  vigile  volontario  derivi  da   atto   amministrativo
unilaterale, giacche' l'esistenza di una fonte negoziale del rapporto
non e' essenziale ai fini del riconoscimento della subordinazione. 
    Non  osta  alla  qualificazione  del  rapporto  in   termini   di
subordinazione  nemmeno  l'ulteriore  circostanza   che   il   vigile
richiamato  in  servizio  possa  essere  gia'  un   lavoratore   alle
dipendenze  di  altro  datare  (che  in  tal  caso  sara'  tenuto   a
consentirgli lo svolgimento del servizio e a conservargli  il  posto:
art. 8 comma 4 D.Lgs. 139/06 cit.), giacche'  la  coesistenza,  nella
specie meramente eventuale e  contingente,  di  diversi  rapporti  di
lavoro non viola  alcun  limite  logico  o  legale,  in  presenza  di
espressa  normativa  regolatrice,  che  evidentemente   deroga   alle
previsioni sull'esclusivita' d'impiego del lavoratore pubblico. 
    Trattasi peraltro di rapporto di lavoro dipendente  connotato  da
assoluta specialita', per la quale  e'  stata  espressamente  esclusa
l'applicazione della disciplina comune  sul  contratto  di  lavoro  a
termine - come  ora  espressamente  enunciato  (con  disposizione  di
natura ricognitiva) dall'art. 10 comma 1 lettera c-bis D.Lgs.  368/01
(lettera inserita dall'art. 4 comma 12 L. 183/11) - e retto viceversa
da normativa particolare. 
2 - Normativa interna sui rapporti a tempo determinato 
    Nel nostro ordinamento il D.Lgs. 368/01, come integrato dalla  L.
247/07, contiene un apparato di  regole  che  -  per  dare  specifica
attuazione alla direttiva  europea  1999/70/CE  relativa  all'accordo
quadro CES, UNICE e CEEP sul  lavoro  a  tempo  determinato  (su  cui
infra) - mira ad evitare l'abusivo ricorso al contratto a termine. 
    Nel novero di tali disposizioni, vanno segnalate  in  particolare
quella che richiede la  specificazione  per  iscritto  delle  ragioni
tecniche, produttive, sostitutive o organizzative (art. 1)  e  quella
che  impone  la  conversione  del  rapporto  in  rapporto   a   tempo
indeterminato nel caso in cui una nuova  assunzione  sia  effettuata,
senza soluzione di continuita', al termine di un  primo  rapporto,  e
quella che fissa nel termine massimo di  trentasei  mesi  il  periodo
durante il quale il medesimo lavoratore  possa  essere  impiegato  in
virtu' di contratti a termine (art. 5). 
3 - Disciplina applicabile ai rapporti di lavoro a tempo  determinato
nel pubblico impiego 
    La disciplina del contratto a termine, posta dal D.Lgs. 368/2001,
deve  ritenersi  di  massima  applicabile  anche  ai  rapporti   alle
dipendenze di pubbliche  amministrazioni.  L'art.  36  D.Lgs.  165/01
infatti, al comma 1, ribadisce, sotto il profilo  delle  esigenze  di
personale, il principio gia' enunciato  dal  D.Lgs.  368/01,  secondo
cui, di norma, il rapporto di lavoro e'  a  tempo  indeterminato.  Al
successivo comma 2 esso indica, piu' restrittivamente anzi che per il
settore  privato,  le  circostanze  in  cui  puo'  farsi  ricorso  ad
assunzioni a termine  ("Per  rispondere  ad  esigenze  temporanee  ed
eccezionali le  amministrazioni  pubbliche  possono  avvalersi  delle
forme  contrattuali  flessibili  di  assunzione  e  di  impiego   del
personale previste dal codice civile e dalle leggi  sui  rapporti  di
lavoro subordinato nell'impresa,  nel  rispetto  delle  procedure  di
reclutamento vigenti"). 
    Esiste - peraltro - l'importante differenza secondo cui, in  caso
di violazione delle norme imperative in materia, non e' possibile  la
conversione in  un  rapporto  di  impiego  pubblico,  secondo  quanto
espressamente prevede l'art. 36 cit., comma 5 (nel  testo  da  ultimo
risultante per effetto delle modifiche apportate dal D.L. 78/09 conv.
in L. 102/09), fermo il diritto al risarcimento del danno. 
    Il  legislatore  ha  quindi  fatto  espresso   riferimento   alla
disciplina privatistica  la  quale,  salvo  le  singole  disposizioni
speciali per il pubblico impiego sopra  evidenziate,  costituisce  la
normativa generale per tutti i lavoratori, a prescindere dalla natura
pubblica o privata del datore di lavoro. 
4 - Inapplicabilita' della disciplina interna sul rapporto di  lavoro
a tempo determinato al personale volontario dei Vigili del Fuoco 
    Se cosi e' in linea  di  massima,  il  personale  volontario  dei
Vigili del Fuoco sfugge  a  tale  assimilazione:  nei  termini  sopra
ricostruiti, il rapporto di lavoro del personale suddetto risulta  in
se' compiuto, specifico  e  doppiamente  speciale,  sia  rispetto  al
sistema   delle   assunzioni   alle   dipendenze   delle    pubbliche
amministrazioni in genere, sia rispetto  alla  normativa  comune  sui
contratti a termine (altrimenti applicabili in  via  di  principio  a
tutti i lavoratori, e  quindi,  residualmente,  anche  ai  lavoratori
pubblici). 
    La disciplina di settore riguardante il personale volontario  dei
Vigili del Fuoco ha peraltro natura  chiusa,  non  presenta  "lacune"
logico-normative  bisognose  di  essere   colmate   e   non   tollera
"integrazioni" per via ermeneutica da parte di fonti piu' generali. 
    Tale conclusione trova conferma nell'art. 4 c.  11  della  L.  n.
183/2011, che ha cosi sostituito la lett. a) del comma 2 dell'art.  9
del D.Lgs. n. 139/2006: "a) in caso  di  necessita'  delle  strutture
centrali e periferiche del Corpo  nazionale  motivate  dall'autorita'
competente che opera il  richiamo",  (cosi  introducendo  una  deroga
all'art. 36 del D.Lgs. n.  165/2001,  atteso  che  in  precedenza  la
medesima disposizione  richiedeva  "particolari  necessita'")  ed  ha
aggiunto, al comma 1 dell'art. 10 del D.Lgs. 368/01, dopo la  lettera
c), la seguente disposizione: "c-bis)  i  richiami  in  servizio  del
personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che ai
sensi dell'art. 6, comma 1, del decreto legislativo 8 marzo  2006  n.
139, non costituiscono rapporti di impiego con l'Amministrazione". 
    Le  disposizioni  di  settore  sopra  citate,  prevalenti   sulla
disciplina comune, non contengono  prescrizioni  effettive,  volte  a
circoscrivere  le  ragioni  poste  a  sostegno  della   clausola   di
apposizione del termine, ne' a limitare le proroghe e  le  assunzioni
successive. In base alla normativa speciale sul personale  volontario
dei Vigili del Fuoco, pertanto, e' lecito, 
    In tal modo un lavoratore potrebbe, senza  che  cio'  costituisca
violazione delle norme specifiche di settore,  essere  periodicamente
richiamato in servizio dall'Amministrazione a  tempo  determinato,  a
prescindere da situazioni eccezionali  o  di  emergenza,  e  senza  i
limiti temporali  per  i  rinnovi  previsti  dall'art.  5  D.Lgs.  n.
368/2001. 
    Per il  personale  volontario  dei  Vigili  del  Fuoco  non  vale
pertanto - in base al diritto interno - alcuna delle norme limitative
dettate al fine di dare attuazione alla citata direttiva europea  del
1999. 
5 - Contrasto tra la normativa comunitaria in materia di contratti  a
tempo determinato e la disciplina interna  sul  personale  volontario
dei Vigili del Fuoco. 
    Tale conclusione non e' ammissibile proprio alla luce del diritto
dell'Unione europea, che fissa puntuali  condizioni  affinche'  siano
tutelati gli interessi ed i diritti dei lavoratori a termine. 
    L'accordo quadro CES, UNICE e CEEP 28.6.1999 sul lavoro  a  tempo
determinato, cui ha  dato  attuazione  la  Direttiva  1999/70/CE  del
Consiglio del 28.6.1999, stabilisce il principio che gli Stati membri
dell'Unione  europea  sono  tenuti  ad  introdurre  nelle  rispettive
legislazioni nazionali norme  idonee  a  prevenire  ed  a  sanzionare
l'abuso nella successione di contratti di lavoro a tempo determinato. 
    Come risulta dalla clausola  1,  lett.  b),  dell'accordo  quadro
medesimo, suo obiettivo essenziale e',  infatti,  proprio  quello  di
creare un quadro normativo per la prevenzione degli  abusi  derivanti
dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro  a
tempo determinato. 
    La clausola 5, punto 1, a tal fine stabilisce: "Per prevenire gli
abusi derivanti dall'utilizzo  di  una  successione  di  contratti  o
rapporti di lavoro  a  tempo  determinato,  gli  Stati  membri  [...]
dovranno  introdurre,  in  assenza  di  norme  equivalenti   per   la
prevenzione degli abusi e in modo che tenga conto delle  esigenze  di
settori e/o categorie specifici di  lavoratori,  una  o  piu'  misure
relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione  del  rinnovo
dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata  massima  totale  dei
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c)  il
numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti". 
    E' da dire, subito, che l'applicabilita' della direttiva  europea
a  tutti  i  lavoratori  indistintamente,  pubblici  e  privati,   e'
affermata senza equivoci dalla Corte di Giustizia medesima  (sentenza
4.7.2006, causa C-212/04, Adeneler). 
    In ordine alle misure previste sub b)  e  c)  della  clausola  5,
(durata massima totale dei contratti o rapporti  di  lavoro  a  tempo
determinato successivi, numero  dei  loro  rinnovi)  appare  evidente
l'assenza della loro previsione nella disciplina interna relativa  al
reclutamento del personale volontario dei Vigili del Fuoco. 
    In ordine alla misura prevista sub a) della clausola 5 (esistenza
di "ragioni obiettive" che giustifichino il rinnovo  dei  rapporti  a
tempo determinato successivi), la Corte  di  giustizia  ha  precisato
(sentenza  Adeneler  cit.;  sentenza  23.4.2009,  in  cause   riunite
C-378/07 e 380/07, Angelidaki ed altri)  che"  (...)  La  nozione  di
«ragioni oggettive» dev'essere intesa nel senso che essa si riferisce
a  circostanze  precise  e  concrete   che   contraddistinguono   una
determinata attivita' e, pertanto, tali da giustificare, in un simile
contesto particolare, l'utilizzo  di  contratti  di  lavoro  a  tempo
determinato stipulati in successione". "Dette circostanze" - prosegue
la Corte di  Lussemburgo  -  "possono  risultare  segnatamente  dalla
particolare natura delle  funzioni  per  l'espletamento  delle  quali
siffatti  contratti  sono  stati  conclusi  e  dalle  caratteristiche
inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento  di  una
legittima finalita' di politica sociale di uno Stato membro (...) Per
contro, una disposizione nazionale che si limiti ad  autorizzare,  in
modo  generale  ed  astratto  attraverso  una  norma  legislativa   o
regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a  tempo  determinato
stipulati in successione, non soddisferebbe i  criteri  precisati  al
punto precedente (...)". 
    Da ultimo occorre, sul punto, ricordare che l'accordo quadro,  al
n. 10 del "considerando", facendo salva la possibilita' che  ciascuno
Stato tenga conto di "circostanze relative a particolari  settori  ed
occupazioni",  lascia  -   e'   vero   -   margini   per   discipline
ragionevolmente derogatorie rispetto  ai  suoi  stessi  principi,  se
giustificate da effettive peculiarita'. 
    La Corte di Giustizia UE, nella sentenza 7.9.2006, causa C-53/04,
Marrosu, ha tuttavia precisato che la citata  clausola  5,  punto  1,
impone - comunque - agli Stati membri  l'obbligo  di  introdurre  nel
loro ordinamento giuridico almeno una delle misure elencate nel detto
punto 1, lett. a) - c), qualora non siano gia' in vigore nello  Stato
membro  interessato  disposizioni  normative  equivalenti,  volte   a
prevenire in modo effettivo l'utilizzo abusivo di una successione  di
contratti di lavoro a tempo determinato. 
    La  stessa  sentenza  aggiunge  che  la  facolta'  di  tenere  in
considerazione le particolari  anzidette  esigenze  puo',  viceversa,
legittimare, nell'ambito dei singoli ordinamenti nazionali,  reazioni
sanzionatorie adeguatamente modulate e distinte per settori attivita'
e/categorie di lavoratori, senza pregiudizio per la  loro  efficacia,
come appresso si dira'. 
    In conclusione, l'indiscriminato e reiterato rinnovo di contratti
a tempo determinato risulta, in subiecta materia, certamente difforme
dal diritto europeo. 
    Palese appare dunque il contrasto tra quest'ultimo  e  la  nostra
disciplina interna sui richiami in servizio a tempo  determinato  del
personale volontario dei Vigili del Fuoco. 
6  -   Impossibilita'   di   disapplicare   la   disciplina   interna
incompatibile 
    Il  contrasto  tra  tale  normativa  europea  e  la  legislazione
italiana sul lavoro precario nella scuola pubblica  non  puo'  essere
risolto - re melius perpensa  -  mediante  la  disapplicazione  della
fonte interna incompatibile, nella misura che  appaia  indispensabile
per risolvere l'antinomia. 
    I rapporti tra le fonti dell'Unione europea e  le  fonti  interne
sono da tempo ordinati dalla giurisprudenza costituzionale grazie  ad
una lettura dell'art. 11 Cost. capace di dare un significato concreto
alle "aperture" sovranazionali che la norma consente  al  legislatore
ordinario. Sin dalla sentenza n. 170 del 1984 la Corte Costituzionale
ha  adottato  la  teoria  della  separazione/coordinamento   di   due
ordinamenti che rimangono formalmente distinti, giungendo,  sia  pure
sulla base di diversi fondamenti teorici, alle  medesime  conclusioni
offerte dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in merito  alla
supremazia del diritto dell'Unione europea sul diritto interno ed  al
suo corollario della efficacia diretta delle  fonti  UE  direttamente
applicabili. 
    E'  dunque  del  tutto  incontroverso   che,   in   presenza   di
disposizioni  interne  irrimediabilmente  incompatibili   con   fonti
dell'Unione dotate di diretta efficacia, che  si  tratti  di  diritto
scritto  come  disposizioni  del  Trattato,  regolamenti,  Carta  dei
diritti fondamentali  o  di  fonti  non  scritte,  quali  i  principi
generali  del  diritto,  e'  compito  del  giudice   procedere   alla
disapplicazione delle prime al fine di  dare  applicazione  all'unica
norma che regola la fattispecie, quella dell'Unione. 
    Quanto alle direttive, esse,  pur  concepite  dai  redattori  del
Trattato come una sorta di "legge-quadro", per definizione in  debito
di un compiuto intervento di dettaglio da parte degli  Stati  membri,
contengono   sovente   una   disciplina   (quantomeno   parzialmente)
dettagliata di determinate materie. Tale  prassi  (legittimata  dalla
Corte di Giustizia UE: cfr. sentenza 23.11.1977, causa  38/77,  Enka)
e' dovuta all'esigenza di  evitare  che  l'azione  di  armonizzazione
delle  discipline  nazionali,  sede  elettiva  per  il  ricorso  alle
direttive medesime da parte del  legislatore  europeo,  possa  essere
resa inefficace a  causa  dell'eccessiva  latitudine  dell'intervento
attuativo riconosciuto agli  Stati  membri,  in  particolare  qualora
detta attivita' si sia indirizzata verso la disciplina  di'  fenomeni
giuridici tipicamente privatistici: di conseguenza, pur se  destinate
formalmente agli Stati membri, le  direttive  includono  disposizioni
che nella sostanza disciplinano, anche in maniera esclusiva, rapporti
interindividuali (come, tipicamente, nella materia del lavoro). 
    Se il testo  del  Trattato  non  attribuisce  alle  direttive  la
qualifica di atti "direttamente applicabili", riservata dall'art. 288
TFUE ai regolamenti, e' un dato consolidato che  le  prime  siano  in
grado di produrre  "effetti  diretti",  potendo  essere  invocate  in
giudizio dai privati "per opporsi a qualsiasi disposizione di diritto
interno non conforme alla direttiva ovvero  in  quanto  sono  atte  a
definire diritti che i singoli possono far valere  nei  confronti  di
uno Stato"  (sentenza  Corte  di  Giustizia  19.1.1982,  causa  8/81,
Becker: c.d. effetti verticali). 
    Cio'  avviene,  pero',  nel   rispetto,   ineludibile,   di   due
condizioni: e' necessario, da un lato, che le disposizioni  contenute
in  una  direttiva  risultino,  dal  punto  di   vista   sostanziale,
incondizionate e sufficientemente precise; dall'altro, che  lo  Stato
membro in questione non abbia adottato,  entro  il  termine  indicato
dalla direttiva stessa, le  necessarie  disposizioni  di  attuazione,
ovvero che detta attivita' si sia  svolta  in  maniera  non  corretta
(cfr., ex pluribus, la sentenza Corte di Giustizia  5.10.2004,  cause
riunite da C-397/01  a  C-403/01,  Pfeiffer,  in  cui  si  legge  che
"risulta da una costante giurisprudenza della Corte che, in  tutti  i
casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal  punto  di
vista  sostanziale,  incondizionate  e  sufficientemente  precise,  i
singoli  possono  farle  valere  dinanzi  ai  giudici  nazionali  nei
confronti  dello  Stato,  sia   che   questo   non   abbia   recepito
tempestivamente la direttiva sia che l'abbia  recepita  in  modo  non
corretto"). 
    Le  disposizioni   di   una   direttiva   hanno   dunque,   nella
ricostruzione operata dalla  Corte  di  giustizia,  la  capacita'  di
operare come precetto normativo che, in mancanza di (corrette)  norme
interne di attuazione, si pone come regola della singola fattispecie.
La circostanza che detto rimedio sia inteso  come  "reazione"  ad  un
inadempimento  da  parte  dello  Stato  membro  non  esclude  che  la
direttiva operi come fonte autonoma di diritto, la quale - situandosi
in un livello, nella gerarchia  delle  fonti,  superiore  alle  norme
interne - prevale, all'occorrenza, su  norme  interne  incompatibili,
anche di rango legislativo. Cio' avviene, e' il caso  di  precisarlo,
anche qualora le direttive siano invocate in giudizio in rapporti  di
contenuto privatistico, purche' sempre nei confronti di un  ente  pur
indirettamente riconducibile alla definizione di "Stato"  accolta  in
questo contesto dalla Corte  di  giustizia  (ad  esempio,  un'impresa
pubblica: cfr. sentenza 12.7.1990, causa C-188/89, Foster). 
    La Corte di  giustizia  ha  invece  ripetutamente  escluso  (cfr.
sentenze 26.9.1996, causa C-168/95, Arcaro; 7.1.2004, causa C-201/02,
Wells)  che  le  direttive,   nonostante   il   loro   carattere   di
"completezza", siano capaci di produrre effetti diretti "orizzontali"
(ossia nei rapporti tra privati), ne' che siano invocabili dal potere
pubblico  nei  confronti  del  privato   (c.d.   "effetti   verticali
inversi"); soccorrendo tuttavia in  tali  casi  -  di  direttive  non
autoapplicative, o rilevanti in rapporti non direttamente  verticali,
ma pur sempre, per definizione,  incidenti  nel  sistema  "integrato"
delle fonti, in quanto contenenti norme che godono di  una  posizione
di   primaute'   rispetto   a   quelle   nazionali   -   il   rimedio
dell'interpretazione  conforme  (sentenza  Pfeiffer  citata)   ovvero
quello, residuale, della  responsabilita'  patrimoniale  dello  Stato
inadempiente (sentenza 25.2.1999, causa C-131/97, Carbonari). 
    Orbene, nella fattispecie di  causa  non  ricorrono  i  requisiti
perche' la direttiva europea in discorso spieghi effetti diretti. 
    La Corte di giustizia ha infatti  statuito  (sentenze  15.4.2008,
causa C-268/2006, Impact; Angelidaki e altri, cit.) che  la  clausola
5, punto 1, dell'accordo quadro non appare, sotto il profilo del  suo
contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere
invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale in quanto,  ai
sensi di tale disposizione, rientra nel  potere  discrezionale  degli
Stati membri ricorrere, al fine di prevenire  l'utilizzo  abusivo  di
contratti di lavoro a tempo determinato, ad una o piu' tra le  misure
enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in  vigore,
purche' essi tengano conto delle esigenze di settori e/o di categorie
specifici di lavoratori; nel contempo non e' possibile determinare in
maniera sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere
attuata in virtu' di suddetta clausola. 
    Si e' dunque a cospetto di un contrasto tra la normativa  interna
e una fonte europea priva di effetto diretto. 
7 - Impossibilita' di comporre il contrasto in via interpretativa 
    La Corte di giustizia insegna che il contrasto  va  composto,  se
possibile, in via interpretativa. 
    Il giudice nazionale, nell'applicare il  diritto  interno,  "deve
interpretare tale diritto per quanto possibile alla luce del testo  e
dello scopo della direttiva onde conseguire il  risultato  perseguito
da quest'ultima (...)" (sentenze 10.4.1984, causa C-14/83, Von Colson
Kamann; 13.11.1990,  causa  C-106/89,  Marleasing;  14.7.1994,  causa
C-91/92, Faccini Dori; 23.2.1999, causa  C-63/97,  BMW;  Pfeiffer  ed
altri, citata). 
    "Il principio di interpretazione conforme richiede  (...)  che  i
giudici nazionali si  adoperino  al  meglio  nei  limiti  della  loro
competenza, prendendo in considerazione il diritto interno nella  sua
interezza e applicando i metodi di  interpretazione  riconosciuti  da
quest'ultimo, al  fine  di  garantire  la  piena  effettivita'  della
direttiva di cui trattasi e pervenire ad una soluzione conforme  alla
finalita' perseguita da quest'ultima" (Pfeiffer e altri, Adeneler  ed
altri, citate). 
    Tuttavia "l'obbligo per il giudice nazionale di fare  riferimento
al   contenuto    di    una    direttiva    nell'interpretazione    e
nell'applicazione delle norme pertinenti del  suo  diritto  nazionale
trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare
in quelli di certezza del diritto e di non retroattivita', e non puo'
servire da fondamento ad un'interpretazione contra legem del  diritto
nazionale" (sentenze 8.10.1987, causa C-80/86, Kolpinghuis  Nijmegen;
16.6.2005, causa C-105/03, Pupino; Adeneler e altri, citata;  Impact,
citata). 
    Nella specie, il contrasto non e' rimediabile in via ermeneutica,
stante il carattere chiuso e in  se'  esaustivo  della  normativa  di
settore da cui origina, e l'univoca volonta' legislativa - da  ultimo
ribadita con l'art. 4 commi 11 e 12 L. n.183/2011 di mettere siffatta
normativa al riparo da ogni "contaminazione" con regole e principi di
genesi o derivazione europea. 
8 - Questione di legittimita' costituzionale 
    Se cosi e', la disciplina vincolante per il giudice resta  quella
interna, salvo il potere-dovere del medesimo di provocare su di  essa
il controllo della Corte Costituzionale. 
    E' pacifico infatti, nella giurisprudenza di quest'ultima, che le
direttive comunitarie fungano da norme interposte, atte ad  integrare
il parametro per la valutazione  di  conformita'  della  legislazione
interna, nazionale e regionale, al precetto di cui all'art. 117 primo
comma Cost. (secondo cui "La potesta' legislativa e' esercitata dallo
Stato e dalle Regioni nel rispetto della  Costituzione,  nonche'  dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario ..."). 
    La violazione della direttiva 1999/70/CE, alla cui  illustrazione
e' dedicata la narrativa che precede, ridonda pertanto  in  vizio  di
legittimita' costituzionale della fonte interna. 
    Quest'ultima va identificata, precisamente, nell'art. 4 commi  11
e 12 L. 183/2011, nella parte in cui tali disposizioni consentono  il
richiamo in servizio a tempo determinato del personale volontario dei
Vigili del Fuoco in caso di (qualsivoglia) necessita' delle strutture
centrali  e  periferiche   del   Corpo   nazionale,   al   di   fuori
dell'applicazione dei principi  di  cui  al  D.Lgs.  n.  368/2001,  e
segnatamente di quello contenuto nell'art. 5,  cosi'  da  determinare
una  successione  potenzialmente  illimitata  di  contratti  a  tempo
determinato,  e  comunque  svincolata  dall'indicazione  di   ragioni
obiettive o dalla predeterminazione di una durata  massima  o  di  un
numero certo di rinnovi. 
    In  questi  termini  deve  sollevarsi,  d'ufficio,  questione  di
legittimita' costituzionale, alla luce delle argomentazioni  fin  qui
esposte sulla sua non manifesta infondatezza. 
9 - Rilevanza della questione 
    Trattasi di questione  rilevante  per  l'esito  del  processo  in
corso,  dovendosi  ritenere  infondata  l'eccezione  di  difetto   di
giurisdizione  sollevata  dal   Ministero   convenuto.   Infatti   le
disposizioni richiamate dallo stesso Ministero nella sua  memoria  di
costituzione (L. n.  252/2004  e  art.  3  c.  1-bis  del  D.Lgs.  n.
165/2001) hanno escluso il personale volontario dei Vigili del  Fuoco
dal regime di diritto pubblico e dalla  giurisdizione  esclusiva  del
giudice amministrativo; inoltre la collocazione sistematica del comma
1-bis sopra richiamato nell'ambito della disposizione riguardante  il
regime del rapporto di impiego dei pubblici dipendenti  ai  fini  del
riparto di giurisdizione depone senz'altro per  l'attribuzione  della
giurisdizione sulle controversie relative al rapporto  del  personale
volontario dei  Vigili  del  Fuoco  al  giudice  ordinario  ai  sensi
dell'art. 63 D.Lgs. n. 165/2001. 
    Lo stesso Ministero convenuto, comunque,  nella  sua  memoria  di
costituzione,  pur  avendo  escluso  la  giurisdizione  del   giudice
amministrativo, in forza  delle  disposizioni  sopra  richiamate,  ha
prospettato il difetto di giurisdizione del giudice del lavoro, e non
del giudice ordinario, cosi prospettando nella sostanza una questione
di competenza e non di giurisdizione. 
    A fronte delle domande proposte dai ricorrenti, che hanno chiesto
l'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato
a tempo indeterminato alle dipendenze del Ministero convenuto, e alla
luce delle argomentazioni sopra esposte, deve ritenersi la competenza
per materia del giudice del lavoro. 
    Nel merito, tutti i ricorrenti risultano assunti in forza di atti
privi  dell'indicazione  dei  motivi  ed  in   assenza   di   ragioni
giustificatrici obiettive (che non  possono  comunque  risolversi  in
esigenze   permanenti   del   datore   di   lavoro,   in   fabbisogni
tendenzialmente immutabili  o  dalla  durata  non  preventivabile)  e
alcuni di loro per una durata complessiva di oltre trentasei mesi,  e
cio' in difetto di specifiche, valide ed applicabili  indicazioni  su
durata massima dei contratti o rapporti e numero dei loro rinnovi. 
    Tali  assunzioni,  allo  stato  conformi  al   diritto   interno,
muterebbero la loro  qualificazione  nel  caso  d'accoglimento  della
questione di legittimita' costituzionale,  essendo  l'intervento  del
giudice delle leggi qui indispensabile perche' il settore  (pubblico)
scolastico  italiano  possa  trovarsi  a  rispettare   il   principio
ispiratore, espresso al n. 6 del "considerando" dell'accordo  quadro,
secondo  cui  "i  contratti   di   lavoro   a   tempo   indeterminato
rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono
alla qualita' della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il
rendimento". 
    E' il caso di anticipare che,  secondo  quanto  sopra  accennato,
l'illegittima apposizione del termine non  potrebbe  comportare,  nel
nostro ordinamento, la costituzione con una pubblica  amministrazione
di un rapporto a tempo indeterminato, ostandovi il disposto dell'art.
36  D.Lgs.  165/01  (e,  segnatamente  per  il  settore   scolastico,
dell'art. 4, comma 14-bis, L. 124/99). 
    Tuttavia, la pronuncia di accoglimento della Corte Costituzionale
schiuderebbe  le  porte  alla  domanda  di  risarcimento  dei  danni,
proposta dai ricorrenti in via subordinata rispetto alla richiesta. 
    Con la citata sentenza Adeneler, la Corte di Giustizia UE ha  del
resto chiarito che la sanzione  della  conversione  del  contratto  a
tempo determinato in contratto a tempo indeterminato non  e'  l'unico
possibile mezzo di tutela che uno Stato membro  puo'  approntare  per
assicurare il raggiungimento degli obiettivi posti  dalla  direttiva;
che e' pur necessaria l'adozione di  misure  dirette  a  prevenire  e
contrastare  l'utilizzazione  abusiva  di  contratti  a  termine   in
successione; che ciascuno Stato puo' dunque escludere l'effetto della
conversione,  purche'  adotti  misure  concrete,   proporzionate   ed
effettive, volte a contrastare il fenomeno dell'abusivo ricorso  alle
assunzioni a termine. 
    Misure che, dunque, ben possono risolversi - lo si indica qui sin
d'ora, al solo scopo di  consentire  alla  Corte  adita  un'esaustiva
delibazione in punto  di  rilevanza  -  nel  risarcimento  dei  danni
previsto dall'art. 36 D.Lgs. 165/01, modulato in modo che  al  vigile
del fuoco  volontario,  che  sia  stato  illegittimamente  assunto  a
termine  e  che  non  possa  vedere  accertata  la  natura  a   tempo
indeterminato del rapporto di lavoro, sia riconosciuto un quantum che
insieme rappresenti  adeguato  ristoro  del  danno  costituito  dalla
impossibilita' di fruire di un'occupazione  stabile  alle  dipendenze
della pubblica amministrazione,  possibilita'  invece  attribuita  ai
dipendenti di aziende private assunti a termine  illegittimamente,  e
contemporaneamente costituisca una valida  misura  dissuasiva  contro
l'abusivo ricorso alle assunzioni a termine. 
    Ne' potrebbe diversamente addivenirsi al medesimo  risultato  nel
giudizio a quo, atteso che la disciplina di cui all'art. 1 commi  519
e 526 della L. n. 296/2006 invocata da alcuni dei ricorrenti  prevede
una  procedura  selettiva  effettivamente  attivata   dal   Ministero
convenuto e rispetto alla quali  gli  interessati,  posizionatisi  in
graduatoria in una posizione non utile ai fini della stabilizzazione,
non hanno lamentato alcun vizio.