IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nella causa civile iscritta al n. 292/2010 avente ad  oggetto  la
richiesta di risarcimento danni a seguito di incidente stradale; 
    Visto l'art. 9  d.l.  n.  1/2012,  convertito  con  modificazioni
dall'art. 1 legge n. 27/2012, visto il d.m. n. 140/2012 del 20 luglio
2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 22 agosto 2012; 
    Ritenuto che il procuratore di parte convenuta, Munisteri  Grazia
Rosa, all'udienza del 19 ottobre 2012, fissata  per  la  precisazione
delle conclusioni, in comparsa conclusionale, ha  avanzato  eccezione
di incostituzionalita' delle predette previsioni (arti. 9, 5, 11  del
d.l. n. 1/2012), nella parte in  cui  viene  disposta  l'applicazione
retroattiva delle nuove competenze professionali anche ai giudizi  in
corso ed all'attivita' gia' svolta ed esaurita prima dell'entrata  in
vigore, in relazione agli artt. 3, 10, 24, 117 della Costituzione  e,
quest'ultimo in  relazione  all'art.  6  del  CEDU,  all'art.  5  del
trattato UE ed all'art. 296 del trattato sul funzionamento dell'UE ed
all'art. 6 del trattato UE e, per esso, ai principi  dello  Stato  di
diritto richiamati dalla convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo  e
dalla Carta di Nizza; 
    Esaminate le motivazioni relative alla questione  sopra  dedotta,
riportate nell'ordinanza del  13  settembre  2012  del  Tribunale  di
Cremona, di seguito  riportare,  che  sono  totalmente  condivise  da
questo giudicante: 
        «L'art. 9 d.l. n. 1/2012, convertito con modificazioni  dalla
legge n. 27/2012, ha disposto  l'abrogazione  con  effetto  ex  tunc,
quindi anche per le cause in corso, delle tariffe professionali. 
    L'effetto   retroattivo   dell'abrogazione   si   evince    senza
possibilita' di equivoci o differenti interpretazioni  dalla  lettera
dell'art. 9, comma I-II, ove si  afferma  perentoriamente  che  "sono
abrogate le  tariffe  delle  professioni  regolamentate  nel  sistema
ordinistico" e "nel caso  di  liquidazione  da  parte  di  un  organo
giurisdizionale, il compenso del professionista  e'  determinato  con
riferimento  a  parametri  stabiliti   con   decreto   del   Ministro
vigilante...». 
    Anche il comma V indirizza nella stessa direzione, affermando che
«sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la determinazione del
compenso  del  professionista,   rinviano   alle   tariffe...».   Ora
l'applicazione  retroattiva  dell'abrogazione  delle   tariffe   deve
ritenersi  in  contrasto  con  gli  articoli  3,  24  e   117   della
Costituzione, quest'ultimo nella parte in cui  impone  di  legiferare
nel rispetto degli impegni internazionali assunti dall'Italia,  nella
specie l'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo  (cui
ha aderito anche l'Unione ex art. 6 Trattato UE) e  il  principio  di
proporzionalita' all'art. 5 comma IV  e  all'art.  296  trattato  UE,
oltre  che  nel  rispetto  della  Carta  dei   Diritti   Fondamentali
dell'Unione firmata a Nizza nel 2000,  pure  richiamata  dall'art.  6
Trattato UE, che annovera lo stato di diritto tra i  principi  comuni
alle tradizioni costituzionali degli stati membri dell'UE. 
    Sebbene infatti la nostra Costituzione non  preveda,  se  non  in
campo penale e, secondo un'interpretazione piu' moderna, in tutto  il
settore sanzionatorio, il divieto assoluto di norme  retroattive,  il
principio   di    irretroattivita'    riceve    comunque    copertura
costituzionale, come anche recentemente la Consulta ha avuto modo  di
affermare nella sentenza n. 78/2012. 
    L'art. 3 della Costituzione infatti, nello stabilire il principio
di  uguaglianza  e,  quindi,  di  ragionevolezza  delle  scelte   del
legislatore, impone di salvaguardare la certezza dell'ordinamento, in
funzione dell'affidamento dei cittadini, che devono  poter  orientare
le proprie condotte, confidando che esse  non  saranno  sindacate  ex
posi, in base a norme non  vigenti  e,  dunque,  non  conoscibili  al
momento iri cui la fattispecie produttiva di  effetti  giuridici  era
ancora in fieri. 
    Ugualmente  l'art.  117  della  Costituzione,   nell'imporre   al
legislatore di legiferare in conformita'  al  diritto  internazionale
pattizio, rinvia, tra l'altro, alla Convenzione Europea  dei  Diritti
dell'Uomo, ratificata dall'Italia con legge n. 848/55,  nonche'  alla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che ha pure avuto  modo  di
precisare come, ex art. 6 CEDU, il  principio  della  preminenza  del
diritto e il concetto  di  processo  equo  ostano  a  che  il  potere
legislativo interferisca  con  l'amministrazione  della  giustizia  o
pregiudichi l'affidamento dei cittadini (cfr Corte EDU 7 giugno  2011
Agrati contro Italia). 
    Analoghi  principi  si  rinvengono  in  ambito  comunitario,  per
effetto  del  richiamo  effettuato  dall'art.  6   Trattato-Ue   alla
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e alla  Carta  dei  Diritti
dell'Unione di Nizza. 
    Dal compendio normativa richiamato emerge come la  retroattivita'
di una legge non penale possa ammettersi solamente laddove, all'esito
di un prudente bilanciamento, sussistano preminenti motivi imperativi
di interesse generale a sostegno della scelta. 
    Ora,  con  riferimento  alla  norma  censurata,   non   risultano
sussistere tali imperative ragioni di interesse generale, e la  norma
e' irragionevole. 
    Infatti lo scopo dichiarato del legislatore, col d.l. n. 1/2012 e
norme derivate e conseguenti, e' quello di liberalizzare  il  mercato
delle professioni. 
    Tuttavia,  rispetto   a   tale   obiettivo,   la   retroattivita'
dell'abrogazione delle tariffe e' del tutto inefficace e, quindi,  il
mezzo  appare  inadeguato  e  sproporzionato  allo  scopo  (con  cio'
concretizzando anche violazione del  principio  di  proporzionalita',
immanente al sistema  dell'Unione  ed  esplicitato  dall'5  comma  IV
Trattato sull'Unione  e  art.  296  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione). 
    Infatti l'autonomia negoziale, cui la  liberalizzazione  vorrebbe
fare da volano, risulta  veramente  spendibile  solo  nel  momento  -
anteriore  all'instaurazione  del  rapporto  -  delle  trattative  e,
quindi, solamente con riguardo  ai  contratti  ancora  da  stipulare,
successivi alle nuove disposizioni, mentre, per quelli gia'  conclusi
in epoca precedente e tutt'ora in fase di  esecuzione,  il  mutamento
dei  compensi  in  corso  d'opera  si   traduce   in   un   mutamento
dell'equilibrio contrattuale a suo tempo concordato tra le parti (con
una di esse che inevitabilmente finisce per  guadagnarci  e  un'altra
per perderci), a dispetto  delle  valutazioni  di  convenienza  dalle
stesse condotte al momento  della  stipulazione,  quando  invece,  in
passato, era sempre stato pacifico che le nuove tariffe che  via  via
entravano in vigore si sarebbero  applicate  solo  ed  esclusivamente
agli adempimenti successivi. 
    Cio' ha del resto la sua logica spiegazione giuridica  nel  fatto
che il diritto e la misura del compenso del professionista sorgono  e
si determinano  nel  momento  stesso  del  compimento  delle  singole
attivita'. 
    S'intende dire che la fattispecie giuridica, col  compimento  del
singolo adempimento, si e' gia' perfezionata e l'effetto (il  diritto
e la  misura  del  compenso)  si  e'  gia'  prodotto  in  favore  del
professionista, secondo il noto sillogismo fattonorma-effetto. 
    Intervenire retroattivamente su  quell'effetto  significa  dunque
non  solo   toccare   un   diritto   quesito,   ma   anche   alterare
arbitrariamente gli effetti di  una  fattispecie  esaurita,  a  danno
necessariamente di una delle parti. 
    Potrebbe quindi oggi quindi venirsi la disomogenea situazione per
cui, pur avendo in ipotesi due avvocati posto in essere  il  medesimo
adempimento in una  stessa  data,  uno  di  essi,  piu'  solerte  nel
chiederne il pagamento, avrebbe conseguito  il  dovuto  nella  misura
prevista dalle vecchie tariffe, mentre il secondo, che abbia come  di
consueto atteso la fine del giudizio,  limitandosi  a  richiedere  di
volta in volta degli  acconti,  si  vedrebbe  liquidato  un  compenso
differente e mediamente piu' basso. Ne' si dica che, per i  contratti
in corso, le parti potrebbero cautelarsi rinegoziando il  rapporto  e
concludendo l'accordo caldeggiato  dalla  riforma:  v'e'  infatti  da
domandarsi quale forza negoziale possano spendere  gli  avvocati  nei
confronti di clienti che, nel caso  non  si  dovesse  raggiungere  un
accordo, sanno che il compenso verra' liquidato in base al nuovo d.m.
n. 140/2012. Il quale prevede compensi mediamente assai piu' bassi di
quelli a suo tempo liquidabili col d.m. dell'8  aprile  2004  (stante
anche il fatto che il valore della causa non si determinerebbe  piu',
come avveniva in  precedenza,  in  base  alle  norme  del  codice  di
procedura civile, bensi' in  base  alla  somma  finale  concretamente
attribuita alla parte vincitrice). 
    Il  caso  di  specie  e'  emblematico:  posto  un  valore   della
controversia di euro 5.000,00 circa, in base al  d.m.  dell'8  aprile
2004 le parti  hanno  presentato  parcelle  che  oscillano  tra  euro
4.664,00 ed euro 10.000,00 circa, oltre a spese e accessori,  mentre,
adottando il d.m. n. 140/2012, il compenso del  legale  ammonterebbe,
in media, ad euro 2.100,00 circa, aumentabile fino ad un  massimo  di
euro 3.855,00. 
    Invece i calcoli funzionali alla conclusione  degli  accordi  sui
compensi si debbono fare all'inizio e a bocce ferme, non in corso  di
causa. 
    In realta' l'obiettivo del legislatore sembra  essere  un  altro:
dare forza contrattuale  al  cliente,  tramite  l'abbassamento  delle
tariffe, ma non gia' per favorire il portafogli del  cliente  stesso,
bensi' per spingere  gli  avvocati  a  non  accettare  incarichi  non
remunerativi e, cosi', bloccare l'alluvionale  afflusso  di  processi
che intasano le aule di giustizia, afflusso che non ha pari in nessun
altro paese d'Europa. 
    In pratica, dietro l'apparente schermo della liberalizzazione, si
tenta di risolvere il problema  della  giustizia,  facendo  leva  sul
solito versante delle spese: fino ad oggi lo si era fatto calcando la
mano sulla soccombenza; oggi  lo  si  fa  svilendo  il  lavoro  degli
avvocati. 
    Ed  ecco  allora  che,  nell'ottica  del  legislatore,  anche  la
retroattivita' dell'abrogazione delle tariffe acquisterebbe un senso:
quello di spingere gli avvocati a definire in  fretta  cause  per  le
quali si rischia di aver lavorato per anni in perdita. 
    Cosi'  pero'  si  usa  in  maniera  distorta  lo  schermo   della
liberalizzazione e lo strumento della retroattivita', per  creare  un
filtro indiretto all'accesso dei cittadini alla giustizia. 
    Ma cio' e' contrario all'art. 24  della  Costituzione,  che  deve
quindi anch'esso ritenersi violato dalla normativa censurata. 
    Si e' tutti d'accordo  che,  tra  le  cause  della  lentezza  dei
processi, vi sia l'eccessiva mole di contenzioso. 
    Bisogna pero'  allora  avere  il  coraggio  di  fare  una  scelta
fondamentale: o garantire un accesso alla  giustizia  indiscriminato,
come avviene oggi, strada che appare pero' sempre piu'  difficilmente
percorribile, a fronte della scarsita' di risorse;  oppure  creare  i
giusti filtri e limiti - il filtro  in  cassazione  e  il  filtro  in
appello ad esempio, recentemente introdotto -, che pero' non  possono
passare per  lo  svilimento  del  lavoro  gia'  svolto  di  un'intera
categoria di professionisti.». 
    Ritenuto: 
        che  le  questioni  di  costituzionalita'  sollevate  non  si
appalesano manifestamente infondate e sono rilevanti  ai  fini  della
decisione; 
        che conseguenternente si rende necessaria la sospensione  del
giudizio  e  la  remissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale
affinche' si pronunci sulla questione.