LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  sui  ricorsi  iscritti  ai
numeri 65050, 65051, 65052, 65053, 65054, 65055, 65056, 65057,  65058
e 65060 del registro di segreteria  proposti  dai  signori  Carriello
Gian Paolo, nato a Sorrento il 9 ottobre 1938, Visconti Sergio,  nato
a Terzigno il 2 febbraio 1945, Annunziata Gaetano, nato a Napoli l'11
novembre 1937, Schisano Bruno,  nato  a  Napoli  il  4  agosto  1946,
Lignola Pietro, nato a Napoli il  29  novembre  l934,  Dente  Gattola
Orazio, nato a Napoli il 22 marzo 1938, Taglialatela Giuliano, nato a
Gildone (Campobasso) l'11 giugno 1944, Tagliarini  Vincenza,  nata  a
Codogno (Lodi) il 23 settembre 1939, Vitiello Renato, nato  a  Napoli
il 4 gennaio 1939 e Del Grosso Pasquale, nato a Napoli  il  20  marzo
1937, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Luigi  M.  D'Angiolella,
con domicilio eletto in Napoli, Viale Gramsci n. 16, presso lo studio
legale del difensore, contro l'INPDAP, sede di Napoli, in persona del
legale rappresentante pro tempore e contro  l'INPS,  in  persona  del
legale rappresentante pro tempore, presso  l'Avvocatura  Distrettuale
dello Stato, Napoli. 
    Visto l'atto introduttivo del giudizio. 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'INPS,  ex  gestione
INPDAP, depositato agli atti del giudizio in data 27 febbraio 2012  e
la successiva memoria di difesa depositata il 30 marzo 2012. 
    Visti gli atti e i documenti contenuti nel fascicolo processuale. 
    Uditi  all'udienza  il  22  novembre  2012,  alla  presenza   del
segretario  d'udienza,  dott.ssa  Angela  Gallo,  l'avv.   Luigi   M.
D'Angiolella per le parti ricorrenti e la dott.ssa Maria  Orsola  Del
Prete, su delega del dirigente della Direzione Regionale  Campania  -
Molise  dell'INPS  -  Gestione  Ex  INPDAP,   per   l'amministrazione
resistente. 
 
                            Premesso che 
 
    Con  ricorso  proposto  avverso  l'INPDAP  e  l'INPS,  i   sig.ri
Carriello Gian Paolo, Visconti Sergio, Annunziata  Gaetano,  Schisano
Bruno, Lignola Pietro, Dente Gattola Orazio,  Taglialatela  Giuliano,
Tagliarini  Vincenza,  Vitiello  Renato  e   Del   Grosso   Pasquale,
magistrati ordinari in quiescenza, hanno  chiesto  il  riconoscimento
del diritto al trattamento previdenziale in essere  senza  tenere  in
conto le decurtazioni introdotte dall'art. 18, comma 22-bis, legge n.
111/2011, temporaneamente abrogate dal decreto-legge 13 agosto  2011,
n. 138, successivamente reintrodotte dall'art. 2, comma 1,  legge  n.
148/2011 e confermate con la recente legge n. 214/2011  (decurtazioni
operate a partire dal 1° agosto 2011) e, per gli anni  2012  e  2013,
senza tenere in conto le declinazioni del  trattamento  previdenziale
previste dall'art. 18, comma 3, legge n. 111/2011, secondo il quale i
trattamenti previdenziali superiori a cinque  volte  il  c.d.  minimo
INPS non beneficiano della rivalutazione automatica di cui alla legge
n. 448/1998 (la norma risulta  sostituita  dall'art.  24,  comma  25,
legge n. 214/2011, che ha disposto  l'abbassamento  della  soglia  da
cinque a tre volte il c.d. minimo INPS). 
    I ricorrenti hanno inoltre  contestato  la  disciplina  contenuta
nell'art. 2, comma 1, decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138,  conv.  in
legge n. 148/2011, che nel disciplinare la decorrenza  temporale  del
contributo  straordinario  avrebbe  irragionevolmente  previsto   una
durata pari a 36 mesi (dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013) per i
dipendenti pubblici in servizio e pari a 41  mesi  per  i  pensionati
(dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014). 
    Le   parti   ricorrenti   hanno   conseguentemente   chiesto   la
restituzione delle trattenute medio tempore disposte, oltre interessi
legali e rivalutazione monetaria come per legge. I  ricorrenti  hanno
in particolare contestato l'applicazione in via retroattiva, disposta
dall'ente previdenziale, della richiamata normativa ed hanno  inoltre
sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  delle  predette
norme per violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli
2, 3, 53 e 97 della Costituzione. 
    Con  i  ricorsi  in  epigrafe  e'  stata  inoltre  domandata   la
sospensione  cautelare  delle  ritenute   gia'   disposte   dall'ente
previdenziale, atteso che il trattamento pensionistico sarebbe  stato
pesantemente inciso  dalle  suddette  ritenute  e  che  cio'  avrebbe
indebitamente modificato il tenore di vita dei ricorrenti. 
    Con  il  decreto  del  Giudice  Unico  del   9   febbraio   2012,
regolarmente  trasmesso  alle  parti,  veniva  fissata  l'udienza  di
discussione del giudizio cautelare per la data del 12 aprile 2012. 
    Con la memoria di difesa depositata il 30 marzo 2012, l'INPS  (Ex
Gestione INPDAP) ha proceduto a ripercorrere l'evoluzione legislativa
nella subiecta materia ed ha concluso sostenendo che la pur complessa
evoluzione normativa si e' assestata con l'introduzione  della  legge
n. 148/2011, che ha  stabilizzato,  per  il  periodo  agosto  2011  -
dicembre 2014, il  c.d.  contributo  di  solidarieta'  a  carico  dei
redditi  pensionistici  erogati  dagli  enti  gestori  di  forme   di
previdenza obbligatoria previsto dall'art. 18, comma 22-bis, legge n.
111/2011 (5%  per  le  pensioni  con  importi  lordi  annui  oltre  i
90.000,00 euro e 10% per le pensioni con importi lordi annui compresi
tra i 150.000,00 euro e i 200.000,00 euro; per le  pensioni  oltre  i
200.000,00 euro  lordi  annui  l'art.  24,  comma  31-bis,  legge  n.
214/2011 ha poi previsto un contributo di solidarieta' pari al 15%). 
    L'ente  previdenziale  ha  contestato  le  censure  della   parte
ricorrente    in    merito    alla    violazione    del     principio
dell'irretroattivita' delle imposizioni  tributarie,  atteso  che  il
proprio  operato,  alla  luce  della  seppur  travagliata  evoluzione
normativa,  e'  sempre   stato   sostenuto   da   fonti   legislative
legittimanti in vigore. La parte resistente non ha  controdedotto  in
merito alla questione di legittimita' costituzionale  delle  predette
norme. 
    Con distinte ordinanze n. 137, 138, 139, 140, 141, 142, 143, 144,
145 e 146, depositate il 4  maggio  2012,  l'istanza  di  sospensione
cautelare delle trattenute previdenziali veniva rigettata per difetto
del c.d. periculum in mora e veniva al contempo fissata l'udienza  di
discussione del merito dei giudizi  per  l'udienza  del  22  novembre
2012. 
    All'odierna udienza le parti  hanno  insistito  nelle  reciproche
posizioni. 
    L'avv. D'Angiolella ha in particolare insistito  in  merito  alla
fondatezza della prospettata questione di legittimita' costituzionale
delle richiamate norme che hanno imposto le  ritenute  previdenziali.
La dott.ssa Maria Orsola Del Prete ha ribadito che  il  comportamento
dell'amministrazione e' stato rispettoso dell'assetto normativo e non
ha  formulato  eccezioni  specifiche  in  ordine  alla  questione  di
costituzionalita'. Con  riferimento  alla  posizione  del  ricorrente
Taglialatela Giuliano (ricorso n. 65056), la dott.ssa  Del  Prete  ha
inoltre rilevato che il medesimo risiede nella Regione  Basilicata  e
che pertanto la sua partita previdenziale non risulta a carico  della
Direzione Regionale Campania - Molise. 
 
                           Considerato che 
 
    In via pregiudiziale si rileva che a norma dell'art. 21, comma 1,
decreto-legge 6  dicembre  2011,  n.  201,  convertito  in  legge  22
dicembre 2011, n. 214: «...l'NPDAP e l'ENPALS sono soppressi  dal  1°
gennaio 2012 e le relative funzioni  sono  attribuite  all'INPS,  che
succede in tutti i rapporti attivi e passivi  degli  Enti  soppressi.
Dalla data di entrata in vigore del presente decreto  e  fino  al  31
dicembre 2011, l'INPDAP e l'ENPALS  possono  svolgere  solo  atti  di
ordinaria amministrazione».  Il  contradditorio  processuale  risulta
pertanto validamente instaurato nei confronti dell'INPS (ex  Gestione
INPDAP), che si ritualmente costituita in giudizio. 
    I distinti giudizi risultano promossi collettivamente dalle parti
ricorrenti e sono sorretti dalle medesime considerazioni  giuridiche,
con le conseguenza che risulta ragionevole, per economia processuale,
disporre la riunione dei relativi procedimenti. 
    I ricorrenti, che  risultano  titolari  di  pensione  diretta  di
importo superiore ad euro 90.000,00 annui, con  il  presente  ricorso
chiedono -  come  gia'  anticipato  nella  premessa  in  fatto  -  il
riconoscimento  del  proprio  diritto  a  percepire  il   trattamento
pensionistico  ordinario,  da   calcolare   senza   le   decurtazioni
introdotte dall'art. 18, comma 22-bis, decreto-legge 6  luglio  2011,
n. 98, conv. in  legge  n.  111/2011,  temporaneamente  abrogate  dal
decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138,  successivamente  reintrodotte
dall'art. 2, comma 1, legge n. 148/2011 e confermate con  la  recente
legge n. 214/2011 (decurtazioni operate a partire dal 1° agosto 2011)
e, per gli anni 2012 e 2013, senza tenere in  conto  le  decurtazioni
del trattamento previdenziale previste dall'art. 18, comma  3,  legge
n. 111/2011  (come  sostituito  dall'art.  24,  comma  25,  legge  n.
214/2011) a  seguito  della  modificazione  delle  decurtazioni  gia'
previste nell'attualita'. A sostegno della domanda e' stata sollevata
specifica questione di  legittimita'  costituzionale  delle  predette
norme per violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli
2, 3, 53 e 97 della Costituzione. 
    L'art. 18, comma 22-bis, decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98,
conv. in legge n. 111/2011 prevede oggi che «In considerazione  della
eccezionalita' della situazione  economica  internazionale  e  tenuto
conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica, a decorrere  dal  1°  agosto  2011  e  fino  al  31
dicembre  2014,  i  trattamenti  pensionistici  corrisposti  da  enti
gestori  di  forme  di  previdenza  obbligatorie,   i   cui   importi
complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, sono  assoggettati
ad un contributo di perequazione pari al  5  per  cento  della  parte
eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' pari al 10
per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per  cento  per
la parte eccedente 200.000 euro; a seguito della  predetta  riduzione
il trattamento pensionistico complessivo  non  puo'  essere  comunque
inferiore a 90.000 euro lordi annui. Ai predetti  importi  concorrono
anche i trattamenti erogati da forme pensionistiche che  garantiscono
prestazioni definite in aggiunta o ad  integrazione  del  trattamento
pensionistico obbligatorio, ivi comprese quelle  di  cui  al  decreto
legislativo 16 settembre 1996, n.  563,  al  decreto  legislativo  20
novembre 1990, n. 357, al decreto legislativo  5  dicembre  2005,  n.
252, nonche' i trattamenti che assicurano  prestazioni  definite  dei
dipendenti delle regioni a statuto speciale e degli enti di cui  alla
legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni, ivi  compresa
la gestione speciale ad esaurimento di cui all'art.  75  del  decreto
del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, nonche'  le
gestioni di previdenza obbligatorie presso l'INPS  per  il  personale
addetto alle imposte di consumo, per il  personale  dipendente  dalle
aziende private  del  gas  e  per  il  personale  gia'  addetto  alle
esattorie e alle ricevitorie delle  imposte  dirette.  La  trattenuta
relativa al predetto contributo di perequazione e' applicata, in  via
preventiva  e  salvo   conguaglio,   a   conclusione   dell'anno   di
riferimento, all'atto della corresponsione di ciascun rateo  mensile.
Ai fini  dell'applicazione  della  predetta  trattenuta  e'  preso  a
riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l'anno
considerato. L'INPS, sulla base dei dati che risultano dal casellario
centrale dei pensionati, istituito con decreto del  Presidente  della
Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, e successive modificazioni,  e'
tenuto a fornire a tutti gli enti interessati  i  necessari  elementi
per l'effettuazione della trattenuta del contributo di  perequazione,
secondo modalita' proporzionali  ai  trattamenti  erogati.  Le  somme
trattenute dagli enti vengono versate, entro il  quindicesimo  giorno
dalla data in cui e' erogato il trattamento su cui e'  effettuata  la
trattenuta, all'entrata del bilancio dello Stato». 
    L'art. 24,  comma  25,  legge  n.  214/2011  (che  ha  sostituito
l'abrogato art. 18, comma 3, legge n. 111/2011) prevede  inoltre  che
«In  considerazione  della  contingente  situazione  finanziaria,  la
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici,  secondo  il
meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge  23  dicembre
1998,  n.  448,  e'  riconosciuta,  per  gli  anni   2012   e   2013,
esclusivamente ai trattamenti pensionistici  di  importo  complessivo
fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per
cento.  Per  le  pensioni  di  importo  superiore  a  tre  volte   il
trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato  della
quota di rivalutazione automatica spettante  ai  sensi  del  presente
comma, l'aumento di  rivalutazione  e'  comunque  attribuito  fino  a
concorrenza del predetto limite maggiorato. Il comma 3  dell'art.  18
del  decreto-legge  6   luglio   2011,   n.   98,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e' abrogato». 
    Secondo  i  ricorrenti  il  c.d.  contributo  di  perequazione  e
solidarieta' avrebbe  in  primo  luogo  natura  tributaria.  Da  tale
assunto conseguirebbe  l'assoggettamento  delle  relative  detrazioni
finanziarie al disposto  dell'art.  53  della  Carta  Fondamentale  e
quindi ai principi di generalita' dell'imposizione e a quello secondo
cui il carico fiscale deve essere basato sulla capacita' contributiva
ed informato a criteri di  progressivita'.  Le  conseguenze  pratiche
derivanti  dall'applicazione  delle  norme  che  hanno   imposto   il
contributo  di   solidarieta'   risulterebbero   invero   del   tutto
irragionevoli,  in  quanto  limitate  ad  una  ristretta  fascia   di
contribuenti, segnatamente i pensionati e - secondo  quanto  previsto
dall'art. 9, comma 2 decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78,  conv.  in
legge n. 122/2010 - i dipendenti pubblici. 
    Con   specifico   riguardo   alla   posizione   dei   pensionati,
risulterebbe inoltre del tutto irragionevole la previsione  contenuta
nell'art. 2, comma 2, decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, conv.  in
legge  n.  148/2011,  secondo  la  quale  «In  considerazione   della
eccezionalita' della situazione  economica  internazionale  e  tenuto
conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica concordati in  sede  europea,  a  decorrere  dal  1°
gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul  reddito  complessivo  di
cui all'art. 8 del testo unico delle imposte sui redditi  di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,  e
successive modificazioni, di importo superiore a 300.000  euro  lordi
annui, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento  sulla
parte eccedente il predetto importo...». Paradossalmente,  secondo  i
ricorrenti, la contribuzione richiesta per redditi oltre i 300.000,00
euro  sarebbe  nettamente  minore,  in  termini  assoluti,  a  quella
richiesta per i redditi inferiori, anche quelli di poco superiori  la
soglia iniziale di  90.000,00  euro.  L'irragionevolezza  sostanziale
delle norme impositive sarebbe palese e  si  sarebbe  tradotta  nella
violazione  dei  principi  solidaristici   e   in   un'ingiustificata
disparita' di trattamento, con conseguente violazione degli artt. 2 e
3 e 97 Cost. 
    I ricorrenti hanno inoltre sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale per violazione degli artt. 2, 3,  53  e  97  Cost.  in
relazione alla norma contenuta nell'art. 2, comma 1, decreto-legge 13
agosto 2011, n. 138, conv. in  legge  n.  148/2011,  che,  come  gia'
evidenziato nella parte in  fatto,  nel  disciplinare  la  decorrenza
temporale  del  contributo  straordinario  avrebbe  irragionevolmente
previsto una durata pari a  36  mesi  (dal  1°  gennaio  2011  al  31
dicembre 2013) per i dipendenti pubblici in servizio e pari a 41 mesi
per i pensionati (dal 1° agosto 2011 dicembre 2014). 
    La norma prevede espressamente che «Le disposizioni di  cui  agli
articoli 9, comma  2,  del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  e
18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, continuano  ad
applicarsi nei termini ivi previsti rispettivamente  dal  1°  gennaio
2011 al 31 dicembre 2013 e dal 1° agosto 2011 al 31  dicembre  2014».
Secondo  i  ricorrenti  la   differenziazione   sarebbe   del   tutto
incomprensibile, atteso che la previsione di un  diverso  trattamento
sostanziale, a parita' di reddito, non  sarebbe  sorretta  da  alcuna
ragione  plausibile,  con   conseguente   incostituzionalita'   della
disposizione. 
 
                            Ritenuto che 
 
    1) In  primo  luogo  deve  essere  evidenziato  che  sussiste  la
rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata nel presente
giudizio, atteso che il gravame ha «un petitum  separato  e  distinto
dalla questione di costituzionalita', sul quale il giudice remittente
sia legittimamente chiamato, in ragione della propria  competenza,  a
decidere» (C. Cost., sentenze n. 4 del 2000 e n. 38 del 2009)  e  che
il  petitum  medesimo  concerne  l'accertamento   del   diritto   del
ricorrente a conservare il proprio trattamento pensionistico senza le
decurtazioni disposte dalle norme censurate, per cui, trattandosi  di
disposizioni  di   diretta   ed   immediata   applicazione,   sarebbe
impossibile pervenire al  riconoscimento  di  tale  diritto,  se  non
attraverso la rimozione della norma attraverso la via della richiesta
e correlata declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  di  tali
disposizioni normative. Su questo punto si evidenzia infatti  che  le
norme oggetto di  gravame  risultano  specifiche  e  puntuali  e  non
consentono  opzioni  ermeneutiche  alternative  che   consentano   di
riconoscere   -    anche    sulla    base    di    un'interpretazione
costituzionalmente orientata - la fondatezza della domanda sulla base
dell'assetto normativo fissato dal Legislatore. 
    2) Il Giudice Unico ritiene  che  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate  dai  ricorrenti  in  relazione  alle  norme
contenute nell'art. 18, comma 22-bis, decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98, conv. in legge n. 111/2011, nell'art.  24,  comma  25,  legge  n.
214/2011 e nell'art. 2, comma 1, decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138,
conv. in legge n. 148/2011 siano non manifestamente infondate. 
    Si evidenzia quanto segue. 
    2.1) Con riguardo alle previsioni contenute nell'art.  18,  comma
22-bis, decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98,  conv.  in  legge  n.
111/2011 e  nell'art.  24,  comma  25,  legge  n.  214/2011  (che  ha
sostituito l'abrogato  art.  18,  comma  3,  legge  n.  111/2011)  si
evidenzia che le norme si inseriscono in un contesto  contingente  in
relazione  al  quale  il  legislatore  ha  previsto,  nella   materia
previdenziale, una serie di misure finalizzate a contenere  la  spesa
pubblica. Il richiamato art. 18, relativo ad «Interventi  in  materia
previdenziale» ha imposto alla  categoria  dei  pensionati  sacrifici
rilevanti. Segnatamente l'aumento dell'eta' pensionabile delle  donne
dipendenti  del  settore  privato  e  delle   lavoratrici   autonome,
l'anticipo  al  2013  dell'aumento  dell'eta'   pensionabile   legato
all'aspettativa di vita, il posticipo della  finestra  mobile  per  i
lavoratori che vanno  in  pensione  di  anzianita'  con  40  anni  di
contribuzione,   la   riduzione   delle   pensioni   ai   superstiti,
l'obbligatorieta' della iscrizione  dei  pensionati  con  reddito  da
lavoro autonomo alle casse dei professionisti e infine il  contributo
di solidarieta' per i titolari di pensione superiore ai  90,000  euro
lordi annui e il blocco della rivalutazione delle pensioni  superiori
a cinque volte il minimo - ora tre volte il minimo  (disposizioni  in
relazione  alle  quali  sono  state   formulate   le   questioni   di
legittimita' costituzionale oggetto del presente giudizio). 
    Le detrazioni imposte alle prestazioni previdenziali, sia  quelle
dirette che  hanno  determinato  una  riduzione  del  trattamento  in
godimento, sia  quelle  indirette  che  hanno  inciso  sulla  mancata
rivalutazione  prevista  dalla  legge   devono   essere   considerate
prestazioni imposte ex art. 23 Cost., atteso che esse  hanno  assunto
carattere  sostanzialmente  ablatorio   e   risultano   pacificamente
destinate a stabilizzare i saldi della finanza pubblica attraverso un
risparmio di spesa. 
    Sussistono pertanto i presupposti per  qualificare  le  norme  in
esame quali disposizioni tributarie, in quanto  determinanti,  da  un
lato, l'ablazione di somme da parte dell'erogatore del trattamento  e
il successivo riversamento nelle casse dell'Erario e dall'altro  lato
la destinazione  delle  medesime  somme  all'apprestamento  di  mezzi
necessari al fabbisogno dello Stato (C. Cost., sent. n. 11/1995). 
    Tuttavia,  i  pesanti  sacrifici  imposti  dalla  legge   gravano
soltanto su alcune categorie di soggetti sui quali e' stato  previsto
l'obbligo  di  concorrere,  in  proporzione  alla  propria  capacita'
contributiva, alle esigenze della finanza  pubblica.  Segnatamente  i
pensionati e i dipendenti pubblici (in forza dell'art.  9,  comma  2,
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, conv.  in  legge  n.  122/2010).
Come  esattamente  evidenziato  dalle  parti   ricorrenti   l'assetto
normativo lascia inspiegabilmente ed illogicamente indenni  tutte  le
altre categorie di contribuenti. 
    Il principio solidaristico di cui all'art. 2  Cost.,  valido  per
tutte le categorie di cittadini, va  coordinato  con  i  principi  di
eguaglianza, parita' di trattamento e capacita' contributiva (artt. 3
e  53  Cost.).  Conseguentemente  la  scelta  normativa,   rientrante
senz'altro nella discrezionalita'  del  legislatore,  avrebbe  dovuto
essere esercitata entro i limiti fissati dagli artt. 3 e 53 Cost.  in
punto di uguaglianza,  ragionevolezza,  equita',  proporzionalita'  e
rispetto del principio di capacita' contributiva. Circostanza  questa
che non  risulta  dall'analisi  delle  richiamate  norme  oggetto  di
sindacato di legittimita' costituzionale. 
    La questione sostanziale dedotta nel presente giudizio  e'  stata
affrontata dal Giudice delle Leggi in  relazione  alla  questione  di
costituzionalita'  sollevata  da  numerosi  Tribunali  Amministrativi
Regionali in relazione all'art. 9, comma 2, decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78, conv. in legge n. 122/2010. Con la  sentenza  8  ottobre
2012, n. 223 la Corte costituzionale ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale della norma e ha in particolare rilevato, con riguardo
alla natura tributaria della disposizione, che «... indipendentemente
dal nomen iuris attribuitole dal legislatore, al fine di valutare  se
una decurtazione patrimoniale definitiva integri un tributo,  occorre
interpretare la disciplina sostanziale che la prevede alla  luce  dei
criteri   indicati   dalla   giurisprudenza    costituzionale    come
caratterizzanti la nozione unitaria di tributo: cioe' la  doverosita'
della prestazione, in mancanza di un rapporto sinallagmatico  tra  le
parti, nonche' il collegamento di tale prestazione  con  la  pubblica
spesa, in relazione ad un presupposto  economicamente  rilevante  (ex
plurimis, sentenze n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008,  n.  334
del 2006, n. 73  del  2005).  Un  tributo  consiste,  quindi,  in  un
«prelievo coattivo che e'  finalizzato  al  concorso  alle  pubbliche
spese ed e' posto a carico di un soggetto  passivo  in  base  ad  uno
specifico indice di capacita'  contributiva»  (sentenza  n.  102  del
2008);  indice  che  deve  esprimere  l'idoneita'  di  tale  soggetto
all'obbligazione tributaria (sentenze n. 91 del 1972, n. 97 del 1968,
n. 89 del 1966, n. 16 del 1965, n. 45 del 1964)». 
    Con  riguardo  al  contestato   effetto   discriminatorio   della
disposizione il Giudice delle Leggi ha puntualmente  evidenziato  che
«... la norma  impugnata  si  pone  in  evidente  contrasto  con  gli
articoli 3 e 53 Cost. L'introduzione di  una  imposta  speciale,  sia
pure transitoria ed eccezionale, in relazione soltanto ai redditi  di
lavoro dei dipendenti delle pubbliche  amministrazioni  inserite  nel
conto economico consolidato  della  pubblica  amministrazione  viola,
infatti,  il  principio  della  parita'  di  prelievo  a  parita'  di
presupposto d'imposta economicamente rilevante.  Tale  violazione  si
manifesta sotto due diversi profili. 
    Da un lato, a parita'  di  reddito  lavorativo,  il  prelievo  e'
ingiustificatamente limitato ai  soli  dipendenti  pubblici.  D'altro
lato,  il  legislatore,  pur  avendo  richiesto  (con  l'art.  2  del
decreto-legge n. 138 del 2011)  il  contributo  di  solidarieta'  (di
indubbia natura tributaria) del 3%  sui  redditi  annui  superiori  a
300.000,00 euro, al fine di reperire risorse per  la  stabilizzazione
finanziaria, ha inopinatamente scelto di imporre ai  soli  dipendenti
pubblici, per la medesima «finalita', l'ulteriore  speciale  prelievo
tributario  oggetto  di  censura.  Nel   caso   in   esame,   dunque,
l'irragionevolezza non risiede nell'entita' del prelievo  denunciato,
ma  nella  ingiustificata  limitazione  della  platea  dei   soggetti
passivi. La sostanziale identita' di ratio dei differenti  interventi
"di solidarieta'",  poi,  prelude  essa  stessa  ad  un  giudizio  di
irragionevolezza ed arbitrarieta' del diverso  trattamento  riservato
ai pubblici dipendenti, foriero, peraltro di un risultato di bilancio
che avrebbe potuto essere ben diverso e piu' favorevole per lo Stato,
laddove il legislatore avesse rispettato i  principi  di  eguaglianza
dei  cittadini  e  di   solidarieta'   economica,   anche   modulando
diversamente un "universale" intervento impositivo.  L'eccezionalita'
della situazione economica che lo Stato deve affrontare e',  infatti,
suscettibile senza dubbio  di  consentire  al  legislatore  anche  il
ricorso  a  strumenti   eccezionali,   nel   difficile   compito   di
contemperare il  soddisfacimento  degli  interessi  finanziari  e  di
garantire  i  servizi  e  la  protezione  di  cui   tutti   cittadini
necessitano. Tuttavia, e' compito dello  Stato  garantire,  anche  in
queste   condizioni,   il   rispetto   dei   principi    fondamentali
dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non e' indifferente
alla realta' economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non
puo' consentire deroghe al principio di  uguaglianza,  sul  quale  e'
fondato l'ordinamento costituzionale. 
    In conclusione, il tributo  imposto  determina  un  irragionevole
effetto discriminatorio.». 
    Sulla  base  delle  argomentazioni  svolte  e  alla  luce   delle
statuizioni contenute nella sentenza della  Corte  costituzionale  n.
223/2012, questo Giudice Unico ritiene che,  anche  in  relazione  al
disposto contenuto negli articoli 18, comma 22-bis,  decreto-legge  6
luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011 e 24, comma 25,  legge
n. 214/2011,  risultano  violati  i  parametri  costituzionali  degli
articoli 2, 3 e 53 e 97 Cost. sotto il profilo  della  disparita'  di
trattamento e della  sproporzione  ed  irrazionalita'  della  misura,
avendo  il  Legislatore  limitato  l'applicazione  di   un   prelievo
tributario  di  carattere  generale  ad  una  limitata   platea   dei
contribuenti. 
    Si evidenzia  infine  che  questa  Sezione  Giurisdizionale,  con
ordinanza  n.  230/2012  ha  sollevato  questione   di   legittimita'
costituzionale (per violazione degli articoli  2,  3,  53,  42  e  97
Cost.) della  disposizione  contenuta  nell'art.  18,  comma  22-bis,
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011. 
    2.2) Con riguardo alla previsione contenuta nell'art. 2, comma 1,
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, conv. in legge n. 148/2011,  si
evidenzia che obiettivamente la norma individua decorrenze  temporali
distinte per le decurtazioni del trattamento  salariale  ex  art.  9,
comma 2, decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98  e  del  trattamento
previdenziale ex art. 18, comma 22-bis, decreto-legge 6 luglio  2011,
n. 98. Tale  differenziazione  risulta  del  tutto  ingiustificata  e
seppure   in   via   subordinata   rispetto   alla    questione    di
costituzionalita' della stessa disposizione contenuta  nell'art.  18,
comma 22-bis,  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98,  deve  essere
sollevata questione di costituzionalita' specifica  per  la  ritenuta
violazione degli articoli 2, 3, 53 e 97 Cost. 
    Tanto  premesso,  in  applicazione  dell'art.  23   della   legge
Costituzionale n. 87/1953, riservata ogni altra  decisione  all'esito
del giudizio innanzi alla  Corte  Costituzionale,  il  Giudice  Unico
solleva l'incidente di costituzionalita' dell'art. 18, comma  22-bis,
decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98,  conv.  in  legge  n.  111/2011,
dell'art. 24, comma 25, legge n. 214/2011 e  dell'art.  2,  comma  1,
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, conv. in legge n. 148/2011  con
riferimento agli artt. 2, 3,  53  e  97  Cost.  per  le  ragioni  che
precedono, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale.