LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi iscritti ai numeri 65050, 65051, 65052, 65053, 65054, 65055, 65056, 65057, 65058 e 65060 del registro di segreteria proposti dai signori Carriello Gian Paolo, nato a Sorrento il 9 ottobre 1938, Visconti Sergio, nato a Terzigno il 2 febbraio 1945, Annunziata Gaetano, nato a Napoli l'11 novembre 1937, Schisano Bruno, nato a Napoli il 4 agosto 1946, Lignola Pietro, nato a Napoli il 29 novembre l934, Dente Gattola Orazio, nato a Napoli il 22 marzo 1938, Taglialatela Giuliano, nato a Gildone (Campobasso) l'11 giugno 1944, Tagliarini Vincenza, nata a Codogno (Lodi) il 23 settembre 1939, Vitiello Renato, nato a Napoli il 4 gennaio 1939 e Del Grosso Pasquale, nato a Napoli il 20 marzo 1937, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Luigi M. D'Angiolella, con domicilio eletto in Napoli, Viale Gramsci n. 16, presso lo studio legale del difensore, contro l'INPDAP, sede di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore e contro l'INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato, Napoli. Visto l'atto introduttivo del giudizio. Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'INPS, ex gestione INPDAP, depositato agli atti del giudizio in data 27 febbraio 2012 e la successiva memoria di difesa depositata il 30 marzo 2012. Visti gli atti e i documenti contenuti nel fascicolo processuale. Uditi all'udienza il 22 novembre 2012, alla presenza del segretario d'udienza, dott.ssa Angela Gallo, l'avv. Luigi M. D'Angiolella per le parti ricorrenti e la dott.ssa Maria Orsola Del Prete, su delega del dirigente della Direzione Regionale Campania - Molise dell'INPS - Gestione Ex INPDAP, per l'amministrazione resistente. Premesso che Con ricorso proposto avverso l'INPDAP e l'INPS, i sig.ri Carriello Gian Paolo, Visconti Sergio, Annunziata Gaetano, Schisano Bruno, Lignola Pietro, Dente Gattola Orazio, Taglialatela Giuliano, Tagliarini Vincenza, Vitiello Renato e Del Grosso Pasquale, magistrati ordinari in quiescenza, hanno chiesto il riconoscimento del diritto al trattamento previdenziale in essere senza tenere in conto le decurtazioni introdotte dall'art. 18, comma 22-bis, legge n. 111/2011, temporaneamente abrogate dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, successivamente reintrodotte dall'art. 2, comma 1, legge n. 148/2011 e confermate con la recente legge n. 214/2011 (decurtazioni operate a partire dal 1° agosto 2011) e, per gli anni 2012 e 2013, senza tenere in conto le declinazioni del trattamento previdenziale previste dall'art. 18, comma 3, legge n. 111/2011, secondo il quale i trattamenti previdenziali superiori a cinque volte il c.d. minimo INPS non beneficiano della rivalutazione automatica di cui alla legge n. 448/1998 (la norma risulta sostituita dall'art. 24, comma 25, legge n. 214/2011, che ha disposto l'abbassamento della soglia da cinque a tre volte il c.d. minimo INPS). I ricorrenti hanno inoltre contestato la disciplina contenuta nell'art. 2, comma 1, decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, conv. in legge n. 148/2011, che nel disciplinare la decorrenza temporale del contributo straordinario avrebbe irragionevolmente previsto una durata pari a 36 mesi (dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013) per i dipendenti pubblici in servizio e pari a 41 mesi per i pensionati (dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014). Le parti ricorrenti hanno conseguentemente chiesto la restituzione delle trattenute medio tempore disposte, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge. I ricorrenti hanno in particolare contestato l'applicazione in via retroattiva, disposta dall'ente previdenziale, della richiamata normativa ed hanno inoltre sollevato questione di legittimita' costituzionale delle predette norme per violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 2, 3, 53 e 97 della Costituzione. Con i ricorsi in epigrafe e' stata inoltre domandata la sospensione cautelare delle ritenute gia' disposte dall'ente previdenziale, atteso che il trattamento pensionistico sarebbe stato pesantemente inciso dalle suddette ritenute e che cio' avrebbe indebitamente modificato il tenore di vita dei ricorrenti. Con il decreto del Giudice Unico del 9 febbraio 2012, regolarmente trasmesso alle parti, veniva fissata l'udienza di discussione del giudizio cautelare per la data del 12 aprile 2012. Con la memoria di difesa depositata il 30 marzo 2012, l'INPS (Ex Gestione INPDAP) ha proceduto a ripercorrere l'evoluzione legislativa nella subiecta materia ed ha concluso sostenendo che la pur complessa evoluzione normativa si e' assestata con l'introduzione della legge n. 148/2011, che ha stabilizzato, per il periodo agosto 2011 - dicembre 2014, il c.d. contributo di solidarieta' a carico dei redditi pensionistici erogati dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria previsto dall'art. 18, comma 22-bis, legge n. 111/2011 (5% per le pensioni con importi lordi annui oltre i 90.000,00 euro e 10% per le pensioni con importi lordi annui compresi tra i 150.000,00 euro e i 200.000,00 euro; per le pensioni oltre i 200.000,00 euro lordi annui l'art. 24, comma 31-bis, legge n. 214/2011 ha poi previsto un contributo di solidarieta' pari al 15%). L'ente previdenziale ha contestato le censure della parte ricorrente in merito alla violazione del principio dell'irretroattivita' delle imposizioni tributarie, atteso che il proprio operato, alla luce della seppur travagliata evoluzione normativa, e' sempre stato sostenuto da fonti legislative legittimanti in vigore. La parte resistente non ha controdedotto in merito alla questione di legittimita' costituzionale delle predette norme. Con distinte ordinanze n. 137, 138, 139, 140, 141, 142, 143, 144, 145 e 146, depositate il 4 maggio 2012, l'istanza di sospensione cautelare delle trattenute previdenziali veniva rigettata per difetto del c.d. periculum in mora e veniva al contempo fissata l'udienza di discussione del merito dei giudizi per l'udienza del 22 novembre 2012. All'odierna udienza le parti hanno insistito nelle reciproche posizioni. L'avv. D'Angiolella ha in particolare insistito in merito alla fondatezza della prospettata questione di legittimita' costituzionale delle richiamate norme che hanno imposto le ritenute previdenziali. La dott.ssa Maria Orsola Del Prete ha ribadito che il comportamento dell'amministrazione e' stato rispettoso dell'assetto normativo e non ha formulato eccezioni specifiche in ordine alla questione di costituzionalita'. Con riferimento alla posizione del ricorrente Taglialatela Giuliano (ricorso n. 65056), la dott.ssa Del Prete ha inoltre rilevato che il medesimo risiede nella Regione Basilicata e che pertanto la sua partita previdenziale non risulta a carico della Direzione Regionale Campania - Molise. Considerato che In via pregiudiziale si rileva che a norma dell'art. 21, comma 1, decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214: «...l'NPDAP e l'ENPALS sono soppressi dal 1° gennaio 2012 e le relative funzioni sono attribuite all'INPS, che succede in tutti i rapporti attivi e passivi degli Enti soppressi. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2011, l'INPDAP e l'ENPALS possono svolgere solo atti di ordinaria amministrazione». Il contradditorio processuale risulta pertanto validamente instaurato nei confronti dell'INPS (ex Gestione INPDAP), che si ritualmente costituita in giudizio. I distinti giudizi risultano promossi collettivamente dalle parti ricorrenti e sono sorretti dalle medesime considerazioni giuridiche, con le conseguenza che risulta ragionevole, per economia processuale, disporre la riunione dei relativi procedimenti. I ricorrenti, che risultano titolari di pensione diretta di importo superiore ad euro 90.000,00 annui, con il presente ricorso chiedono - come gia' anticipato nella premessa in fatto - il riconoscimento del proprio diritto a percepire il trattamento pensionistico ordinario, da calcolare senza le decurtazioni introdotte dall'art. 18, comma 22-bis, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011, temporaneamente abrogate dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, successivamente reintrodotte dall'art. 2, comma 1, legge n. 148/2011 e confermate con la recente legge n. 214/2011 (decurtazioni operate a partire dal 1° agosto 2011) e, per gli anni 2012 e 2013, senza tenere in conto le decurtazioni del trattamento previdenziale previste dall'art. 18, comma 3, legge n. 111/2011 (come sostituito dall'art. 24, comma 25, legge n. 214/2011) a seguito della modificazione delle decurtazioni gia' previste nell'attualita'. A sostegno della domanda e' stata sollevata specifica questione di legittimita' costituzionale delle predette norme per violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 2, 3, 53 e 97 della Costituzione. L'art. 18, comma 22-bis, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011 prevede oggi che «In considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento della parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' pari al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento pensionistico complessivo non puo' essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui. Ai predetti importi concorrono anche i trattamenti erogati da forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, ivi comprese quelle di cui al decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 563, al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, nonche' i trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti delle regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni, ivi compresa la gestione speciale ad esaurimento di cui all'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, nonche' le gestioni di previdenza obbligatorie presso l'INPS per il personale addetto alle imposte di consumo, per il personale dipendente dalle aziende private del gas e per il personale gia' addetto alle esattorie e alle ricevitorie delle imposte dirette. La trattenuta relativa al predetto contributo di perequazione e' applicata, in via preventiva e salvo conguaglio, a conclusione dell'anno di riferimento, all'atto della corresponsione di ciascun rateo mensile. Ai fini dell'applicazione della predetta trattenuta e' preso a riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l'anno considerato. L'INPS, sulla base dei dati che risultano dal casellario centrale dei pensionati, istituito con decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, e successive modificazioni, e' tenuto a fornire a tutti gli enti interessati i necessari elementi per l'effettuazione della trattenuta del contributo di perequazione, secondo modalita' proporzionali ai trattamenti erogati. Le somme trattenute dagli enti vengono versate, entro il quindicesimo giorno dalla data in cui e' erogato il trattamento su cui e' effettuata la trattenuta, all'entrata del bilancio dello Stato». L'art. 24, comma 25, legge n. 214/2011 (che ha sostituito l'abrogato art. 18, comma 3, legge n. 111/2011) prevede inoltre che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante ai sensi del presente comma, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Il comma 3 dell'art. 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e' abrogato». Secondo i ricorrenti il c.d. contributo di perequazione e solidarieta' avrebbe in primo luogo natura tributaria. Da tale assunto conseguirebbe l'assoggettamento delle relative detrazioni finanziarie al disposto dell'art. 53 della Carta Fondamentale e quindi ai principi di generalita' dell'imposizione e a quello secondo cui il carico fiscale deve essere basato sulla capacita' contributiva ed informato a criteri di progressivita'. Le conseguenze pratiche derivanti dall'applicazione delle norme che hanno imposto il contributo di solidarieta' risulterebbero invero del tutto irragionevoli, in quanto limitate ad una ristretta fascia di contribuenti, segnatamente i pensionati e - secondo quanto previsto dall'art. 9, comma 2 decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, conv. in legge n. 122/2010 - i dipendenti pubblici. Con specifico riguardo alla posizione dei pensionati, risulterebbe inoltre del tutto irragionevole la previsione contenuta nell'art. 2, comma 2, decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, conv. in legge n. 148/2011, secondo la quale «In considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul reddito complessivo di cui all'art. 8 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di importo superiore a 300.000 euro lordi annui, e' dovuto un contributo di solidarieta' del 3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo...». Paradossalmente, secondo i ricorrenti, la contribuzione richiesta per redditi oltre i 300.000,00 euro sarebbe nettamente minore, in termini assoluti, a quella richiesta per i redditi inferiori, anche quelli di poco superiori la soglia iniziale di 90.000,00 euro. L'irragionevolezza sostanziale delle norme impositive sarebbe palese e si sarebbe tradotta nella violazione dei principi solidaristici e in un'ingiustificata disparita' di trattamento, con conseguente violazione degli artt. 2 e 3 e 97 Cost. I ricorrenti hanno inoltre sollevato questione di legittimita' costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 53 e 97 Cost. in relazione alla norma contenuta nell'art. 2, comma 1, decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, conv. in legge n. 148/2011, che, come gia' evidenziato nella parte in fatto, nel disciplinare la decorrenza temporale del contributo straordinario avrebbe irragionevolmente previsto una durata pari a 36 mesi (dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013) per i dipendenti pubblici in servizio e pari a 41 mesi per i pensionati (dal 1° agosto 2011 dicembre 2014). La norma prevede espressamente che «Le disposizioni di cui agli articoli 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, continuano ad applicarsi nei termini ivi previsti rispettivamente dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 e dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014». Secondo i ricorrenti la differenziazione sarebbe del tutto incomprensibile, atteso che la previsione di un diverso trattamento sostanziale, a parita' di reddito, non sarebbe sorretta da alcuna ragione plausibile, con conseguente incostituzionalita' della disposizione. Ritenuto che 1) In primo luogo deve essere evidenziato che sussiste la rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata nel presente giudizio, atteso che il gravame ha «un petitum separato e distinto dalla questione di costituzionalita', sul quale il giudice remittente sia legittimamente chiamato, in ragione della propria competenza, a decidere» (C. Cost., sentenze n. 4 del 2000 e n. 38 del 2009) e che il petitum medesimo concerne l'accertamento del diritto del ricorrente a conservare il proprio trattamento pensionistico senza le decurtazioni disposte dalle norme censurate, per cui, trattandosi di disposizioni di diretta ed immediata applicazione, sarebbe impossibile pervenire al riconoscimento di tale diritto, se non attraverso la rimozione della norma attraverso la via della richiesta e correlata declaratoria di illegittimita' costituzionale di tali disposizioni normative. Su questo punto si evidenzia infatti che le norme oggetto di gravame risultano specifiche e puntuali e non consentono opzioni ermeneutiche alternative che consentano di riconoscere - anche sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata - la fondatezza della domanda sulla base dell'assetto normativo fissato dal Legislatore. 2) Il Giudice Unico ritiene che le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti in relazione alle norme contenute nell'art. 18, comma 22-bis, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011, nell'art. 24, comma 25, legge n. 214/2011 e nell'art. 2, comma 1, decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, conv. in legge n. 148/2011 siano non manifestamente infondate. Si evidenzia quanto segue. 2.1) Con riguardo alle previsioni contenute nell'art. 18, comma 22-bis, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011 e nell'art. 24, comma 25, legge n. 214/2011 (che ha sostituito l'abrogato art. 18, comma 3, legge n. 111/2011) si evidenzia che le norme si inseriscono in un contesto contingente in relazione al quale il legislatore ha previsto, nella materia previdenziale, una serie di misure finalizzate a contenere la spesa pubblica. Il richiamato art. 18, relativo ad «Interventi in materia previdenziale» ha imposto alla categoria dei pensionati sacrifici rilevanti. Segnatamente l'aumento dell'eta' pensionabile delle donne dipendenti del settore privato e delle lavoratrici autonome, l'anticipo al 2013 dell'aumento dell'eta' pensionabile legato all'aspettativa di vita, il posticipo della finestra mobile per i lavoratori che vanno in pensione di anzianita' con 40 anni di contribuzione, la riduzione delle pensioni ai superstiti, l'obbligatorieta' della iscrizione dei pensionati con reddito da lavoro autonomo alle casse dei professionisti e infine il contributo di solidarieta' per i titolari di pensione superiore ai 90,000 euro lordi annui e il blocco della rivalutazione delle pensioni superiori a cinque volte il minimo - ora tre volte il minimo (disposizioni in relazione alle quali sono state formulate le questioni di legittimita' costituzionale oggetto del presente giudizio). Le detrazioni imposte alle prestazioni previdenziali, sia quelle dirette che hanno determinato una riduzione del trattamento in godimento, sia quelle indirette che hanno inciso sulla mancata rivalutazione prevista dalla legge devono essere considerate prestazioni imposte ex art. 23 Cost., atteso che esse hanno assunto carattere sostanzialmente ablatorio e risultano pacificamente destinate a stabilizzare i saldi della finanza pubblica attraverso un risparmio di spesa. Sussistono pertanto i presupposti per qualificare le norme in esame quali disposizioni tributarie, in quanto determinanti, da un lato, l'ablazione di somme da parte dell'erogatore del trattamento e il successivo riversamento nelle casse dell'Erario e dall'altro lato la destinazione delle medesime somme all'apprestamento di mezzi necessari al fabbisogno dello Stato (C. Cost., sent. n. 11/1995). Tuttavia, i pesanti sacrifici imposti dalla legge gravano soltanto su alcune categorie di soggetti sui quali e' stato previsto l'obbligo di concorrere, in proporzione alla propria capacita' contributiva, alle esigenze della finanza pubblica. Segnatamente i pensionati e i dipendenti pubblici (in forza dell'art. 9, comma 2, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, conv. in legge n. 122/2010). Come esattamente evidenziato dalle parti ricorrenti l'assetto normativo lascia inspiegabilmente ed illogicamente indenni tutte le altre categorie di contribuenti. Il principio solidaristico di cui all'art. 2 Cost., valido per tutte le categorie di cittadini, va coordinato con i principi di eguaglianza, parita' di trattamento e capacita' contributiva (artt. 3 e 53 Cost.). Conseguentemente la scelta normativa, rientrante senz'altro nella discrezionalita' del legislatore, avrebbe dovuto essere esercitata entro i limiti fissati dagli artt. 3 e 53 Cost. in punto di uguaglianza, ragionevolezza, equita', proporzionalita' e rispetto del principio di capacita' contributiva. Circostanza questa che non risulta dall'analisi delle richiamate norme oggetto di sindacato di legittimita' costituzionale. La questione sostanziale dedotta nel presente giudizio e' stata affrontata dal Giudice delle Leggi in relazione alla questione di costituzionalita' sollevata da numerosi Tribunali Amministrativi Regionali in relazione all'art. 9, comma 2, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, conv. in legge n. 122/2010. Con la sentenza 8 ottobre 2012, n. 223 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della norma e ha in particolare rilevato, con riguardo alla natura tributaria della disposizione, che «... indipendentemente dal nomen iuris attribuitole dal legislatore, al fine di valutare se una decurtazione patrimoniale definitiva integri un tributo, occorre interpretare la disciplina sostanziale che la prevede alla luce dei criteri indicati dalla giurisprudenza costituzionale come caratterizzanti la nozione unitaria di tributo: cioe' la doverosita' della prestazione, in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti, nonche' il collegamento di tale prestazione con la pubblica spesa, in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis, sentenze n. 141 del 2009, n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2005). Un tributo consiste, quindi, in un «prelievo coattivo che e' finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed e' posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacita' contributiva» (sentenza n. 102 del 2008); indice che deve esprimere l'idoneita' di tale soggetto all'obbligazione tributaria (sentenze n. 91 del 1972, n. 97 del 1968, n. 89 del 1966, n. 16 del 1965, n. 45 del 1964)». Con riguardo al contestato effetto discriminatorio della disposizione il Giudice delle Leggi ha puntualmente evidenziato che «... la norma impugnata si pone in evidente contrasto con gli articoli 3 e 53 Cost. L'introduzione di una imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, in relazione soltanto ai redditi di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione viola, infatti, il principio della parita' di prelievo a parita' di presupposto d'imposta economicamente rilevante. Tale violazione si manifesta sotto due diversi profili. Da un lato, a parita' di reddito lavorativo, il prelievo e' ingiustificatamente limitato ai soli dipendenti pubblici. D'altro lato, il legislatore, pur avendo richiesto (con l'art. 2 del decreto-legge n. 138 del 2011) il contributo di solidarieta' (di indubbia natura tributaria) del 3% sui redditi annui superiori a 300.000,00 euro, al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, ha inopinatamente scelto di imporre ai soli dipendenti pubblici, per la medesima «finalita', l'ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura. Nel caso in esame, dunque, l'irragionevolezza non risiede nell'entita' del prelievo denunciato, ma nella ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi. La sostanziale identita' di ratio dei differenti interventi "di solidarieta'", poi, prelude essa stessa ad un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarieta' del diverso trattamento riservato ai pubblici dipendenti, foriero, peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e piu' favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarieta' economica, anche modulando diversamente un "universale" intervento impositivo. L'eccezionalita' della situazione economica che lo Stato deve affrontare e', infatti, suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano. Tuttavia, e' compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non e' indifferente alla realta' economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non puo' consentire deroghe al principio di uguaglianza, sul quale e' fondato l'ordinamento costituzionale. In conclusione, il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio.». Sulla base delle argomentazioni svolte e alla luce delle statuizioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 223/2012, questo Giudice Unico ritiene che, anche in relazione al disposto contenuto negli articoli 18, comma 22-bis, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011 e 24, comma 25, legge n. 214/2011, risultano violati i parametri costituzionali degli articoli 2, 3 e 53 e 97 Cost. sotto il profilo della disparita' di trattamento e della sproporzione ed irrazionalita' della misura, avendo il Legislatore limitato l'applicazione di un prelievo tributario di carattere generale ad una limitata platea dei contribuenti. Si evidenzia infine che questa Sezione Giurisdizionale, con ordinanza n. 230/2012 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale (per violazione degli articoli 2, 3, 53, 42 e 97 Cost.) della disposizione contenuta nell'art. 18, comma 22-bis, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011. 2.2) Con riguardo alla previsione contenuta nell'art. 2, comma 1, decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, conv. in legge n. 148/2011, si evidenzia che obiettivamente la norma individua decorrenze temporali distinte per le decurtazioni del trattamento salariale ex art. 9, comma 2, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 e del trattamento previdenziale ex art. 18, comma 22-bis, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98. Tale differenziazione risulta del tutto ingiustificata e seppure in via subordinata rispetto alla questione di costituzionalita' della stessa disposizione contenuta nell'art. 18, comma 22-bis, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, deve essere sollevata questione di costituzionalita' specifica per la ritenuta violazione degli articoli 2, 3, 53 e 97 Cost. Tanto premesso, in applicazione dell'art. 23 della legge Costituzionale n. 87/1953, riservata ogni altra decisione all'esito del giudizio innanzi alla Corte Costituzionale, il Giudice Unico solleva l'incidente di costituzionalita' dell'art. 18, comma 22-bis, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge n. 111/2011, dell'art. 24, comma 25, legge n. 214/2011 e dell'art. 2, comma 1, decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, conv. in legge n. 148/2011 con riferimento agli artt. 2, 3, 53 e 97 Cost. per le ragioni che precedono, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale.