IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 8137 del 2011, proposto da: Ist. Paritario G. Verga di Frattamaggiore, Anna Gargiulo, Valentina Di Costanzo, Valentina Galbusieri, Alessia Belloni, Elena Caliendo, Carmela De Clemente, Cristina Luisa Romano, Lucia Santina Romano, Marcella Rinaldi, Vincenza Barone, Mario Spasiano, Marcantonio Caccia, Antonio Esposito, Ivano Scognamiglio, rappresentati e difesi dall'avv. Carlo Rienzi, con domicilio eletto presso Carlo Rienzi in Roma, v.le delle Milizie, 9; Contro Ministero dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca, Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Per l'annullamento dei decreti n. 6/S2 e n. 7/S2 del 16 agosto 2011 avente ad oggetto: "riconoscimento status parita' scolastica al corso completo gia' acquisito in base al procedimento ex: CM. 31/03". Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata, con la relativa documentazione; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 21 febbraio 2013 il cons. Francesco Brandileone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Rilevato che, con ricorso in esame, l'Istituto ricorrente e taluni studenti lavoratori impugnano i provvedimenti indicati in epigrafe (decreti n. 6/S2 e 7/S2 del 26 agosto 2011 dell'Ufficio Scolastico Regionale della Campania - Direzione Generale Ufficio II - Area Parita' scolastica; la nota prot. MIURAOODGOS prot. n. 2025 del Ministero dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca, Dipartimento per l'istruzione, Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l'Autonomia Scolastica, Ufficio X del 16 marzo 2010; la C.M. 31/2003 per come successivamente modificata e del D.M. 267 del 29.11.2007 del Ministro dell'Istruzione, Regolamento recante "disciplina delle modalita' procedimentali per il riconoscimento della parita' scolastica e per il suo mantenimento, ai sensi dell'articolo 1-bis, comma 2, del D.L. 5 dicembre 2005, n. 250, convertito con modificazioni nella legge 3 febbraio 2006, n. 27" - pubblicato sulla G.U. n. 23 del 28/1/2008, nonche' il D.M. MIUR n. 83 del 10 ottobre 2008 recante le linee guida per l'attuazione del predetto regolamento - D.M. 267/2007) con i quali l'Ufficio Scolastico regionale della Campania ha riconosciuto la parita' scolastica per la sola prima classe dell'Istituto da essa gestito, disponendo il diniego con riguardo alle classi successive - gia' attive -, per le quali il regime paritario e' stato concesso solo a partire dagli anni scolastici successivi, e gradualmente, fino al completamento del corso: in particolare, i ricorrenti affermano l'assenza di norme ostative al riconoscimento della parita' scolastica per le classi successive alla prima gia' a partire dall'anno scolastico 2010\2011; questa Sezione ha accolto le istanze cautelari dei ricorrenti e con ordinanza n. 4166/2011 ha disposto la sospensione dei provvedimenti impugnati; sulla identica questione questa Sezione ha emesso sentenze di accoglimento nn. 1233, 1234 e 1235/2011, argomentando sulla incoerenza della interpretazione data dall'Amministrazione rispetto all'impianto normativo vigente che regola la materia, da leggere anche in armonia con i principi costituzionali della non disparita' di trattamento di cui all'art. 3 della Costituzione, della liberta' di iniziativa economica dell'art. 41 della Costituzione e del servizio equipollente delle scuole paritarie di cui all'art. 33 della Costituzione. (cfr. sentenza del Tar Campania, sez. Napoli, n. 4412/2011); in particolare questa Sezione ha cosi' statuito sul punto: "Considerato che l'atto impugnato risulta adottato: "in palese violazione di legge [legge 10 marzo 2000 n. 62 , regolamento ex decreto 29 novembre 2007 n. 267 art. 1 comma 6 lettera f) e D.M. n. 83 del 10 ottobre 2008 art. 3 punto 3.4 lettera f)] la cui ratio e' quella dell'istituzione di "corsi scolastici completi"; in palese erroneita' ed irragionevolezza interpretativa dell'art.13 del DPR n. 89 del 15 marzo 2010 nella misura in cui l'espressione contenuta nel primo comma "prosecuzione ad esaurimento dei percorsi in atto" e' stata ritenuta dall'Amministrazione erroneamente non operante nei confronti delle autorizzanti prima classi del ciclo di studio di cui si controverte."; la sentenza del Tar Lazio n. 1235/2011 e' stata annullata dal giudice di secondo grado (Cds sez VI decisione n. 4208/2011); il giudice di appello nella predetta decisione ha ritenuto che: "... elementi sistematici nel senso della non riconoscibilita' della parita' scolastica a classi successive alla prima (in specie, laddove cio' comporti una scissione fra la prima classe - da istituirsi ex novo secondo il nuovo ordinamento - e le classi successive - da istituirsi parimenti ex novo, ma sulla base del vecchio ordinamento) - sono desumibili dalla stessa disposizione primaria richiamata dagli odierni appellati. Ed infatti, il richiamato art. 1, co. 4, l. 62, cit. stabilisce che la parita' viene riconosciuta alle scuole non statali che ne facciano domanda laddove essi siano in grado di garantire (inter alia) "l'organica costituzione di corsi completi: non puo' essere riconosciuta la parita' a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe; ad avviso del Collegio, dalla richiamata disposizione emerge: - che presupposto indefettibile per il riconoscimento della parita' scolastica a corsi di nuova istituzione e' che cio' avvenga secondo un principio di organicita'. Si tratta di un principio che, evidentemente, verrebbe vulnerato laddove si ammettesse, nello stesso momento storico, la inorganica costituzione: a) di una nuova classe prima sulla base del nuovo ordinamento e, allo stesso tempo, b) di nuove classi successive alla prima sulla base del vecchio ordinamento"; - ... Al contrario, il generale riferimento alla nozione di 'corsi completi' deve essere letto in relazione al periodo successivo, laddove si esclude in via di principio la riconoscibilita' della parita' in relazione a singole classi, fatta salva l'ipotesi (che nel caso di specie ricorre) di istituzione ex novo di nuovi corsi completi; - che il richiamato art. 1, comma 4 palesa anche nella sua parte finale un evidente favor per il superamento graduale (ma allo stesso tempo, organico) dei vecchi ordinamenti, i quali sono destinati a far posto ai nuovi secondo una logica ispirata ai principi di gradualita' ed organicita'. Ebbene, se per un verso il principio di gradualita' giustifica la previsione secondo cui l'introduzione del nuovo corso di studi debba avvenire a partire dalla prima classe, secondo una logica di decalage (ossia, secondo un sistema che ammette, nel corso di una fase transitoria, la coesistenza di classi 'a vecchio ordinamento' e di classi 'a nuovo ordinamento' fino al definitivo superamento del primo); per altro verso, il principio di organicita' induce a respingere (in quanto obiettivamente antisistemica) l'istituzione ex novo (ad es.) di classi quarte o quinte relative a ordinamenti di studi che la stessa normativa nazionale ha inteso superare; in secondo luogo, si osserva che le conclusioni sin qui evidenziate vengono confermate dalla lettura dei commi 2 e 3 dell'art. 1 del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 87 (Regolamento recante norme per il riordino degli istituti professionali, a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) ... Ebbene - prosegue il Giudice di appello - pur difettando un espresso divieto di costituire nuove classi successive alla prima in sede di istituzione ex novo dei corsi di studi oggetto di riordino, sembra che prevalenti ragioni sistematiche depongano comunque nel senso della sussistenza di un siffatto divieto" si consideri che l'evidente e comune ratio sottesa alle disposizioni richiamate e' nel senso di garantire un passaggio al nuovo sistema graduale nella tempistica, ma privo di cesure o di incongruenze sistematiche. Per i motivi dinanzi richiamati, non puo' essere in alcun modo condivisa la tesi del T.A.R., secondo cui la l. 62 del 2000 dovrebbe essere univocamente intesa nel senso di enfatizzare il favor per l'istituzione di 'corsi completi', anche laddove cio' comporti l'istituzione di classi successive alla prima (in precedenza mai attivate) in ordine a corsi di studio oggetto di riordino e in via di definitivo superamento per cio' che attiene il vecchio ordinamento di studi" (CDS sesta sezione citata); il Consiglio di Stato ha, in sostanza, ritenuto che il combinato complesso di norme costituito dall'articolo 1, comma 4, della l. 10 marzo 2000, n. 62, la previsione di cui al comma 1 dell'art. 8 ed i commi 2 e 3 dell'art. 1 del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 87 (Regolamento recante norme per il riordino degli istituti professionali, a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) contengano un divieto implicito di costituire intere sezioni ex novo per le classi paritarie, consentendo loro solo di costituire la prima classe per l'anno scolastico 2010/2011, poi la seconda per l'anno scolastico 2011/2012 e cosi' via mano a mano che il nuovo ordinamento entra in vigore per tutte le classi: e cio' in quanto: (se si consentisse alla scuola paritaria di istituire una intera sezione dalla prima alla quinta ma con regole diverse, ossia la prima con le regole del nuovo ordinamento e le successive con quelle del vecchio ordinamento) si creerebbe una "disarmonia" visto che "presupposto indefettibile per il riconoscimento della parita' scolastica a corsi di nuova istituzione e' che cio' avvenga secondo un principio di organicita'.". Ed, il principio di organicita' sarebbe "evidentemente vulnerato laddove si ammettesse, nello stesso momento storico, la inorganica costituzione: a) di una nuova classe prima sulla base del nuovo ordinamento e, allo stesso tempo, b) di nuove classi successive alla prima sulla base del vecchio ordinamento". Considerato che per le ragioni assunte dal giudice di secondo grado questa Sezione: non puo' che uniformarsi all'indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato (costituente diritto vivente nella fattispecie), ritenendo pertanto il provvedimento impugnato ossequioso del complesso normativo di cui dall'articolo 1, comma 4, della l. 10 marzo 2000, n. 62, la previsione di cui al comma 1 dell'art. 8 ed i commi 2 e 3 dell'art. 1 del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 87 (Regolamento recante norme per il riordino degli istituti professionali, a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) e "pur difettando un espresso divieto di costituire nuove classi successive alla prima in sede di istituzione ex novo dei corsi di studi oggetto di riordino". Rilevato che, in particolare, nella memoria di replica per la pubblica udienza del 21 febbraio 2013 depositata il 1° febbraio 2013, gli attuali ricorrenti, pur insistendo - in prima battuta - su una lettura secundum costitutionem delle norme indagate, sollevano - in via subordinata - un complesso motivo di presunta incostituzionalita' dell'assetto normativo, cosi' come interpretato e fissato dalla giurisprudenza di secondo grado del g.a., cosi' riassumibile: a) un divieto di consentire agli studenti che vogliano scegliere la scuola paritaria anziche' quella statale per le classi successive alla prima, e il connesso divieto implicito per la ricorrente scuola, che ha lo scopo statutario di svolgere attivita' di impresa per la produzione di istruzione, di istituire classi successive alla prima, finche' il nuovo ordinamento non entri in vigore anno per anno, costituirebbe - parere dei ricorrenti - una indebita compressione sia del diritto degli studenti di scelta della scuola, sia una indebita compressione della libera iniziativa privata della impresa gestrice della scuola, oltreche' una palese contraddizione con l'obbligo normativo recato dall'art. 1, comma 4, lettera d) della legge n. 62 del 2000 che obbliga le scuole paritarie a accogliere chiunque presenti la domanda e sempre con l'art. 1, comma 4, lettera f) della stessa legge che impone l'obbligo di istituire intere sezioni e non singole classi; b) palese disparita', vietata dagli artt. 3 e 33 della Costituzione, tra le scuole paritarie che non potrebbero istituire una intera sezione per i prossimi cinque anni e le scuole statali, che dovrebbero avere gli stessi diritti della paritarie, cui invece cio' e' garantito e consentito dall'art. 1, commi 2 ed 8, d.p.r. 87/2010 che prevede: "che a partire dall'anno scolastico 2010/2011 le classi seconde, terze e quarte proseguano secondo i piani di studio previgenti sino alla conclusione del quinquennio". Considerato che il Collegio, alla luce delle argomentazioni di parte ricorrente e del contenuto della suddetta sentenza del Consiglio di Stato sopra richiamata, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale come prospettata; Considerato, infatti, in punto di rilevanza, che sulla base dell'indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato (costituente diritto vivente nella fattispecie), il provvedimento impugnato risulta conforme a legge ed in sostanza al complesso normativo di cui dall'articolo 1, comma 4, della l. 10 marzo 2000, n. 62, la previsione di cui al comma 1 dell'art. 8 ed i commi 2 e 3 dell'art. 1 del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 87 (Regolamento recante norme per il riordino degli istituti professionali, a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) e "pur difettando un espresso divieto di costituire nuove classi successive alla prima in sede di istituzione ex novo dei corsi di studi oggetto di riordino". Considerato che non appare manifestamente infondata la questione di costituzionalita' sollevata in relazione alle norme contenute nell'art. 1, comma 4, legge n. 62/2000, nell'art. 1, commi 2 ed 8, d.p.r. 87/2010 e nella C.M. 31/2003 per come successivamente modificata e dell'impianto normativo che regola la materia trattata, come interpretate dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4208/2011 per violazione degli artt. 3, 33, 41 della Costituzione oltreche' in violazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno, nella parte in cui stabilisce un "divieto implicito" nel senso di rendere impossibile per gli studenti delle II, III, IV e V classi l'iscrizione presso la scuola paritaria ricorrente; E cio' per le seguenti considerazioni che: I) sulla affermazione del Consiglio di Stato secondo cui "un divieto di legge esplicito non esiste", ma sarebbe desunto dal complesso normativo, anche la Corte di Cassazione con la decisione di inammissibilita' delle SSUU n. 22784/2012 - investita dagli attuali ricorrenti con un ricorso contro la citata decisione del CDS sez. sesta 4208/2011 per eccesso di potere giurisdizionale e invasione della sfera del legislatore - ha incidenter tantum espresso rilevanti perplessita' affermando che "si puo' naturalmente sempre discutere circa la maggiore o minore condivisibilita' degli esiti ai quali una siffatta operazione interpretativa (del CDS con la citata decisione 4208/011) conduce in ciascun caso concreto"... ma la questione posta con il ricorso (che impugnava la decisione citata per eccesso e straripamento di giurisdizione sostenendo che aveva creato una norma inesistente con sostituzione al potere legislativo,) non essendo consistita in un vero straripamento, ma in una procedura ermeneutica di interpretazione delle norme esistenti poteva - a parere delle SSUU della Cassazione - al massimo essere considerato un errore di giudizio, ma non un rilevante straripamento di potere censurabile ex art. 360, comma 1, n.1 c.p.c. ed ex art. 362 comma 1 c.p.c. II) il sopra richiamato divieto implicito ex decisione C.d.S. sez. sesta 4208/2011, a parere di questa Sezione appare violativo di plurimi precetti della costituzione e segnatamente: a) dell'art. 33 della Costituzione, per compressione del diritto costituzionale di scegliere la scuola per lo studente e la famiglia, considerato che gli studenti delle classi successive alla prima subiscono il gravissimo limite di non poter opzionare il sistema scolastico paritario nell'istituto da loro prescelto per 5 anni, essendo costretti a rivolgersi alle scuole statali; b) dell'art. 3 della Costituzione, per disparita' di trattamento tra scuole paritarie e statali, in quanto soltanto le prime subiscono gravissimi limiti quanto all'accettazione di studenti per le classi successive alla prima; nonche' tra studenti delle seconde, terze, quarte e quinte classi che preferiscano scegliere l'istituto paritario preferito e non hanno avuto e non avranno questa offerta formativa per 5 anni, a confronto con gli studenti delle seconde, terze, quarte e quinte classi che scelgono di iscriversi alle scuole pubbliche e che possono farlo liberamente senza limiti. In tale situazione, infatti, il vincolo posto dalla norma di imporre la iscrizione degli alunni presso un istituto statale, comprime la liberta' di scelta dello studente, negandone quell'autonomia decisionale che pure, in special modo nell'eta' della formazione della personalita', assurge a condizione imprescindibile per la realizzazione del valore del pieno sviluppo della persona umana sancito nell'art. 3, cpv., Cost.; c) dell'art. 41 della Costituzione per compressione del diritto di fare impresa per la societa' gestrice della scuola in quanto le scuole paritarie di nuova istituzione dovranno predisporre e spendere denaro per una intera struttura scolastica, con costi di contratti agli insegnanti e personale non docente, locazione, riscaldamento e gestione di locali utili a ospitare cinque classi di un intero ciclo sprecando enormi risorse per cinque anni pur avendo potuto attivare soltanto una prima classe; d) dell'art. 76 della Costituzione per eccesso di delega dato che il piu' volte citato limite o "divieto implicito" posto alle scuole paritarie si pone in contrasto con la direttrice fondamentale dell'art. 1 della legge delega n. 53/2003, che individua l'obiettivo della normazione delegata in quello di "favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei limiti dell'eta' evolutiva, delle differenze e dell'identita' di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione", con la conseguenza che, se tra i valori-obiettivo prefissati dalla legge delega viene indicata la liberta' di scelta dello studente, quale espressione qualificante della liberta' di autodeterminazione del giovane cittadino, (identita' di ciascuno), nonche' la liberta' di scelta delle famiglie (scelte educative della famiglia), implicante la valutazione della sede (Istituto) piu' idonea per frequentare i corsi scolastici e sostenere gli esami, deve ritenersi che la norma delegata risulti dissonante rispetto a tali principi ispiratori ed in quanto tale viziata per eccesso di delega ex art. 76 Cost. Per quanto riguarda piu' in particolare i profili di cui alle precedenti lettere a), b) e c) si osserva che: con riferimento all'art. 33, comma 4, ed art. 3 della Costituzione [lettere a) e b)], il complesso normativo in esame, che ha introdotto l'istituto della parita' scolastica, imponendo al legislatore, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parita', di assicurare ad esse piena liberta' e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali, non sembra rispettoso di detta norma costituzionale. Storicamente, il sistema scolastico nazionale e' transitato da un originario regime di separazione tra scuola pubblica e privata (rinvenibile fino ai primi due decenni del secolo scorso) a un regime di integrazione tra i due tipi di scuola (che ha riguardato specificamente la scuola privata paritaria), in linea peraltro con il disegno costituzionale prefigurato dall'art. 33, comma 4, della Costituzione. E' solo con la l. 10 marzo 2000, n. 62 (legge di assoluto rilievo storico, che ha introdotte le "Norme per la parita' scolastica") sono state concretamente attuate le condizioni per il superamento del c.d. "regime di giustapposizione" (cosi' definito dalla dottrina) tra l'istruzione fornita dalle scuole pubbliche e quella fornita dalla scuole private, e per il definitivo approdo all'integrazione tra scuola pubblica e paritaria privata, come prefigurato dalla norma costituzionale. La creazione di un sistema nazionale integrato di istruzione comporta, come ben evidenziato dal ricorrente, che le scuole private paritarie si pongono accanto alle scuole pubbliche con una sostanziale identita' di funzione e di ruolo nel perseguimento del fondamentale obiettivo dell'istruzione, obiettivo che e' anche valore di assoluta rilevanza costituzionale. Un sistema scolastico fondato sulla necessaria compresenza di scuola pubblica e privata, anzi, come si e' detto, sulla loro integrazione, e' un sistema coerente a un modello pluralistico che e' autenticamente tale ove possa predicarsi una posizione di sostanziale parita' (nel precitato significato di parita' di identita' di funzione e di ruolo) tra le distinte istituzioni scolastiche deputate all'erogazione del servizio pubblico dell'istruzione. In tale quadro si iscrive e acquista significato il precetto costituzionale dell'art. 33 Cost. che, ponendo al legislatore ordinario il vincolo di assicurare agli alunni delle scuole paritarie "un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali", sancisce una funzionale equivalenza tra le scuole statali e quelle paritarie. Sicche' e' affatto pertinente la considerazione difensiva che, per vincolo costituzionale, "la disciplina statale non puo' collocarsi al di sotto di un livello minimo di garanzia dell'equipollenza tra le scuole statali e quelle non statali". Va poi significativamente soggiunto, quanto all'ambito concettuale della riferita locuzione costituzionale "trattamento scolastico equipollente", che di essa non va patrocinata un'interpretazione riduttivamente letterale nel senso che l'equipollenza consista nella sola legittimazione delle scuole non statali a rilasciare titoli di studio aventi valore legale. Come condivisibilmente si sottolinea da parte del ricorrente, il livello di rilevanza delle scuole paritarie attiene a tutta una serie di profili, tra i quali la condizione di piena competitivita' con le scuole non statali. Il trattamento scolastico equipollente non si arresta pertanto al mero riconoscimento del titolo di studio, ma implica anche un riconoscimento della qualita' del servizio di istruzione erogato dall'istituzione scolastica paritaria da considerarsi alla stregua, e quindi ne' deteriore ne' inferiore, a quello proveniente dalla scuola statale. A conferma dell'assunto che precede, e' significativa la circostanza che, nel contesto dell'art. 1, comma 4, della legge n. 62/2000, la parita' scolastica viene in rilievo, al di la' di situazione di status che abilita al rilascio di titoli di studio aventi valori legali, per i contenuti dell'attivita' prestata e per la soggezione della scuola non statale che ne chiede il riconoscimento ai requisiti di qualita' e di efficacia previsti dalla legge medesima. Nella delineata situazione, dalla quale e' possibile desumere che l'inserimento delle scuole paritarie private nel sistema nazionale di istruzione determina l'equivalenza di trattamento nel servizio di istruzione degli studenti tra le scuole private e quelle statali, un divieto legislativo implicito, quale quello all'esame, che impone, al verificarsi della condizione in esso previsto, l'obbligo di rifiutare gli studenti delle classi successive alla prima e mandarli solo alle scuole statali (con esclusione quindi degli istituti paritari) e' idonea a infrangere la disciplina costituzionale posta dal precitato quarto comma dell'art. 33 della Costituzione ed a stridere con la legge n. 62 del 2000 che ha dato attuazione al precetto costituzionale sulla parita' scolastica; e' altresi' idonea a violare il principio di uguaglianza posto dall'art. 3 della Costituzione, non ravvisandosi profili di razionalita' atti a giustificare, nella sussistenza del sistema di integrazione tra scuola pubblica e paritaria privata, la limitazione del servizio di istruzione nei riguardi di quest'ultima. In effetti, la perentoria statuizione della norma - che prescinde da ogni considerazione circa le capacita' ricettive dell'istituzione paritaria e affida comunque, nel caso di studenti che si iscrivono a classi successive alla prima alle sole scuole statali - e' espressiva di un atteggiamento di sfiducia, o quanto meno di perplessita', da parte del legislatore statale nei riguardi delle istituzioni paritarie private, nel senso di reputare che solo presso le scuole statali l'insegnamento per le classi successive alla prima, possa svolgersi in rispondenza a canoni di efficienza e di qualita'. Una siffatta intendo legis sembra svelare pero' un eccesso di potere del legislatore atteso che questi ometterebbe di considerare che il riconoscimento della parita' scolastica implica, per necessita' giuridica riveniente dal quadro costituzionale che ipotizza un sistema nazionale integrato di istruzione, che il servizio pubblico reso dalle scuole paritarie sia, sotto il profilo qualitativo, comparabilmente adeguato a quello prestato dalle scuole pubbliche. Del resto, anche alla stregua di precedente pronuncia della Corte Costituzionale (cfr. ordinanza n. 423 del 18.10.2002), la legge n. 62/2000, costituendo attuazione dell'art. 33, comma 4, della Costituzione, determina piena parita' tra istituzioni scolastiche statali e private, nell'ambito di un servizio nazionale di istruzione, ed e' tale quindi da non consentire diversificazioni tra le attivita' scolastiche consentite alle une e alle altre, a danno delle scuole private e con pregiudizio delle possibilita' di scelta degli utenti. Su tali premesse, insomma, non ha fondamento logico prima che giuridico inclinare a posizioni di valutazione pregiudiziale sul servizio ascrivibile alle scuole paritarie, sia pure nel ridotto ambito operativo qui esaminato. La Sezione ritiene di dovere in proposito evidenziare - a ulteriore conferma del dubbio di costituzionalita' sopra esposto in ordine allo specifico intervento del legislatore nazionale - che l'anzidetta valutazione vada adeguatamente operata ex ante, e cioe' in sede di riconoscimento della parita' scolastica, accertando, in capo alle istituzioni private richiedenti, il possesso dei requisiti appositamente prescritti dall'art. 1, comma 2, della legge n. 62/2000 (tra i quali, in particolare, i requisiti di "qualita' ed efficacia" del servizio erogabile) e, all'esito dell'intervenuto riconoscimento, sottoponendo a verifica la permanenza di detti requisiti a mezzo di una costante e capillare attivita' di vigilanza, pure prevista dal comma sesto del medesimo art. 1. Con riferimento all'art. 41 della Costituzione (lettera c) che afferma e tutela la liberta' dell'iniziativa economica privata, occorre procedere dal dato che le scuole paritarie hanno un'indubbia connotazione imprenditoriale. Per effetto del riconoscimento della parita', queste scuole sono legittimate all'erogazione del servizio pubblico di istruzione. Cio' non toglie che, a differenze delle scuole statali, che sono enti pubblici non economici, le scuole paritarie sono gestite da soggetti e da enti privati che svolgono un'attivita' tipicamente d'impresa, come tale volta a ricavare vantaggi, economici o di altro tipo. Sotto tale profilo, una norma, quale quella oggetto del vaglio costituzionale, che discrimina le scuole paritarie e' certamente idonea ad offuscarne la considerazione presso la pubblica opinione, in termini di efficienza e di qualita' del servizio pubblico erogabile da queste istituzioni scolastiche, con possibili e significative ricadute sul piano della loro sfera imprenditoriale, specie per la perdita di introiti e lo spreco enorme di risorse. Ma e' anche in questione, in cio' con piu' decisiva incidenza sulla qualita' imprenditoriale delle scuole paritarie, il fatto che le iscrizioni degli studenti alle scuole paritarie o statali non dipenda da variabili tipicamente correlate al "servizio istruzione" (piano dell'offerta formativa, programmi scolastici seguiti, modalita' esplicative dell'autonomia scolastica, etc.), ma sia esclusivamente correlato a un mero abnorme divieto implicito che il CDS giustifica con poco comprensibili ragioni di "organicita'" senza peraltro alcuna considerazione della ricettivita' delle strutture scolastiche. Non ignora peraltro questa Sezione la sentenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale n. 220 del 2007, di rigetto di analoga eccezione di illegittimita' costituzionale per la non irragionevolezza di una norma in deroga al principio di parita' tra scuole paritarie e statali , ma in quella fattispecie la deroga era diretta a limitare i c.d. esamifici e la trasformazione delle scuole paritarie in luoghi solo di esami piu' che di apprendimento. Nella predetta sentenza n. 220 del 2007 si legge infatti che: "Essa (deroga alla parita' tra scuole paritarie e statali) si collega, innanzitutto, all'esigenza di evitare che le scuole paritarie diventino sede privilegiata di esami a scapito della serieta' dell'esame di Stato, richiesta dal quinto comma dell'art. 33 Cost., cosi' prevenendo, proprio a garanzia della posizione delle scuole paritarie nel sistema nazionale di istruzione pluralistico previsto dal quarto comma dello stesso articolo, la loro trasformazione da luogo di insegnamento in sedi per esami di Stato (ordinanza n. 423 del 2002, con riferimento agli esami di idoneita' degli esterni). "La scelta del legislatore risponde anche alla finalita' di distribuire in modo piu' razionale sul territorio la domanda eccedente il limite sopra ricordato, atteso che le scuole statali - presso le quali esistono oramai tutti i percorsi formativi - sono piu' numerose e diffuse di quelle paritarie. In conclusione, la deroga e' circoscritta, essendo inserita in una disciplina comune di limiti quantitativi allo svolgimento degli esami di Stato da parte di candidati esterni, e non e' irragionevole, rispondendo agli obiettivi di serieta' dell'esame di cui al quinto comma dell'art. 33 Cost. e, in generale, a razionali esigenze di distribuzione sul territorio delle commissioni, in caso di domanda eccedente". La questione di specie invece e' radicalmente diversa poiche' riguarda la ingiustificata deroga prevista per le scuole paritarie che avrebbero un divieto implicito di fare scuola, a causa della introduzione di un nuovo ordinamento, e di istituire intere sezioni, essendo ad esse consentito istituire solo la prima classe del ciclo di studi, e solo l'anno successivo la seconda e poi la terza, e cosi' via, senza alcuna plausibile ragione. Ed il diritto assoluto dello studente di scegliere tra scuola statale e paritaria, e il connesso diritto dell'impresa che fa scuola di istituire corsi completi (essendo tra l'altro obbligati dalla legge a non rifiutare alcuna domanda di iscrizione) nel caso di specie risultano totalmente estranei a qualsiasi problema di armonizzazione del sistema. Considerato, quindi, che il presente procedimento deve essere sospeso, con contestuale rimessione della questione di costituzionalita' dedotta alla Corte Costituzionale; Considerato che in pendenza della questione di costituzionalita', deve confermarsi l'operativita' dell'ordinanza cautelare n. 4166/2011 di sospensione dei provvedimenti impugnati non ravvisandosi il venir meno dei presupposti di fatto e di diritto ex art. 55 comma 9 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, del processo amministrativo gia' rinvenuti in sede cautelare;