LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio in materia di pensioni civili, iscritto al numero 11978 del registro di segreteria, proposto, con ricorso collettivo, dai Signori SERGIO MATTEINI CHIARI (nato a Perugia il 1 settembre 1941 e residente in Gubbio alla via Giacomo Devoto n. 21 - c. f.: MTTSRG41P01G478H); PIETRO ABBRITTI (nato a Bocchigliero il 18 ottobre 1940 e residente a Perugia in via delle Cove n. 10 - c.f.: BBRPTR40R18A912P); ALFREDO ARIOTI BRANCIFORTI (nato a Palermo il 26 novembre 1941 e residente a Perugia in via del Tessuto n. 18 - c.f: RTBLRD41S26G273J); ALBERTO BELLOCCHI (nato a Perugia il 25 giugno 1941 e ivi residente in via della Treggia n. 96 - c.f.: BLLLRT41H250478G); GIOVANNI BORSINI (nato a Bevagna il 30 aprile 1946 e ivi residente in via Flaminia 71 - c.f.: BRSGNN46D30A835Z); SANDRO COSSU (nato a Perugia il 21 dicembre 1946 ed ivi residente in via Vivaldi 11 - c.f.: CSSSDR46T21G478T); MARIA LETIZIA IMMACOLATA DE LUCA (nata a Santa Lucia di Serino il 17 settembre 1948 e residente in Terni, via Galileo Ferraris n. 3 - c.f.. DLCMLT48P57I219F); EMANUELE SALVATORE MEDORO (nato a Gela il 24 maggio 1939 e residente a Foligno in Via Carlo Cattaneo n. 10 - c.f.. MDRMLS39E24D960A); CLAUDIO PRATILLO HELLMANN (nato a Padova il 4 novembre 1942 e residente in Spoleto in Localita' Colle San Tommaso 9/A - c.f.: PRTCLD42S04G224T); ALFREDO RAINONE (nato a Napoli il 20 giugno 1947 e residente in Terni in via Gabbo Ferraris n. 3 - c.f.: RNNLRD47H20F839R) nei confronti dell'INPS (gestione EX INPDAP) per la declaratoria dell'illegittimita' delle trattenute operate sui trattamenti pensionistici diretti in godimento, dalla data dell'agosto 2011, cosi' come previsto dall'articolo 18 comma 22-bis del decreto legislativo n. 98/11 e del conseguente diritto alla restituzione delle somme indebitamente trattenute. Tutti i ricorrenti sono rappresentati e difesi dagli avvocati ALARICO MARIANI MARINI (c.f.: MRNLRC31S26A475M) e IOLE CIULLO (c.f. CLLLIO68E68HS01L), presso lo studio dei quali sono elettivamente domiciliati, in Perugia alla via Angeloni 80/b (indirizzo PEC alarico.marianimarini@avvocatiperugiapec.it e iole.ciullo@avvocatiperugiapec.it). L'INPS (gestione ex INPDAP) si e' costituito in resistenza, rappresentato e difeso dagli avvocati SALVATORE CAROLLA (c.f.: CRLSVT71S18H2230) e ROBERTO ANNOVAZZI (c.f.: NNVRRT71L28G478P), con elezione di domicilio presso la sede dell'Istituto in Perugia, via Cacciatori delle Alpi 32 (indirizzo PEC roberto.annovazzi@postacert.inpdap.gov.it e salvatore.carolla@postacert.inpdap.gov.it). Uditi alla pubblica udienza del 20 marzo 2013 il relatore in persona del Giudice Unico Presidente di Sezione dr. ALBERTO AVOLI, nonche' per i ricorrenti l'avv. IOLE CIULLO e per l'amministrazione previdenziale l'avv. SALVATORE CAROLLA. Premesso I ricorrenti sono tutti magistrati ordinari collocati a riposo in date diverse e residenti in Umbria. I medesimi sostengono che nei loro confronti l'Amministrazione previdenziale convenuta ha applicato, a far data dal mese di agosto 2011, le riduzioni del trattamento pensionistico in godimento a seguito dell'entrata in vigore delle disposizioni contenute nel comma 22-bis dell'articolo 18 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni' nella legge 15 luglio 2011 n. 111, poi confermate dalla legge 14 settembre 2011 n. 148 ed "aggravate" dal comma 31-bis dell'articolo 24 del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito con modificazioni con legge n. 214/11. I ricorrenti hanno adito questa Corte per vedersi riconoscere il diritto a percepire per l'intero il trattamento di pensione in godimento prima dell'agosto 2011, senza la decurtazione prevista dalle richiamate norme a titolo di "contributo di perequazione", sul presupposto di. un loro asserito contrasto con gli articoli 1, 2, 3, 36, 38 e 53 della Costituzione. Hanno poi chiesto il ripristino del trattamento e la restituzione delle somme indebitamente introitate. In particolare - per quanto concerne i profili di presunta incostituzionalita' - l'articolo 3 (principio di uguaglianza) e' stato richiamato: a) per la natura tributaria delle norme in questione; b) per il disallineamento temporale delle decurtazioni previste nei riguardi dei pensionati (3 anni e 5 mesi), rispetto a quelle del personale di magistratura in servizio (3 anni); c) per la violazione del principio dell'affidamento. Gli articoli 36 e 38 sono stati richiamati per la violazione del principio di proporzionalita' ed adeguatezza dei trattamenti pensionistici, intesi come retribuzioni differite. Gli articoli 1 e 2 sono stati evocati per la asserita violazione della protezione del lavoro e per l'ingiustificato richiamo - da parte delle norme censurate - del principio solidaristico (le pensioni dei ricorrenti costituiscono retribuzione differite, differenziandosi in cio' dalle pensioni sociali vere e proprie) La violazione dell'articolo 53 e' stata invece eccepita con riferimento al principio della generalita' e della progressivita' del sistema impositivo. Le richieste conclusivamente formulate nel ricorso introduttivo sono state le seguenti: "In via preliminare - ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 18 comma 22-bis del decreto legge n. 98/11 aggiunto dalla legge di conversione n. 111/11, come modificato dalle leggi 148/11 e 214/11, nella parte in cui dispongono la decurtazione dei trattamenti pensionistici erogati dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, in relazione agli articoli 1, 2, 3, 36, 38 e 53 della Costituzione, sospendere il giudizio e disporre la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; nel merito, accertato l'obbligo dell'ente convenuto a corrispondere le somme indebitamente trattenute e i trattamenti di pensione nella loro interezza, condannare gli enti convenuti competenti a provvedere ai pagamento delle somme trattenute ai ricorrenti sul trattamento di pensione a titolo di contributo di perequazione ai sensi delle somme indicate, con rivalutazione monetaria e interessi dalle singole scadenze al saldo, ed a ripristinare l'integrale corresponsione dei trattamenti previdenziali conseguentemente dovuti; condannare gli enti convenuti al pagamento delle spese legali". I ricorrenti in data 8 marzo 2013 hanno depositato una ulteriore memoria, nella quale hanno confermato le conclusioni come sopra riportate, richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 241 del 31 ottobre 2012, a seguito del ricorso di alcune Regioni circa l'attribuzione al bilancio dello Stato - anziche' delle Regioni - delle somme introitate a seguito del contributo di perequazione ovvero di solidarieta'. L'Amministrazione previdenziale INPS (gestione ex INPDAP) si e' costituita in giudizio in data 11 marzo 2013 con una articolata memoria. Le conclusioni del resistente INPS sono state le seguenti: a) In via pregiudiziale ritenere il proprio difetto di giurisdizione in favore delle Commissioni tributarie regionali con riferimento alla domanda relativa ai contributo ex articolo 18 comma 22-bis del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98; b) Sempre in via pregiudiziale e nel rito accertare e ritenere parziale carenza di giurisdizione dell'INPS, nonche' la sussistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario ex articolo 102 cpc nei confronti della Agenzia delle entrate, quale parte necessaria nelle controversie inerenti la sussistenza dell'ammontare di imposte e tributi e la restituzione di somme asseritamente non dovute a tale titolo, con conseguente integrazione del contraddittorio nei confronti delta suddetta Agenzia; c) Nel merito respingere in ogni caso le avverse domande perche' infondate in fatto e in diritto; d) In via subordinata disporre la sospensione dei presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sull'ordinanza di remissione della Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Campania del 20 luglio 2012 , pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 45 del 14 novembre 2002. Con sentenza parziale n. 20 in pari data, il Giudice Unico remittente ha dichiarato la propria giurisdizione nella controversia in epigrafe e ha respinto l'eccezione di difetto parziale di legittimazione passiva dell'INPS (gestione ex INPDAP). Ha poi deciso la remissione degli atti alla Corte costituzionale, sollevando questione di legittimita' costituzionale - con riferimento agli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione - dell'articolo 18 comma 22-bis del decreto legge 98/2011 (cosi' come convertito dalla legge 111/2011), dell'articolo 2 comma 1 del decreto legge 13 agosto 2011 n. 138 (cosi' come convertito dalla legge. 14 settembre 2011 n. 148) e dell'articolo 24; comma 31-bis del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201 (cosi' come: convertito dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214), dichiarando manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle medesime norme, con riferimento agli articoli 1, 36 e 38 della Costituzione. In conseguenza, il Giudice medesimo ha disposto la sospensione; della trattazione nel merito della causa, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. Tanto rilevato, si osserva che la presente controversia ha per oggetto l'accertamento della legittimita' delle decurtazioni operate a carico dei trattamenti pensionistici dei ricorrenti, tutti magistrati ordinari a riposo residenti in Umbria. I medesimi hanno sostenuto che le decurtazioni in questione sono state disposte dall'INPS in applicazione di norme che presentano molteplici dubbi di conformita' alla Carta costituzionale il Remittente, anticipando la propria decisione, ritiene che effettivamente sussistono valide ragioni per il deferimento della questione di costituzionalita', sia pure solo per alcuni dei profili evidenziati dai ricorrenti (e, cioe', in particolare in relazione unicamente agli articoli 2, 3 e 53 Cost.) E cio' per le argomentazioni di seguito evidenziate. Le norme oggetto di censura costituzionale cosi' dispongono. Il comma 22-bis recita "In considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, a decorrere dal 1 agosto 2011 e fino ai 31 dicembre 2014 i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, i cui importi complessivamente superino i 90.000 euro lordi annui, sono assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5% della parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' pari al 10% per la parte eccedente 150.000 euro... Le somme versate dagli enti vengono versate... all'entrata del bilancio dello Stato" Il comma primo dell'articolo 2 della legge 14 settembre 2011 n. 148 ha precisato che "le disposizioni di cui alla legge 15 luglio 2011 n. 111 continuano ad applicarsi nei termini ivi previsti...dal 1 agosto 2011 al 31 dicembre 2014" Infine il comma 31-bis dell'articolo 24 della legge 214/11 ha previsto un ulteriore scaglione di contributo di previdenza ("Al comma 22 bis dell'articolo 18 della legge 15 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, dopo le parole «eccedente 150.000 euro» sono inserite le seguenti: e al 15% per la parte eccedente le 200.000 euro"). In sintesi, dal combinato disposto delle tre norme risulta che alle pensioni a carico degli enti gestori di forme di previdenza obbligatorie si applica una decurtazione quantificata su tre scaglioni (90.000 euro, 150.000 euro e 200.000 euro rispettivamente del 5%, del 10% e del 15% e per il periodo dall'agosto 2011 al dicembre 2014). Tutto il menzionato complesso dispositivo deve essere collocato nel contesto delle disposizioni volte a fronteggiare l'emergenza finanziaria conseguente alla grave crisi nazionale, europea ed internazionale. In particolare, esso deve essere "letto" in correlazione con le norme che ebbero a prevedere molteplici decurtazioni alle retribuzioni del personale (non contrattualizzato) di magistratura. E' d'uopo ricordare che queste ultime sono state gia' scrutinate dalla Corte costituzionale, che le ha dichiarate non conformi alla Carta nelle parti di interesse con sentenza n. 223/12 (articoli 9 commi 2 e 22 e comma 10 del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78 convertito dalla legge 30 luglio 2010 n. 122). In sintesi e' stato affermato in tale sede che le retribuzioni del personale di magistratura non debbono seguire logiche negoziali, a tutela dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura medesima. Inoltre e' stata rilevata la violazione del principio di uguaglianza e di progressivita' tributaria. Alle norme e' stato conferito espressamente il carattere tributario, ricorrendone tutte le caratteristiche. Per quanto di interesse in questa sede, giova ripercorrere alcuni passaggi relativi a quanto puntualizzato dalla Consulta: "La giurisprudenza (della Corte costituzionale) ha costantemente precisato che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica del rapporto sinallagmatico; le risorse connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione sono destinate a sovvenire pubbliche spese...Indipendentemente dal nomen iuris attribuitole dal legislatore, al fine di valutare se una decurtazione patrimoniale definitiva integri un tributo, occorre interpretare la disciplina sostanziale che la prevede alla luce dei criteri indicati dalla giurisprudenza costituzionale come caratterizzanti la nozione unitaria del tributo: cioe' la doverosita' della prestazione, in mancanza di rapporto sinallagmatico fra le parti, nonche' il collegamento di tale prestazione con la pubblica spesa, in relazione ad un presupposto economicamente rilevante... Un tributo consiste dunque in un prelievo coattivo che e' finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed e' posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacita' contributiva, indice che deve, esprimere l'idoneita' di tale soggetto all'obbligazione tributaria... La Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria, ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di uguaglianza...Pertanto il controllo della Corte in ordine alla lesione dei principi di cui all'articolo 53 della Costituzione, come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, consiste in un giudizio sull'uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione". Il Giudice remittente e' consapevole delle differenze che intercorrono fra le decurtazioni che hanno colpito le retribuzioni dei magistrati (disposte con le norme dichiarate illegittime dalla ricordata sentenza n. 223/12) e quelle relative alle pensioni: la platea dei soggetti colpiti e' diversa, cosi' come la destinazione finale delle risorse acquisite con i risparmi di spesa. Tuttavia, rispetto agli elementi di diversita', prevalgono quelli analogici, tenuto conto che anche il prelievo sulle pensioni e' in realta' confluito nelle entrate generali dello Stato per "obiettivi di finanza pubblica" indifferenziati, senza alcuna correlazione a programmi perequativi e/o riequilibrativi del sistema previdenziale. Altro elemento che accomuna le decurtazioni stipendiali dei magistrati e quelle dei pensionati iscritti alla previdenza obbligatoria e' la "natura tributaria" delle norme, riconosciuta in entrambi i casi dalla stessa Corte costituzionale. La Corte, con la richiamata sentenza n. 223/12 ha qualificato "di natura tributaria" le norme relative alle decurtazioni delle retribuzioni del personale di magistratura; con la successiva sentenza n. 241/2012 ha posto lo stesso carattere anche alla disciplina riferita ai trattamenti pensionistici. Infatti alcune Regioni avevano sollevato questione di legittimita' costituzionale di tale disciplina relativamente alla attribuzione al bilancio statale - anziche' regionale - delle somme derivanti dai risparmi di spesa conseguenti alle decurtazioni oggetto della presente controversia. Con specifico riferimento al "contributo di perequazione di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla legge n. 111 del 2011", la Corte Costituzionale ha espressamente affermato quanto segue. "Il contributo oggetto di censura e' previsto a carico dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie ed ha natura certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici previsto dallo stesso comma primo nella parte dichiarata illegittima con la suddetta sentenza n. 223/2012 e la cui natura tributaria e' stata espressamente riconosciuta dalla medesima sentenza. La norma impugnata, infatti, integra una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza (costituzionale) per caratterizzare il prelievo fiscale". La sentenza n. 241 ha in vero dichiarato inammissibile la questione di legittimita' prospettata, ma e' di tutta evidenza che io scrutinio richiesto in questa sede parte da presupposti dei tutto differenti. Non e' infatti "in gioco" la destinazione delle somme (se al bilancio statale o regionale), bensi' la legittimita' del prelievo, con riferimento agli articoli 2, 3 e 53 della Carta. Il Remittente ritiene pertanto acquisiti i seguenti punti: a) le decurtazioni dei trattamenti pensionistici erogati nell'ambito della previdenza obbligatoria sono state disposte dall'INPS in applicazione di norme di "natura tributaria"; b) il contributo di perequazione di cui all'articolo 18 comma 22-bis del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98 (convertito dalla legge n. 111/2011) ha natura tributaria; c) Le trattenute oggetto del presente giudizio risultano prestazioni patrimoniali imposte per legge, prive di destinazione specifica, destinate a sopperire alle esigenze generali dell'erario. Da questa base - che puo' ritenersi sostanzialmente certa - si deve passare a valutare la concomitante sussistenza dei tre presupposti che consentono il deferimento alla Corte costituzionale della questione di legittimita' delle norme piu' volte richiamate: la rilevanza della questione; l'impossibilita' da parte del Giudice di merito di risolvere la controversia mediante una interpretazione costituzionalmente orientata; la non manifesta infondatezza. Ritenuta la rilevanza della questione di legittimita' , con riferimento agli articoli 2, 3 e 53 Cost., dell'articolo 18 comma 22-bis del decreto legge 98/2011 (cosi' come convertito dalla legge n. 111/2011), dell'articolo 2 comma 1 del decreto legge 13 agosto 2011 n. 138 (cosi' come convertito dalla legge 14 settembre 2011 n. 148) e dall'articolo 24 comma 31-bis del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201 (cosi' come convertito dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214). La rilevanza e' in re ipsa. Infatti le decurtazioni del trattamento pensionistico sono state disposte dall'amministrazione previdenziale in diretta ed immediata applicazione delle richiamate norme. La domanda giudiziale volta al ripristino di quanto percepito prima dell'agosto del 2011 trova la soluzione solo in conseguenza dello scrutinio di compatibilita' costituzionale in questa sede promosso. Del resto la rilevanza assume particolare pregnanza rispetto alla specifica domanda dei ricorrenti, sulla base dei cedolini di pensione in atti portanti tutti la dicitura "contributo articolo 18 comma 22-bis della legge 111/2011" e l'importo mensile della trattenuta. Ritenuta l'impossibilita' di interpretazioni orientate L'evidenziato complesso normativo - incentrato sul comma 22 - e' immediatamente precettivo ed e' suscettibile di applicazione senza particolari passaggi interpretativi. E' infatti oggettivamente impossibile pervenire ad una interpretazione delle sospettate norme che consenta di escludere (o, quanto meno, diversamente modulare) le decurtazioni in argomento. La pretesa dei ricorrenti di vedere ripristinato il trattamento in godimento prima dell'agosto 2011 puo' andare a buon fine solo attraverso la rimozione della norma, se ed in quanto non conforme a Costituzione. Si ribadisce che le disposizioni in questione esprimono la regola da applicare in maniera chiara e puntuale, servendosi di "parametri numerici del tutto rigidi", come tali appunto insuscettibili di interpretazione ne' in via amministrativa ne' da parte del Giudice di merito. Quanto alla non manifesta infondatezza Come gia' evidenziato, questo Giudice ritiene di dover disporre la remissione degli atti alla Corte costituzionale, sollevando la questione di costituzionalita' con riferimento agli articoli 2, 3 e 53. I dubbi di conformita' costituzionale si presentano fortemente interconnessi con riferimento ai tre articoli asseritamente violati, consentendo una trattazione unitaria. Deve subito essere "sgombrato il campo" dal richiamo al principio dell'affidamento, cosi' come prospettato dai ricorrenti. La consolidata giurisprudenza costituzionale insegna che il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalita', puo' modificare i rapporti di durata, anche prevedendo situazioni "peggiorative" o impedendo il conseguimento di posizioni "attese". La discrezionalita' del legislatore - nel superare il principio di affidamento - non deve superare i limiti della ragionevolezza e del principio di uguaglianza. Ed e' proprio sulla violazione di quest'ultimo principio che si incentrano i dubbi di legittimita' costituzionale del Remittente. Il principio di uguaglianza assume particolare pregnanza nella causa in esame con riferimento all'articolo 53 la' dove prescrive che "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva; il sistema tributario e' informato a criteri di progressivita'". In sintesi i dubbi si incentrano sulla scelta del legislatore di imporre un contributo di natura fiscale solo ai pensionati della previdenza obbligatoria e quindi ad una sola categoria di cittadini, con una discriminazione che non tiene in nessun conto il parametro della capacita' contributiva. Doppia discriminazione: rispetto alla platea dei cittadini in genere (e, in particolare, di quelli con capacita' contributiva analoga), rispetto agli altri pensionati e lavoratori. Dunque ai pensionati della previdenza obbligatoria e' stato imposto un onere di solidarieta' assolutamente irrazionale e improprio. Infatti - pur riconoscendo che il prelievo e' stato effettuato su trattamenti oggettivamente piuttosto elevati - viene imposto un sacrificio solo ad un ristretto numero di pensionati, molti dei quali, fra l'altro, hanno lasciato il servizio a settantacinque anni, con una aspettativa di vita oggettivamente piu' ridotta. La violazione dell'articolo 2 e' prefigurata non tanto con riferimento ai diritti inviolabili, quanto per aver imposto coattivamente ed irragionevolmente un onere di solidarieta' ad una ristretto numero di ex lavoratori. Il punto centrale che invece configura - ad avviso del Giudice Unico - un marcato e pregnante profilo di possibile incostituzionalita' e' rappresentato dalla irragionevolezza e soprattutto dalla violazione del principio di uguaglianza, per avere il legislatore colpito sotto il profilo reddituale solo i pensionati, con una norma di evidente natura tributaria e per fronteggiare esigenze di ordine generale (proprie di tutta indistintamente la comunita' dei cittadini). E' infatti chiaro che l'asserito "fine perequativo", sancito solo formalmente, ha rappresentato uno "schermo formale", superato dallo stesso prosieguo della norma, la' dove ha previsto la "devoluzione" al bilancio generale dello Stato delle somme introitate come risparmi di spesa. Somme definitivamente trattenute - giova sottolinearlo - in quanto - non e' stato previsto un loro "recupero" ne' dopo il 2013 ne' dopo il 2014 Le trattenute hanno comportato una vera e propria decurtazione del trattamento pensionistico per un periodo poliennale, con il piu' che fondato rischio di un suo ulteriore prolungamento, considerata la permanenza dei fattori di criticita' del bilancio dello Stato. Come gia' evidenziato, dunque, i dubbi di costituzionalita' prendono le mosse dall'impropria qualificazione delle decurtazioni come "contributo di perequazione", la' dove in realta' ci si trova in presenza di un vero e proprio prelievo fiscale, imposto in modo autoritativo , destinato al bilancio generale per il risanamento delle gravi condizioni dell'economia pubblica. Prelievo imposto - a parita' di indice di capacita' contributiva - solo ad un limitato numero di soggetti, destinatari di una doppia discriminazione. Il contributo di perequazione altro non e' che una imposta speciale transitoria ed eccezionale a carico dei soli trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria. Il contributo sembra violare il principio di parita' di prelievo a parita' di presupposto di imposta economicamente rilevante, secondo quanto previsto dagli articoli 3 e 53 della Costituzione. E conseguentemente il principio di modulazione universale dell'intervento impositivo. Da cio' consegue l'irragionevolezza e l'ingiustizia del legislatore che ha posto a carico dei pensionati l'onere di partecipare al risanamento in modo indifferenziato e in termini piu' onerosi rispetto ad altre categorie di contribuenti, con redditi e condizioni economiche equivalenti o superiori. Si richiama, condividendolo e facendolo proprio, quanto ritenuto dal Giudice unico laziale nelle ordinanze di remissione numero 74 e 75 del 2013, secondo cui i principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione risultano violati, essendo state chiamate solo alcune categorie di cittadini (pensionati non solo pubblici) a concorrere al contenimento della spesa pubblica e al risanamento del bilancio pubblico generale. In linea di principio non puo' negarsi che il risanamento possa essere perseguito anche in modo articolato, con modalita' differenti per le varie categorie di cittadini, in una visione complessiva delle politiche di bilancio, dove si valorizzino tutte le conseguenze macroeconomiche determinate dalle varie tipologie degli interventi di contenimento della spesa e del risanamento generale. Tuttavia, la diversificazione degli strumenti normativi di contenimento della spesa e di risanamento - che rientra nella discrezionalita' del legislatore - non puo' mai contrastare o eludere nella sostanza il principio di ragionevolezza e di uguaglianza. Soprattutto quando non siano neppure presenti delle eccezionali, straordinarie e contingenti ragioni che giustifichino i regimi differenziali e le loro "diseguaglianze" Infatti le decurtazioni pensionistiche sono previste dall'agosto 2011 al dicembre 2014 (con il probabile rischio di un loro prolungamento), non potendo pertanto considerarsi "straordinarie" o "contingenti", anche perche', come gia' evidenziato, applicate a soggetti obiettivamente con una aspettativa di vita piu' limitata (e cio' vale ancora di piu' per i magistrati in considerazione del loro ritardato collocamento in quiescenza rispetto ad altre categorie di dipendenti pubblici) Il comma 22-bis ha valorizzato come parametro rigido per gli interventi di risanamento il "reddito pensionistico". Ed e' proprio con riferimento a tale parametro che si ritiene essersi attualizzato il "vulnus" costituzionale. Una volta infatti centralizzato l'intervento sul reddito pensionistico e ritenuto che i cittadini titolari di redditi piu' elevati dovessero maggiormente essere onerati del peso risanatore, il legislatore non poteva diversificare le posizioni dei cittadini titolari delle medesime posizioni di capacita' contributiva. Invece il comma 22-bis - come ritenuto dal Giudice rimettente laziale - sembra aver violato l'articolo 3 della Carta che "stabilisce il principio di uguaglianza e quindi anche di uguaglianza tributaria, in ordine alla quale la giurisprudenza della Corte e' risalente nell'affermare che a situazioni uguali debbono corrispondere uguali regimi impositivi e che per capacita' contributiva, ai sensi dell'articolo 53 della Costituzione, debba intendersi l'idoneita' del soggetto all'obbligazione di imposta, desumibile dal presupposto economico al quale la prestazione risulta collegata, il che impone di verificare se sussista uguaglianza fra le situazioni da sottoporre a confronto: nella specie, da una parte i pensionati e dall'altra le diverse categorie di contribuenti" In questa sede deve evidenziarsi che la posizione di diseguaglianza che rileva e' quella fra i pensionati con un trattamento superiore a 90.000 euro (e, a seguire, a 150.000 euro e a 200.000 euro) e gli altri cittadini con la medesima capacita' contributiva i primi sono tenuti ad una imposizione supplementare rispettivamente del 5%, del 10% e del 15% del loro trattamento; i secondi a nessuna imposizione supplementare. La diseguaglianza e' poi destinata ad aggravarsi dopo l'ulteriore soglia dei 300.00 euro, allorche' i pensionati sono tenuti all'imposta (contributo di perequazione) del 15%, mentre tutti gli altri cittadini sono tenuti ad un contributo di solidarieta' del 3%. Come precisato, tale ulteriore diseguaglianza non puo' essere riferita al caso di specie, posto che nessuno dei ricorrenti ha materialmente superato questa soglia. Tuttavia anche questa "discriminazione" e' indice di un sistema normativo con serie criticita' in ordine alla razionalita', al rispetto del principio di uguaglianza, al pieno rispetto dei valori costituzionali. I rappresentati dubbi di possibile incostituzionalita' escono rinforzati anche dalla lettura di due precedenti ordinanze della Corte medesima, la numero 22 del 2003 e la 160 del 2007. In entrambi i casi, la Corte si e' occupata del contributo di solidarieta' previsto all'articolo 37 della legge n. 488/99. Tale norma aveva previsto che, dal gennaio 2000, per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori al massimale annuo di cui all'art. 2 comma 18 della legge 8 agosto 1995 n. 335 fosse dovuto un "contributo di solidarieta'" nella misura del 2%. La questione di incostituzionalita' e' stata dichiarata manifestamente infondata dall'ordinanza nr. 22 sul presupposto che "la norma censurata e' volta a realizzare un circuito di solidarieta' interna al sistema previdenziale, evitando la generica fiscalizzazione del prelievo contributivo effettuato" Con l'ordinanza n, 160/2007 fa Corte costituzionale e' tornata ad occuparsi della medesima norma, confermando sostanzialmente quanto stabilito in precedenza e dichiarando di conseguenza l'inammissibilita' dell'ulteriore deferimento. Appare evidente l'essenziale differenza fra il contributo di solidarieta' del 2% previsto dall'articolo 37 della legge n. 488/99 e quello "perequativo" di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge n. 98/2011. Nel primo caso il contributo ha avuto una effettiva funzione volta a "realizzare un circuito di solidarieta' interna ai sistema previdenziale, evitando la generica fiscalizzazione del prelievo contributivo effettuato". Nel secondo caso - quello rilevante nella presente sede - si e' concretizzata una finalizzazione opposta, in quanto, come piu' volte osservato, le entrate conseguenti ai risparmi di spesa per le decurtazioni pensionistiche sono andate a confluire nel bilancio indifferenziato, con la correlata attribuzione alla norma della qualita' di "natura tributaria". Per quanto sopra esposto, ai sensi dell'articolo 23 secondo comma della legge n. 87 del 1953, appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dei comma 22-bis dell'articolo 18 del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, come successivamente novellato dall'articolo 24 , comma 31-bis del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, la cui vigenza e' stata solo ribadita, senza nulla innovare, dall'articolo 2 comma 1 del decreto legge 13 agosto 2011 n. 138 convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, per contrasto con gli articoli 2, 3, e 53 della Costituzione.