LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE 
 
    Ha emesso la seguente Ordinanza sul ricorso n. 634/12  depositato
il 27 novembre 2012 avverso avviso di  accertamento  n.  100000188/10
concess.govern.2010 contro: Ag.Entrate Dir.  Provin.  Uff.  Controlli
Campobasso, proposto dal ricorrente: Regione Molise via Genova  11  -
86100  Campobasso  CB  difeso  da:  Galasso  Avv.  Antonio   servizio
avvocatura regionale 86100 Campobasso CB; 
    Visto il ricorso proposto dalla Regione Molise  avverso  l'avviso
di Irrogazione di sanzioni per  ritardato  pagamento della  tassa  di
concessione per il servizio di telefonia mobile in abbonamento emesso
dall'Agenzia  delle  Entrate  di  Campobasso  (previa  rettifica   in
autotutela di un precedente avviso  di  accertamento)  notificato  in
data 18 settembre 2012,  con  cui  si  richiede  alla  ricorrente  di
versare la somma di € 13.993,12 oltre interessi e spese; 
    Visto l'atto di costituzione dell'A.F. che  ha  pregiudizialmente
sollevato l'eccezione di inammissibilita' del ricorso per  violazione
dell'art. 17-bis d.lgs. n. 546/92 non avendo la ricorrente presentato
il  preventivo  reclamo  obbligatorio,  vertendosi  nella  specie  di
impugnazione di un provvedimento  dell'A.E.  con  richiesta  di  sole
sanzioni (oltre interessi e spese) per importo inferiore ad  € 20.000
notificato in epoca successiva al 1° aprile 2012; 
    Vista l'eccezione di  legittimita'  costituzionale  del  predetto
art. 17-bis sollevata  dal  ricorrente  per  violazione  della  detta
disposizione con gli artt. 3, 24, 25, 111 e 113 della Costituzione; 
    Considerato  che  la  prospettata  questione  di   illegittimita'
costituzionale  dell'art.  17-bis  d.lgs  546/92   e'   indubbiamente
rilevante poiche' della predetta  disposizione  deve  necessariamente
farsi  applicazione  nel  presente  giudizio  sia   ai   fini   della
ammissibilita' che relativamente ad aspetti sostanziali dello stesso; 
    Considerato altresi' che la detta questione e'  da  ritenere  non
manifestamente infondata per i motivi di seguito esposti; 
 
                               Osserva 
 
    Il reclamo obbligatorio (che  puo'  contenere  o  meno  anche  la
richiesta di mediazione) e' previsto dall'art. 17-bis del  d.lgs.  n.
546/92 (introdotto dal DL  98/2011  conv.  con  modif.  nella  L.  n.
111/2011) per le controversie di valore  non  superiore  ad  € 20.000
(valore  da  determinare  ex  art.  12/5  Dlgs.  546/92)  relative  a
provvedimenti  emessi  dall'Agenzia  delle  Entrate  e  notificati  a
decorrere  dal  1°  aprile   2012.   Esso   ha   natura   tipicamente
amministrativa, come  si  evince  non  solo  dalla  sua  collocazione
sistematica nel corpo del d.lgs 546/92 (in cui l'art. 17-bis predetto
costituisce l'ultima disposizione del titolo I, capo II,  ovvero  del
titolo che precede quello contenente la disciplina della  trattazione
del processo), ma anche dal  testuale  disposto  del  comma  2  dello
stesso  art.  17-bis,  che  indica  il  reclamo  come  condizione  di
ammissibilita' del ricorso, dal  quale  e'  evidentemente  nettamente
diversificato, nonche' dal comma 9 che chiarisce bene che il  reclamo
produce gli effetti del ricorso (ovvero si trasforma in ricorso) solo
«decorsi novanta giorni senza che sia stato notificato l'accoglimento
del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione»  (richiesta
facoltativamente dal contribuente o, in  mancanza,  obbligatoriamente
dall'A.F.)  o  anche  antecedentemente  dalla  notifica  del  diniego
espresso o dell'accoglimento solo parziale. 
    Esso reclamo si configura come rimedio amministrativo di  secondo
grado, in quanto successivo al procedimento amministrativo conclusosi
col provvedimento impugnato dal contribuente,  volto  a  definire  la
questione nell'ambito della Pubblica  Amministrazione,  con  assoluta
esclusione dell'intervento dell'organo giurisdizionale,  ma  previsto
come filtro obbligatorio del processo tributario (limitatamente  agli
atti sopra indicati), con esclusione (art. 17-bis, comma  4)  per  le
controversie relative al recupero  di  aiuti  di  Stato  illegittimi,
filtro   la   cui   omessa   attivazione   e'   sanzionata   con   la
inammissibilita' del ricorso «rilevabile di ufficio in ogni  stato  e
grado del processo». 
    L'istituto del reclamo, che e' compatibile con  la  richiesta  di
autotutela ante  causam  e  con  la  richiesta  di  accertamento  con
adesione (d.lgs. n. 218/97), ma non con la  conciliazione  giudiziale
(espressamente esclusa dal comma 1 dell'art. 17-bis  cit.),  oltre  a
costituire   una   inutile   duplicazione   di   rimedi   transattivi
preprocessuali, con evidente allungamento dei  tempi  di  definizione
del contenzioso, presenta vari  profili  di  incostituzionalita'  per
violazione delle norme di cui agli artt. 3,24, 25, 111  e  113  della
Costituzione. 
    Va innanzitutto rilevato, quanto  alla  violazione  dell'art.  24
Cost. (diritto di agire in giudizio e inviolabilita' del  diritto  di
difesa), che la sanzione dell'inammissibilita'  del  ricorso  per  la
omessa presentazione del reclamo, ovvero la  perdita  definitiva  del
diritto di adire il giudice per la omessa attivazione di  un  rimedio
amministrativo, e' stata piu' volte censurata dal Giudice delle leggi
per violazione dell'art. 24 Cost. 
    E' da premettere che all'attribuzione  della  titolarita'  di  un
diritto soggettivo deve sempre accompagnarsi  il  riconoscimento  del
potere di far valere il diritto innanzi al giudice in un procedimento
giurisdizionale. Trattasi della c.d. inscindibilita' diritto-azione. 
    Tuttavia detta inscindibilita' fu mitigata gia' dalla sentenza n.
47/64 della Corte costituzionale nella quale si affermo'  che  l'art.
24, primo comma, Cost. «non impone una correlazione assoluta  tra  il
sorgere del diritto e la sua azionabilita'», a condizione, pero', che
ricorrano due ipotesi, ovvero le esigenze di  ordine  generale  e  le
superiori finalita' di giustizia. 
    In  varie  occasioni  e'  stato  affermato  che,  pur   dovendosi
riconoscere, in via di principio, la legittimita' di forme di accesso
alla giurisdizione condizionate al previo esperimento  di  rimedi  di
carattere amministrativo, va dichiarata,  sopratutto  in  riferimento
all'art. 24 della Costituzione, l'illegittimita' di  tali  previsioni
«quando esse comportino una compressione penetrante  del  diritto  di
azione,  ostacolandone  o  rendendone  difficoltoso  l'esercizio,  in
particolare comminando la sanzione della decadenza. Ne  deriva  cosi'
la definitiva perdita del diritto» (Corte Cost.  Sent.  n.  530/89  e
15/91). 
    Piu'  in  generale   puo'   rilevarsi   che   spesso   la   Corte
costituzionale ha  ritenuto  sussistere  la  violazione  degli  artt.
24,113 e  3  della  Costituzione  in  vari  casi  in  cui  il  previo
esperimento di rimedi amministrativi  condizionavano  l'accesso  alla
giurisdizione tributaria, comprimendo  il  diritto  di  difesa,  reso
eccessivamente difficoltoso o ostacolato dall'omesso esercizio  della
procedura amministrativa (v. Corte Cost. Sent. 406/93: azione giudiz.
subordinata a ricorso gerarchico -  Sent.  360/94  e  56/95:  imposta
sugli spettacoli, art. 39 DPR 640/72, e tassa sulle societa', art. 12
DPR 641/72). 
    Il differimento dell'azione giudiziaria, come si e'  gia'  detto,
e' stato generalmente ritenuto legittimo  solo  nella  ricorrenza  di
«esigenze di ordine generale e  superiori,  finalita'  di  giustizia»
(esigenze quanto meno discutibili nel caso che ne  occupa  attesa  la
preesistenza di vari filtri amministrativi), ma comunque  giammai  e'
stato ritenuto legittimo  condizionare  addirittura  l'ammissibilita'
dell'azione  giudiziaria  al  previo  esperimento   di   un   rimedio
amministrativo,  poiche'  anche  in  presenza  delle   due   predette
circostanze e' stato  ritenuto  che  il  legislatore  ha  pur  sempre
l'obbligo di  «osservare  il  limite  imposto  dall'esigenza  di  non
rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa  ovvero
di non differirla irrazionalmente e  sine  die»  (Corte  Cost.  Sent.
82/92). 
    Il legislatore, invero, puo' certamente imporre degli  oneri  per
l'esperimento dei rimedi giurisdizionali, come la previa proposizione
di un ricorso amministrativo, oneri finalizzati alla salvaguardia  di
interessi  generali,  quali  il   sovraccarico   giudiziario   e   le
conseguenti difficolta' per il suo  funzionamento,  ma  giammai  puo'
sacrificare eccessivamente il diritto di azione,  potendo  la  tutela
giurisdizionale, al limite, essere solo procrastinata, ponendosi come
sanzione alla violazione dell'onere la improcedibilita'  dell'azione,
si' da consentire al giudice, che verifichi la  omessa  presentazione
del reclamo, di concedere alle parti un termine per la  presentazione
della domanda, ma giammai  si  sarebbe  potuto  sanzionare  (come  e'
avvenuto) la omessa presentazione del reclamo con la inammissibilita'
dell'azione, ovvero con la perdita definitiva del diritto di agire in
giudizio. La sanzione della inammissibilita' dell'azione  giudiziaria
conseguente all'omesso previo esperimento del reclamo si rivela anche
in  contrasto  con  gli  artt.   3   (principi   di   uguaglianza   e
ragionevolezza) e 113 (divieto di limitare la tutela  giurisdizionale
contro gli atti della P.A. per determinate categorie di atti). 
    Non sembra dubbio, infatti, che la predetta sanzione  genera  una
irragionevole discriminazione  tra  il  diritto  del  contribuente  a
corrispondere  il   giusto   tributo   e   la   potesta'   impositiva
dell'Amministrazione Finanziaria, non essendo in alcun modo possibile
ravvisare le  predette  «esigenze  di  ordine  generale  e  superiori
finalita' di giustizia» al fine di giustificare il previo reclamo  in
presenza di  altri  gia'  esistenti  preventivi  istituti  dellattivi
(quali  l'autotutela,  l'obbligo  del   preventivo   contraddittorio,
l'accertamento con adesione),  si'  che  il  c.d.  reclamo/mediazione
costituisce solo un rilevante aggravio del procedimento, che, per  la
sua  obbligatorieta',  la  cui  violazione  e'  sanzionata   con   la
inammissibilita'   dell'azione   giudiziaria,   limita   la    tutela
giurisdizionale solo nei confronti dei  contribuenti  interessati  da
una  determinata  categoria  di  provvedimenti   dell'Agenzia   delle
Entrate,  mentre  tale  limite  non  sussiste   nei   confronti   dei
contribuenti  interessati  dagli  altri  provvedimenti  emessi  dalla
predetta A.F. o da tutti i provvedimenti tributari  emessi  da  altri
enti impositori. Ulteriore violazione dell'art. 24 Cost.  si  ravvisa
nella necessita' (imposta dall'art. 17-bis, comma 6,  con  il  rinvio
all'art. 18 d.lgs. 546/92) che il contenuto del reclamo sia  identico
a quello del ricorso eventualmente proponibile nella fase successiva. 
    Non puo' non rilevarsi,  infatti,  che  la  anticipata  discovery
della tesi difensiva del contribuente nella fase amministrativa,  che
obbligatoriamente  deve  precedere  la   fase   del   giudizio,   con
conseguente immodificabilita' di ulteriori  prospettazioni  difensive
nell'eventuale giudizio in relazione ad un  provvedimento  ancora  da
valutare, costituisce grave pregiudizio difensivo per il contribuente
(che,  ad  es.,  se   nella   fase   amministrativa   aveva   chiesto
l'annullamento parziale del provvedimento, nella  fase  del  giudizio
non potra' richiedere l'annullamento totale). 
    L'art. 17-bis cit. si rivela inoltre in contrasto con i  principi
di uguaglianza e ragionevolezza posti dall'art. 3 della  Costituzione
anche sotto ulteriori e diversi profili. 
    Innanzitutto per  la  evidente  irrazionalita'  e  diversita'  di
trattamento in ordine alla  concedibilita'  in  sede  giurisdizionale
della tutela cautelare. 
    Come si desume dall'art. 47  d.lgs.  n.  546/92  il  procedimento
cautelare  e'   condizionato   ad   una   valida   instaurzione   del
contraddittorio giudiziale relativo al processo sul merito  dell'atto
del quale si invoca la sospensione, poiche' il predetto  art.  47  al
comma primo richiede che  siano  osservate  le  disposizioni  di  cui
all'art. 22 relative alla costituzione in  giudizio  del  ricorrente.
Detta disposizione e' posta in evidente correlazione  con  quella  di
cui al sesto comma del predetto art.  47  secondo  cui  nei  casi  di
sospensione dell'atto la trattazione del merito deve  essere  fissata
non oltre novanta giorni dalla  pronuncia,  disposizione  questa  che
sarebbe vanificata se fosse consentito al ricorrente di  ottenere  la
sospensione del provvedimento prima di una sua efficace  costituzione
in giudizio, non senza considerare l'ulteriore ipotesi che in caso di
ritardo o omissione della costituzione  il  provvedimento  rimarrebbe
sospeso per un tempo indeterminato. 
    Orbene la predetta tutela cautelare  immediata  e'  esclusa,  per
tutto il tempo necessario all'espletamento della  fase  del  reclamo,
solo nei confronti  dei  soggetti  ai  quali  sono  stati  notificati
provvedimenti  emessi  dall'Agenzia  delle  Entrate  e   relativi   a
controversie non superiori ad  € 20.000,00,  mentre  e'  generalmente
prevista per tutti gli altri soggetti  destinatari  di  provvedimenti
tributari  emessi  dall'Agenzia  delle  Entrate  o  da   altri   Enti
impositori, ovvero per tutte le materie riservate alla  giurisdizione
tributaria. Trattasi di esclusione gravemente lesiva dei diritti  del
contribuente poiche' del tutto irrazionale, contraria al principio di
uguaglianza e  assolutamente  non  giustificabile  trattandosi  della
tutela giurisdizionale di posizioni giuridiche soggettive che  devono
essere garantite in modo  particolare  in  presenza  della  immediata
esecutivita' degli avvisi di accertamento (art. 29 DL 78/2010)  o  in
caso di ricorso avverso cartelle  esattoriali  (ex  art.  36-bis  DPR
600/73 o 54-bis DPR 633/72 o in caso di ricorso avverso il ruolo). 
    La predetta esclusione della tutela cautelare rileva anche  sotto
il profilo della violazione degli artt. 24 e  25  Cost.  (diritto  di
difesa e divieto di distrazione dal giudice naturale), poiche',  come
si e' gia' detto, solo dopo  la  presentazione  del  ricorso,  ovvero
successivamente    all'inutile    esperimento     della     procedura
amministrativa  conseguente  al  reclamo,  il   contribuente   potra'
rivolgersi al proprio giudice naturale per ottenere un  provvedimento
cautelare,  il  che  comporta  che,  nelle  more   del   procedimento
amministrativo del reclamo, il contribuente, in presenza di un  danno
grave e irreparabile ( si ricorda che il  limite  di  € 20.000,00  va
inteso al netto di interessi e  sanzioni,  il  che  comporta  che  la
richiesta complessiva puo' anche  superare  il  doppio),  e'  privato
della tutela cautelare giurisdizionale, potendo nelle more  usufruire
unicamente della autotutela sospensiva concessa dalla A.F. che ha  in
materia ampio potere discrezionale. 
    Ulteriore profilo di contrasto con l'art. 3  della  Costituzione,
ovvero con i principi di uguaglianza  e  ragionevolezza,  si  ravvisa
nella regolamentazione delle spese del procedimento, regolamentazione
prevista  solo  per  la  eventualita'  che  si  pervenga  alla   fase
giurisdizionale. 
    Come e' noto, ex art. 12 d.lgs. 546/92, solo per le  controversie
di valore inferiore ad  € 2,582,28  il  contribuente  puo'  stare  in
giudizio senza assistenza di difensore, mentre per  tutte  quelle  di
importo superiore (o comunque anche  per  le  prime  se  esercita  il
diritto di essere  assistito  da  difensore)  egli  ha  l'obbligo  di
munirsi di un difensore. 
    Orbene, poiche' il reclamo deve  avere,  come  si  e'  visto,  lo
stesso contenuto del ricorso in cui e' destinato  a  tramutarsi  (per
l'ipotesi che il reclamo non vada a buon fine)  e'  indubbio  che  il
contribuente, poiche' obbligato dalla legge  oppure  poiche'  intende
esercitare il diritto di avvalersi di un difensore (per le  cause  in
cui potrebbe difendersi da solo), deve avvalersi  dell'assistenza  di
un difensore per l'assistenza tecnica. Egli pertanto  deve  sostenere
spese per la remunerazione del difensore, spese che non  gli  saranno
mai rimborsate in caso di anticipato annullamento  del  provvedimento
in esito al reclamo, mentre  l'A.F.  beneficia  del  risparmio  delle
spese del giudizio che non sara' instaurato. 
    L'obbligo predetto di sostenere le spese non  piu'  rimborsabili,
in caso di annullamento del  provvedimento  nella  obbligatoria  fase
amministrativa del reclamo, si  rivela  in  contrasto  anche  con  il
diritto di difesa di cui all'art. 24  Cost.  poiche'  nella  predetta
ipotesi il diritto di difesa non viene garantito nella sua  interezza
ma solo previa la detrazione delle spese per l'assistenza tecnica. 
    L'istituto del reclamo, infine, si rivela in contrasto con l'art.
111, comma  ultima  parte,  della  Costituzione  che  fa  obbligo  al
legislatore di assicurare la ragionevole durata del processo. 
    Invero, premesso che, come  si  e'  gia'  detto,  l'istituto  del
reclamo e' compatibile con  l'accertamento  con  adesione,  e  tenuto
conto della eventuale sospensione dei termini feriali applicabile  al
predetto accertamento con adesione, puo' verificarsi che, in caso  di
preventiva richiesta di accertamento  con  adesione,  il  termine  di
giorni 90  (previsto  dall'art.  6  d.lgs.  218/97),  al  quale  puo'
sommarsi il termine di gg. 45 per la sospensione feriale,  si  potra'
ulteriormente sommare  al  termine  di  giorni  60  previsto  per  il
reclamo, al quale potra' altresi' aggiungersi - in caso  di  silenzio
dell'A.F.sul reclamo - l'ulteriore  termine  di  giorni  90,  per  un
totale di giorni 285,  ovvero  oltre  nove  mesi  (senza  contare  il
termine di giorni trenta per la costituzione del ricorrente, ex  art.
22 richiamato dall'art. 17-bis cit), si' che il  processo  tributario
potrebbe essere instaurato solo dopo il predetto termine, onde non e'
in  alcun  modo  possibile  ritenere  che  con  l'introduzione  dell'
istituto del reclamo il legislatore  abbia  rispettato  il  principio
posto dall'art. 111 della Costituzione. 
    Il  predetto  principio  di  cui  all'art.  111  Cost.   dovrebbe
ritenersi altresi' violato dalla  complicazione  processuale  per  il
caso che il contribuente intenda proporre un ricorso cumulativo. 
    Come e' noto la possibilita' di presentare un  solo  ricorso  per
l'impugnazione di piu' provvedimenti (specie in caso  di  connessione
soggettiva) prevista dall'art.  104  c.p.c.  puo'  essere  estesa  al
giudizio tributario (Cass. 7359/2002 e 19666/2004) ove si presenta di
certo piu' semplice, sia perche'  in  esso  giudizio  non  esiste  il
limite della competenza per valore sia perche' e' ivi piu' agevole la
trattazione contestuale dei provvedimenti, specie  quando  si  tratta
della stessa imposta (riferita a piu' anni) o  di  imposte  tra  loro
collegate. 
    La unitaria trattazione dei diversi ricorsi  evita  il  formarsi,
anche solo logicamente, di  giudicati  contraddittori,  assicura  una
migliore  formazione  del  convincimento  del  giudice   e   realizza
l'economia di attivita' processuali. 
    Tuttavia la necessita' di rispettare il termine di  impugnazione,
per  ciascuno  dei  diversi  provvedimenti  da  impugnare,   comporta
evidente complicazione nella ipotesi  che  entro  lo  stesso  termine
debbano essere impugnati piu'  provvedimenti  dei  quali  alcuni  (di
valore inferiore ad £ 20.000) devono seguire la procedura del reclamo
obbligatorio  di  cui  all'art.  17-bis  mentre  altri  (di   importo
superiore) devono seguire il corso ordinario. Non sembra  dubbio  che
in tal  caso  la  evidente  complicazione  processuale,  dovuta  alla
diversita'  del  termine  per  la  costituzione   in   giudizio   del
ricorrente, con conseguente rischio di inammissibilita' del  ricorso,
indurra'  il  contribuente  a   presentare   distinti   ricorsi   con
conseguente vanificazione dei benefici  processuali  derivanti  dalla
presentazione del ricorso cumulativo. 
    Non  sembra  superfluo  ricordare,  ancora  una  volta,  che   le
limitazioni alla tutela giurisdizionale effettiva sono state ritenute
ammissibili allorquando realizzino un alleggerimento del sovraccarico
dell'apparato giudiziario ed il soddisfacimento piu' immediato  delle
situazioni sostanziali controverse, a condizione pero'  che  assumano
carattere ragionevole, ma anche in tal caso la misura ritenuta idonea
e' stata pur sempre configurata  come  condizione  di  procedibilita'
della  domanda  e  giammai  come  definitiva  inammissibilita'  della
stessa. 
    Anche  nel  diritto  comunitario  le  restrizioni  della   tutela
giurisdizionale con  misure  di  conciliazione  extragiudiziale  sono
state ritenute ammissibili solo quando corrispondano ad «obiettivi di
interesse generale» e purche' non si  traducano  «in  lin  intervento
sproporzionato ed inaccettabile,  tale  da  ledere  la  sostanza  dei
diritti cosi' garantiti» (Corte di Giustizia, Causa C-28/05  e  Corte
Europea sent. Fogary c/ Regno Unito, 21 novembre 2011). 
    Piu' precisamente il Giudice Comunitario, pur dopo avere  ammesso
la legittimita' di  una  normativa  nazionale  che  abbia  introdotto
l'obbligatorieta' di una procedura di  conciliazione  extragiudiziale
prima del ricorso ad un organo giurisdizionale, purche' essa non  sia
«tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente  difficile
l'esercizio dei diritti conferiti ai singoli», ha precisato che  cio'
che conta e' che la procedura «non comporti 101  ritardo  sostanziale
per la  proposizione  di  un  ricorso  giurisdizionale,  sospenda  la
prescrizione de i diritti in questione e  non  generi  costi  per  le
parti e sia possibile  disporre  provvedimenti  provvisori  nei  casi
eccezionali in cui l'urgenza della situazione  lo  impone»  (Sentenza
18/3/2010, C-317/08, C-3 18/08, C-319/08, C-320/08).