Il giudice, a scioglimento  della  riserva,  nel  procedimento  a
seguito di ricorso ex art.  700  cpc  (RG  n.  7618/2010)  osserva  e
ritiene quanto segue. 
    1. Con ricorso depositato in data  25.5.10,  i  ricorrenti  hanno
chiesto "che il Tribunale  di  Firenze,  preso  atto  della  sentenza
adottata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo,  1ª  sez.,  SH  e
altri/Austria,  del  1°aprile  2010,  ritenuta  la  rilevanza   della
medesima nel giudizio a quo, valutata l'impossibilita' di operare  in
via di interpretazione l'adeguamento della norma di cui all'art. 4 c.
3 L. 40/04 a quanto previsto dalla Convenzione e deciso dalla Corte; 
    disattesa  ogni  contraria  istanza,  difesa  ed  eccezione,  con
provvedimento ex art. 700 cpc 
    - Nel merito e in via principale: 
        preso atto in forza dell'art. 6/2  del  Trattato  di  Lisbona
ratificato il 1 dicembre 2009 e della  conseguente  integrazione  del
'sistema CEDU' nell'ordinamento comunitario; disapplicare l'art. 4 c.
3 della L. n. 40 del 16 febbraio 2004 per contrasto con gli artt. 8 e
14 della CEDU e per l'effetto dichiarare il  diritto  dei  ricorrenti
di: 
a) ricorrere alle metodiche di procreazione medicalmente assistita di
tipo eterologo; b) utilizzare il materiale genetico di terzo donatore
anonimo acquisito direttamente dalla coppia ovvero dal centro secondo
quanto previsto dai DLGS 191/07 e DLGS  16/10,  per  la  fecondazione
degli ovociti della Sig.ra B. ; c) sottoporsi ad un protocollo di PMA
adeguato ad assicurare  le  piu'  alte  chances  di  risultato  utile
compatibilmente a quanto stabilito dalla sentenza Corte cost. 151/09;
d) sottoporsi ad un trattamento medico eseguito  secondo  tecniche  e
modalita' compatibili con un elevato livello di tutela  della  salute
della  donna  nel  caso  concreto;  e)  disporre,  in  attesa   della
definizione  dei  giudizio   di   merito   e   in   via   incidentale
dell'eventuale   giudizio   di   legittimita'   costituzionale,    la
crioconservazione degli embrioni prodotti e destinati al ciclo di PMA
di tipo eterologo. 
    In ogni caso renda in via d'urgenza ogni  provvedimento  ritenuto
opportuno in relazione al caso di specie, indicando le  modalita'  di
esecuzione; renda ogni provvedimento relativo e conseguente; 
    - in via subordinata, per le ragioni sopra  richiamate,  ritenuta
la  portata  della  pronuncia  della  Corte  Europea   quale   canone
ermeneutico  generale  con  valore  sub-costituzionale,  disapplicare
l'art. 4 c. 3 L. 40/04 per contrasto con gli artt. 8 e 14 della CEDU,
per l'effetto dichiarare il diritto  dei  ricorrenti  come  formulato
supra, e sollevare la questione di Legittimita' dell'art. 4 c.  3  L.
40/04 per contrasto con l'art. 11 e 117 Cost e per  violazione  degli
artt. 2,3,13,32 Cost.; 
    - in via ulteriormente  subordinata,  questione  di  legittimita'
dell'art. 4 c. 3 L. 40/04 per contrasto con l'art. 11 e 117 cost. per
violazione degli artt. 8 e 14 della CEDU e 2,3,13,32 Cost. 
    Con vittoria di spese, competenze e onorari." 
    2. I ricorrenti hanno esposto in fatto: 
        - di essere coniugati dal 2004 e di  non  essere  riusciti  a
concepire un figlio per vie naturali, essendo risultata  la  assoluta
sterilita' del marito come da documentazione medica che producevano; 
        - di aver tentato vanamente  all'estero,  stante  il  divieto
previsto dalla l. 40/2004, la fecondazione eterologa sia in vivo  sia
in vitro; 
        - che i  tre  anni  trascorsi  nel  tentare  la  procreazione
medicalmente assistita (PMA) all'estero avevano  comportato  notevoli
sacrifici economici oltre che un notevole stress  psicofisico  dovuto
all'invasivita' dei trattamenti necessari; 
        - che, conosciuta la sentenza della Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo, resa il 1.4.10, con cui questa aveva condannato  l'Austria
per violazione degli art.  8  e  14  della  Convenzione  Europea  dei
Diritti dell'Uomo (CEDU) in ragione dell'illegittima e  irragionevole
discriminazione tra coppie operata dalla legge  nazionale  di  quello
Stato che proibiscono il ricorso alla  donazione  di  gameti  per  la
fertilizzazione in vitro ove questa costituisca l'unica  possibilita'
di avere un figlio e dovendo ritenersi che le decisioni  della  Corte
non siano solo un parametro interpretativo per i giudici nazionali ma
- a seguito dell'ingresso  della  CEDU  nell'ordinamento  comunitario
avvenuto con la ratifica del Trattato di  Lisbona  -  abbiano  valore
vincolante in quanto diritto comunitario, si erano rivolti al  Centro
convenuto per sottoporsi a trattamento di PMA in vitro; 
    - che il Centro aveva rifiutato, assumendo che la  legge  40/2004
vietava in modo assoluto la fecondazione eterologa, che  la  sentenza
della Corte  EDU  era  destinata  a  produrre  effetti  diretti  solo
nell'ordinamento  austriaco  e  che  l'eventuale  applicazione  delle
disposizioni della Corte non poteva avvenire in  maniera  automatica,
essendo necessario un provvedimento di un giudice nazionale. 
    3. In diritto i ricorrenti hanno rilevato: 
        - che, prima della  ratifica  del  Trattato  di  Lisbona,  la
giurisprudenza  riteneva   costantemente   che,   mentre   le   norme
comunitarie avevano piena e diretta applicazione in tutti  gli  Stati
membri, in forza dell'art. 11 Cost., le norme  CEDU  non  producevano
"effetti diretti  nell'ordinamento  interno,  tali  da  affermare  la
competenza  dei  giudici  nazionali  a   darvi   applicazione   nelle
controversie ad essi sottoposte, non applicando  nello  stesso  tempo
norme interne in eventuale contrasto" (C, cost. sent. n, 348/2007); 
        - che la Corte costituzionale aveva inoltre ritenuto  che  il
nuovo  testo  dell'art.   117   cost.   comportava   che   l'asserita
incompatibilita' fra la legge ordinaria e la norma CEDU si presentava
come una questione di legittimita' costituzionale per violazione  del
primo comma di detta norma costituzionale e che "in  presenza  di  un
apparente contrasto  fra  disposizioni  legislative  interne  ed  una
disposizione della CEDU, anche  quale  interpretata  dalla  Corte  di
Strasburgo, puo' porsi un dubbio di costituzionalita', ai  sensi  del
primo comma dell'art. 117 Cost.,  solo  se  non  si  possa  anzitutto
risolvere il problema in  via  interpretativa.  Infatti  «al  giudice
comune spetta interpretare la norma interna  in  modo  conforme  alla
disposizione  internazionale,  entro  i  limiti  nei  quali  cio'  e'
permesso dai testi delle norme» e qualora  cio'  non  sia  possibile,
ovvero  dubiti  della  compatibilita'  della  norma  interna  con  la
disposizione convenzionale "interposta", egli deve  investire  questa
Corte  delle  relative  questioni  di   legittimita'   costituzionale
rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma» Cost  (sentenza  n.
349 del  2007,  par.  6  del  Considerato  in  diritto;  analogamente
sentenza n. 348 del 2007, par. 5 del Considerato in diritto)"  e  che
"solo  ove  l'adeguamento  interpretativo,  che  appaia  necessitato,
risulti impossibile o l'eventuale diritto vivente  che  si  formi  in
materia faccia sorgere dubbi sulla sua  legittimita'  costituzionale,
questa Corte potra' essere chiamata ad affrontare il  problema  della
asserita incostituzionalita' della disposizione di legge.  (C.  Cost.
sent. 239/2009); 
        - che, a seguito della ratifica del Trattato di  Lisbona,  in
considerazione  dell'esplicito  richiamo  operato  dall'art.  6   del
riformato Trattato UE, l'Unione aderisce alla CEDU e che  "i  diritti
fondamentali,  garantiti  dalla  Convenzione...  e  risultanti  dalla
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno  parte  del
diritto dell'Unione in quanto principi generali" per cui vi era stata
la comunitarizzazione ovvero l'ingresso del sistema CEDU  nell'ambito
del diritto della UE, con tutte le conseguenze in punto di  modalita'
di adeguamento del diritto interno al diritto  sovranazionale  e  dei
rapporti fra i sistemi normativi non piu' fondati dell'art.  117,  ma
sull'art. 11 Cost.; 
        - che il rapporto fra legge nazionale e ordinamento della  UE
- derivante dal coordinamento fra ordinamento comunitario e nazionale
previsto dal Trattato di Roma e discendente dall'avere  la  legge  di
esecuzione  del  Trattato  trasferito  agli  organi  comunitari,   in
conformita' con l'art. 11 Cost., le  competenze  nelle  materie  loro
riservate - comportava  che  "il  giudice  italiano  accerta  che  la
normativa scaturente da tale fonte regola il caso sottoposto  al  suo
esame, e  ne  applica  di  conseguenza  il  disposto,  con  esclusivo
riferimento al  sistema  dell'ente  sovrannazionale:  cioe'  al  solo
sistema che governa l'atto  da  applicare  e  di  esso  determina  la
capacita' produttiva. Le confliggenti statuizioni della legge interna
non possono costituire ostacolo  al  riconoscimento  della  «forza  e
valore», che il Trattato conferisce al regolamento  comunitario,  nel
configurante  come   atto   produttivo   di   regole   immediatamente
applicabili. Rispetto alla sfera di questo atto, cosi'  riconosciuta,
la legge statale rimane infatti, a ben guardare, pur sempre collocata
in  un  ordinamento,  che  non  vuole  interferire  nella  produzione
normativa del  distinto  ed  autonomo  ordinamento  della  Comunita',
sebbene garantisca l'osservanza di  essa  nel  territorio  nazionale.
D'altra parte,  la  garanzia  che  circonda  l'applicazione  di  tale
normativa e' - grazie al precetto dell'art. 11  Cost.,  com'e'  sopra
chiarito - piena e continua. Precisamente, le disposizioni della CEE,
le quali soddisfano i requisiti dell'immediata applicabilita' devono,
al medesimo titolo, entrare e  permanere  in  vigore  nel  territorio
italiano, senza che  la  sfera  della  loro  efficacia  possa  essere
intaccata  dalla  legge  ordinaria  dello  Stato"  (C.  Cost.,  sent.
170/84); 
        - che, conseguentemente, a seguito dell'ingresso del  sistema
CEDU nel diritto comunitario, le  decisioni  della  Corte  EDU  sulla
questioni  di  sua  competenza  dovevano   ritenersi   immediatamente
applicabili all'ordinamento interno e che, in ipotesi di disposizione
interna confliggente con la norma e/o la decisione  della  Corte,  il
giudice ordinario, operato il  controllo  di  compatibilita',  doveva
disapplicare la norma interna; 
        - che, quanto al caso di specie,  cio'  voleva  dire  che  la
decisione della Corte adottata nel caso SH  e  altri  contro  Austria
poneva prescrizioni aventi valore generale stabilendo un principio di
diritto che il giudice nazionale, adito da cittadini che lamentino la
lesione di un identico diritto soggettivo fondamentale, effettuato il
controllo di compatibilita', doveva applicare; 
        - che la pronuncia della Corte EDU aveva deciso il ricorso di
due coppie di cittadini che avevano  sostenuto  che  le  disposizioni
della legge austriaca in materia che vietava  l'uso  di  ovuli  e  di
spermatozoi di donatori per la fecondazione in vitro erano  contrarie
al diritto al rispetto della vita privata e  familiare  in  combinato
disposto   con   il    divieto    di    discriminazione    (previsti,
rispettivamente, all'art. 8 e all'art. 14 della CEDU); 
        - che la Corte aveva ritenuto che  quando  era  in  gioco  un
aspetto  importante  della  vita  di  un  individuo,  il  margine  di
regolamentazione  concesso  allo  Stato  doveva  essere  limitato  e,
considerato che il desiderio di  avere  un  bambino  era  un  aspetto
particolarmente importante, il divieto  di  procreazione  artificiale
eterologa non rappresentava una ragionevole sintesi, non essendovi un
rapporto di proporzionalita' fra mezzi impiegati e  scopo  perseguito
posto che il divieto di ingerenza nella vita privata e familiare  era
derogabile  solo  nell'interesse  della  sicurezza  nazionale,  della
pubblica  sicurezza,  del  benessere  economico  del   paese,   della
protezione della salute o  della  morale  o  per  la  protezione  dei
diritti e delle liberta' altrui; 
        - che inoltre la Corte aveva ritenuto che fosse irragionevole
la disparita' di trattamento fra le coppie che per soddisfare il loro
desiderio di un bambino  potevano  ricorrere  alla  fecondazione  con
donazione di gameti in vivo (ammessa dalla legge austriaca) e  quelle
che potevano ricorrere solo alla fecondazione con donazione di gameti
in vitro (vietata dalla legge austriaca) ed aveva  pertanto  ritenuto
la violazione del combinato disposto degli art. 8 e 14 del CEDU; 
        - che vi era identita' di  petitum  e  assimilabilita'  della
causa petendi fra il loro caso e quello delle coppie austriache; 
        - che il divieto assoluto di PMA di tipo  eterologo  -  nelle
ipotesi in cui sia la generazione per via naturale sia la PMA di tipo
omologo fossero precluse per la assoluta  inidoneita'  del  materiale
generico dell'uomo a fini procreativi - costituiva una  irragionevole
e sproporzionata compressione di un fondamentale diritto  soggettivo,
lesiva anche del principio di non discriminazione, discriminando  fra
coppie sterili o infertili in base  alla  gravita'  della  condizione
patologica; 
        - che le implicazioni della sentenza della Corte EDU nel caso
di specie  potevano  avere,  in  relazione  alla  qualificazione  del
sistema CEDU accolte dal giudice (post o pre  Trattato  di  Lisbona),
effetto di dictum con effetti  diretti  sull'ordinamento  interno  in
forza della comunitarizzazione per violazione degli artt. 8 e 14 CEDU
o  criterio  interpretativo  in  forza  del  quale  il  giudice  deve
procedere all'adeguamento  del  diritto  interno  con  rilievo  della
questione di legittimita' costituzionale  solo  ove  cio'  non  fosse
possibile o l'eventuale disciplina derivante facesse sorgere dubbi di
legittimita' costituzionale; 
        - che  la  lamentata  violazione  del  diritto  di  procreare
costituiva anche violazione di norme costituzionali (artt. 2, 3 e 13,
oltre che 32 ove sterilita' fosse qualificata  come  patologia  e  le
tecniche di PMA come trattamenti terapeutici); 
        -   che   la   disapplicazione   o   la   dichiarazione    di
incostituzionalita' dell'art.  4,  3°  comma  della  1.  40/2004  non
creerebbe  alcun  vuoto  normativo  in  quanto  la   parte   relativa
all'approvvigionamento,  controllo,  conservazione  e  donazione  dei
gameti era  disciplinata  dai  DLgs  191/07  e  16/10  mentre  quella
relativa alla tutela dei nati e dell'integrita'  della  famiglia  era
disciplinata dall'art. 9 della 1. 40/2004, che  prevede  l'esclusione
dell'azione di disconoscimento della paternita' da parte di colui che
in qualita' di partner della donna l'aveva autorizzato a sottoporsi a
PMA di tipo eterologo e l'assenza di ogni relazione giuridica fra  il
nato ed donatore dei gameti che non puo' far valere alcun diritto nei
suoi confronti ne' essere soggetto ad obblighi; 
        - che sussistevano i requisiti per il richiesto provvedimento
d'urgenza: il fumus boni iuris risultando dai principi costituzionali
richiamati, mentre il periculum  in  mora  derivando  dai  rischi  di
ulteriori danni alla loro integrita' psicofisica  e  dall'eta'  della
ricorrente (nata nel 1972). 
    Quale azione di merito, i ricorrenti hanno indicato le  richiesta
"di accertamento del loro diritto ad accedere a tecniche  di  PMA  di
tipo eterologo; di  realizzare  la  fecondazione  in  vitro  mediante
utilizzo del materiale genetico fornito dalla coppia  ricorrente  e/o
comunque proveniente da un  terzo  donatore  anonimo  individuato  di
concerto col centro medico; di aver trasferito gli embrioni  che  sia
con riguardo al numero che alle modalita', risultino compatibili  con
la tutela del proprio diritto  alla  salute;  di  crioconservare  gli
eventuali embrioni risultati soprannumerari all'esito del trattamento
di PMA realizzato con successo". 
    4. Si  costituiva  il  centro  convenuto  che  rilevava  che,  in
presenza dell'art. 4, comma 3 della  l.  40/2004  che  vietava  senza
eccezione la PMA di tipo eterologo, esso non poteva, pur in  presenza
della sentenza della Corte EDU citata  dalle  controparti,  adempiere
alle  loro  richieste  senza  una  specifica  pronuncia  del  giudice
competente, 
    Rilevava comunque di' condividere le  argomentazioni  di  cui  al
ricorso, osservando che il TAR del Lazio, con  sentenza  n.  1198/10,
aveva ritenuto che l'adesione della UE alla CEDU ed il riconoscimento
che  "i  diritti  fondamentali,  garantiti  dalla  Convenzione...   e
risultanti dalla tradizioni costituzionali comuni agli Stati  membri,
fanno parte del diritto  dell'Unione  in  quanto  principi  generali"
comportava la  conseguenza  che  le  norme  della  Convenzione  erano
immediatamente operanti negli  ordinamenti  nazionali  e  percio'  in
Italia ai sensi dell'art. 11 Cost. con l'obbligo per  il  giudice  di
applicare le norme nazionali in conformita' al diritto comunitario  o
di procedere in via diretta alla loro disapplicazione in  favore  del
diritto comunitario senza dover transitare per il filtro  della  loro
incostituzionalita'. 
    Osservava   infine    la    piena    fattibilita'    sul    piano
tecnico-sanitario e normativa della  prestazione  media  chiesta  dai
ricorrenti e si dichiarava remissiva alle loro richieste. 
    5. Intervenivano volontariamente  in  causa  con  unico  atto  le
associazioni Luca Coscioni per la liberta'  di  ricerca  scientifica,
Amica Cicogna ONLUS e  Cerco  un  bimbo  e,  con  atto  distinto,  la
associazione Liberididecidere, assistite dal  medesimo  avvocato  dei
ricorrenti e tutte ad adiuvandum i ricorrenti di  cui  ribadivano  le
deduzioni, richiamando anch'esse la sentenza del TAR  del  Lazio.  In
udienza anche l'avvocato dei ricorrenti richiamava  la  sentenza  del
TAR del Lazio come conferma della ricostruzione di cui al ricorso. in
punto di diretta applicabilita' delle decisioni della  sentenza  CEDU
agli Stati membri. 
    6. Il tribunale, con ordinanza del 1/6.9.10 sollevava  "questione
di legittimita' costituzionale dell'art.  4,  comma  3,  della  legge
19.2.2004, n. 40 per contrasto con l'art.  117,  1°  comma,  Cost  in
relazione al combinato disposto degli  artt.  8  e  14  CEDU  -  come
interpretato dalla sentenza della Corte EDU del  1°.4.10  emessa  nel
caso S.H. e altri contro Austria - e con l'art. 3 Cost.". 
    7. La Corte Costituzionale, con  ordinanza  n.  150  del  7.6.12,
restituiva gli atti (a questo tribunale ed ai tribunali di Catania  e
Milano che  avevano  sollevato  questioni  analoghe,  decise  con  la
medesima ordinanza) "alla  luce  della  sopravvenuta  sentenza  della
Grande Camera del 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria" che aveva
escluso, riformando la sentenza richiamata nel ricorso la  violazione
degli artt. 8 e 14 CEDU da parte della legge austriaca, "affinche'  i
rimettenti  procedano  ad  un  rinnovato  esame  dei  termini   delle
questioni". 
    8. I ricorrenti, con memoria autorizzata  hanno  ribadito  quanto
esposto nel ricorso, aggiungendo osservazioni critiche sulla sentenza
della Grand Chambre. 
    9. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. 
    9.1. I ricorrenti si trovano  nelle  condizioni  stabilite  dagli
artt. 1, 2° comma, e 4, 1° comma, della  l.  40/2004  che  prevedono,
rispettivamente, che il ricorso alla PMA "e' consentito  qualora  non
vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause  di
sterilita'   o   infertilita'"   e   "solo   quando   sia   accertata
l'impossibilita' di rimuovere altrimenti le  cause  impeditive  della
procreazione ed e' comunque circoscritto ai casi di sterilita'  o  di
infertilita' inspiegate documentate da atto medico nonche' ai casi di
sterilita' o di infertilita' da causa accertata e certificata da atto
medico". 
    Nel caso di specie, risulta  dalla  documentazione  prodotta  dai
ricorrenti  che  il  ricorrente  risulta  che  egli  e'  affetto   da
"azoospermia con assenza di cellule spermatogeniche" "azoospermia non
ostruttiva in ipogonadismo-ipogonadotropo (azoospermia non ostruttiva
secretoria pre-testicolare)"  (cfr.  certificato  11.5.10  della  ASL
CN1), risultata pur a seguito dei  trattamenti  con  gonadotropine  e
terapia androgenica  sostitutiva  (cfr.  certificato  1.7.2007  della
Azienda Ospedaliera  S.  Croce  e  Carle-Cuneo  e  risultati  analisi
sperma); risultano peraltro effettuati vanamente alcuni tentativi  di
PMA. 
    Risultano  pertanto,  nelle  forme  richieste  dalla  norma,  sia
l'impossibilita' di rimuovere altrimenti le  cause  impeditive  della
procreazione sia la sussistenza di un caso  si  sterilita'  da  causa
accertata. 
    9.2. I ricorrenti si trovano inoltre nella condizione  soggettiva
stabilita dall'art. 5 della l.  40/2004,  essendo  viventi,  coniugi,
maggiorenni ed in eta' potenzialmente  fertile  (avendo  34  anni  il
ricorrente e 38 la ricorrente). 
    9.3. E'evidente che la sterilita'  del  ricorrente  comporta  che
l'unica tecnica di PMA utilmente applicabile nel caso potrebbe essere
solo quella di tipo eterologo,  che  e'  -  appunto  -  assolutamente
vietata dal 3° comma dell'art. 4 l. 40/2004,  per  cui  la  richiesta
comporta l'applicazione della suddetta norma. 
    9.4. Quanto all'ammissibilita' del  rilievo  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  in  sede  cautelare,  si  richiama,  da
ultimo, la sentenza della Corte costituzionale n. 151/2009 che, in un
giudizio promosso anche  da  questo  Tribunale  e  sempre  in  questa
materia, ha rilevato che "la giurisprudenza di questa  Corte  ammette
la  possibilita'  che  siano  sollevate  questioni  di   legittimita'
costituzionale in sede cautelare, sia quando il giudice non  provveda
sulla domanda, sia quando conceda la relativa  misura,  purche'  tale
concessione non si risolva  nel  definitivo  esaurimento  del  potere
cautelare del quale in quella sede il giudice  fruisce  (sentenza  n.
161 del 2008 e ordinanze n. 393 del 2008 e n.  25  del  2006).  Nella
specie, i procedimenti cautelari sono ancora in corso ed i giudici  a
quibus non hanno esaurito la  propria  potestas  iudicandi:  risulta,
quindi, incontestabile la loro legittimazione a  sollevare  in  detta
fase le questioni di costituzionalita' delle disposizioni di cui sono
chiamati a fare applicazione (sentenza n. 161 del 2008)". 
    Nel caso, il procedimento cautelare verra' sospeso per il rilievo
della questione di legittimita' costituzionale e dunque e' ancora  in
corso. 
    10.  Manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 117 della Costituzione. 
    10.1. Il giudice ribadisce anzitutto il contenuto  della  propria
precedente  ordinanza  (punto  8.1.)  in  ordine  alla  non  avvenuta
'comunitarizzazione' della Convenzione Europea dei Diritti  dell'Uomo
a seguito del Trattato di Lisbona. 
    10.2.  Il  giudice  richiama  poi  il  contenuto  della   propria
precedente ordinanza (punti 8.2., 8.3. e 8.4.) in ordine  ai  termini
del rilievo di un ritenuto contrasto fra una disposizione della  CEDU
ed una norma di diritto interno, che si pone esattamente nei  termini
attestati nella giurisprudenza della Corte costituzionale  a  partire
dalle sentenze nn. 348 e 349 del 2007 (e  confermati  dalle  sentenze
nn. 39/2008, 239 e 311 del 2009), la  quale  espressamente  affermato
"che  al  giudice  nazionale,  in   quanto   giudice   comune   della
Convenzione, spetta  il  compito  di  applicare  le  relative  norme,
nell'interpretazione offertane dalla Corte di  Strasburgo  (grassetto
del presente  estensore),  alla  quale  questa  competenza  e'  stata
espressamente attribuita dagli Stati contraenti". 
    10.3.  Considerato  che  la  Grand   Chambre   ha   offerto   una
interpretazione degli artt. 8 e 14  della  CEDU  che  ha  portato  ad
escludere la violazione da  parte  della  legge  austriaca  di  dette
norme, il giudice nazionale non puo' che adeguarsi e,  nella  specie,
concludere per la manifesta infondatezza della  violazione  dell'art.
117 Cost. 
    11. Non manifesta infondatezza della  questione  di  legittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    11.1. Ritiene il giudice che permangano ragioni per ritenere  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 4, comma 3, della legge 19.2.2004, n. 40 per contrasto  con
l'art. 3 della Costituzione. 
    Tale  limitazione  appare  in  contrasto  con  il  principio   di
ragionevolezza che e' un corollario del diritto  di  uguaglianza,  in
forza della quale il giudizio di  legittimita'  costituzionale  delle
norme deve essere compiuto verificando  la  logicita'  interna  della
normativa  e  la  giustificazione  oggettiva  e   ragionevole   delle
differenze di trattamento. 
    E tale principio ha ancora  maggiore  rilievo  laddove  la  norma
venga ad incidere sui diritti fondamentali  della  persona,  fra  cui
rientrano certamente quelli relativi alla creazione di una  famiglia,
compresa la scelta di avere figli, tutelati dagli artt. 2,  29  e  31
della Costituzione. 
    Esso  impone  al  legislatore  di  non  disciplinare  in  maniera
difforme situazioni soggettive analoghe; pertanto egli non puo' -  in
assenza di razionali ragioni giustificatrici - trattare  diversamente
soggetti che si trovino in situazioni uguali o anche analoghe. 
    Come ritenuto dalla Corte costituzionale  (sent.  17.12.2010,  n.
359) per verificare la ragionevolezza  di  un  trattamento  normativo
differenziato  deve  farsi  riferimento  al  "punto  centrale   della
disciplina,  nella  prospettiva  in  cui   si   colloca   lo   stesso
legislatore". 
    Nel caso in esame il legislatore dichiara espressamente (all'art.
1) che l'obiettivo della legge in esame e'  quello  di  "favorire  la
soluzione dei problemi  riproduttivi  derivanti  dalla  sterilita'  o
dalla infertilita' umana" consentendo "il ricorso  alla  procreazione
medicalmente  assistita...  qualora  non  vi   siano   altri   metodi
terapeutici  efficaci  per  rimuovere  le  cause  di   sterilita'   o
infertilita'". 
    Il divieto di cui all'art. 4, comma 3, appare  violare  l'art.  3
sotto il profilo  della  ragionevolezza,  in  quanto  ne  risulta  un
trattamento opposto di coppie  con  problemi  riproduttivi  derivanti
dalla sterilita' o dalla infertilita', che si differenziano solo  per
il tipo di patologia che li provocano, dovendosi invece ritenere che,
ad una situazione sostanzialmente uguale (sterilita' o  infertilita')
possa  corrispondere  la  uguale   possibilita'   il   ricorso   alla
procreazione medicalmente assistita applicando la tecnica  utile  per
superare lo specifico problema, da  individuarsi  in  relazione  alla
causa patologica accertata, anche se evidentemente essa sara' diversa
fra un caso e l'altro.