LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso straordinario proposto ex art. 625-bis cod. proc. pen. e sulla istanza di correzione proposta ex art. 130 cod. proc. pen. da D. M. L., nato a Castellamare di Stabia il 6 novembre 1958 avverso la sentenza n. 21325 del 12 febbraio 2013 della Corte Suprema di cassazione, sezione quarta penale; Visti gli atti, il provvedimento Impugnato e il ricorso; Udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini; Udito il Pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore generale, Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo applicarsi l'art. 130 cod. proc. pen. e revocarsi la sentenza della quarta sezione penale del 12 febbraio 2013; Udito per l'imputato l'avv. Esposito Fariello, che ha concluso chiedendo annullarsi senza rinvio l'ordinanza cautelare o revocarsi la sentenza impugnata e assumere eventuali provvedimenti ai sensi dell'ultima parte dell'art. 625-bis cod. proc. pen. Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli e' stata disposta a carico del sig. D. M. la sostituzione della misura cautelare della custodia domiciliare con quelle della custodia in carcere in ordine al reato ex art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Il sig. D. M., ha censurato tale provvedimento davanti al Tribunale di Napoli, che con ordinanza dell'8 novembre 2012 ha confermato la decisione assunta dal Giudice delle indagini preliminari. 2. Con la sentenza n. 21325/13 del 12 febbraio 2013, decidendo su ricorso dell'indagato, la Corte suprema di cessazione, sezione quarta penale, ha respinto l'impugnazione e la misura della custodia in carcere ha avuto esecuzione. 3. Con ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen, il difensore evidenzia come, per errore di fatto, la notifica dell'atto di citazione avanti la quarta sezione penale sia stata inoltrata a diverso destinatario mediante invio di telefax a utenza telefonica del circondano di Genova, cosi' Impedendogli di conoscere la data della udienza e di partecipare alla stessa; circostanza questa che il difensore ha potuto accertare soltanto In momento successivo alla comunicazione dell'estratto della sentenza citata che definiva il procedimento cautelare. 4. Detto ricorso risulta preceduto da altra Impugnazione di analoga natura, oggetto di decisione di questa Corte dello scorso mese di aprile, di cui si dira' appresso. 5. Infine, risulta presente in atti una diversa istanza ex art. 130 cod. proc. pen. , non fascicolata e non registrata in occasione della udienza dei 12 giugno 2013 fissata per la trattazione del ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. Per tale ragione all'udienza del 12 giugno 2013 questa Corte ha disposto li rinvio del procedimento a nuovo ruolo affinche' si provvedesse a regolarizzare la registrazione delle richieste del sig. D. M. e la relativa fascicolazlone. Considerato in diritto 1. Osserva la Corte in via preliminare che avverso la citata sentenza emessa dalla quarta sezione di questa Corte sono stati presentanti dal sig. D. M. plurimi atti di impugnazione che a diverso titolo lamentano l'esistenza di un errore che ha compresso i diritti della difesa; il primo, ex art. 625-bis cod. proc. pen. e oggetto del procedimento n. 11191/2013, e' stato esaminato mediante l'ordinanza n. 20931/13 emessa da questa sezione all'udienza del 26 aprile 2013 con pronuncia di inammissibilita'; il secondo, sempre ex art. 625-bis cod. proc. pen. e' oggetto dei presente procedimento, n. 14544/13; il terzo, ex art. 130 cod, proc. pen., e' stato trasmesso come seguito e unito agli atti del presente procedimento attesa l'unicita' della materia trattata. 2. In tutti i casi ricordati il ricorrente lamenta che la sentenza a lui sfavorevole emessa dalla quarta sezione penale di questa Corte in data 12 febbraio 2013 risulti viziata da un errore radicale, consistente nell'omessa notifica al difensore dell'avviso di udienza, e che il giudizio di legittimita' si sia conseguentemente svolto in assenza di contraddittorio senza che cio' dipenda da scelte della difesa. 3. La censura e' fondata in punto di fatto. Dall'esame della documentazione in atti, che la Corte puo' effettuare in presenza di censura «in procedendo», emerge che nessun difensore presenzio' alla trattazione dei ricorso e che la notificazione al difensore di fiducia in vista dell'udienza del 12 febbraio 2013 fu effettuata a numero di telefono recante il prefisso 010, corrispondente all'area genovese, e non al numero telefonico dello studio dell'avv. Esposito Fariello; il collegio non rilevo' il vizio di notificazione e l'udienza si svolse senza la presenza del difensore, iscritto all'albo speciale e a cui l'avviso doveva essere inviato anche quale rappresentante dell'indagato, per legge non destinatario di autonoma comunicazione. Si e', dunque, in presenza di violazione del diritto dell'indagato ad essere rappresentato in giudizio e assistito tecnicamente, con conseguente vizio del giudizio integrante l'ipotesi di nullita' di ordine generale prevista dall'art. 178, lett. c), cod. proc. pen. 4. Puo' rilevarsi fin d'ora che detta violazione chiama in causa, come sara' di seguito approfondito, i principi del giusto processo, fissati dall'art. 111 Costituzione; il diritto inviolabile alla difesa, fissato dal comma 2 dell'art. 24 Costituzione; i principi del processo equo, fissati dall'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (di seguito, Cedu), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; nonche' il principio di parita' di trattamento, fissato dall'art. 3 Costituzione. 5. Tutto cio' premesso, va ricordato che il ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. che ha dato luogo al presente procedimento, n. 14544/2013 R.G., e' stato preceduto da altro ricorso avente contenuto nella sostanza analogo proposto dal medesimo ricorrente e oggetto dell'ordinanza n. 20931/13 pronunciata da questa sezione all'udienza del 26 aprile 2013. Detta ordinanza dichiaro' la non ammissibilita' dell'impugnazione in quanto proposta non avverso una sentenza che definisce il processo, e dunque da persona «condannata» nei termini fissati dalli art. 625-bis, commi 1 e 2, cod. proc. pen., bensi' avverso una ordinanza cautelare. Sul punto si rinvia all'ampia motivazione dell'ordinanza del 26 aprile 2013, che viene qui riportata nei suoi passaggi rilevanti: «..3. Il ricorso e' inammissibile, l'art. 625-bis cod. proc. pen., nel disciplinare il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, stabilisce, al primo comma, che il rimedio e' ammesso «a favore del condannato». Come chiarito da tempo dalle sezioni unite di questa Corte, la disposizione richiamata ha natura di norma eccezionale e, come in essa specificato, l'impugnazione straordinaria puo' riguardare soltanto quei provvedimenti della Corte di cassazione che rendono definitiva una sentenza di condanna e non anche le altre decisioni che intervengono in procedimenti incidentali (SS.UU. n. 16103, 30 aprile 2002. Conf. SS.UU. n. 16104, 27 marzo 2002, non massimata). Le sezioni unite hanno infatti posto in evidenza il carattere tassativo della normativa dettata dall'art. 625-bis, escludendo espressamente che il ricorso straordinario possa essere proposto anche contro le decisioni adottate nei procedimenti incidentali «de libertate» e cio' considerando, oltre al tenore letterale del primo comma in precedenza ricordato, anche la limitazione della legittimazione all'impugnazione straordinaria al procuratore generale e al condannato ricavabile dal comma 2, Osservando che l'estensione della speciale disciplina a decisioni emesse all'interno di procedimenti incidentali trova insuperabile preclusione nel divieto dell'interpretazione analogica. «4. Poco tempo dopo la pronuncia delle sezioni unite, questa Corte ha avuto modo di verificare la tenuta costituzionale della disposizione codicistica in esame, escludendo la fondatezza della questione sollevata in relazione all'art. 3 Cost. con riferimento alla parte in cui l'art. 625-bis cod. proc. pen. prevede che il ricorso straordinario sia esperibile solo dal condannato e non anche dall'imputato con riferimento ad errore occorso in procedure incidentali, rilevando che trattasi di situazioni completamente diverse e che le decisioni emesse all'esito di queste ultime costituiscono giudicato allo stato degli atti e, come tali, essendo suscettibili di modificazione per la sopravvenienza di nuovi elementi, non sono munite del carattere dell'irrevocabilita', che connota invece i provvedimenti con cui viene resa definitiva una condanna (Sez. I n. 35614, 23 ottobre 2002). «5. Il principio stabilito dalle sezioni unite e' stato successivamente ribadito, escludendo l'ammissibilita' del ricorso straordinario proposto dal procuratore generale a favore della parte offesa (Sez. V n. 35186, 21 ottobre 2002), nonche' dei ricorsi avverso decisioni del giudice di legittimita' aventi per oggetto l'ordinanza di affidamento in prova al servizio sociale (Sez. V n. 38630, 13 ottobre 2003), avverso provvedimenti adottati nella fase di esecuzione della pena da parte dei giudici di sorveglianza (Sez. IV n. 38269, 30 settembre 2009; sez. V n. 45937, 19 dicembre 2005), di rigetto di istanza di riabilitazione (Sez. IV n. 42725, 20 novembre 2007), In materia di riparazione per Ingiusta detenzione (Sez. III n. 1265, 15 gennaio 2009), di rigetto di incidente di esecuzione (Sez. V n. 2727, 21 gennaio 2010; sez. V n. 48103, 16 dicembre 2009), in materia di sequestro preventivo (Sez. IV n. 22497, 8 giugno 2007). E' stata altresi' esclusa la legittimazione dell'imputato nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di annullamento senza rinvio per prescrizione del reato (Sez. I n. 14869, 13 aprile 2007) e della parte civile o di altre parti processuali diverse dall'imputato condannato (Sez. I 42114, 12 novembre 2008; Sez. I n. 11653, 14 marzo 2008; Sez, II n. 28629, 18 luglio 2007). «Con riferimento specifico ai procedimenti incidentali «de libertate», l'ammissibilita' del ricorso straordinario e' stata successivamente esclusa sempre in ragione del carattere eccezionale della disposizione che lo disciplina e la conseguente impossibilita' di applicazione analogica (Sez. II n. 11741, 14 marzo 2008). «6. I principi in precedenza richiamati sono pienamente condivisi dal Collegio, che non intende discostarsene, rilevando conseguentemente che il ricorso, in quanto concernente una decisione di questa Corte relativa ad un provvedimento emesso dal Tribunale quale giudice del riesame, non e' ammissibile.». 6. La decisione ora ricordata ha dichiarato inammissibile il ricorso avanzato dal sig. D. M. e ha definito la fase incidentale, cosi che puo' parlarsi di avvenuta formazione di «giudicato cautelare»; essa costituisce un precedente che puo' inibire la presentazione di una nuova impugnazione che, come la presente, sottoponga a controllo il medesimo provvedimento del tribunale del riesame, abbia analogo contenuto e sia fondata sulla medesima disposizione di legge di riferimento (si veda, Sez. 3, n. 23976 del 3 marzo 2011, Varvara, rv 250376). 7. Deve a questo punto essere preso in esame il diverso mezzo d'impugnazione proposto ai sensi dell'art. 130 cod. proc. pen. e unito al presente procedimento per evidenti ragioni di unicita' di giudizio. 8. La disposizione contenuta nell'art. 130 cod. proc. pen., la cui rubrica recita «Correzione degli errori materiali», appronta un strumento destinato a porre rimedio a «errori o omissioni» contenuti nel provvedimento del giudice, ma esclude espressamente che esso sia utilizzabile come alternativa allo strumento ordinario costituito dalla impugnazione; infatti, la norma contiene l'espressa previsione secondo cui il ricorso alla procedura di correzione e' escluso in presenza di errori che «determinano nullita'» o la cui eliminazione comporterebbe «una modificazione essenziale dell'atto». Va aggiunto, a completamento dell'esame della disposizione, che il secondo comma prevede che «dell'ordinanza che ha disposto la correzione e' fatta annotazione sull'originale dell'atto», cosa che porta a esclude che l'art. 130 cod. proc. pen. possa essere utilizzato come strumento che conduce alla revoca del provvedimento contenente l'errore. 9. Questa Corte ha affrontato in plurime occasioni il tema dei rapporti fra le disposizioni contenute negli artt. 130 e 625-bis cod. proc. pen., disposizione quest'ultima introdotta dall'art. 6, comma 6, della legge 26 marzo 2001, n. 128 al fine di offrire alta Corte di cassazione la possibilita' di correggere i propri provvedimenti non emendabili sotto l'egida del citato art. 130. In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimita' si parla di «errore materiale» quando sussiste la «mancata rispondenza tra la volonta', correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica», mentre si parla di «errore di fatto» quando si verificano «una svista o... un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimita', il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo»; in tale contesto la Corte ha precisato che restano estranei all'ambito degli errori di fatto «gli errori di valutazione e di giudizio», che vanno assimilati agli errori di diritto. Tali principi, fissati tra le altre da Sez.1, n. 45731 del 13 novembre 2001, Salerno (rv 220373), sono stati accompagnati dalla precisazione che l'errore materiale richiamato dall'art. 625-bis cod. proc. pen., era «gia' previsto come emendabile, a determinate condizioni, dall'art. 130 cod. proc. pen.», mentre l'errore di fatto ex art. 625-bis cod. proc. pen. e' «assimilabile a quello revocatorio gia' previsto, in materia civile, dall'art. 391-bis cod. proc. civ.». 10. La Corte ha inoltre avuto modo di esaminare espressamente l'ipotesi che il collegio di legittimita' non abbia rilevato l'irregolare costituzione del rapporto processuale per difetto di notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza e, in linea con l'interpretazione della legge ora ricordata, ha affermato che in tale ipotesi il condannato con sentenza confermata dalla corte di legittimita' puo' chiedere di ottenere la correzione ex art. 625-bis cod. proc. pen.; in tal caso, la corte ha la facolta' di revocare la propria precedente decisione e procedere immediatamente all'esame dei motivi di ricorso (si veda Sez. 6, n. 40628 del 16 ottobre 2008, Ianno', rv 241526). 11. L'esame complessivo della giurisprudenza di legittimita' conduce ad affermare che l'errore commesso dalla Corte di cassazione consistente nell'omessa rilevazione dei vizio di notificazione al difensore del ricorrente e nella conseguente celebrazione del giudizio in assenza di valida costituzione del rapporto processuale integra un «errore dl fatto» riconducibile alla previsione di cui all'art. 625-bis cod. proc. pen.; detto errore non puo', invece, trovare rimedio mediante il ricorso ail'art. 130 cod. proc. pen. , che prevede la correzione dei soli «errori materiali» che non integrino una ipotesi di nullita' (si veda per tutte Sez. 5, n. 21050 del 7 aprile 2011, Gilardi, rv 250404) e non modifichino il contenuto essenziale della decisione. 12. A parere di questo giudice, disattendendo sul punto la sollecitazione del ricorrente, le conclusioni adesso esposte non sono smentite, ma trovano anzi conferma nella sentenza di questa Sezione, n. 1265/2009 dell'11 dicembre 2008, che ha ritenuto applicabile l'art. 130 cod. proc. pen. alla ipotesi in cui la precedente sentenza della Corte di cassazione abbia omesso del tutto di pronunciare sulla impugnazione di uno dei ricorrenti. La motivazione della sentenza cosi' illustra le ragioni della decisione: «.... Da un lato e' indubitabile che «nelle vicende umane il vero ed il giusto non possano essere rimessi sempre in discussione e che esiste un momento in cui la dinamica processuale deve comunque arrestarsi per cedere il posto all'esigenza di certezza e di stabilita' di decisioni giurisdizionali quali fonti regolatrici di relazioni giuridiche e sociali» (Cass. sez. 1, 6 ottobre 1998 - Bompressi ed altri). A tale indiscutibile esigenza di certezza si contrappone, per altro verso, quella, altrettanto significativa, di porre rimedio agli errori di cui palesemente sia affetta una decisione ormai non piu' soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione. La Corte costituzionale e' intervenuta piu' volte in proposito, evidenziando che «al di la' della piu' volte affermata inammissibilita' di richieste che mirino alla introduzione nel sistema processuale di un mezzo straordinario di impugnazione che, in presenza di determinate condizioni, consenta di ovviare alle conseguenze, ritenute lesive di diritti dell'imputato, di (presunti) errori contenuti nelle pronunce della Corte di cassazione, in relazione al quale diverse potrebbero essere le soluzioni adottabili (v. sentenze nn. 294 del 1995, 21 del 1982 e 136 del 1972) - resta il fatto che l'errore di tipo "percettivo" in cui sia incorso il giudice di legittimita', e dal quale sia derivata l'indebita declaratoria di inammissibilita' del ricorso (con l'ovvia conseguenza di determinare l'irrevocabilita' della pronuncia oggetto di impugnativa) rappresenta eventualita' tutt'altro che priva di conseguenze per il rispetto dei principi costituzionali coinvolti» (cfr. sent. n. 0395/2000). Siffatta evenienza, invero, si porrebbe, come sottolineava la Corte, «in automatico e palese contrasto non soltanto con l'art. 3, ma anche con l'art. 24 Cost., per di piu' sotto uno specifico e significativo aspetto, quale e' quello di assicurare la effettivita' del giudizio di cassazione». Di qui la necessita' che all'errore di tipo «percettivo» debba porsi necessariamente rimedio. Nel dichiarare la inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 629 e 630 e ss. c.p.p., la Corte costituzionale sottolineava come fosse compito della Corte di cassazione - odierna remittente - svolgere appieno la propria funzione di interpretazione adeguatrice del sistema, individuando, all'interno di esso, lo strumento riparatorio piu' idoneo (sent. cit.). L'ipotesi in cui addirittura vi sia stata, come nel caso di specie, una omessa pronuncia sul ricorso proposto non puo' rimanere, certamente, priva di «tutela». Il ricorso al procedimento di correzione ex art. 130 c.p.p. e' stato incanalato, proprio nell'ottica della definitivita' ed immodificabilita' dei provvedimenti della Corte di cassazione, entro rigorosi limiti e applicabile ai soli casi di divergenza manifesta e casuale tra volonta' del giudice e rappresentazione grafica della stessa. E' quindi possibile ricomprendervi sia gli errori in senso stretto che le omissioni, sempre che siano frutto di una vista. Si e' pero' prevista la possibilita' di esperire il suddetto rimedio anche nei casi in cui l'errore si risolva nella omissione di statuizioni derivanti da un obbligo normativo, si' che l'intervento correttivo sia configurabile come un atto dovuto ed automatico (di recente le sezioni unite hanno ritenuto esperibile il rimedio di correzione dell'errore materiale ex art. 130 c.p.p. nell'ipotesi di omessa condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile - cfr. Cass. sez. un. sent. n. 3 del 31 gennaio 2008 - Boccia). Non puo' revocarsi in dubbio che la pronuncia in relazione ad un ricorso costituisca atto dovuto e che l'eventuale omissione determini la lesione di diritti costituzionalmente garantiti. La sentenza della quarta sezione non ha espresso alcuna valutazione in ordine al ricorso del Gulli, avendo.... omesso di esaminarlo. E' da ritenere, conseguentemente, esperibile il procedimento di correzione ex art. 130 c.p.p.». 13. Come si vede, la fattispecie oggetto della decisione consiste in una omessa pronuncia sulla domanda del ricorrente, che e' stata correttamente ricondotta all'interno della categoria dell'errore «materiale» al pari delle varie ipotesi di sentenza che ometta di applicare una misura obbligatoria, ipotesi che la Corte ha sempre ritenuto correggibili ex art. 130 cod. proc. pen. (si veda Sez. 6, n. 2644/1999 del 22 settembre 1998, Passamonte, rv 213576). Diverso il caso di cui si occupa la presente decisione: il giudicante non ha omesso di pronunciare sulla domanda, bensi' ha pronunciato senza ravvisare un vizio essenziale della citazione a giudizio che avrebbe imposto la rinnovazione della citazione stessa e la fissazione di una nuova udienza al fine di consentire alla difesa di partecipare ai giudizio. 14. Esiste, in realta', una risalente decisione che non sembra collocarsi in linea con le conclusioni qui esposte e che presenta aspetti di specifico interesse. Il riferimento e' alla ordinanza n. 2005 dei 22 maggio 1994 con la quale la sesta sezione penale di questa Corte adotto' una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 130 cod. proc. pen. e provvide a correggere, revocandola, la sentenza resa dalla medesima sezione all'udienza del 4 novembre 1994 in assenza di valida notificazione al difensore per poi disporre di procedere a ulteriore trattazione del ricorso, rinviando a nuovo ruolo. La motivazione dell'ordinanza, che e' bene ricordare fu adottata nella vigenza del solo art,130 cod. proc. pen. e anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 625-bis cod. proc. pen., individua una fattispecie storica oggi riconducibile alla disposizione deil'art. 625-bis, citato, ma presenta indubbio interesse in quanto giunge a superare il dato letterale della disposizione di legge allora vigente richiamando principi che la Corte costituzionale aveva fissato con le «decisioni n. 17 del 30 gennaio 1986, n. 558 del 20 dicembre 1989, fino a giungere alla sentenza n. 36 del 31 gennaio 1991». Le decisioni del giudice delle leggi avevano ad oggetto il procedimento di revisione delle sentenze civili per errore di fatto nella lettura degli atti interni al giudizio (art. 395, comma 4, cod. proc. civ.) ed erano giunte ad affermare che le violazioni dei diritto fissato dall'art. 24, comma 2, Costituzione non potevano restare senza rimedio solo perche' poste in essere dal giudice di legittimita'. Tale principio, ricorda la motivazione dell'ordinanza in esame, aveva condotto il legislatore a introdurre a far data dall'11 gennaio 1993 la disposizione prevista dall'art. 391-bis cod. proc. civ., che prevede la possibilita' per la stessa Corte di cassazione di procedere in camera di consiglio alla «fase rescindente» e di rinviare alla pubblica udienza per la «fase rescissoria». Cio' premesso, l'ordinanza afferma che una lettura sistematica e costituzionalmente orientata delle disposizioni codicistiche imponeva di rilevare che la inadeguatezza formale dell'art. 130 cod. proc. pen. non poteva impedire l'applicazione anche alle sentenze penali dei principi fissati dalla Corte costituzionale e dal legislatore per le sentenze civili; cosi' che, con «interpretazione adeguatrice», che rendeva superfluo l'intervento del giudice delle leggi, la Corte giudico' possibile dare una lettura dell'art. 130 cod. proc. pen. comprensiva dell'intervento rescindente e della possibilita' di revocare la sentenza pronunciata dal giudice di legittimita' al termine di un giudizio condotto per errore senza il rispetto del diritto di difesa. 15. A questo punto, escluso che dopo l'introduzione dell'art. 625-bis cod. proc. pen. la fattispecie oggi all'esame della Corte possa essere ricondotta sotto l'operativita' dell'art. 130 cod. proc. pen., occorre chiedersi se il giudice delle leggi abbia assunto decisioni che consentano di percorrere soluzioni interpretative in grado di dare risposta alla questione posta dal ricorrente: se esista un rimedio esperibile avverso l'errore essenziale della Corte di cassazione commesso in procedimento «de libertate». 16. La sentenza n. 36 del 17 gennaio 1991, richiamata dalla citata ordinanza n. 2005/1994, ha fissato un chiaro principio concernente il processo civile che e' stata cosi massimata: «Il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento sarebbe gravemente offeso se l'errore di fatto, cosi' come descritto dall'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., non fosse suscettibile di emenda sol per essere stato perpetrato dal giudice cui spetta il potere - dovere di nomofilachia. Tale principio, affermato dalla Corte costituzionale per l'errore di fatto in cui la Corte di cassazione incorra nel controllo degli atti del processo a qua, ai fini della decisione sulla sussistenza di eventuali nullita' dello stesso procedimento o della correlativa sentenza denunciate al sensi dell'art. 395 cod. proc, civ., non puo' non valere anche (anzi a "fortiori") per l'analogo errore in cui quella Corte incorra nella lettura di atti interni del suo stesso giudizio (nella specie: errore sulla data della notifica del ricorso). Cosi' come del resto e' previsto nella nuova norma introdotta dall'art. 67 della legge 26 novembre 1990, n. 353. Pertanto l'art. 395, n. 4, cod. proc. civ. va dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede la revocazione di sentenze della cassazione (anche) per errore di fatto compiuto nelle lettura di atti propri del giudizio di legittimita'». 17. Con riferimento al processo penale e all'errore che si verifichi nel giudizio di cassazione, va ricordata la sentenza n. 395 del 17 marzo 2000 che, nel dichiarare inammissibile la richiesta di correzione della decisione della Corte di cassazione in tema di revisione, ha in motivazione affermato: «.... Al di la', dunque, della piu' volte affermata inammissibilita' di richieste che mirino alla "introduzione nel sistema processuale di un mezzo straordinario di impugnazione che, in presenza di determinate condizioni, consenta di ovviare alle conseguenze, ritenute lesive di diritti dell'imputato, di (presunti) errori contenuti nelle pronunce della Corte di cassazione" - in relazione al quale diverse potrebbero essere le soluzioni adottabili (v, sentenze nn. 294 del 1995, 21 del 1982 e 136 del 1972) - resta il fatto che l'errore di tipo "percettivo" in cui sia incorso il giudice di legittimita', e dal quale sia derivata l'indebita declaratoria di inammissibilita' del ricorso (con l'ovvia conseguenza di determinare l'irrevocabilita' della pronuncia oggetto di impugnativa) rappresenta eventualita' tutt'altro che priva dl conseguenze per il rispetto dei principi costituzionali coinvolti. E' evidente, infatti, che una simile evenienza - e non importa certo se statisticamente rara - si porrebbe in automatico e palese contrasto non soltanto con l'art. 3, ma anche con l'art. 24 della Costituzione, per di piu' sotto uno specifico e significativo aspetto, quale e' quello di assicurare la effettivita' del giudizio di cassazione. Questa garanzia, infatti, si qualifica ulteriormente in funzione dell'art. 111 delle Costituzione, il quale non a caso prevede che contro tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla liberta' personale "e' sempre ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge". Cio' sta dunque a significare non soltanto che il giudizio di cassazione e' previsto come rimedio costituzionalmente imposto avverso tale tipo di pronunzie; ma, soprattutto, che il presidio costituzionale - il quale e' testualmente rivolto ad assicurare il controllo sulla legalita' del giudizio (a cio' riferendosi, infatti, l'espresso richiamo al paradigmatico vizio di violazione di legge) - contrassegna il diritto a fruire del controllo di legittimita' riservato alla Corte suprema, cioe' il diritto al processo in cassazione. Da cio', dunque, un evidente corollario. L'errore di tipo "percettivo" in cui sia incorso il giudice di legittimita' e dal quale sia derivata l'indebita compromissione di quel diritto, deve avere un necessario rimedio. Ne consegue, di riflesso, che spetta alla stessa Corte di cassazione - odierna rimettente - svolgere appieno la propria funzione di interpretazione adeguatrice del sistema, individuando, all'interno di esso, lo strumento riparatorio piu' idoneo. Che tale strumento possa essere poi rinvenuto proprio all'interno dello speciale istituto previsto dall'art. 130 cod. proc. pen., non a caso oggetto del procedimento a quo, e' aspetto che - tenuto conto delle ineludibili esigenze di adeguamento secundum constitutionem che la peculiare e delicata tematica, come si e' detto, impone - dovra' essere scandagliato dalla stessa Corte rimettente, in linea, d'altra parte, con la funzione nomofilattica ad essa istituzionalmente riservata,». 18. La decisione della Corte costituzionale, al di la' dei passaggi motivazionali che meritano di essere ulteriormente approfonditi sul piano del metodo, ha come presupposto un «vizio percettivo» in cui sono incorsi i giudici della Corte di cassazione e che ha condotto ad omettere di pronunciare su parte della domanda; come si e' avuto modo di affermare con riferimento ai caso simile riguardante l'omessa pronuncia della Corte di cassazione sull'intera posizione di un ricorrente, si e' in presenza di vizio che non integra ipotesi di «nullita'» e che non modifica il contenuto essenziale della decisione (difettando semplicemente una decisione in parte qua); un vizio che, a differenza della fattispecie oggetto dei presente ricorso, puo' ricadere in via di principio all'interno della sfera di operativita' dell'art. 130 cod. proc. pen. 19. Le considerazioni fin qui svolte possono essere cosi' riassunte: a. la sentenza delta Corte di cassazione del 12 febbraio 2013 oggetto del presente procedimento e' caratterizzata da un vizio nella costituzione del rapporto processuale che invalida il giudizio e la decisione, vizio che puo' essere ricondotto alla nullita' prevista dall'art. 178, lett. c), cod. proc. pen. e che puo' ragionevolmente chiamare in causa anche i principi fissati dagli artt. 3, 24 e 111 Costituzione e dall'art. 6 Cedu; b. detta sentenza ha concluso in termini sfavorevoli al ricorrente il procedimento «de libertate» avviato con l'istanza di' riesame avverso l'ordinanza che ha modificato in termini piu' rigorosi la misura cautelare in atto, cosi' determinando l'esecutivita' dell'ordine di custodia in carcere; c. avverso tale decisione non risultano esperibili secondo la giurisprudenza di legittimita', e dunque secondo il «diritto vivente», gli strumenti di correzione previsti dall'art. 130 cod. proc. pen. e dall'art. 6251-bis cod. proc. pen.; d. sembra cosi' potersi affermare che, a differenza di quanto avviene per i provvedimenti adottati dai giudici di merito, il sistema processuale non contempla strumenti di correzione per gli errori essenziali commessi nel giudizio «de libertate» in sede di legittimita'; e. anche ipotizzando che tale situazione giustifichi la successiva presentazione di una domanda riparatoria alla Corte europea dei diritti dell'uomo da parte dell'odierno ricorrente, tale strumento non comporterebbe in se' un rimedio effettivo rispetto all'errore occorso e divenuto non emendabile senza che a cio' concorrano responsabilita' della parte privata; f. si potrebbe, a questo punto, osservare che la posizione giuridica del ricorrente non ha carattere di definitivita', potendosi incidere sullo stato di custodia mediante l'attivazione di autonoma istanza al giudice delle indagini preliminari ai fine di ottenere la modifica del regime custoditile. Si tratta di istanza che, peraltro, dovrebbe tenere in considerazione l'esistenza del «giudicato cautelare» generato proprio dalla sentenza della Corte di cassazione e imporrebbe al giudice delle indagini preliminari di operare esclusivamente sulla base di fatti ed elementi diversi rispetto a quelli del procedimento cautelare esaurito e presi in esame dalla sentenza viziata da errore. Va, infatti, escluso che il sistema processuale consenta al giudice delle indagini preliminari di sindacare la correttezza dei giudizio di cassazione e di prescindere, in ragione del vizio in cui essa e' incorsa, dalla decisione non revocabile che la Corte ha assunto. 20. Occorre a questo punto verificare se, sulla scia dell'indicazione contenuta nella richiamata sentenza n. 395/2000 della Corte costituzionale, esistano gli spazi interpretativi per individuare nella disciplina vigente uno «strumento riparatorio idoneo» e un rimedio effettivo all'errore in cui la Corte di cassazione e' incorsa. 21. Tale ultima questione si sostanzia nella domanda se dell'art. 625-bis cod. proc. pen. possa darsi una lettura che includa tra i soggetti legittimati a sollecitare la correzione dell'errore non solo il «condannato», come si e' motivatamente ritenuto fino ad oggi, ma anche il ricorrente che sia stato destinatario di una decisione sfavorevole nel procedimento «de libertate». 22. Per rispondere a questa domanda occorre nel nostro caso esaminare in primo luogo le conseguenze dell'esistenza di una precedente decisione assunta con l'ordinanza n. 20931/2013, sopra richiamata. A tale proposito va rilevato che si e' giunti a questo punto di esame muovendo dalla richiesta di correzione di errore ex art. 130 cod. proc. pen., disposizione che non ha come oggetto le soie sentenze definitive in tema di responsabilita' e che non conosce il limite fissato dall'art. 625-bis cod. proc. pen. Va rilevato, poi, che in applicazione del principio dei «favor impugnationis», una volta rilevato che l'errore denunciato non e' riconducibile nella sfera di applicazione dell'art. 130, citato, questa Corte ritiene di ricondurre la richiesta dei sig. D. M. all'ambito di operativita' dell'art. 625-bis cod. proc. pen., disposizione che secondo la ricordata giurisprudenza ricomprende l'ipotesi di errore percettivo come quello denunciato. 23. Cio' premesso, la Corte rileva come la regola di preclusione basata sull'esistenza di precedente pronuncia e' stata criticamente esaminata e superata dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 113 del 9 febbraio 2011. In tale decisione, avente ad oggetto una questione di contrasto fra la disciplina interna e i principi dell'«equo processo» ex art. 6 Cedu, si e' affermato che l'esistenza di precedente decisione di non fondatezza della questione sollevata dal giudice di merito non preclude la riproposizione del tema nell'ambito del medesimo procedimento penale a condizione che non sussistano piena identita' di oggetto, di parametro normativo e di argomenti. L'evidente favore dimostrato dalla Corte costituzionale per l'effettivita' della verifica di legittimita' della legge e della tutela dei diritti interessati consente di considerare che nel caso presente sia il dato normativa preso in esame sia il percorso argomentativo seguito da questa Corte non coincidono con il contenuto della ordinanza n. 20913 del 26 aprile 2013, piu' volte citata. Inoltre, quest'ultima decisione non ha affrontato neppure indirettamente il tema della compatibilita' fra la normativa processuale e i principi costituzionali e sovranazionali che sono stati qui richiamati e che verranno di seguito specificati. Quanto esposto consente alla Corte di concludere che non sussiste una preclusione a che nel presente procedimento si proceda a nuovo e diverso esame e in tale contesto eventualmente investire la Corte costituzionale della questione di legittimita' di seguito precisata. 24. Una volta esclusa l'esistenza di una preclusione processuale, occorre verificare se la disposizione dell'art. 625-bis cod. proc. pen. possa essere interpretata nei senso che anche la persona non «condannata» e' ammessa a richiedere la correzione dell'errore dl fatto commesso dalla Corte di cassazione; soluzione che consentirebbe a questa Corte di provvedere direttamente alla correzione e di non interessare il giudice delle leggi. 25. A tale proposito due osservazioni si impongono. Il testo dell'art. 625-bis, commi 1 e 2, cod. proc. pen. appare univoco nel limitare al «condannato» e ai procuratore generale la facolta' di richiedere la correzione. La citata giurisprudenza di legittimita' ha illustrato le ragioni che rendono coerente col sistema processuale la scelta del legislatore di adottare simile limitazione. 26. Entrambi i profili si oppongono, a parere di questa Corte, in modo decisivo a una interpretazione adeguatrice che si muova sulla scia dell'invito contenuto nella motivazione della sentenza n. 395 del 2000 della Corte costituzionale. 27. Devono sul punto considerarsi decisive sul piano metodologico e interpretativo le motivazioni che la stessa Corte costituzionale ha offerto con le sentenze n. 110 del 2012 e n. 232 del 2013, decidendo su questioni sollevate con riferimento all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. Con l'ultima di tali decisioni la Corte costituzionale ha esaminato l'ordinanza di rimessione del Tribunale di Salerno che, non condividendo le scelte adottate con la sentenza n. 4377 del 20 gennaio 2012 della Corte di cassazione, muove dalla convinzione che non sia possibile applicare estensivamente in via interpretativa all'art. 609-octies cod. pen. i principi fissati con riguardo ad altre fattispecie criminose dalle sentenze n. 265/2010, 164/2011, 231/2011 e 331/2011 dichiarative di parziale illegittimita' costituzionale del citato art. 275, comma 3.I. 28. La sentenza n. 232 del 2013, nel dichiarare la parziale illegittimita' costituzionale della disposizione di legge processuale, afferma, tra l'altro, quanto segue: «In via preliminare, deve rilevarsi la correttezza della tesi del rimettente che esclude la praticabilita', nel caso in esame, di un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma sospettata di illegittimita' costituzionale. Infatti, questa Corte ha piu' volte affermato che «l'univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo ai sindacato di legittimita' costituzionale» (sentenza n. 78 del 2012) e, a proposito della presunzione assoluta dettata dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ha gia' ritenuto che le parziali declaratorie di illegittimita' costituzionale della norma impugnata, relative esclusivamente ai reati oggetto delle varie pronunce, non si possono estendere alle altre fattispecie criminose ivi disciplinate (sentenza n. 110 del 2012).». 29. L'applicazione di tali principi al caso in esame conduce a concludere che il testo e la «ratio» dell'art. 625-bis cod. proc. pen. sono incompatibili con una interpretazione adeguatrice della disposizione e che occorre investire il giudice delle leggi della questione di legittimita' di tale disposizione. 30. E, infatti, venendo al profilo di non manifesta infondatezza del contrasto che questa Corte ravvisa fra il disposto dell'art. 625-bis, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e le disposizioni della Costituzione e della Cedu, possono richiamarsi le complessive argomentazioni esposte in precedenza e sintetizzate al punto 19 e puo' conclusivamente osservarsi quanto segue: a. la non effettivita' del controllo previsto dal comma 7 dell'art. 111 Costituzione e delle garanzie fissate dal comma 2 dei medesimo articolo assume una specifica valenza nei caso in esame vertendosi in materia di liberta' personale e considerando che l'omissione ha dato luogo alla applicazione di misura cautelare carceraria in assenza di rimedi all'errore posto in essere dalla Corte di cassazione. Appare, dunque, applicabile al caso in esame il principio fissato per il processo civile dalla sentenza della Corte costituzionale n. 36 del 1991, citata, secondo cui non e' ammissibile che l'errore di fatto resti privo di possibile correzione solo perche' l'errore commesso dalla Corte di cassazione riguarda una ordinanza cautelare e non una sentenza che definisce il processo; b. l'assenza di strumenti processuali che consentano di rimediare all'errore adesso ricordato rende non - emendabile la violazione dell'art. 24, comma 2, della Costituzione verificatasi con la non giustificata compressione dei diritto dell'indagato e del suo difensore di essere informati della celebrazione del giudizio di cassazione e di essere posti in condizione di parteciparvi utilmente; c. quanto si e' appena ricordato evidenzia l'esistenza di un sistema processuale privo di strumenti effettivi di correzione dell'errore essenziale che conduca a limitazioni di diritti fondamentali dell'indagato e questo sembra alla Corte evidenziare un contrasto delle norme di rito coi principi del «processo equo» contenuti nell'art. 6, comma 3, Cedu. Si e' in presenza di contrasto che chiama in evidenza la disposizione contenuta nell'art. 117, comma 1, della Costituzione alla luce dei principi interpretativi fissati dalla Corte costituzionale a far data dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007; d. infine, non manifestamente infondata appare la esistenza di un profilo di contrasto con l'art. 3 della Costituzione, posto che la eventuale impossibilita' di correggere l'errore in cui la Corte di cassazione sia incorsa conduce alla ingiustificata differenza di trattamento nei regime attinente la liberta' tra persone che, trovandosi in situazione analoga, hanno sollecitato il controllo del giudice di legittimita' e partecipato di giudizi svoltisi, in un caso, nel rispetto dei contraddittorio e, nell'altro, senza che la persona e il suo difensore siano stati posti in condizione di partecipare all'udienza camerale. 31. Quanto esposto nelle pagine che precedono fonda il giudizio di rilevanza della questione rispetto alla posizione del sig. D. M. e alla decisione che questa Corte deve assumere nel presente procedimento. Invero, solo la possibilita' di ottenere la correzione dell'errore, e cioe' la revoca della sentenza pronunciata in assenza di contraddittorio, consentirebbe di rinnovare il controllo sulla ordinanza dei tribunale del riesame e di emanare una decisione rispettosa dei diritti della persona, pervenendo alla formazione di un «giudicato cautelare» conforme a diritto. Nessuna diversa soluzione puo' dare corso a un controllo sul provvedimento restrittivo della liberta' che sia effettivo e conforme al compito affidato alla Corte di cassazione dalla nostra Carta costituzionale.