LA CORTE DI APPELLO Visti gli atti del procedimento n. 165/13 V.G. per equa riparazione ex legge n. 89/01, istante S. A. (avv. Davide Amadei del Foro di Verona); Ha pronunciato la seguente Ordinanza: Premesso che il 9 marzo 2000 il sig. A. S. fu rinviato a giudizio insieme ad altri imputati dal GUP del Tribunale di Larino nell'ambito di procedimento n. 643/98 R.G. GUP Tribunale di Larino, per rispondere di vari reati (tentata rapina aggravata, rapina aggravata, detenzione e porto illegale di armi, sequestro di persona), commessi nel novembre 1994; che, con sentenza n. 126/09 del 28 ottobre 2009, il Tribunale di Larino applico' la prescrizione per il sequestro di persona (capo D), e per il resto condanno' S. alla pena di 7 (sette) anni di reclusione oltre alla multa; che, con sentenza n. 442/12 del 27 settembre 2012, la Corte di Appello di Campobasso affermo' espressamente che S. era imputato, e doveva quindi ritenersi condannato in primo grado, per la sola tentata rapina aggravata di cui al capo A), reato del quale dichiaro' la prescrizione, motivando sulla sua responsabilita'; che, nei confronti di S. la sentenza di appello e' passata in giudicato il 13 novembre 2012; che, con ricorso depositato il 10 maggio 2013, S. ha chiesto a questa Corte di indennizzare il danno da eccessiva durata del processo penale presupposto, nella misura di € quindicimila/00 oltre a interessi e spese legali; che il ricorso deve ritenersi tempestivo, in quanto proposto nei sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio presupposto; che il termine ordinario di cinque anni, ritenuto congruo per la celebrazione del doppio grado di giudizio, risulta superato, atteso che, tra l'esercizio dell'azione penale (non documentato, ma comunque non successivo al 31 dicembre 1998, atteso il riferimento al 1998 del numero di R.G. del procedimento davanti al GUP di Larino) e la conclusione del processo di appello (27 settembre 2012), sono trascorsi quasi 14 anni, e che il procedimento presupposto fu rinviato per impedimento del difensore dal 24 aprile 2002 al 23 ottobre 2002 e dal 10 dicembre 2003 al 25 febbraio 2004, si' che puo' ritenersi un superamento del termine ragionevole nella misura di circa 8 anni; che, non risultando la prescrizione del reato riconducibile a condotte dilatorie di S. o dei suoi difensori (tali non potendosi ritenere le richieste di rinvio per impedimenti di incontestata effettivita'), la domanda proposta a questa Corte dovrebbe essere accolta nell'an, salva la determinazione del quantum, atteso che l'indennizzo per irragionevole durata nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione e' escluso dal comma 2-quinquies lett. d) dell'art. 2 legge n. 89/01, introdotto con D.L. n. 83/12, soltanto se detta estinzione sia «connessa a condotte dilatorie della parte»; che emerge pertanto ictu aculi la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale della norma predetta, nella parte in cui prevede l'indennizzo in caso di prescrizione del reato che, come nella fattispecie, non sia riconducibile a condotte dilatorie della parte; O s s e r v a 1. Il comma 2-quinquies lett. d) dell'art. 2 legge n. 89/01, introdotto dall'art. 55 D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, per il quale non spetta indennizzo da eccessiva durata del procedimento presupposto «nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte», ha codificato un principio consolidato, da ultimo cosi' sintetizzato da Cass. 24376/11: «l'equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, non puo' essere esclusa per il semplice fatto che il ritardo nella definizione del processo penale abbia prodotto l'estinzione, per prescrizione, del reato addebitato al ricorrente, occorrendo invece apprezzare, ai fini del diniego di accoglimento della relativa domanda, se l'effetto estintivo della prescrizione stessa sia intervenuto o meno a seguito dell'utilizzo, da parte dell'imputato, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell'abuso del diritto di difesa, ben potendo un effetto del genere prodursi, in tutto o almeno in parte (e, in questa seconda ipotesi, con valenza preponderante), indipendentemente da simili tecniche e da tali strategie, ovvero dalla reale volonta' dell'imputato ed a causa, piuttosto, del comportamento delle autorita' procedenti, senza che, in quest'ultimo caso, la mancata rinuncia alta prescrizione ad opera dell'imputata medesimo possa ritenersi di per se' in grado di elidere il danno, patrimoniale o non patrimoniale, conseguente alla durata irragionevole». Detto principio si pone tuttavia in contrasto, per quanto si vedra', con l'evoluzione piu' recente della giurisprudenza della Corte EDU, che ha tenuto conto di sopravvenute modifiche della stessa Convenzione. 2. La finalita' del complessivo intervento del legislatore, secondo la parte della Relazione al D.L. n. 83/12 concernente l'art. 55 (articolo convertito in legge quasi senza modifiche), era di semplificare e accelerare la definizione del contenzioso Pinto, peraltro mantenendone la strutturazione (e la competenza della corte d'appello), coerente sia con la rilevanza degli interessi in gioco sia con «la finalita' di non allargare le maglie di un bacino di domanda di giustizia suscettibile di distorsioni che sono gia' presenti nell'attuale sistema». Con tali affermazioni, il legislatore si mostrava consapevole dell'obbligo di conformarsi alla giurisprudenza CEDU nonche' delle distorsioni che possono nascere nella prassi, e quindi della necessita' di non allargare le maglie del contenzioso. Gia' prima della modifica della legge n. 89/01, del resto, era pacifica la non indennizzabilita' con il rimedio Pinto dei danni che la Corte EDU ritiene estranei all'art. 6 della Convenzione, come attesta la costante giurisprudenza sull'eccessiva durata dei processi tributari (ex plurimis, Cass. 8035/06). Anche in tema di prescrizione, del resto, recente giurisprudenza di legittimita' aveva affermato (Cass. 21051/12) l'esigenza di non indennizzare pregiudizi a diritti convenzionali che la stessa Corte EDU ritiene insussistenti o irrilevanti. Il rimedio introdotto dalla legge n. 89/01, infatti, non e' inteso a indennizzare qualunque pregiudizio alla ragionevole durata del processo, ma solo quello che raggiunga il livello di vera e propria violazione del diritto riconosciuto dalla Convenzione, come interpretata dalla Corte di Strasburgo. 3. Alla luce di tali premesse, la regola posta dal comma 2-quinquies lett. d) dell'art. 2 legge n. 89/01 non risulta piu' corrispondente all'attuale evoluzione della legislazione e giurisprudenza convenzionali. In particolare, il 1° giugno 2010 e' entrato in vigore il nuovo art. 35, comma 3° lett. b) della Convenzione Europea Diritti dell'Uomo, che consente alla Corte EDU di dichiarare irricevibile (o inammissibile) il ricorso individuale ex art. 34 nel caso in cui «il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante», salve le ipotesi (clausole di salvaguardia) di mancato esame del caso da parte del giudice nazionale, oppure di compressione di diritti umani convenzionali. Nella specie, non vi sarebbe materia di applicazione delle clausole di salvaguardia, atteso che il caso penale a carico del sig. S. non involse questioni generali di applicazione della Convenzione secondo esigenze dettate dall'ordine pubblico europeo, e fu debitamente esaminato dal giudice nazionale. 3.1. Nelle prime applicazioni della nuova causa di inammissibilita', comunemente definita de minimis non curat praetor e intesa a ridurre il contenzioso meno significativo, la Corte EDU adotto' un approccio cauto o minimalista, alla cui stregua il caso piu' rilevante fu costituito dalla sentenza Rinck c. Francia del 19 ottobre 2010, che dichiaro' irricevibile un ricorso originato da un giudizio interno presupposto per eccesso di velocita', concluso con condanna a multa per € 150,00 oltre a € 22,00 per spese e al ritiro di un punto della patente di guida. Una svolta si e' determinata con la sentenza del 6 marzo 2012 Gagliano Giorgi c. Italia (ricorso nr. 23563/07), con la quale la Corte EDU ha escluso che la eccessiva durata del processo penale presupposto avesse determinato un pregiudizio importante, e come tale indennizzabile, a un imputato che a causa di tale durata aveva beneficiato della prescrizione dell'imputazione piu' grave di corruzione: secondo la Corte, l'estinzione del reato e' idonea a integrare una compensatio lucri cum damno in favore del ricorrente. Tale decisione, espressiva dello sforzo di conferire effettivita' alla causa de minimis e, di riflesso, alla giustizia sovranazionale, e' stata variamente commentata in dottrina, ma esprime un orientamento ormai stabile, se solo si considera che il 24 settembre 2012 la Grande Chambre della Corte EDU ha rifiutato di riesaminare il caso Gagliano Giorgi (cfr. Press Release 17 ottobre 2012, http://www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=home & c=). Notoriamente, la Grande Chambre effettua il riesame solo se il caso sia di notevole rilevanza pratica, e insieme risulti controverso o controvertibile. I due requisiti debbono concorrere, come confermato dal recente rifiuto di riesaminare la decisione Torreggiani e altri contro Italia dell'8 gennaio 2013 sul sovraffollamento delle nostre carceri: decisione indubbiamente importante (si trattava anzi di sentenza c.d. pilota), ma evidentemente ritenuta non seriamente controvertibile. 4. Per le ragioni dette, quindi, la regola della non indennizzabilita' del danno - solo in astratto riconducibile all'art. 6, comma 1° della Convenzione EDU - da eccessiva durata del processo penale presupposto, che si sia concluso con dichiarazione di prescrizione del reato, deve considerarsi consolidata nella giurisprudenza di Strasburgo, alla stregua della regola de minimis non curat praetor di cui al vigente art. 35 comma 3° lett. b) della Convenzione. E' il caso di notare che, pur essendo il processo penale presupposto al ricorso Gagliano Giorgi iniziato ben prima dell'entrata in vigore del nuovo art. 35 comma 3° lett. b) della Convenzione, la Corte EDU non adotto' la regola tipicamente processuale del tempus regit actum, che avrebbe precluso l'applicazione della nuova normativa, e cosi di fatto riconobbe natura sostanziale alla causa de minimis, con conseguente sua rilevanza nei giudizi per violazioni della Convenzione che non siano ancora definiti. Ad analoghe conclusioni, ovviamente, deve pervenirsi, quanto all'applicabilita' della regola de minimis al presente ricorso del sig. S. 5. Alla luce dell'esposizione che precede, e' evidente che il vigente comma 2-quinquies lett. d) dell'art. 2 legge n. 89/01 - la cui rigida dizione letterale non consente interpretazioni alternative - conduce a tutelare sul piano nazionale l'interesse alla ragionevole durata del processo penale anche nel caso in cui lo stesso si sia concluso con sentenza di prescrizione del reato in assenza di condotte dilatorie della parte, e cioe' anche quando manchi - alla stregua della Convenzione EDU e della sua interpretazione giurisprudenziale - un «pregiudizio importante» indennizzabile in sede sovranazionale. In tal modo e' violato l'art. 117 comma 1° Cost., alla cui stregua il nostro Paese non soltanto deve rispettare i vincoli posti dall'ordinamento convenzionale, ma deve evitare di modularne l'attuazione in maniera tale da riconoscere, a chi ne deduca la violazione, un bene che il giudice sovranazionale non riconoscerebbe. Il principio di sussidiarieta' sotteso al rimedio Pinto e' certamente guardato con favore dalla Corte EDU, che con le due sentenze emesse in data 31 maggio 2012 nei casi (rispettivamente n. 19488/09 e 53126/07) Garcia Cancio contro Germania e Reinhold Taron contro Germania ha mostrato apprezzamento per l'introduzione in Germania di un rimedio analogo alla nostra legge Pinto. Assai di recente, poi, la sentenza 30 aprile 2013 nel caso Hasan Uzun contro Turchia (caso n. 10755/13) ha diffusamente motivato il suo favor per l'avvenuta introduzione, in diversi ordinamenti nazionali, di specifici rimedi indennitari in caso di violazione di diritti convenzionali. La sussidiarieta' preclude tuttavia al legislatore nazionale di soddisfare una pretesa di apparente origine convenzionale, che la legislazione e giurisprudenza convenzionali non ritengano fondata o meritevole di tutela, perche' non assurge a dignita' di vero diritto. Apprestando una tutela per tali ipotesi, infatti, il legislatore nazionale non si avvale del margine di apprezzamento a lui riconosciuto dalla giurisprudenza CEDU (onde ad es. accrescere i parametri delle compensazioni rispetto a quelli di Strasburgo) bensi' introduce una fattispecie indennitaria solo in apparenza radicata nel contesto sovranazionale, al quale pure dichiara di richiamarsi. Con un evidente sviamento della sussidiarieta', utilizzata, di fatto e oggettivamente, per la creazione ex nihilo di un diritto altrimenti non apprezzabile. 6. In conclusione, nel riconoscere l'indennizzo in caso di prescrizione del reato se non derivante da condotte dilatorie della parte, la norma esaminata risulta contrastante con gli artt. 6 comma 1° e 117 comma 1° Cost. comma 1°, esaminato attraverso il parametro interposto dell'art. 35 comma 3° lett. b) Convenzione EDU.