IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza, sui ricorso numero di registro generale 853 del 2013, proposto dalla Cooperativa Culture, in persona del legale rappresentante pro-tempore, in proprio e nella qualita' di mandataria del RTI composto con le imprese Soc. coop. cult. Mondo Mostre S.r.l., Skira Edit. S.p.A., Bluecoop Soc. coop., Archeologia Soc. coop., Ipacem Soc. coop., Soc. coop. cult., Mondo Mostre S.r.l., Skira Edit. S.p.A., Soc. coop. cult. Mondo Mostre S.r.l., Skira Edit. S.p.a., Bluecoop Soc. coop., Alfio Neri S.r.l., Etna Tourism Cons. Soc. coop., Soc. coop. cult. Mondo Mostre S.r.l., Skira Edit. S.p.A., Bluecoop Soc. coop., Alfio Neri S.r.l., Etna Tourism Cons. soc. coop., Soc. coop. cult. Mondo Mostre S.r.l., Skira Edit. S.p.A., Bluecoop Soc. coop., Archeologia Soc. coop., rappresentato e difeso dagli avv. Massimiliano Brugnoletti e Maria Beatrice Miceli, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Maria Beatrice Miceli sito in Palermo, via N. Morello n. 40; Contro l'Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identita' Siciliana, Dip. Reg. dei Beni Cult. e Amb., la Presidenza della Regione Siciliana e l'Ass. Reg. dei Beni Cult. e dell'Identita' Sic. Dip. Reg. dei Beni Cult. e dell'Id. Sic., in persona dei legali rappresentanti pro-tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria per legge con uffici siti in Palermo, via A. De Gasperi, 81; Nei confronti di: Consorzio i Luoghi dell'Arcadia, non costituito; Novamusa S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Francesca Albano e Valentino Vulpetti, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Francesca Albano sito in Palermo, viale Francesco Scaduto, 2/D. Per l'annullamento: A) quanto al ricorso introduttivo proposto dalla Cooperativa Culture: della nota prot. n. 10523 del 26 febbraio 2013 con cui e' stata comunicata la sospensione della gara indetta per l'affidamento della gestione dei servizi per il pubblico di cui all'art. 117 del d.lgs. n. 42 del 2004 nei siti di Palermo, Agrigento, Siracusa, Trapani e Messina; della deliberazione n. 34 del 31 gennaio 2013; della nota prot. n. 1392 del 31 gennaio 2013; di tutti gli atti presupposti, consequenziali e connessi; B) quanto al ricorso incidentale, proposto da Novamusa S.r.l.: degli atti relativi sule procedure aperte per l'affidamento della gestione integrata dei servizi per il pubblico di cui all'art. 117 del d.lgs. n. 42/2004 nei siti archeologici e museali della Regione Siciliana per le provincie di Palermo, Agrigento, Siracusa, Trapani e Messina con particolare riferimento: a) al bando di gara, capitolato speciale e allegati relativi inerenti i siti delle provincie di Trapani, Messina, Caltanisetta-Ragusa-Siracusa, Palermo, Agrigento; b) agli atti e provvedimenti con i quali le ATI Coop. Culture sono state ammesse a partecipare alle gare; c) ai verbali di gara tutti e relativi allegati; d) ai provvedimenti di aggiudicazione provvisoria e di aggiudicazione definitiva in favore delle suddetta ATI Coop. Culture; e) ai provvedimenti di esclusione dell'ATI Novamusa; f) agli atti di concessione/contratti eventualmente stipulati; g) ad ogni ulteriore atto presupposto, connesso, conseguente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura distrettuale dello Stato per le Amministrazioni regionali intimate e la successiva memoria; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Novamusa S.r.l. e il successivo ricorso incidentale; Vista l'ordinanza n. 353 del 22 maggio 2013 sulla domanda incidentale di' sospensione degli effetti del provvedimenti impugnati; Vista l'ordinanza n. 1796 del 10 ottobre 2013 sulla domanda di accesso agli atti formulata dal ricorrente incidentale Novamusa ai sensi e per gli effetti dell'art. 116, comma 2, c.p.a.; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2013 il dott. Roberto Valenti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Visto l'art. 79, comma 1, cod. proc. amm.; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue; F a t t o Con ricorso notificato il 5 aprile 2013 e depositato il successivo 24 aprile 2013, la societa' Cooperativa Culture ha impugnato, chiedendone l'annullamento previa sospensione degli effetti, il provvedimento in epigrafe indicato (prot. 10523 del 26 febbraio 2013, ricevuto il 6 marzo 2013) con il quale l'Amministrazione regionale ha sospeso le gare indette per l'affidamento della gestione dei servizi per il pubblico di cui all'art. 117 del d.lgs. n. 42/2004 nei siti di Palermo, Agrigento, Siracusa, Trapani e Messina. Costituiscono oggetto di impugnazione altresi' la deliberazione n. 34 del 31 gennaio 2013 della Giunta regionale della Regione Siciliana, nonche' la nota prot. 1392 del 31 gennaio 2013 del Presidente della Regione. Premette la societa' ricorrente di aver partecipato alle procedure indette dalla Regione Siciliana (con bandi approvati con decreto assessoriale 30 giugno 2010 e promulgati nel luglio 2010) per l'affidamento in concessione della gestione integrata dei servizi al pubblico nei siti museali presenti sul territorio, il cui termine per la presentazione delle domande di partecipazione e' stato previsto, dall'art. 11 del bando, al 3 marzo 2011. In esito alle relative procedure la medesima Cooperativa Culture e' risultata aggiudicataria (in qualita' di mandataria dei relativi RTI) delle gare per le rispettive provincie di Palermo (lotto Palermo 1) ed Agrigento (lotto Agrigento 1). Espone quindi di aver ricevuto, in data 6 marzo 2013, la nota in epigrafe indicata con la quale l'Amministrazione comunica, giusta delibera della Giunta Regionale n. 34 del 31 gennaio 2013, di aver chiesto all'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo di sollevare eccezione di nullita' dei bandi in questione in quanto carenti della previsione normativa di cui all'art. 2 l.r. n. 15/2008; per cui, nelle more del relativo esito, ha ritenuto di sospendere le procedure di verificazione dei risultati delle gare, ivi comprese quelle aggiudicate in parola. Segnatamente, l'Amministrazione ha motivato detta richiesta, e la conseguente sospensione, nella considerazione che «i bandi adottati sono carenti delle clausole di cui all'art. 2, commi 1 e 2, della legge regionale n. 15/2008, risultando per questa ragione affetti da vizio di nullita' insanabile che li rende di fatto inefficaci e dai quali deriva la nullita' di tutti gli atti conseguenti». Il ricorso e' affidato a due profili di doglianza riconducibili rispettivamente: 1) alla violazione degli artt. 1, 2, 3 e 21-quater legge n. 241/1990, nonche' alla violazione degli artt. 2, 11 e 12 d.lgs. n. 163/2006 oltre che all'errore nei presupposti di fatto e di diritto, al difetto di istruttoria, illogicita' e violazione dell'art. 97 Cost. (prima censura), contestandosi in altri termini la sospensione sine die degli atti di gara in assenza di presupposti; 2) alla violazione dell'art. 3, legge n. 136/2010, dell'art. 38 d.lgs. n. 163/2006, alla violazione del d.lgs. n. 159/2011 nonche' all'errata applicazione dei presupposti di fatto e di diritto e alla violazione degli artt. 117 e 97 Cost. (seconda censura), contestandosi sia l'inapplicabilita' della norma in questione (art. 2, commi uno e due, l.r. n. 15/2008) alla fattispecie concreta, sia comunque l'implicita abrogazione della norma regionale per effetto dell'entrata in vigore della disciplina nazionale di cui all'art. 3, legge n. 136/2010. Si e' costituita l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo articolando scritti a difesa in vista della camera di consiglio del 22 maggio 2013, insistendo per il rigetto del ricorso in quanto infondato argomentando come, ratione temporis, debba trovare applicazione unicamente la mentovata normativa regionale. Si e' altresi' costituita in giudizio l'intimata Novamusa. Alla camera di consiglio del 22 maggio 2013, fissata per la trattazione della domanda cautelare, e' stata adottata l'ordinanza n. 353/2013 di fissazione della presente pubblica udienza di discussione. Con controricorso notificato il 13 maggio 2013 e depositato il successivo 21 maggio 2013, Novamusa ha incidentalmente impugnato gli atti di gara nella parte in cui non e' stata disposta l'esclusione della ricorrente principale (per omessa dichiarazione ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006 quanto ad un amministratore asseritamente cessato dalla carica nel triennio precedente), nonche' nella parte in cui e' stata disposta l'esclusione della medesima ricorrente incidentale per mancanza dei requisiti ex art. 38 cit., cosi' riproponendo analoghe prospettazioni e doglianze gia' articolate nel separato ricorso incardinato presso questo decidente R.G. n. 1581/2010. Con incidente ex art. 116, comma 2 c.p.a. la stessa Novamusa ha chiesto l'annullamento del provvedimento con cui l'Amministrazione regionale ha riscontrato, in termini di diniego, l'istanza di accesso ai documenti amministrativi costituiti dalla documentazione prodotta dalla Cooperativa Culture per la partecipazione alle gare. Con ordinanza n. 1796, pubblicata il 10 ottobre 2013, la relativa domanda e' stata respinta. In prossimita' della pubblica udienza di trattazione parte ricorrente ha articolato scritti a difesa insistendo per l'accoglimento ed eccependo altresi' inammissibilita' del ricorso incidentale presentato da Novamusa. Quest'ultima, con memoria in termini, ha formulato istanza processuale insistendo altresi' nelle proprie conclusioni. Con memoria di replica parte ricorrente ha controdedotto, chiedendo l'accoglimento del ricorso e reiterando le eccezioni in rito. D i r i t t o 1.0 - La questione sottoposta al vaglio del Collegio. 1.1 - La ricorrente societa' Cooperativa Culture, aggiudicataria di alcune procedure di evidenza pubblica indette dall'Amministrazione regionale ex art. 117 d.lgs. n. 42/2004 (con bandi approvati il 30 giugno 2010 e pubblicati nel mese di luglio 2010) per la gestione dei servizi al pubblico nei siti museali ed archeologici presenti nei vari distretti del territorio regionale, si duole della illegittimita' del provvedimento merce' il quale l'Amministrazione, nel presupposto che i relativi bandi risultano carenti rispetto a quanto previsto a pena di nullita' dall'art. 15, commi 1 e 2, l.r. n. 15/2008, ha «sospeso» sine die le ulteriori fasi delle gare di che trattasi, chiedendo al contempo all'Avvocatura erariale dello Stato, patrocinante ex lege, di farne valere in ogni sede la nullita'. La pretesa sostanziale azionata con il ricorso, strumentalmente connessa alla contestata applicazione della norma regionale cit. fattane dall'Amministrazione, tende dunque a far valere l'illegittimita' del provvedimento in parola, che si frappone (al di la del nomen iuris utilizzato) come vero e proprio arresto procedimentale immediatamente lesivo rispetto alla definitiva e materiale assegnazione dell'oggetto delle gare aggiudicate. 2.0 - Sull'applicabilita' alla fattispecie dedotta in giudizio della norma invocata dall'Amministrazione regionale nei provvedimenti impugnati. 2.1 - Osserva il Collegio come i bandi delle procedure di evidenza pubblica per i quali e' controversia, sottesi ai provvedimenti impugnati e pubblicati nel luglio 2010 (antecedentemente, quindi, alla legge nazionale 13 agosto 2013, n. 136 - pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 23 agosto 2010, n. 196 - il cui art. 3 rubricato «Tracciabilita' dei flussi finanziali» e' invocato dalla Cooperativa Culture per far valere l'abrogazione implicita della normativa regionale), in effetti non recano le clausole previste, a pena di nullita', dall'art. 2, primo e secondo comma, della legge della Regione Siciliana 20 novembre 2008, n. 15, secondo cui: «1. Per gli appalti di importo superiore a 100 migliaia di euro, i bandi di gara prevedono, pena la nullita' del bando, l'obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero di conto corrente unico sul quale gli enti appaltanti fanno confluire tutte le somme relative all'appalto. L'aggiudicatario si avvale di tale conto corrente per tutte le operazioni relative all'appalto, compresi i pagamenti delle retribuzioni al personale da effettuarsi esclusivamente a mezzo di bonifico postale o assegno circolare non trasferibile. Il mancato aspetto dell'obbligo di cui al presente comma comporta la risoluzione per inadempimento contrattuale. 2. I bandi di gara prevedono, pena la nullita' degli stessi, la risoluzione del contratto nell'ipotesi in cui il legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata». 2.2 - La giurisprudenza di questo Tribunale Amministrativo Regionale (sede di Palermo e sezione staccata di Catania) nonche' del Giudice d'appello territoriale (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana), nelle fattispecie - sin qui susseguitesi - nelle quali si e' fatta carico dell'accertata carenza di quelle previsioni, e' pervenuta ad alcune conclusioni in grande prevalenza del tutto univoche. Esse riguardano in primo luogo, e per quanto qui immediatamente rileva, il pieno titolo dell'organo giurisdizionale adito a rilevare d'ufficio la nullita' del bando, in applicazione del precetto contenuto nell'art. 31, quarto comma, secondo periodo, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo), peculiarmente in materia attribuita, ex art. 133, primo comma, lettera e), del medesimo testo normativo, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza 27 luglio 2012, n. 721, richiamata dall'ordinanza, resa dal medesimo organo giurisdizionale in sede di appello cautelare, 16 ottobre 2013, n. 786; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, sentenza 20 maggio 2013, n. 1441). Di talche' appaiono non conducenti le considerazioni svolte dalla parte ricorrente (nell'ambito della prima censura) sulla non ancora intervenuta dichiarazione di nullita' dei bandi in considerazione. 2.2.1 - La medesima giurisprudenza sopra richiamata concorda inoltre sulla sostanziale applicabilita' della norma regionale a tutto il comparto degli appalti pubblici, non solo cioe' a quelli relativi alla materia dei lavori [riservata alla legislazione esclusiva della Regione ai sensi dell'art. 14, lettera g) del decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante lo Statuto della Regione Siciliana (approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2)]: l'indirizzo appena tracciato, tanto consolidato da costituire «diritto vivente» a livello regionale, ha ritenuto che nel difficile contesto dell'Isola anche gli appalti di servizi e forniture di importo superiore ai 100.000,00 euro devono rispettare, quindi, la speciale disciplina de quo in tema di tracciabilita' dei flussi finanziari e di tutela avanzata nei confronti dei reati di criminalita' organizzata, come stabilita nei commi primo e secondo dell'art. 2 della citata legge regionale n. 15 del 2008 (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza n. 721/2012 cit.; ordinanza n. 786/2013 cit.; T.A.R. Sicilia, Sez. III, sentenza 19 dicembre 2011, n. 2406; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, ord. 11 luglio 2013, n. 646). Tale indirizzo appare, peraltro, coerente con il chiaro tenore letterale della disposizione regionale (significativamente inserita nella legge regionale n. 15 del 2008 contenente «Misure di contrato alla criminalita' organizzata» a fronte dell'iniziale previsione - desumibile dai lavori preparatori del disegno di legge - che concepiva la norma quale come aggiunto all'art. 19 della legge 11 febbraio 1991, n. 109, come introdotta con modifiche in ambito regionale merce' la legge regionale 2 agosto 2002, n. 7), la quale fa riferimento, con formulazione volutamente ampia, agli «appalti di importo superiore a 100 migliaia di euro». 2.3 - Cio' posto sul piano generale, il Collegio non dubita della diretta e immeditata applicazione della norma in parola ai bandi indetti dalla Regione che qui vengono in rilievo, quantunque occorre altresi' riconoscere che al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (3 marzo 2011, come previsto dall'art. 11 di ogni bando di gara) era certamente vigente ed operante in ambito nazionale la disciplina di cui l'art. 3, legge n. 136/2010 (osservandosi altresi' che in virtu' della disciplina «transitoria» introdotta dall'art. 6, comma 1, del d.l. n. 187/2010, la previsione nazionale verrebbe in rilievo al momento della sottoscrizione dei contratti). Ma sul piano dei rapporti tra la norma ragionale e quella nazionale il Collegio avra' modo si soffermarsi in seguito. 2.3.1 - Rispetto a quanto argomentato, con opposti intendimenti, rispettivamente dall'Avvocatura erariale (che qualifica come mero appalto di servizi l'oggetto delle gare) e dalla parte ricorrente (che invece qualifica le fattispecie quali mere «concessione di servizi» con impossibilita', quindi, di applicare la norma regionale di che trattasi, come dedotto con il primo profilo della seconda doglianza), il Collegio prende atto che con le procedure di che trattasi l'Amministrazione regionale abbia invece posto in essere quanto necessario al fine di individuare i soggetti cui affidare rispettivamente: a) sia la gestione dei servizi aggiuntivi ai siti museali ed archeologici ex art. 117 d.lgs. n. 42/2004 (con previsione di un canone); b) sia i servizi di biglietteria (con previsione di un aggio sul singolo biglietto e versamento nelle casse pubbliche della restante parte di quanto percepito). Ebbene, in fattispecie del tutto analoga a quella in discussione le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 12252/2009) hanno avuto modo di precisare che la materia, limitatamente ai servizi aggiuntivi segnatamente individuati dalla norma cit., va qualificata come «concessione di servizi»; mentre residua la qualificazione quale appalto di servizi per il «servizio biglietteria» (in termini anche Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 giugno 2012, n. 3764). Con quel che ne consegue in ordine alla diretta applicazione delle disposizioni dell'art. 2, commi primo e secondo, l.r. n. 15/2008 ai singoli bandi con i quali l'Amministrazione regionale ha contestualmente indetto uniche procedure di evidenza pubblica tanto per la concessione di servizi, quanto per l'appalto di servizi correlato. 2.3.2 - A ben vedere, rinviando oltre per l'ulteriore approfondimento, risulterebbe comunque limitativa della chiara volonta' del legislatore regionale ritenere che la norma cosi come formulata, posta in essere nel chiaro intendimento di dettare in ambito regionale una disciplina in tema di tracciabilita' dei flussi finanziari e di tutela avanzata nei confronti dei reati di criminalita' organizzata, non sia applicabile anche alla concessione di servizi (che - ripetesi - costituisce una parte dell'oggetto delle gare). Soccorre a tal fine quanto sottolineato, ad esempio, dall'Autorita' di Vigilanza sui Contratti Pubblici (determinazione n. 4 del 7 luglio 2011) in relazione alla ritenuta e pacifica estensione anche al settore delle «concessioni» pubbliche della (sopravvenuta) norma (pure invocata dall'impresa ricorrente) di cui all'art. 3, legge n. 136/2010: «Occorre precisare che l'applicazione della legge n. 1361 2010 ai contratti di appalto ed a quelli di concessione, di cui agli articoli 30, nonche' 142 e 253, comma 25, del Codice, prescinde dall'esperimento di una gara per l'affidamento degli stessi; in altri termini si ribadisce che non rileva ne' l'importo del contratto ne' la procedura di affidamento utilizzata». Persuade l'argomentazione con cui la predetta autorita' afferma che «Le disposizioni di cui alla legge n. 136/2010 si applicano anche ai contratti di concessione aventi ad oggetto l'acquisizione di lavori e servizi, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori e dai soggetti aggiudicatori sottoposti al Codice (...)» cio' in quanto «la legge fa riferimento all'esigenza di tracciare i flussi finanziari generati dalle commesse pubbliche (... ) a prescindere dalla procedura utilizzata». Le predette considerazioni, che il Collegio condivide, possono trovare applicazione anche in sede di interpretazione del dato normativa regionale che qui rileva. Ribadito, in conformita' alla prevalente giurisprudenza (da ultimo Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 7 maggio 2013, n. 13), che «Ai sensi della direttiva comunitaria 2004/18/Ce e degli art. 3, comma 12, e 30, comma 2, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, la concessione di servizi e' il contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi» (ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi e di sfruttare economicamente il servizio o in tale diritto accompagnato da un prezzo: distinzione che attiene alla struttura del rapporto, che nell'appalto di servizi intercorre tra due soggetti, mentre nella concessione di servizi pubblici intercorre tra tre soggetti), risulterebbe un'operazione ermeneutica non corretta, perche' elusiva della chiara voluntas legis (ed impregiudicate le ulteriori considerazioni che di seguito verranno svolte), limitare l'applicazione della norma regionale cit. al solo settore degli «appalti pubblici» e non anche a tutti i «bandi» e/o alle altre procedure di evidenza pubblica preordinate alla stipula di contratti per la concessione di servizi pubblici (anche in combinato con «appalti di servizi», come in specie). 3.0 - Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo e secondo comma, della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15. Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale delle disposizioni contenute nell'art. 2, primo e secondo comma, della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, con le quali il legislatore regionale incide anche potenzialmente nell'ambito di una materia, la sicurezza e l'ordine pubblico, appartenente alla competenza esclusiva statale. Questo Tribunale, stante la normativa applicabile ratione temporis ai bandi di gara, laddove non nutrisse dubbi sulla legittimita' costituzionale della norma posta a fondamento dei provvedimenti impugnati (dubbi che ne' il «diritto vivente», ne' gli ulteriori tentativi cui per una lettura costituzionalmente orientata della norma riescono a revocare, come d'appresso meglio evidenziato), dovrebbe limitarsi a dare atto dell'assenza delle clausole previste dall'art. 2, l.r. n. 15/2008, procedendo nel doveroso esercizio del potere-dovere di rilevare la nullita' dei bandi presupposti (cfr. C.G.A., sent. n. 721/2010 cit.; T.A.R. Sicilia, Sez. Catania, sent. n. 3127/2010; T.A.R. Sicilia, Palermo, sent. n. 2406/2011; T.A.R. Sicilia, Catania, sent. n. 1411/2013; C.G.A., Sez. Giurisdiz., Ord. n. 786/2013), con conseguente declaratoria di improcedibilita' del ricorso introduttivo - proposto avverso il provvedimento di sospensione/arresto procedimentale - per carenza di interesse (C.G.A., sent. n. 427/2011). Diversamente, ove la norma in questione, in accoglimento dei dubbi di legittimita' costituzionale che con la presente ordinanza si sollevano, venisse per l'effetto espunta dall'ordinamento in quanto incostituzionale, il primo provvedimento impugnato risulterebbe illegittimo e andrebbe per l'effetto annullato in accoglimento del mezzo e della prima censura dedotta. La peculiarita' della questione in esame e' per altro connessa al fatto che, come dedotto dall'Avvocatura erariale, al momento della pubblicazione dei bandi non si poneva (ancora) il problema della vigenza della normativa nazionale in materia di tracciabilita' dei flussi finanziari di cui all'art. 3, legge n. 136/2010 (la cui disciplina incide comunque non sui «bandi» ma sui contratti a valle delle aggiudicazioni). Passando quindi al profilo relativo alla possibilita' di configurare come solo parziale, piuttosto che totale, la nullita' del bando di gara difforme dalla previsione normativa regionale in esame - con conseguente ipotizzata applicabilita' del meccanismo dell'inserzione automatica di clausole, di cui all'art. 1339 del cod. civ. (ove applicabile anche all'atto amministrativo recante la lex specialis di una gara d'appalto) - il Collegio ritiene che una siffatta configurazione esegetica travalicherebbe i limiti di compatibilita' con il tenore letterale della legge regionale, che un interprete che non voglia farsi legislatore e' tenuto a osservare. La norma regionale, infatti, non reca una mera sanzione di generica nullita', e neppure di «nullita' assoluta» (come, per esempio, si legge invece nel comma 8 del cit. art. 3 della legge statale n. 136/2010); bensi' una preclara sanzione di «nullita' del bando». Il Giudice di seconde cure (C.G.A., Ord. 16 ottobre 2013, n. 786), con argomentazioni condivisibili, ha infatti ritenuto che non si possono avere dubbi sul fatto che il legislatore regionale abbia inteso sanzionare con la nullita' del bando (vale a dire di tutto il bando, ossia del bando nella sua interezza) la violazione, da parte della stazione appaltante, del precetto posto dall'art. 2, comma uno, l.r. n. 15/2008. Stesse considerazioni varrebbero altresi' per l'ipotesi di nullita' prevista a sanzione del mancato rispetto del precetto di cui al comma secondo della stessa norma. La scelta e' frutto della valutazione, da ritenere evidentemente consapevole, del legislatore regionale: e cio' impedisce altresi' di ipotizzare nullita' parziale dei bandi, con meccanismi di eterointegrazione delle singole lex specialis ai sensi del gia' ricordato art. 1339 cod. civ. Differentemente da quanto opinato dal Giudice d'appello (il riferimento e' sempre alla recente ordinanza del C.G.A. 16 ottobre 2013, n. 786) il Collegio dubita sulla stessa legittimita' di poter introdurre una peculiare ipotesi di «nullita' regionale» che, per il tramite della dichiarazione di nullita' non sanabile del bando (per omessa previsione del dato normativo cit.) si riverbera sull'atto negoziale a valle dell'aggiudicazione. 4. - Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo e secondo comma, della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere h) e l), art. 3, comma secondo, e art. 97, comma primo, della Costituzione; nonche', del secondo comma del ridetto art. 2, l.r. n. 15/2008 in riferimento anche all'art. 27, secondo comma, della Costituzione. 4.1. - Sul primo comma dell'art. 2 della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15. Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale della disposizione contenuta nell'art. 2, primo comma, della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere h) e l), della Costituzione. 4.1.1. - In relazione al primo parametro costituzionale, art. 117, secondo comma, lettera h). Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale della norma regionale in commento, tenuto conto dei principi espressi da codesta Corte costituzionale con la recente sentenza n. 35 del 2012. Con quella pronuncia si e' qualificata la materia sulla «tracciabilita' dei flussi finanziari» come strettamente connessa all'ordine pubblico e alla sicurezza: in quanto tale, la relativa disciplina risulta sottratta alla competenza legislativa delle regioni ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera h), della Carta fondamentale. Ritiene il Collegio che il principio affermato dalla Corte costituzionale valga anche nei confronti della normativa regionale in commento. Ad avviso del Tribunale, la circostanza che la disciplina cola' dichiarata costituzionalmente illegittima fosse di una regione a statuto ordinario (nel caso di specie, la Regione Calabria) non altera le conclusioni raggiungibili anche nei riguardi della su indicata norma della Regione Siciliana. Cio', per la fondamentale ragione che la ritenuta appartenenza della legislazione sulla tracciabilita' dei flussi alla prevenzione in materia di ordine pubblico e sicurezza non puo' modificarsi a seconda dell'ambito territoriale nel quale si venga ad operare; sicche', gia' sotto questo riguardo, si ravvisano ragioni per rimettere la questione al Giudice delle leggi. Ne', tanto meno, puo' configurarsi una peculiare specialita' della causa che modificherebbe, per la tipicita' della prevenzione relativa ai fenomeni mafiosi, l'appartenenza della materia a quella per dir cosi' allargata dei «lavori pubblici» in sede regionale, anziche' all'ordine pubblico e sicurezza con estensione nazionale. Giova, invero, sottolineare che, pur se con origini prevalentemente insulari, le metodiche e le pratiche connesse a quei fenomeni sono estese e gestite su tutto il territorio nazionale, cosi' che risulta ben difficile, allo stato delle cose, formulare un'ipotesi normativa esclusivamente orientata al quadro regionale, il quale presenta, certamente, una maggiore intensita', ma non certo l'esclusivita' rispetto al citato fenomeno. Ne' varrebbe rilevare - come opinato dalla difesa erariale - che al momento della pubblicazione dei bandi in parola non era ancora stata emanata la legge n. 136/2010 (il cui art. 3 ha dettagliatamente disposto in materia di tracciabilita' dei flussi finanziari). Invero ritiene il Collegio che la materia (come in seguito normata dal legislatore nazionale con legge ordinaria ex art. 3, legge n. 136/2010) e' certamente di competenza esclusiva statale ancor prima (e potremmo dire a prescindere) dall'avvenuto o meno esercizio legislativo da parte del Parlamento nazionale. Ed e' indiscutibile che con la norma della cui legittimita' costituzionale il Collegio dubita, l'Assemblea Regionale Siciliana abbia inteso intervenire (ancorche' con un tentativo certamente encomiabile) nel settore della tracciabilita' dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, nei modi previsti dalla norma, al fine non taciuto di prevenire infiltrazioni criminali e prevenire la commissione di reati. Non e' infatti in discussione la legittimita' di possibili interventi normativi, anche in ambito regionale, preposti alla promozione della legalita' in quanto tesa alla diffusione dei valori di civilta' e pacifica convivenza su cui si regge la Repubblica: cio' in quanto, come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale (sent. n. 35/2012 cit.) la promozione della legalita' «non e' attribuzione monopolistica, ne' puo' divenire oggetto di contesa tra i distinti livelli di legislazione e di governo: e' tuttavia necessario che misure predisposte a tale scopo nell'esercizio di una competenza propria della Regione, per esempio nell'ambito dell'organizzazione degli uffici regionali (come fatto dalla stessa Regione Siciliana con l'adozione - sul piano interno alla pubblica amministrazione - del c.d. Codice Vigna - «Codice antimafia e anticorruzione della pubblica amministrazione», come richiamato anche dall'art. 15 legge regionale n. 5/2011, nonche' con l'atto di indirizzo pubblicato in G.U.R.S. n. 54 del 30 dicembre 2011), non costituiscano strumenti di politica criminale, ne', in ogni caso, generino interferenze, anche potenziali, con la disciplina statale di prevenzione e repressione dei reati (sentenza n. 55 del 2001; da ultimo, sentenza n. 325 del 2011)». Come nel caso gia' deciso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 35/2012, anche le disposizioni di cui all'art. 2, primo comma (ma analoghe considerazioni valgono anche per il secondo comma, come d'appresso precisato), l.r. n. 15/2008 appaiono esorbitare dai limiti individuati dal Giudice delle leggi, invadendo la sfera di competenza legislativa dello Stato oltre le previsioni dello stesso Statuto regionale, che non attribuisce alla Regione Siciliana (munita di competenza esclusiva solo nelle materie strettamente individuate dall'art. 14 del proprio Statuto) alcuna competenza in materia di ordine pubblico e sicurezza (che diversamente appartengono allo Stato alla stregua della previsione costituzionale presa a parametro). Ancorche' non vigente al momento dell'emanazione della norma in argomento, oggi e' anche nel codice antimafia, di cui al d.lgs. n. 159/2011, che puo' rinvenirsi la prova ulteriore della non confluenza in diversa materia della disciplina della tracciabilita' dei flussi finanziari, laddove si stabilisce che «il prefetto puo', altresi', desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da ... nonche' dall'accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilita' dei flussi finanziati di cui all'art. 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall'art. 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tali casi, entro il termine di cui all'art. 92, rilascia l'infonazione antimafia interdittiva» (art. 91, sesto comma, d.lgs. n. 159 del 2011). Il precetto statale assume particolare rilievo perche' ricollega la tematica della tracciabilita' dei flussi finanziari a misure sanzionatorie specifiche, confermando, di conseguenza, la riferibilita' della disciplina alla legislazione sull'ordine e la pubblica sicurezza. Il Collegio trae argomenti a conforto della rimessione della questione a codesta Corte costituzionale anche dal «diritto vivente» che ha cercato di interpretare la norma regionale in commento anche nel rapporto con la sopravvenuta disciplina statale di cui all'art. 3, legge n. 136/2010 (successiva, ratione temporis, alla pubblicazione dei bandi, come ancora sottolineato dall'Avvocatura di Stato nel controdurre alla richiesta di applicazione nella fattispecie concreta adombrata dalla Cooperativa Culture). Si fa qui riferimento: da un lato, all'orientamento espresso da questa stessa sede di Palermo del T.A.R. Sicilia con le sentenze rispettivamente della Sez. III, 28 febbraio 2013, n. 468 e della Sez. II, 26 marzo 2013, n. 725, secondo cui la norma regionale sarebbe stata tacitamente abrogata per effetto dell'entrata in vigore della sopravvenuta norma statale (merce' il meccanismo di cui all'art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, secondo cui la legge statale emanata successivamente a quella regionale, che abbia regolato il medesimo oggetto, ha effetto abrogativo della preesistente legislazione regionale nel caso in cui la norma statale sopravvenuta ponga principi diversi da quelli cui la precedente disciplina era ispirata); dall'altro, all'orientamento, per certi aspetti di segno opposto, espresso dal giudice di appello (C.G.A. Sent. n. 721/2011 cit., confermato ancora di recente in sede cautelare giusta ordinanza n. 786 del 16 ottobre 2013) secondo cui le norme in argomento risultano perfettamente sovrapponibili, non manifestando quella incompatibilita' assoluta che e' presupposto indispensabile per eventualmente predicare la sopravvenuta abrogazione implicita di una norma preesistente; con conseguente vigenza di entrambe le previsioni di legge (nazionale e regionale) da applicare rispettivamente, secondo il giudice di appello, in funzione dell'importo del singolo appalto (quella nazionale agli appalti al di sotto dei 100.000 euro; quella regionale per gli appalti di importo superiore alla predetta soglia), sussistendo tra le due norme un rapporto di «specialita'». Per quanto possa rilevare nel caso in esame, entrambe le soluzioni corroborano il dubbio, che con la presente ordinanza si solleva, che la disposizione regionale, per le chiare ed univoche indicazioni che promanano dalla sedes materie in cui e' inserita, per la finalita' che persegue e per l'oggetto materiale su cui impatta - nonche' per lo strumento normativo impiegato (cfr. Corte Cost. n. 35/2012) - graviti e abbia potenziali refluenze dirette nell'ambito di una materia (la sicurezza e l'ordine pubblico) che e' certamente di competenza esclusiva statale ancor prima (e potremmo dire a prescindere) dall'avvenuto o meno esercizio del relativo potere legislativo da parte del Parlamento nazionale. La prospettata sussistenza (C.G.A. Ord. n. 786/2013 cit.) di un rapporto di specialita' tra legge statale (in specie sopravvenuta ai bandi) e legge regionale, come sostenuto dal Giudice di appello territoriale (in disparte la non condivisibile idea che una norma statale espressamente dedicata, con strumenti di controllo tipici dell'attivita' di prevenzione, alla tutela e al contrasto di reati anche di tipo mafioso abbia dovuto sottoporsi a un duplice recepimento per operate nella Regione a Statuto speciale, cio' in quanto, a ben vedere, il primo comma dell'art. 247 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e' - al pari di altre norme sparse nel Codice dei Contratti Pubblici - una disposizione pleonastica, che non puo' fungere certo da valvola di scambio per la ricezione della disciplina ivi ricordata, attesa la piena capacita' di quest'ultima di operare indipendentemente da qualsivoglia «autorizzazione» da parte di altri testi normativi, trattandosi di norma-promemoria, valida quale memento, ma priva di ogni innovativita'), implica allora l'appartenenza delle disposizioni correlate ad una materia unitaria, nella quale puo' operare una priorita' escludente rispetto a fattispecie astrattamente assoggettabili ad identico precetto. Se ne dovrebbe quindi dedurre che le due norme (nazionale e regionale) hanno quindi la medesima ratio, sottendono la medesima voluntas legis (ancorche' espressa da due differenti legislatori), e partecipano della stessa materia: materia che, in relazione all'art. 3 della legge n. 136 del 2010, e' stata gia' chiaramente individuata dalla Corte costituzionale con la menzionata sentenza n. 35 del 2012. Anche a voler considerare solo «parziale» il rapporto di specialita' individuato nella su citata ordinanza del C.G.A. n. 786/2013 tra la norma regionale e quella statale, si addiverrebbe al risultato, non condivisibile, che l'interesse primario di contrasto alla criminalita' - di competenza esclusiva statale anche sub specie di tracciabilita' dei flussi finanziari intesa come mezzo per il perseguimento di politiche di contrasto alla criminalita' - varrebbe solo per gli appalti sotto i 100.000,00 euro, per trasformarsi, al di sopra di detta soglia, nel recessivo interesse (di competenza regionale) alla trasparenza nei pubblici appalti e al buon funzionamento degli uffici (ivi comprese le stazioni appaltanti). In altri termini, ritiene il Collegio che la disciplina introdotta dal legislatore regionale con il menzionato art. 2, comma 1, l.r. n. 15/2008 in ogni caso determina, anche solo potenzialmente, una interferenza con una materia sicuramente di competenza dello Stato, come chiarito dalla Corte costituzionale (v. sentenza a 35/2012). Ne' risulterebbe utile, nel rinnovato tentativo che incombe sull'interprete di percorrere tutte le opzioni per una lettura costituzionalmente orientata della norma prima di adire il Giudice delle leggi, il richiamo alla cd. clausola di cedevolezza desumibile dall'art. 1, primo comma, della legge n. 131 del 2003: non solo in quanto detta disposizione fa espressamente riferimento alle «disposizioni normative regionali vigenti alla data di entrata in vigore» della stessa legge n. 131 del 2003; ma soprattutto, in quanto l'applicazione di detta clausola e' tendenzialmente riservata all'ambito delle materie a competenza concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), in quanto funzionale a regolare la successione, nel tempo, fra norme di principio statali e norme di dettaglio regionali. Il che e' da escludere nel caso di specie, attesa la qualificazione giuridica che la stessa Corte costituzionale ha gia' chiaramente ed univocamente attribuito alla materia afferente ai controlli dei flussi finanziari. Per tutto quanto finora esposto, ad avviso del Collegio e' non manifestamente infondata - oltre che rilevante, per le ragioni sopra spiegate - la questione di legittimita' costituzionale del primo comma dell'art. 2 della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, per contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione. 4.1.2 - Per quanto attiene al secondo parametro costituzionale - art. 117, secondo comma, lettera l) - il Collegio ritiene che la risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale prevista nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008 confligga con l'attribuzione all'ordinamento civile che la lettera l) del secondo comma dell'art. 117 Cost. riserva alla legislazione esclusiva statale. Ancora di recente la Corte costituzionale, con sentenza 27 giugno 2013, n. 159, ha chiaramente affermato: «l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. ha codificato il limite del "diritto privato'', consolidatosi gia' nella giurisprudenza anteriore alla riforma costituzionale del 2001 (ex multis: sentenze n. 295 del 2009, n. 401 del 2007, n. 190 del 2001, n. 279 del 1994, e n. 35 del 1992). Questa Corte ha piu' volte affermato che "L'ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull'esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l'uniformita' della disciplina dettata per i rapporti tra privati. Esso, quindi, identifica un'area riservata alla competenza esclusiva della legislazione statale e comprendente i rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione'' (sentenza n. 352 del 2001). In particolare, questa Corte ha stabilito che la disciplina dei rapporti contrattuali (art. 1321 e seguenti del codice civile) va riservata alla legislazione statale (sentenze n. 411 e n. 29 del 2006)». Le affermazioni appena trascritte trovano, ad avviso del Collegio, piana applicazione anche alla disposizione contenuta nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008, per l'evidente invasione della competenza esclusiva dello Stato relativamente alla regolazione dei rapporti contrattuali, nei quali si esprime sia il principio di autonomia privata, sia quello di presidio e garanzia di eguaglianza nell'intero territorio nazionale. 4.1.3 - Venendo al terzo parametro costituzionale sopra menzionato - art. 3, secondo comma, Cost., qui invocato in via gradata rispetto ai parametri costituzionali gia' richiamati - il Collegio ritiene che, anche nell'esercizio del potere discrezionale, di cui e' certamente munito il legislatore regionale, nel dettare canoni normativi per l'organizzazione dell'attivita' amministrativa del proprio apparato e degli enti sottoposti al proprio controllo (ivi ricomprese quindi anche le stazioni appaltanti), non si possa comunque prescindere dal principio di ragionevolezza intrinseca e dal divieto di introdurre meri automatismi non coerenti con lo stesso canone di ragionevolezza cit. desumibile, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, proprio dall'art. 3, comma 2, della Carta fondamentale. Con la sentenza n. 87/2012 la Corte costituzionale riafferma e ripercorre la giurisprudenza che desume dall'art. 3 Cost. un canone di «razionalita'» della legge svincolato da una normativa di raffronto, rintracciato nell'«esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita'» (sentenza n. 421 del 1991) ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, che costituisce un presidio contro l'eventuale manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze della stessa (sentenze n. 46 del 1993, n. 81 dei 1992) (cfr. relazione sulla Giurisprudenza costituzionale dell'Anno 2012 del Presidente della Corte costituzionale, Riunione Straordinaria della Corte del 12 aprile 2013, pagg. 95 e ss.). Mutuando le considerazioni svolte (ancorche' in riferimento ad altri contesti normativi) dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 166 del 2012), la scelta di introdurre «automatismi» normativi deve costituire il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti, soprattutto quando quel meccanismo sia suscettibile di incidere (non solo e non semplicemente sul piano interno dell'attivita' amministrativa, ma anche) sull'affidamento ingenerato all'esterno sulla validita' del bando di gara e sul conseguente contratto sottoscritto dall'aggiudicatario/concessionario. Il che, ad avviso del Collegio, sembra difettare nel caso che qui ci occupa in quanto il legislatore regionale, introducendo un'ipotesi di nullita' automatica e non sanabile del bando di gara, sembra prescindere dalla possibilita' di operare - ove l'intento fosse realmente stato solo quello di approntare quanto necessario per una corretta e trasparente organizzazione del proprio apparato amministrativo, e non anche di incidere su una materia coperta da riserva assoluta di legge statale - sul piano del controllo interno traslando invece sul terzo gli effetti del mancato rispetto della norma per causa della stessa P.A. (che predispone il bando). 4.1.4 - Per quanto attiene al quarto parametro costituzionale - art. 97, primo comma, Cost. - il Collegio osserva che la norma, cosi' come formulata, ancorche' voglia costituire un contributo alla trasparenza e alla correttezza dell'agere publicum, rischia di rappresentare (per l'impossibilita' gia' evidenziata di far ricorso alla etero-integrazione della lex specialis) occasione per la proposizione di variegate e plurime azioni (anche di natura risarcitoria) contro la Pubblica Amministrazione, esperibili finanche da parte di soggetti esclusi dalle gare medesime, che perseguano l'interesse alla declaratoria di nullita' delle stesse, con il travolgimento dei contratti sottoscritti. Tale rischio si e', infatti, dimostrato tutt'altro che meramente potenziale, siccome si e' invece tradotto in concrete azioni proposte per la declaratoria di nullita' dei bandi, con domande formulate anche in via gradata, ovvero con pronunce di nullita' d'ufficio dei medesimi bandi di gara decretate dal Giudice cui erano state rimesse le questioni di legittimita' dei relativi esiti (cfr. C.G.A. sent. n. 721/2011 cit. di conferma della sentenza T.A.R. Palermo, Sez. III, n. 2406/2011). L'automatismo della sanzione della nullita' del bando, che e' atto amministrativo unilateralmente predisposto dalla P.A., lascerebbe altresi' impregiudicata la strada ad azioni risarcitorie anche da parte degli aggiudicatari incolpevoli; di contro, si osserva che la differente previsione contenuta nell'art. 3, legge n. 136/2010, spostando la sanzione della «nullita'» sull'atto negoziale del contratto, all'evidenza coinvolge e responsabilizza al rispetto dell'ultima norma cit. lo stesso aggiudicatario. Va infine rilevato che la nullita' del bando, per mancato inserimento delle condizioni previste dall'art. 2 l.r. n. 15/2008, non consente alla stazione appaltante di esercitare il tradizionale - e codificato (v. art. 21-nonies, legge n. 241/1990, applicabile certamente in Sicilia merce' il rinvio di cui all'art. 37, l.r. n. 10/1991) - potere di «autotutela amministrativa», cui doverosamente sarebbe tenuta in presenza dei necessari presupposti anche nella prospettiva dell'eventuale convalida di un provvedimento annullabile in presenza di ragioni di pubblico interesse; ma al contempo - operando invece la nullita' cit. in modo automatico ed essendo altresi' rilevabile da chiunque - rischia di incidere sullo stesso buon andamento dell'amministrazione la quale non potrebbe dar seguito all'oggetto della gara. 4.2 - Sul secondo comma dell'art. 2 della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15. Questo Tribunale dubita della legittimita' costituzionale della disposizione contenuta nell'art. 2, secondo comma, della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere h) e l), all'art. 27, secondo comma, all'art. 3, secondo comma, e all'art. 97, primo comma, della Costituzione. 4.2.1. - Per quanto attiene al primo parametro costituzionale, art. 117, secondo comma, lettera h). La disposizione introduce una causa di nullita' del bando, che non prevede la risoluzione del contratto nell'ipotesi in cui il legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata, stabilendo che «2. I bandi di gara prevedono, pena la nullita' degli stessi, la risoluzione del contratto nell'ipotesi in cui il legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata». Si tratta, all'evidenza, di una disposizione automatica particolarmente grave che colpisce immediatamente la legge di gara, la quale, in assenza di tale clausola, non e' in grado di condurre la procedura a buon esito, attesa la previsione della sanzione massima, dalla cui applicazione derivano conseguenze rilevanti: l'azzeramento della gara. Ritiene il Collegio che l'art. 2, secondo comma, della L.R.S. n. 15 del 2008, costituente un unicum nel panorama legislativo nazionale, per quanto rileva in ordine alla fattispecie qui dedotta, non abbia subito ad oggi alcuna abrogazione implicita per l'effetto del recepimento in Sicilia del «codice dei Contratti» (d.lgs. n. 163/2006) avvenuto con legge regionale n. 12 del 2011 e, per tale via, del recepimento del Codice Antimafia (approvato con il d.lgs. n. 159 del 2011), come, del resto, ritenuto dal Giudice siciliano di appello (v. C.G.A., ord. n. 786/2013 cit.). Ed invero - rinviando a quanto gia' argomentato in ordine alla superfluita' di qualsivoglia recepimento della normativa antimafia ai fini della applicabilita' in Sicilia - non si riscontra alcuna sovrapposizione tra le norme statali sopravvenute e quella regionale. In primo luogo, la norma regionale contenuta nell'art. 2, secondo comma, della L.R.S. n. 15 del 2008 prevede un meccanismo piu' rigoroso rispetto alla normativa contenuta nel codice antimafia, statuendo una automatica risoluzione del contratto per il solo fatto che il legale rappresentante, o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria, sia stato rinviato a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata. Di contro, in applicazione (anche) delle disposizioni normative in materia di informative prefettizie antimafia vigenti ratione temporis al momento di pubblicazione del bando (disposizioni oggi riunite nel del Codice Antimafia, di cui al d.lgs. n. 159 del 2011), il previsto recesso dal contratto eventualmente stipulato deve essere preceduto dalla valutazione discrezionale del Prefetto, che, allo scopo, emette una informazione antimafia interdittiva; residuando, peraltro, alla parte pubblica - pur in presenza di altre informazioni del Prefetto - un potere discrezionale sulle sorti del contratto nelle more sottoscritto. Va altresi' evidenziato che il citato art. 2 della L.R.S. n. 15 del 2008 struttura il (mero) rinvio a giudizio non gia' come semplice requisito - e, quindi come eventuale causa di esclusione dalla gara come previsto invece dalle condizioni di partecipazione alle gare di cui all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 (oggi recepito in Sicilia ex l.r. n. 12/2011 cit.) - bensi' come causa di nullita' del bando per mancanza di clausola risolutiva espressa, pur in assenza di tutte le cautele procedimentali e di coerenza del giudizio che, rispetto alla mera sussistenza del requisito, pone l'ultimo periodo della lettera m-ter) del primo comma dell'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 relativamente a soggetto non destinatario comunque del rinvio a giudizio. La norma, cosi' come redatta, appare, pertanto, strutturalmente priva di ogni altra finalita' che ecceda quelle di contrasto alla criminalita' organizzata, ponendosi, in tal modo, in palese contrasto con la riserva della legislazione esclusiva statale in materia ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 4.2.2 - Per quanto attiene al secondo parametro costituzionale, art. 117, secondo comma, lettera l). Oltre che per gli aspetti differenziali rispetto alla disciplina generale del codice dei contratti pubblici, la norma in esame si rivela di assai dubbia legittimita' costituzionale sotto un ulteriore profilo: la prescrizione di una specifica causa di risoluzione del contratto non sembra conforme al dettato costituzionale, perche' invasiva della riserva statale in materia di ordinamento civile, secondo le su esposte osservazioni da ritenersi qui integralmente riprodotte (v. punto 4.1.2). 4.2.3. - Per quanto attiene al terzo parametro costituzionale, art. 27, secondo comma, Costituzione. La previsione della sanzione, automatica e definitiva, in presenza di un mero rinvio a giudizio sembra confliggere con la presunzione di non colpevolezza, prevista dall'art. 27, secondo comma, della Costituzione (v. C.G.A., ordin. n. 786/2013 cit.), secondo cui «L'imputato non e' considerato colpevole sino alla condanna definitiva»; principio, il quale e' stato ripreso nell'art. 6, secondo comma, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, a mente del quale «Ogni persona accusata di un reato e' presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata». Invero, il principio costituzionale di non colpevolezza (fino a definitiva statuizione giurisdizionale) sembra opporsi anche alla incondizionata operativita' di una cosi incisiva causa di nullita' sulla legge di gara, ponendo l'interesse generale sottostante all'inqualificazione in un contesto temporale, nel quale non ne e' certa la sussistenza (ad esempio per una successiva assoluzione con formula piena). E' ben vero che il legislatore statale ha previsto numerosi temperamenti alla incondizionata operativita' di tale principio, introducendo misure finalizzate ad evitare che il decorso del tempo possa costituire un pericolo per l'accertamento del reato o per l'esecuzione di una sentenza (misure cautelari personali e reali), o misure special-preventive, formalmente di natura amministrativa, dirette ad evitare la commissione di reati da parte di determinate categorie di soggetti considerati socialmente pericolosi (misure di prevenzione); ma, a tale contemperamento e' addivenuto nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in ambito penale, o nella delicata materia dell'ordine pubblico e sicurezza; e, sovente, con l'introduzione di misure di carattere provvisorio. Nel caso della norma in commento, la non manifesta infondatezza della questione, sotto tale profilo, si apprezza ulteriormente, tenendo conto dell'inscindibile collegamento, creato dalla norma regionale, tra il dato del rinvio a giudizio e la risoluzione automatica del contratto medio tempore stipulato; con conseguente diretta e definitiva incidenza del (mero) rinvio a giudizio sul rapporto negoziale in corso, destinato - pur in presenza della apposita clausola nel presupposto bando di gara - ad essere risolto. Tale definitiva ed automatica conseguenza sul contratto non trova riscontro neppure nella normativa nazionale emanata nel settore degli appalti pubblici, contenuta nell'art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, il cui primo comma, alla lettera c), esclude dalla partecipazione alle gare i (soli) soggetti nei cui confronti e' stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunita' che incidono sulla moralita' professionale; o sentenza di condanna, passata in giudicato, per uno o piu' reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'art. 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18; indicando i titolari di poteri, di cui vanno accertati i predetti precedenti penali. L'analisi di tale costruzione giuridica rende ulteriormente evidente - qualora ve ne fosse bisogno - la reale finalita' della norma regionale, di prevenzione e contrasto di fenomeni di infiltrazioni criminali nel delicato settore degli appalti pubblici; compito riservato dalla Carta Fondamentale esclusivamente al legislatore statale, al quale compete di stabilire il contemperamento tra i principi costituzionali che vengono in rilievo, per mezzo della normativa, penale o para-penale, esclusivamente volta al contrasto della criminalita' (organizzata e non). 4.2.4 - Venendo al quarto parametro costituzionale, art. 3, secondo comma, Cost. - il Collegio ritiene di poter richiamare in questa sede le considerazioni gia' sopra svolte al punto 4.1.3 cui si rinvia. Appare tuttavia utile aggiungere come, in relazione al secondo comma dell'art. 2 della legge regionale n. 15/2008, l'irragionevolezza del'automatismo introdotto dalla norma si appalesa maggiormente grave e privo della necessaria razionalita' laddove connette la nullita' del bando alla mancata previsione dell'ipotesi di risoluzione del contratto (nei casi in cui il legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria siano rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito di procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata) prescindendo dall'esistenza di informative tipiche ovvero atipiche di competenza dell'autorita' di polizia. 4.2.5 - Per quanto attiene al quinto parametro costituzionale, art. 97, primo comma, Costituzione, per brevita' di trattazione, il Collegio rinvia alle considerazioni gia' svolte in ordine al primo comma (e per il medesimo parametro costituzionale) di cui al precedente punto 4.1.4, che qui si intendono integralmente richiamate. 5. - In conclusione, appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale che con la presente ordinanza viene rimessa alla Corte costituzionale in ordine: A) all'art. 2, primo comma, della legge della Regione Siciliana 20 novembre 2008, n. 15, per violazione degli artt. 117, secondo comma, lettere h) e l), 3, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione; B) all'art. 2, secondo comma, della legge della Regione Siciliana 20 novembre 2008, n. 15, per violazione degli artt. 117, secondo comma, lettere h) e l), 27, secondo comma, 3, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione. Il processo deve, pertanto, essere sospeso, con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per ogni conseguente statuizione.